I diritti incompiuti del minore nel Codice di Deontologia Medica

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Abstract: L’Autrice propone una lettura “multilivello” del Codice di Deontologia Medica, “corretta” alla luce delle fonti giuridiche internazionali, nell’auspicio di una maggiore considerazione degli interessi dei minori e per una piena realizzazione delle persone più piccole.

 

Nonostante si parli continuamente di centralità della persona, ed in particolare del bambino, e di umanizzazione della medicina (che è ontologicamente per l’uomo), questi aspetti, nei riguardi dei bambini, sono stati tralasciati nella formulazione del Codice di Deontologia Medica (C.D.M.) del 16 dicembre 2006.

Innanzitutto si parla di minore, inteso dal punto di vista giuridico come minore d’età, e non di bambino o fanciullo, quindi di una persona in via di formazione, come avviene in altre fonti. Non vi è, pertanto, alcuna distinzione tra infanzia e adolescenza, distinzione importante nel campo della salute per il delicato passaggio dall’una all’altra fase della crescita psico-fisica, come, invece, è stato fatto nelle “Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale” del 2008. Gli articoli che si riferiscono al minore sono solo quattro e in essi sembra che non si sia tenuto conto dei principi della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia adottata a New York il 20 novembre 1989 e di quelli, sicuramente importanti, di “Salute 21 – Salute per tutti nel 21° secolo”, documento adottato dagli Stati membri della Regione Europea dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel marzo 1999. Nella Premessa della Convenzione si dice: “occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società”; nel Punto 4 “La salute dei giovani” del documento “Salute 21” se ne auspica un: “inserimento attivo e proficuo nella società”. Nel C.D.M., invece, il minore è stato considerato principalmente quale soggetto giuridico incapace d’agire e dunque quale destinatario di cure ed altri interventi, trascurando la necessità di una sua responsabilizzazione quale soggetto sociale attivo soprattutto alla luce di fenomeni negativi crescenti, quali l’uso di alcol, droghe, tabacco ed altro. L’art. 5 “Educazione alla salute e rapporti con l’ambiente”, comma 2, recita così: “A tal fine il medico è tenuto a promuovere una cultura civile tesa all’utilizzo appropriato delle risorse naturali, anche allo scopo di garantire alle future generazioni la fruizione di un ambiente vivibile”. Anziché rivolgersi alle future generazioni sarebbe stato preferibile coinvolgere le nuove generazioni per non cadere nel luogo comune che i bambini sono i cittadini di domani, possono essere, anzi già sono, cittadini di oggi. Tra l’altro si è dimenticato che l’educazione è una relazione tra persone e non una semplice trasmissione impersonale quindi occorreva indicare gli interlocutori della relazione. La medesima critica si può muovere all’art. 55 “Informazione sanitaria”, ultimo comma: “Il medico collabora con le istituzioni pubbliche al fine di una corretta informazione sanitaria ed una corretta educazione alla salute”. Si è ignorato che “corretto” deriva dal latino “cum regere = dirigere con” e richiede, pertanto, un coinvolgimento della persona per sortire un effetto. Qui, più che altrove si poteva rivolgere l’attenzione ai “piccoli”.

Il primo articolo in cui si nomina il minore è l’art. 28 “Fiducia del cittadino” in cui si parla di “prova di sfiducia”. Questa sistemazione è poco felice sia per la rubrica sia per il contenuto, perché la fiducia non attiene ai diritti di cittadinanza ma alla relazione interpersonale, aspetto che non è stato evidenziato nemmeno nell’art. 23 “Continuità delle cure” in cui si legge la locuzione “venir meno del rapporto di fiducia”. Non è auspicabile prospettare la fiducia in termini negativi parlando di “sfiducia”, occorrerebbe piuttosto richiamarla in termini costruttivi tenendo anche conto dei significati profondi di “fiducia” (dal latino “fides”). Il codificatore avrebbe potuto proporre, soprattutto nei confronti del minore o dell’incapace, la locuzione “relazione di fiducia”, che richiama quell’“atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dalla Premessa della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) che sempre più spesso vicissitudini personali, malattie e violenze vanno a compromettere nella vita dei bambini. Tra l’altro, l’unica volta in cui il codificatore usa il termine “relazione” è nell’art. 43 sull’interruzione volontaria di gravidanza in cui si trova l’espressione “relazione di cura”, concetto che dovrebbe valere a maggior ragione per i bambini (argomentando dall’art. 3 par. 3 della Convenzione Internazionale).

Nel secondo articolo in cui si nomina il minore, l’art. 32 “Doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili”, è innanzitutto criticabile la rubrica per la categorizzazione (“soggetti fragili”), poi perché non sono semplicemente soggetti ma persone e infine perché la fragilità caratterizza tutti ed in particolare quando ci si rivolge al medico, giacché per le condizioni di salute, per la mancanza di conoscenze, per il setting ci si trova nella posizione di parte debole. Criticabile anche l’assimilazione del minore all’anziano e al disabile, trascurandone la specificità.

