Giudica, ma non è giudice: l’Agcm tra giusto procedimento e giudice a quo

Redazione 28/02/19
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di Carlo Edoardo Cazzato*

* Ph.D.

Sommario

1. Premessa

2. Il potere sanzionatorio dell’Agcm

3. L’Agcm come “giudice” nel procedimento antitrust

4. L’Agcm come “giudice” a quo

5. Conclusioni

1. Premessa

Il titolo del presente lavoro è volutamente provocatorio. Quest’ultimo, tuttavia, non è finalizzato a mettere in discussione la circostanza che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, “Agcm” o “Autorità”), quale autorità indipendente preposta nel nostro ordinamento, inter alia, alla tutela della piena competitività del mercato, possa ritenersi un “giudice” nel momento in cui porta a conclusione un procedimento amministrativo azionato per accertare l’inosservanza dei divieti di intesa restrittiva della concorrenza e di abuso di posizione dominante, di cui agli articoli 2 e 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” (di seguito “Legge antitrust”), nonché agli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (di seguito, “TFUE”; c.d. public enforcement). Lo stesso, piuttosto, è volto a dare contezza di una recente presa di posizione sulla legittimazione della stessa Autorità a sollevare una questione di costituzionalità – che si fonda proprio sul difetto di quella terzietà che l’Agcm spende in sede procedimentale – e a trarne alcune prime riflessioni.

Su tali assunti, la recente pronuncia n. 13 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, depositata il successivo 31 gennaio 2019 e pubblicata sulla G.U. del 6 febbraio 2019 (di seguito, “Sentenza”), rappresenta, senz’altro, occasione per una generale riflessione sul potere sanzionatorio dell’Agcm e sul suo ruolo nel nostro ordinamento.

2. Il potere sanzionatorio dell’Agcm

Andando per ordine, in linea generale la sanzione civilistica connessa alla violazione del diritto della concorrenza dovrebbe essere quella “portante” dell’enforcement antitrust[1]. Ciò nonostante – come si evince dalla scarsa diffusione delle azioni risarcitorie del danno antitrust (c.d. private enforcement), in particolare in Italia – la componente pubblicistica, e quindi amministrativa, dei poteri sanzionatori correlati alle infrazioni del diritto della concorrenza rappresenta tutt’ora parte preponderante della tutela antitrust e, conseguentemente, preoccupazione principale delle imprese coinvolte in un procedimento per asserita inosservanza dei divieti di intesa restrittiva della concorrenza e di abuso di posizione dominante, di cui agli articoli 2 e 3 della Legge antitrust, nonché agli articoli 101 e 102 del TFUE.

Su tali assunti, le fonti del potere sanzionatorio dell’Autorità si rinvengono nell’articolo 15, comma 1, della Legge antitrust e nel capo I, sezioni I e II, della Legge 24 novembre 1981, n. 689, recante “Modifiche al sistema penale”, come richiamato espressamente dall’articolo 31 della medesima Legge antitrust.

Come noto, l’articolo 15, comma 1, della Legge antitrust prescrive che, qualora a seguito dell’istruttoria svolta si accerti la violazione di una o più delle disposizioni sopra menzionate, l’Agcm ha il potere di fissare alle imprese e agli enti interessati il termine per l’eliminazione delle violazioni accertate e, nei casi di violazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione, ha l’obbligo di disporre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria[2].

La sezione I del capo I della Legge n. 689/1981 (articoli da 1 a 12) e la successiva sezione II del medesimo capo (articoli da 13 a 31) delineano, dunque, la disciplina nazionale della sanzione amministrativa, individuandone rispettivamente i principi generali e la loro applicazione[3].

Nell’esercizio di tali prerogative, l’Agcm dispone di un amplissimo margine di discrezionalità, rappresentando l’ammenda antitrust uno strumento di politica della concorrenza, nel senso che il fare più o meno ricorso alla sanzione può rappresentare un significativo indicatore delle priorità dell’Autorità[4].

Ratio della suddetta discrezionalità è, da un lato, quella di individuare un meccanismo sanzionatorio sufficientemente elastico, perché capace di tenere il passo del dibattito sui modelli di deterrenza antitrust, tuttora molto acceso; dall’altro, quella di ridurre, nei limiti del possibile, i rischi di censura giurisdizionale[5].

Invertendo l’ordine logico di trattazione, con riguardo al secondo profilo, va detto che, nonostante le aspettative, il sindacato del Giudice amministrativo è stato ed è rimasto assai invasivo, spesso stravolgendo del tutto le conclusioni dell’Autorità.

Sotto il primo profilo, invece, il modello sanzionatorio prevalente prevede che la sanzione abbia una finalità prima dissuasiva che strettamente riparatoria, essendo a tale ultimo obiettivo – in una lettura sistemica – preposto il private enforcement.

L’Agcm è dunque chiamata a quantificare una ammenda che, in linea di principio, non sia né troppo elevata, né troppo bassa: nel primo caso, infatti, si determinerebbe un effetto di possibile sovra-deterrenza della sanzione ovverosia l’impresa potrebbe essere indotta a non porre in essere condotte virtuose, temendo il rischio di una multa molto elevata; nel secondo, di contro, una conseguenza di probabile sotto-deterrenza della ammenda imposta e cioè l’impresa, soppesando i vantaggi diretti della propria condotta e i rischi sanzionatori, potrebbe ritenere comunque conveniente la violazione del diritto della concorrenza[6].

