Gli interessi compensativi ed il loro ruolo “equitativo”

Redazione 13/01/20
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Gli interessi compensativi ed il loro ruolo “equitativo”.

Il presente contributo sul tema di interessi compensativi è tratto da “Il debitore ritardatario. Le tutele per il creditore”, di Cristina Maria Celotto.

Debiti di valore e produzione di interessi

Abbiamo già avuto modo di vedere che i debiti aventi ad oggetto beni diversi dal denaro non sono assoggettati al principio nominalistico e, pertanto, sono suscettibili di rivalutazione monetaria[1]e sono per loro natura illiquidi: è solo dal momento della loro liquidazione, che può essere giudiziale ovvero convenzionale[2], che il debito di valore si converte in debito di valuta.

In particolare, la giurisprudenza ha sottolineato come, nei debiti di valore, la rivalutazione monetaria costituisca una componente necessaria nella stessa determinazione del credito che, pertanto, il giudice deve liquidare d’ufficio, avendo la funzione di reintegrare il patrimonio del creditore per la perdita del valore perduto e che comunque prescinde dal presupposto della mora [3].

È solo a partire dalla liquidazione che devono essere riconosciuti gli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c. – a fronte di somme liquide ed esigibili –, nonché, al verificarsi della mora del debitore, gli interessi moratori ed il risarcimento del maggior danno, se provato, ai sensi dell’art. 1224 c.c.

Al contrario, prima di tale momento, i debiti di valore non possono produrre, né interessi corrispettivi (non essendo la somma liquida, ossia certa nel suo ammontare, e quindi nemmeno esigibile), né, a fortiori, interessi moratori (in ragione del noto brocardo in illiquidis non fit mora).

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Interessi compensativi

Ciò ha condotto la giurisprudenza, muovendo da un’interpretazione estensiva dell’art. 1499 c.c., ad applicare a tali debiti, prima del momento della liquidazione, i cc.dd. interessi compensativi. Invero, la nozione di interessi compensativi viene utilizzata soprattutto dalla giurisprudenza per qualificare la natura giuridica delle somme attribuite per “compensare” il ritardo nell’adempimento; alcune pronunce giurisprudenziali qualificano, però, anche tali interessi – che non sono veri e propri interessi, quanto piuttosto una forma pretoria di liquidazione del danno – come interessi moratori, proprio per sottolineare il loro intrinseco collegamento con l’inadempimento, ritenendosi, con una sorta di fictio iuris, che anche nelle obbligazioni di valore, sia pure prive del requisito della liquidità, possano maturare i relativi interessi moratori. Si ritiene che, comunque, gli interessi compensativi individuino tutte le ipotesi in cui la produzione degli interessi avvenga indipendentemente dalla mora e dalla semplice scadenza e che, pertanto, assolvano ad una funzione eminentemente equitativa, in quanto mirano a compensare il creditore per il mancato godimento dei frutti della cosa da lui consegnata all’altra parte prima di riceverne la controprestazione.

Se questa è la funzione cui vengono piegati questi interessi, la giurisprudenza giunge ad affermare che, al pari di quanto avviene con riferimento ai contratti di scambio aventi ad oggetto un bene fruttifero (art. 1499 c.c.) ove gli interessi compensativi decorrono sul prezzo, anche se non ancora esigibile, per compensare la consegna anticipata ed il godimento delle utilità derivanti dal bene (del quale il venditore si priva senza immediato corrispettivo), allo stesso modo tali interessi nei debiti di valore compensano la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro rappresentante l’equivalente del bene perso o danneggiato e le utilità che ne sarebbero derivate se l’avesse ricevuta tempestivamente[4].

La giurisprudenza ha, poi, sottolineato che gli interessi cc.dd. compensativi, riconosciuti nei debiti originariamente di valore, sono dovuti fino al momento in cui il debito si converte in debito di valuta, coincidente con quello in cui diventa definitiva la liquidazione del danno e, quindi, sino al passaggio in giudicato della sentenza che ha effettuato la liquidazione definitiva[5], con la conseguenza che solo a partire da questo momento il credito è assoggettato al principio nominalistico ex art. 1224 c.c.[6]. Pertanto, solo con decorrenza da tale momento vanno riconosciuti gli interessi corrispettivi, nonché il risarcimento del danno per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro rappresentante l’equivalente del bene perduto o danneggiato, qualora sia fornita, anche con presunzioni semplici, la prova del danno subito, perché, altrimenti, si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell’obbligazione, quindi un ingiustificato arricchimento[7].

Da ultimo, occorre considerare che, nell’ipotesi in cui il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, la liquidazione del danno da ritardato adempimento di una obbligazione di valore de ve avvenire, secondo le recenti indicazioni della Suprema Corte, attraverso una serie di passaggi, ossia: devalutando l’acconto e il credito alla data dell’illecito, detraendo l’acconto dal credito, ed infine calcolando gli interessi compensativi tramite individuazione di un saggio scelto in via equitativa, e conseguente applicazione sull’intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell’illecito al pagamento dell’acconto, e sulla somma che residua dopo la detrazione dell’acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla sua liquidazione definitiva[8].