Il medico, inoltre, dovrebbe preoccuparsi dell’ambiente familiare o extrafamiliare in ogni caso e non solo quando ritenga che “non sia sufficientemente sollecito alla cura della loro salute, ovvero sia sede di maltrattamenti fisici o psichici”, perché la famiglia è l’“ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli” (dalla Premessa della Convenzione di New York), per l’incidenza delle relazioni nella vita dei fanciulli (artt. 8 e 9 della Convenzione di New York) e perché la salute dei fanciulli passa anche attraverso l’educazione dei genitori (art. 24 lettera f della Convenzione di New York). L’imprescindibile nesso tra famiglia e salute è attestato anche dal fatto che nella nostra Costituzione l’art. 32 sulla salute segua ai tre articoli sulla famiglia.

L’art. 38 “Autonomia del cittadino e direttive anticipate”, che per contenuto avrebbe dovuto precedere l’art. 37 “Consenso del legale rappresentante”, non tiene conto dell’art. 12 della Convenzione Internazionale del 1989. In special modo non è stato richiamato il diritto all’ascolto, quell’ascolto (etimologicamente “coltivare nell’orecchio”) che è preliminare e sostanziale ad ogni cura.

L’art. 38 non pare conforme al tenore dell’art. 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (adottata dal Consiglio d’Europa il 4 aprile 1997 ad Oviedo e per questo denominata Convenzione di Oviedo; ratificata in Italia con legge 28 marzo 2001 n. 145) che recita “Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante in funzione della sua età e del suo grado di maturità”.

L’ultimo articolo in cui si menzionano i minori è l’art. 48 “Ricerca biomedica e sperimentazione sull’uomo” in cui si legge: “Nel caso di soggetti minori, interdetti e posti in amministrazioni di sostegno è ammessa la sperimentazione per finalità preventive e terapeutiche. Il consenso deve essere espresso dai legali rappresentanti, ma il medico sperimentatore è tenuto ad informare la persona documentandone la volontà e tenendola comunque sempre in considerazione”. Tale disciplina è incongruente perché, tra l’altro, vien da chiedersi come si faccia a documentare la volontà di un “soggetto fragile”.

Per integrare questi scarni riferimenti nei quali occorreva manifestare maggiore sensibilità (che non deve essere posseduta solo nelle varie specializzazioni sulla salute dei bambini) occorre leggere l’intero C.D.M.. Nell’art. 3 “Doveri del medico”, comma 2 si stabilisce: “La salute è intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”. Affermazione che si allinea alla concezione di benessere presente nella Convenzione di New York sin dalla sua Premessa e che ha rappresentato un’innovazione; si conforma anche alla concezione ampia di salute come disciplinata nell’art. 32 della nostra Costituzione e la cui collocazione è davvero paradigmatica. La salute nella Carta Costituzionale è disciplinata dopo l’art. 31 nel cui secondo comma si legge: “Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Mentre nei successivi artt. 33 e 34 è disciplinata la scuola; questo perché la salute è propedeutica ad ogni esperienza o attività della persona e soprattutto di quella dei bambini tutti sono corresponsabili. Infatti, nel Punto 14 “Responsabilità multisettoriale per la salute” del documento “Salute 21” si ricorda: “Coinvolgere la responsabilità di tutti i soggetti interessati nei processi di promozione della salute”.

Laddove nel C.D.M. si parla di interesse del paziente, o di interesse esclusivo della persona assistita o comunque di interesse, contestualizzato va inteso come “interesse superiore del fanciullo” (art. 3 della Convenzione di New York).

Nell’art. 33 “Informazione al cittadino” al comma 2 si legge: “Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche”. Promuovere la partecipazione del bambino serve anche ad elaborare la forte pressione psicologica ed il carico emotivo che il bambino vive in particolari condizioni di salute (malattie rare, oncologiche, disabilità) e a favorire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale (art. 27 della Convenzione di New York). Solo essendo pienamente partecipi della propria vita si può poi maturare la partecipazione alla vita in senso ampio come previsto negli artt. 23 e 31 della Convenzione Internazionale del 1989 e nell’art. 3 della nostra Costituzione.

Nei confronti del bambino ogni medico può e deve “incarnare”, non per deontologia ma per ontologia, quanto previsto nell’art. 3 “Doveri del medico”: “Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera”. In tal modo il medico potrà contribuire affinché il bambino possa crescere e svilupparsi “in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e di dignità” (art. 2 della Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959), intendendo “modo sano e normale” non come godimento di buona salute o assenza di qualsiasi infermità ma nell’accezione di “godimento dei più alti livelli raggiungibili di salute fisica e mentale” (art. 24 della Convenzione di New York) per quel bambino di cui si ha cura e non semplicemente in cura, o ancora nell’accezione di libertà da ogni impedimento e quindi libertà di cura e dignità anche nella sofferenza.

Ogni medico deve esserlo nel senso più profondo, che viene dall’etimologia, di “curare, aiutare, conoscere, riflettere”, considerando ogni bambino persona e ricordando ogni persona bambino.

Dott.ssa Marzario Margherita

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