Ad ogni modo, la discrezionalità riconosciuta all’Agcm non può tradursi in arbitrio e vanta certamente dei limiti. Fondamentale è, infatti, che l’imposizione della sanzione avvenga mediante “un equo bilanciamento tra l’interesse perseguito con l’applicazione della misura sanzionatoria e la conculcazione della sfera soggettiva del destinatario della misura stessa, affinché possa evitarsi che fondamentali diritti economici […] possano essere sacrificati sull’altare di aggressioni ingiustificate e sproporzionate[7].

In primo luogo, dunque, la discrezionalità della Autorità trova il limite quantitativo rappresentato dal massimo edittale[8] e, più in generale, dalle varie soglie individuate dalla stessa Autorità, che rispondono anche alla esigenza di tutelare quei principi di ragionevolezza e proporzionalità[9].

In secondo luogo, l’Autorità deve tenere in debita considerazione alcune variabili espressamente individuate, al fine di valorizzare la componente personalistica dell’illecito accertato (v. in particolare, l’articolo 11 della Legge n. 689/81).

Infine, la discrezionalità dell’Agcm deve essere declinata in coerenza con la prassi e gli orientamenti della stessa Autorità e della Commissione europea, sebbene le statuizioni assunte dall’una e dall’altra in un dato procedimento non rappresentino un vincolo ai fini di altra e distinta istruttoria[10].

[1] G. Rossi, Introduzioni ai lavori, in Antitrust: le sanzioni, A. Toffoletto e L. Toffoletti, Guerini e associati, Milano, 1996, p. 15.

[2] Cfr. TAR Lazio, Sez. I, 31 maggio 2000, n. 4504. Cfr. R. Giovagnoli – M. Fratini, Le sanzioni amministrative, Milano, 2009, p. 1156; C. Lo Surdo, La diffida e le sanzioni inflitte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 15, 1° e 2° co., L. 10.10.1990, n. 287), in Codice commentato della Concorrenza e del Mercato, a cura di A Catricalà e S. Troiano, Torino, 2010, pp. 1286 e ss.

[3] Sulla sanzione in generale, cfr., ex pluribus, N. Bobbio, Sanzione, in N.ss. D. it., XVI, Torino, 1969, pp. 530 e ss.; A. Travi, Sanzioni amministrative e pubblica amministrazione, Padova, 1983; M. A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, Napoli 1983; M. A. Sandulli, Sanzione, IV sanzioni amministrative, in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1992.

[4] Cfr., tra tutte, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 luglio 2015, n. 3291; Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 luglio 2014, n. 3893. A livello comunitario, cfr. sentenza del Tribunale del 27 marzo 2014, Saint-Gobain Glass France SA e a. contro Commissione europea, Cause T-56/09 e T-73/09, punto 150; sentenza del Tribunale del 12 dicembre 2012, Electrabel contro Commissione europea, Causa T-332/09, punto 230; sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, KME Germany AG, KME France SAS e KME Italy SpA contro Commissione europea, Causa C-389/10 P, punto 99; sentenza del Tribunale di primo grado dell’8 luglio 2008, BPB plc contro Commissione delle Comunità europee, Causa T-53/03, punto 335; sentenza della Corte del 10 maggio 2007, SGL Carbon AG contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-328/05 P, punto 43; sentenza della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri A/S (C-189/02 P), Isoplus Fernwärmetechnik Vertriebsgesellschaft mbH e altri (C-202/02 P), KE KELIT Kunststoffwerk GmbH (C-205/02 P), LR af 1998 A/S (C-206/02 P), Brugg Rohrsysteme GmbH (C-207/02 P), LR af 1998 (Deutschland) GmbH (C-208/02 P) e ABB Asea Brown Boveri Ltd (C-213/02 P) contro Commissione delle Comunità europee, Cause riunite C-189/02 P, C-202/02 P, C-205/02 P a C-208/02 P e C-213/02 P, punto 268; sentenza del Tribunale di primo grado del 6 aprile 1995, G.B. Martinelli contro Commissione delle Comunità europee, Causa T-150/89, punto 59. D’altro canto, l’originaria versione dell’articolo 15 della Legge antitrust era stata modificata dall’articolo 11, comma 4, della Legge 5 marzo 2001, n. 57, recante “Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati”, proprio al fine di ampliare tale margine di discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926; in dottrina, v. M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, 2014, p. 419; P. Lazzara, Funzione antitrust e potestà sanzionatoria. Alla ricerca di un modello nel diritto dell’economia, in Dir. Amm., 4, 2015, pp. 767 e ss.; M. Clarich, I programmi di clemenza nel diritto antitrust, in Dir. Amm., 2007, pp. 265 e ss.).

[5] Cfr. W.P.J. Wills, Optimal Antitrust Fines: Theory and Practice, in World Competition, 29, 2006, pp. 183 e ss.; F. Ghezzi, Clemenza e deterrenza nel diritto antitrust; l’utilizzo dei “leniency programs” nella lotta contro cartelli e intese “hard core”, in Concorrenza e mercato, 10/2002, pp. 229 e ss.; M. Maggiolino, Il potere deterrente dei sistemi sanzionatori comunitario e nazionale e le riduzioni delle sanzioni antitrust, in Concorrenza e mercato, 13-14/2005/2006, pp. 313 e ss.