Il presente contributo sul tema di interessi compensativi è tratto da “Il debitore ritardatario. Le tutele per il creditore”, di Cristina Maria Celotto.

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Note

[1] Sono debiti di valore, oltre all’obbligo risarcitorio derivante da fatto illecito (per le conseguenze si vedano: Cass., 10 aprile 2018, n. 8766, Cass., 17 luglio 2009, n. 16726; Cass., 18 luglio 2011, n. 15709; Cass., 3 marzo 2009, n. 5054) anche l’obbli gazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale (Cass., 5 maggio 2016, n. 9039), anche quando si tratti di danni conseguenti ad inadempimento di obblighi che, sebbene nascenti da un contratto che comporta l’esecuzione di prestazioni pecuniarie, abbiano specifico contenuto e autonoma valenza attinenti ad un diverso facere ed a cosa diversa dal denaro (Cass., 18 dicembre 2007, n. 26663), anche nella forma della clausola penale (Cass., 16 maggio 2017, n. 12188). Anche l’indennità di sopraelevazione ex art. 1227 c.c. è stata ritenuta oggetto di un debito di valore, da determinarsi con riferimento al tempo della sopraelevazione, con la conseguenza che “non trova applicazione la regola dettata dall’art. 1224 c.c. per i debiti di valuta, secondo cui gli interessi legali sono dovuti dalla costituzione in mora, essi spettando, invece, dal giorno della ultimazione della sopraelevazione” (Cass., 7 aprile 2014, n. 8096). Anche l’obbligazione restitutoria conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare, in quanto ha ad oggetto l’equivalente pecuniario del bene non restituibile in natura o anche la somma relativa al pagamento oggetto dell’azione stessa, ha natura di debito di valore, in ragione della funzione indennitaria cui tale azione assolve (Cass., 16 giugno 2011, n. 13244).

[2] La liquidazione giudiziale avviene tramite l’intervento del giudice e con il passaggio in giudicato della relativa sentenza; invece la liquidazione convenzionale è quella che stabiliscono le parti tramite apposita pattuizione, normalmente attraverso clausola penale. La liquidazione giudiziale consta di tre distinti momenti: la c.d. aestimatio, operazione con la quale viene calcolato il valore pecuniario del bene (perduto) oggetto dell’obbligazione al tempo in cui è sorta l’obbligazione; la c.d. taxatio, che individua l’adeguamento (o attualizzazione) del valore monetario originario del bene ai valori correnti al momento della sentenza; da ultimo, secondo l’impostazione tradizionale, sulla somma risultante dalla aestimatio rivalutata dalla taxatio si computano gli interessi legali che, quindi, vanno a cumularsi con la rivalutazione.

[3] In tal senso si veda, per tutte, Cass., 21 luglio 2009, n. 16963.

[4] In tal senso si veda Cass., 8 marzo 2005, n. 5008, in Giust. Civ. Mass., 2005, 3. In particolare, poi, Cass., 9 ottobre 2012, n. 17115: “il ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento causa al creditore un danno ulteriore, rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario. Tale danno va liquidato dal giudice in via equitativa, anche facendo ricorso ad un saggio di interessi (c.d. interessi compensativi) i quali non costituiscono un frutto civile dell’obbligazione principale, ma una mera componente dell’unico danno da fatto illecito”.

[5] In tal senso si veda Cass., 2 aprile 2014, n. 7697: “il debito di valore si converte in debito di valuta nel momento in cui la sua liquidazione diventa incontestabile e ossia, quello in cui diventa definitiva la sentenza che tale liquidazione effettua. Da quel momento quindi, e non prima, né dopo, vi è l’assoggettamento del debito al principio nominalistico regolato dall’art. 1224 c.c.”. In senso conforme: Cass., 11 marzo 2004, n. 4983; Cass., 6 novembre 1996, n. 9648.

[6] In tal senso si vedano Cass., 20 gennaio 2009, n. 1335; Cass., 8 marzo 2005, n. 5008; Cass., 11 marzo 2004, n. 4993, in Giust. Civ. Mass., 2004, 3, Arch. Giur., circol. e sinistri 2004, 448 con nota di C.A. Caruso.

[7] In tal senso si veda Cass., 5 maggio 2016, n. 9039: “in materia di inadempimento contrattuale, l’obbligazione del risarcimento del danno configura un debito di valore, sicché, qualora si provveda all’integrale rivalutazione del credito relativo al maggior danno fino alla data della liquidazione, secondo gli indici di deprezzamento della moneta, gli interessi legali sulla somma rivalutata dovranno essere calcolati dalla data della liquidazione, poiché altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto in caso di tempestivo adempimento dell’obbligazione”.

[8] Cass., 20 aprile 2017, n. 9950, in CED Cassazione, 2017.

 

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