[6] Nell’esercizio del potere sanzionatorio generalmente le Autorità di concorrenza perseguono due obiettivi, che sono articolazione di una medesima esigenza, ovverosia: (i) la deterrenza specifica nei confronti delle imprese o delle associazioni di imprese destinatarie della decisione di violazione delle norme in materia di intese e di abuso di posizione dominante (c.d. effetto dissuasivo specifico), ragion per cui nella determinazione della ammenda deve prendersi in considerazione la potenza economica del soggetto sanzionato, in modo tale che lo stesso non ponga in essere l’illecito accertato (cfr. sentenza della Corte del 20 gennaio 2016, Toshiba Corporation contro Commissione europea, Causa C-373/14 P, punto 83; sentenza della Corte del 19 marzo 2015, Dole Food Company, Inc. e Dole Fresh Fruit Europe, anciennement Dole Germany OHG contro Commissione europea, Causa C-286/13 P, punto 142; sentenza della Corte del 4 settembre 2014, YKK Corporation e altri contro Commissione europea, Causa C-408/12 P, punto 85); (ii) la deterrenza generale nei confronti degli altri operatori economici dall’assumere o continuare condotte contrarie alle norme di concorrenza (c.d. effetto dissuasivo generale), al fine di indurli a non realizzare condotte quali quelle che hanno portato alla predetta sanzione (R. Garozzo, Le decisioni dell’AGCM, con particolare riferimento alle decisioni di accertamento, e la relativa politica sanzionatoria, in Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, a cura di L. F. Pace, Napoli, 2013, pp. 170 e ss. In giurisprudenza, a livello europeo, cfr., tra tutte, Sentenza della Corte del 7 giugno 1983, SA Musique Diffusion française e altri contro Commissione delle Comunità europee, Cause riunite 100 a 103/80, punti 105 e s.; a livello nazionale, cfr., ex pluribus, TAR Lazio, Sez. I, 9 gennaio 2013, n. 125; TAR Lazio, 29 marzo 2012, nn. 3029, 3030, 3031, 3032, 3033, 3035, 3036, 3037, 3038, 3040 e 3041).

[7] R. Giovagnoli – M. Fratini, Le sanzioni amministrative, Milano, 2009, p. 19; cfr. M. A. Sandulli, I criteri per l’applicazione e la determinazione delle sanzioni, in 20 anni di antitrust, a cura di C. Rabitti Bedogni e P. Barucci, Torino, 2010, p. 453.

[8] Cfr. F. Ghezzi, Impresa e sanzioni nella prassi applicativa dell’Autorità garante della concorrenza: qualche problema tecnico, in Giur. Comm., fasc. 6, 2016, pp. 815 e ss.; M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, 2014, pp. 419 e s. Per una sintesi sul dibattito sulla “giusta” sanzione, cfr. A. Nicita, Deterrenza, sanzioni e mercato. Una riflessione economica, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, a cura di M. R. Maugeri e A. Zoppini, Bologna, 2010, pp. 27 e ss.

[9] Ciò significa che la ammenda antitrust non deve risultare eccessiva rispetto all’illecito accertato dall’Autorità, evidentemente tenuto conto delle peculiarità dell’impresa responsabile. Di conseguenza, la metodologia individuata prevede degli importi massimi ai fini della determinazione del disvalore dell’illecito; assicura che la gravità della infrazione sia definita sulla base del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione; ancora, garantisce la sopravvivenza sul mercato dell’impresa sanzionata; infine, fa in modo che la discrezionalità dell’Agcm non si determini nella applicazione di sanzioni di importo ritenuto in astratto eccessivamente elevato quale che sia la gravità dell’infrazione. Cfr.Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2015, n. 3944; cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4114; Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4506; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 aprile 2007, n. 1736; cfr., ex pluribus, TAR Lazio, Sez. I, 3 luglio 2012, n. 6047. A livello comunitario, cfr. sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Putters International NV contro Commissione europea, Causa T-211/08, punto 74; sentenza del Tribunale del 16 settembre 2013, Aloys F. Dornbracht GmbH & Co. KG contro Commissione europea, Causa T-386/10, punto 225; sentenza del Tribunale del 14 maggio 2014, Donau Chemie AG contro Commissione europea, Causa T-406/09, punto 259; sentenza del Tribunale del 12 dicembre 2012, Novácke chemické závody a.s. contro Commissione europea, Causa T-352/09, punto 161. Sul principio di proporzionalità, in generale, cfr. I. Lianos – F. Jenny – F. Wagner von Papp – E. Motchenkova – E. David, An Optimal and Just Financial Penalties System for Infringements of Competition Law: a Comparative Analysis, UCL Faculty of Law, maggio 2014, disponibile su http://www.fne.gob.cl/wp-content/uploads/2014/11/Estudio.pdf.

[10] Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 dicembre 2010, n. 9575; cfr., tra tutte, TAR Lazio, Sez. I, 20 aprile 2015, n. 5758; TAR Lazio, Sez. I, 5 settembre 2005, n. 6546.

3. L’Agcm come “giudice” nel procedimento antitrus

Sembra utile, ancora, soffermarsi sulla natura giuridica della sanzione antitrust[11].

Al riguardo va ricordato come di recente importanti pronunce abbiano rilevato la matrice penale della ammenda per violazione del diritto della concorrenza. E ciò nonostante l’articolo 23, paragrafo 5, del Regolamento (CE) n. 1/2003 affermi a chiare lettere che “Le decisioni adottate […] non hanno carattere penale“.

Più in particolare, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (di seguito, “CEDU”), rilevata l’elevata sanzione imposta dal carattere “repressivo” e “preventivo”, ne ha riconosciuta l’appartenenza alla materia penale, con conseguente applicazione astratta dell’articolo 6.1. della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nella medesima occasione, la CEDU ha rilevato la compatibilità del sistema italiano di sindacato giurisdizionale con tale norma, stante l’estensione al merito del vaglio del Giudice amministrativo sul quantum dell’ammenda imposta[12].

Ulteriori pronunce hanno, poi, ribadito che il sindacato del Giudice amministrativo deve considerarsi compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’articolo 47 della Carta di Nizza, dal momento che allo stesso è permesso comunque esercitare un controllo esaustivo in fatto e in diritto della decisione assunta, con particolare riferimento alla sanzione imposta[13].

Ancora la CEDU, invero con riferimento alle sanzioni imposte dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (di seguito, “Consob”), ma con ragionamento spendibile anche nel caso di specie, ha ribadito la natura “penale” della sanzione irrogata, ex articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tuttavia, la mancanza di imparzialità oggettiva della Consob, nonché la mancata conformità del procedimento al principio dell’equo procedimento non sono state ritenute sufficienti alla violazione dell’articolo 6 della CEDU, stante la possibilità di impugnare la decisione adottata dinanzi ad un organo giurisdizionale che offre le garanzie di cui alla norma menzionata[14].

Tali conclusioni sono state da ultimo confermate dal Giudice amministrativo, che ha rilevato come possa dirsi compatibile con l’articolo 6 della CEDU anche quel procedimento amministrativo che, come quello antitrust, non offra le garanzie della piena giurisdizione. Ciò nel caso in cui, sempre come nell’ipotesi che ci riguarda, la decisione sanzionatoria risulti impugnabile dinanzi a un organo che possa sostituirsi nella determinazione della ammenda[15].

Ad ogni modo, la giurisprudenza ha richiamato i principi di ordine generale da tenere in considerazione ai fini della determinazione delle sanzioni antitrust, ispirandosi a quelli che devono accompagnare l’applicazione di norme penali (i.e. personalizzazione della sanzione[16], proporzionalità e di parità di trattamento sopra richiamati[17]). In tale contesto, l’Agcm può ritenersi un “giudice”, come tale terzo, nel momento in cui il suo Collegio, quale organo decisorio, giudica sugli esiti della istruttoria condotti dai suoi Uffici, quali organi inquirenti.

[11] Sia permesso rinviare a C.E. Cazzato, Le Linee Guida sulla quantificazione delle sanzioni antitrust, Torino, 2018, pp. 1 e ss.

[12] CEDU, 27 settembre 2011, Menarini c. Italie; come noto, il ricorso era stato presentato da Menarini, sanzionata dall’Agcm per aver partecipato a un’intesa finalizzata alla fissazione dei prezzi e alla ripartizione del mercato (Agcm, I461 – Test diagnostici per diabetici, provv. n. 11946 del 30 aprile 2003, in Boll. n. 18, 2003). L’impugnazione proposta contro questa sanzione era stata rigettata tanto dal TAR del Lazio (TAR Lazio, Sez. I, 3 dicembre 2004, n. 2717) quanto dal Giudice amministrativo di secondo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 1397). Infine, la Corte di Cassazione aveva dichiarato irricevibile il ricorso proposto per un presunto vizio di giurisdizione (Cass. Civ., SS. UU., 17 marzo 2008, n. 7063). Su questa pronuncia, ex pluribus, cfr. S. Gobbato, Art. 6 CEDU e sindacato giurisdizionale dei provvedimenti delle “Autorità amministrative indipendenti”: un problema solo italiano?, disponibile su www.diritticomparati.it. Sembra utile ricordare l’opinione dissenziente resa dal giudice pinto de Albuquerque, il quale, sulla base del tradizionale distinguo tra sanzioni amministrative pecuniarie e penali, ha ritenuto applicabile del pari l’articolo 6 della CEDU. Lo stesso, tuttavia, ha ritenuto che il sindacato dichiaratamente debole del Giudice amministrativo italiano fosse incompatibile con la suddetta previsione. Cfr. C. Lo Surdo, Commento all’art. 15 l. 287/1990 , in Commentario breve al diritto della concorrenza e della proprietà intellettuale, a cura di C. L. Ubertazzi, Padova, 2016, pp. 3310 e ss.

[13] V. anche sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, KME Germany AG, KME France SAS e KME Italy SpA contro Commissione europea, Causa C-272/09 P; sentenza della Corte (Seconda Sezione) dell’8 dicembre 2011, KME Germany AG, KME France SAS e KME Italy SpA contro Commissione europea, Causa C-389/10 P. Sulla pronuncia, cfr. M. Siragusa – C. Rizza, Violazione delle norme antitrust, sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità di concorrenza e diritto fondamentale a un equo processo: lo “stato dell’arte” dopo le sentenze Menarini, Kme e Posten Norge, in Giur. comm., fasc. 2, 2013, pp. 408 e ss.

[14] CEDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia. Va detto, per completezza, che se la normativa comunitaria, e in particolare l’articolo 31 del Reg. (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, prevede che il Giudice comunitario possa, se del caso, anche aumentare l’ammenda o la penalità di mora irrogata – cfr., ex pluribus, sentenza del Tribunale di primo grado del 12 dicembre 2007, BASF AG (T-101/05) e UCB SA (T-111/05) contro Commissione delle Comunità europee, Cause riunite T-101/05 e T-111/05 -, così non è a livello nazionale. Anzi, il Giudice amministrativo non ha mai proceduto ad aumentare le sanzioni imposte dall’Autorità, ritenendo tale potere in contrasto con il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1190; v. anche sulla ammissibilità di un ricorso incidentale dell’Autorità volto ad ottenere l’aumento della sanzione in caso di accoglimento della doglianza principale, Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 693; in dottrina, cfr. anche R. Chieppa, Il controllo giurisdizionale sugli atti delle Autorità antitrust, in Dir. proc. amm., fasc. 4, 2004, pp. 1019 e ss.).

[15] Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 marzo 2015, nn. 1595 e 1596, secondo cui “L’art. 6, par. 1, CEDU non impone che il procedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni per la fattispecie di c.d. market abuse sia disciplinato in modo da assicurare, già nella fase amministrativa, l’imparzialità oggettiva dell’Autorità che applica la sanzione e il pieno rispetto del principio del c.d. giusto processo. La CEDU, in altri termini, non impone che le sanzioni inflitte dalla Consob siano assistite, già nella fase amministrativa del procedimento sanzionatorio che precede la fase giurisdizionale, da garanzie assimilabili a quelle che valgono per le sanzioni penali in senso stretto”; TAR Lazio, Sez. I, 26 febbraio 2016, n. 2668; TAR Lazio, Sez. I, 1° aprile 2015, n. 4943. Cfr. C. Lo Surdo, Commento all’art. 15 l. 287/1990 , in Commentario breve al diritto della concorrenza e della proprietà intellettuale, a cura di C. L. Ubertazzi, Padova, 2016, pp. 3310 e ss.; M. Siragusa – C. Rizza, Violazione delle norme antitrust, sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità di concorrenza e diritto fondamentale a un equo processo: lo “stato dell’arte” dopo le sentenze Menarini, Kme e Posten Norge, in Giur. comm., fasc. 2, 2013, pp. 408 e ss. Più in generale, sul tema che interessa, cfr. K. Nordlander – P. Harrison, Are Rights Finally Becoming Fundamental?, in CPI Antitrust Chronicle, 22 febbraio 2012, disponibile su https://www.competitionpolicyinternational.com/are-rights-finally-becoming-fundamental/; G. Muguet-Poullennec – D. P. Domenicucci, Amende infligée par une autorité de concurrence et droit à une protection juridictionnelle effective: les enseignements de l’arrêt Menarini de la CEDH, in Revue Lamy de la Concurrence: droit, économie, régulation, 2012, n. 30, pp. 49 e ss.; J. 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[16] Sentenza della Corte del 12 novembre 2009, SGL Carbon AG contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-564/08 P, punto 43; sentenza della Corte del 7 giugno 2007, Britannia Alloys & Chemicals Ltd contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-76/06 P, punto 44; sentenza della Corte del 29 giugno 2006, SGL Carbon AG contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-308/04 P, punto 46, dove ulteriori riferimenti.

[17] Cfr., ex pluribus, sentenza del Tribunale di primo grado del 12 settembre 2007, William Prym GmbH & Co. KG e Prym Consumer GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunità europee, Causa T-30/05, punto 223; sentenza della Corte del 5 maggio 1998, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-180/96, punto 96, secondo cui “Occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti […]”; Sentenza della Corte del 13 novembre 1990, The Queen contro The Minister of Agriculture, Fisheries and Food e The Secretary of State for Health, ex parte: Fedesa e altri, Causa C-331/88, punto 13. Cfr. P. Manzini, Le ammende, in Il diritto antitrust dell’Unione Europea, B. Cortese – F. Ferraro – P. Manzini, Torino, 2014, pp. 258 e ss.

4. L’Agcm come “giudice” a quo

La Sentenza ha aggiunto un nuovo tassello, negando la possibilità per l’Agcm di ritenersi un giudice a quo. Ma andiamo per ordine.

La Sentenza è stata adottata a valle di una ordinanza della stessa Agcm, datata 3 maggio 2018, con cui l’Autorità aveva invocato l’intervento della Consulta in relazione alla modifica operata dalla L. 27 dicembre 2017 n. 205, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020” (di seguito, “Legge di Bilancio 2018”) alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, recante “Ordinamento del notariato e degli archivi notarili” (di seguito, “Legge notarile”).

Più in particolare, con detta ordinanza, l’Autorità aveva rimesso la questione di legittimità costituzionale degli articoli 93-ter, comma 1-bis, della Legge notarile e 8, comma 2, della Legge antitrust, alla Corte costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione. Per gli effetti, l’Autorità aveva sospeso il procedimento I803 Condotte restrittive del Consiglio Notarile di Milano fino alla comunicazione della relativa decisione della Corte Costituzionale.

L’istruttoria in questione era stata avviata, nel gennaio 2017, nei confronti del Consiglio Notarile di Milano (di seguito, “CNM”), ipotizzando un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’art. 2 della Legge antitrust[18]. Nello specifico, secondo l’Autorità, il CNM avrebbe posto in essere un’articolata strategia collusiva, attraverso un insieme di iniziative, consistenti: nell’invio di richieste di informazioni sensibili ai notai del distretto, al fine di far emergere posizioni di preminenza economica; nella promozione di controlli e procedimenti disciplinari nei confronti dei notai maggiormente produttivi. Sempre secondo l’impianto accusatorio, tali iniziative sarebbero state volte ad indurre i notai del distretto a limitare, sotto il profilo quantitativo, la propria attività, così restringendo il confronto concorrenziale tra gli stessi e conducendo, in ultima analisi, a una ripartizione del mercato e a una limitazione della concorrenza di prezzo.

Dopo l’avvio dell’istruttoria e nelle more dell’adozione della decisione finale, il Legislatore con la Legge di Bilancio 2018 aveva introdotto l’articolo 93-ter, comma 1-bis, della Legge notarile, ai sensi del quale “Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’articolo 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287”. Questa norma e l’interpretazione che di essa è stata sostenuta dal CNM, secondo l’Autorità, potrebbero escludere ex ante e in assenza di qualsiasi valutazione circa la concreta finalità perseguita, l’applicabilità delle disposizioni in materia di tutela della concorrenza con riferimento ai poteri disciplinari del CNM. Sicché, in presenza di atti funzionali all’esercizio dell’attività di vigilanza, sarebbe impossibile per l’Autorità intervenire a verificare se tali atti esorbitino o meno rispetto alla finalità dichiarata.

Con ordinanza, dunque, l’Agcm aveva dichiarato – per la prima volta – la propria idoneità a porre questioni di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale, sull’assunto che i presupposti perché possa essere sollevata questione di legittimità costituzionale sono che essa venga formulata da un “giudice” nell’ambito di un “giudizio” e che tali nozioni dovessero essere interpretate estensivamente, ovverosia non ravvisandosi la figura del giudice nei soli titolari degli organi di giurisdizione ordinaria e speciale, né richiedendosi che il giudizio sia solo quello che si svolge davanti ai suddetti organi[19].

In ogni caso, l’Autorità aveva rimarcato, sotto il profilo soggettivo:

(i) la composizione dell’Autorità, ritenuta tale da porla in una posizione di indipendenza e neutralità, sottraendola a qualsiasi condizionamento esterno[20];

(ii) la durata limitata del mandato (sette anni non rinnovabili), l’inamovibilità e il regime di incompatibilità, considerati elementi importanti ai fini dell’indipendenza e terzietà dell’Autorità[21];

(iii) la circostanza che l’AGCM è un’autorità amministrativa indipendente rientrante nel genus delle autorità di garanzia, svolgenti funzioni analoghe a quelle giurisdizionali, perché consistenti nella riconduzione di atti e fatti all’ambito di fattispecie astratte previste dalla Legge antitrust, con esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine giuridico[22];

(iv) la funzione di rilevanza costituzionale esercitata dall’Agcm, posto che la libera concorrenza e il corretto funzionamento del mercato sono valori riconducibili all’art. 41 della Costituzione;

(v) la natura generale delle proprie funzioni, dal momento che, a differenza di altre autorità indipendenti, l’Agcm non regola e controlla uno specifico settore economico, né persegue fini ulteriori rispetto a quello generale di tutela della concorrenza;

(vi) l’ampio spazio che nei procedimenti sanzionatori viene dato ai princìpi del contraddittorio e della parità delle armi, di chiara derivazione processuale, come sancito dal caso Grande Stevens sopra riportato e relativo alla Consob;

(vii) il fatto che, in base all’articolo 15 della Legge antitrust, l’Autorità, analogamente al giudice ordinario, può disporre l’inibitoria di alcuni comportamenti, intimando alle imprese di cessare l’infrazione e condannandole al pagamento di sanzioni pecuniarie, “il tutto con decisione che, ove non impugnata, è suscettibile di produrre effetti analoghi a quelli del giudicato”;

(viii) la separazione, ritenuta adeguata, tra gli Uffici che svolgono l’attività istruttoria e di formulazione delle contestazioni e il Collegio competente ad assumere le decisioni[23];

(ix) la possibilità, in caso contrario, di esercitare le proprie prerogative decisionali sul merito della fattispecie oggetto del procedimento I803[24].

La Corte costituzionale, tuttavia, sulla base della giurisprudenza costituzionale relativa al significato della nozione di “giudice”, di cui alla Legge Cost. 9 febbraio 1948, n. 1, recante “Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale” e alla Legge 11 marzo 1957, n. 87, recante “Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale”, ha ritenuto inammissibile la questione posta per difetto di legittimazione dell’Agcm.

A tale conclusione, la Consulta è giunta, pur ricordata la tendenza all’affermazione piena del principio di costituzionalità[25] e ben presente quel filone giurisprudenziale che utilizza le categorie del giudice e del giudizio “ai limitati fini” o “ai soli fini” della legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale[26]. In altri termini, nonostante dalla elastica giurisprudenza siano stati considerati legittimati a sollevare questione di legittimità costituzionale anche organi non incardinati in un ordine giudiziario[27].

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, in tutti i casi in cui la legittimazione è stata posta, si è sempre stati in presenza dell’essenziale requisito della terzietà del rimettente. E proprio tale indefettibile carattere è stato ritenuto mancante nel caso dell’Agcm.

L’Autorità, infatti, è parte resistente del processo amministrativo, avente ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti antitrust, ai sensi degli artt. 133, comma 1, lettera l), e 134, comma 1, lettera c), dell’Allegato 1 al Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante “Codice del processo amministrativo”, che prevedono la giurisdizione esclusiva sui provvedimenti delle autorità indipendenti e quella di merito per le sanzioni pecuniarie irrogate[28].

La Consulta ha, inoltre, valorizzato i nuovi poteri di advocacy dell’Agcm, che ai sensi dell’art. 21-bis della Legge antitrust ha anche assunto la inedita posizione di parte processuale ricorrente per l’impugnazione davanti al Giudice amministrativo degli atti di qualsiasi amministrazione pubblica, ritenuti in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.

Da ultimo, è stata ritenuta insussistente quella netta separazione tra gli Uffici inquirenti e il Collegio giudicante dell’Agcm, attesa l’esistenza, ai sensi dell’art. 11, comma 5, della Legge antitrust, di un nesso funzionale tra Segretario e Presidente, cui il primo “risponde” anche del funzionamento dei servizi e degli Uffici medesimi[29].

In definitiva, la Corte ha escluso la possibilità che l’Agcm possa rimettere una questione costituzionale, sull’assunto che difetti di quella terzietà che la giurisprudenza costante ha ritenuto connotazione imprescindibile del “giudice”. Ciò perché gli organi giurisdizionali sono “estranei per definizione alla situazione sostanziale” e così non è nel caso di specie, come più in generale di tutte quelle amministrazioni indipendenti che partecipano al giudizio di impugnativa di un proprio atto[30].

[18] Agcm, I803 – Condotte restrittive del Consiglio Notarile di Milano, provv. n. 26327 dell’11 gennaio 2017, in Boll. n. 2, 2017. Cfr. R. Danovi, Il procedimento disciplinare dei notai tra atti funzionali e concorrenza, in Notariato, 2018, fasc. 3, pp. 257 e ss.

[19] Agcm, I803 – Condotte restrittive del Consiglio Notarile di Milano, ord. n. 1 del 3 maggio 2018, in Boll. n. 17, 2018.

[20] L’art. 10 della legge antitrust prevede che i componenti dell’Autorità sono nominati d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica tra persone di notoria indipendenza e funzionalità, e tanto diversamente rispetto ad altre autorità indipendenti, i cui membri sono in tutto o in parte di nomina governativa.

[21] Secondo l’Agcm, la prima impedirebbe comportamenti opportunistici finalizzati ad ottenere una nuova nomina; il regime d’incompatibilità, invece, garantirebbe che i componenti non siano portatori di interessi diversi rispetto a quelli chiamati a tutelare nell’esercizio del mandato.

[22] Sempre secondo l’Autorità, nell’esercizio della funzione di tutela della concorrenza, che rappresenta il nucleo centrale della sua attività, l’Agcm non sceglie (pondera) tra una pluralità di interessi concorrenti (a differenza della pubblica amministrazione in senso classico, che, pur in modo imparziale, è tenuta a bilanciare contrapposti interessi pubblici e privati), ma si limita, al pari di un giudice, ad applicare la legge al caso concreto. L’agire dell’Autorità, infatti, non è caratterizzato da profili di vera e propria discrezionalità amministrativa, potendosi al più ravvisare una discrezionalità tecnica nell’applicazione di regole di natura economica.

[23] Secondo il regolamento di organizzazione, infatti, i primi non dipenderebbero – sotto il profilo organizzativo e funzionale – dal Collegio, ma dal Segretario generale.

[24] Sull’ordinanza, cfr. E. Verdolini, La legittimazione dell’Autorità antitrust come giudice a quo: quale identità giuridica per l’A.g.c.m.?, in forum di Quaderni Costituzionali Rassegna, 22 novembre 2018; G. Colavitti, L’AGCM solleva la questione di costituzionalità dell’art. 93 ter della legge notarile, in Notariato, 2018, fasc. 4, pp. 387 e ss.

[25] Corte Cost., 12 dicembre 1957, n. 129; cfr. anche Corte Cost., 12 ottobre 2017, n. 213; Corte Cost., 13 dicembre 2017, n. 262. Tale principio tocca il suo apice in quelle pronunce che ravvisano i requisiti di accesso in presenza di mere “zone d’ombra”, ossia di situazioni in cui l’allargamento dei concetti di giudice o giudizio appare necessaria non solo per attrarre al controllo di costituzionalità un’area che altrimenti ne resterebbe esclusa ma anche per ammettere “al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte” (Corte Cost., 24 aprile 2017, n. 89; cfr., inter alia, Corte Cost., 23 luglio 2015, n. 181).

[26] Così implicitamente ammettendo che esse possano differire da quelle valide ad altri, anche più generali, fini (cfr. Corte Cost., 12 ottobre 2017, n. 213; Corte Cost., 13 dicembre 2017, n. 262). In tal modo è stato possibile consentire il giudizio incidentale di costituzionalità pur in presenza di aspetti di volta in volta soggettivamente o oggettivamente di difficile riconduzione a generali e predeterminati schemi concettuali. Si è così affermato che, «per aversi giudizio a quo, è sufficiente che sussista esercizio di “funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge” da parte di soggetti, “pure estranei all’organizzazione della giurisdizione”, “posti in posizione super partes” (sentenze n. 387 del 1996, n. 226 del 1976 e n. 83 del 1966)» (Corte Cost., 28 novembre 2001, n. 376).

[27] G. Colavitti, L’AGCM solleva la questione di costituzionalità dell’art. 93 ter della legge notarile, in Notariato, 2018, fasc. 4, p. 390, secondo cui «Quello che conta, però, non è tanto la qualificazione formale operata dal legislatore, quanto la presenza sostanziale dei requisiti soggettivi ed oggettivi della “giurisdizionalità”» (v. anche cfr. M. Margaritelli, I requisiti minimi della giurisdizionalità nell’esecuzione penale, in Giur. cost., 1993, pp. 366 ss.; S. Bartole, I requisiti dei procedimenti giurisdizionali e il loro utilizzo nella giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1999, pp. 190 ss.).

[28] Cfr., ex pluribus, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 29 luglio 2011, n. 15; Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751; Consiglio di Stato, Sezione VI, 3 febbraio 2005, n. 280; Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 giugno 2004, n. 3865.

[29] Nello stesso senso, nel caso dell’Autorità della concorrenza greca, cfr. sentenza della Corte (grande sezione) del 31 maggio 2005, Synetairismos Farmakopoion Aitolias & Akarnanias (Syfait) e altri contro GlaxoSmithKline plc e GlaxoSmithKline AEVE, Causa C-53/03.

[30] Cfr. Corte Cost., 15 maggio 1990; Corte Cost., 28 aprile 1989, n. 243; Corte Cost., 18 gennaio 1989, n. 18; Corte Cost., 15 maggio 1974, n. 128; Corte Cost., 12 luglio 1967, n. 110. V., ancora, Cass. Civ., Sez. I , 21 maggio 2018 , n. 12461; Cass. Civ., Sez. Un., 24 gennaio 2013, n. 1716; Cass. Civ., Sez. I, 20 maggio 2002, n. 7341; sentenza della Corte (Grande Sezione) del 17 luglio 2014, Angelo Alberto Torresi e Pierfrancesco Torresi contro Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata, Cause riunite C‑58/13 e C‑59/13.

5. Conclusioni

Commentare la Sentenza e le sue implicazioni è forse prematuro.

Un dato è certo, però. Le conclusioni della Corte Costituzionale avranno strascichi dinanzi al Giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sulla illegittimità dei provvedimenti sanzionatori dell’Autorità, perché adottati a valle di un procedimento non ritenuto giusto, in quanto portato a compimento da un Collegio privo della necessaria terzietà. In altri termini, nell’immediato futuro si chiederà al TAR Lazio perché mai, se l’Agcm non è giudice terzo ai fini della rimessione della questione di legittimità, può ritenersi tale nell’esercizio del proprio public enforcement. Magari facendo ricorso a dati statistici che dicono che in caso di avvio è difficile ottenere l’archiviazione della istruttoria[31].

La Sentenza, dunque, sarà foriera di contenzioso. E, quindi, bene per gli Avvocati.

Tuttavia, trarre dalla Sentenza in questione una censura generale dell’assetto organizzativo attuale dell’Autorità e, prima ancora, del giusto procedimento che dinanzi a essa si svolge, significa, ad avviso di chi scrive, trascurare la dialettica a valle della quale nel 1990 l’Agcm è stata istituita, sulla base del modello del Garante per l’Editoria e delle esperienze dell’Alta Autorità della CECA e della Commissione europea. Anche soppesando la possibilità di affidare all’Autorità solo poteri istruttori e riservare quelli decisori a un distinto soggetto[32].

Allo stesso modo, perorare tale conclusione significa anche non tenere nella debita considerazione le molteplici pronunce comunitarie ed europee di cui si è detto, che hanno ritenuto pienamente legittimo il procedimento che si svolge dinanzi all’Agcm, in quanto fondato su un insieme di garanzie comunque sufficiente, stante, in particolare, il sindacato del Giudice amministrativo.

D’altro canto, tradurre la Sentenza nei termini in questione significherebbe mettere in discussione l’assetto organizzativo non solo dell’Agcm, ma pressoché di tutte le altre autorità indipendenti e, più in generale, anche il ruolo di queste ultime nel nostro ordinamento.

E l’intento della Consulta non sembra essere stato questo, anche considerati riferimenti alla giurisprudenza in forza della quale un “giudice” può essere tale anche solo ai fini della rimessione della questione di legittimità costituzionale.

E allora, l’auspicio è che dalla Sentenza possa determinarsi in un ulteriore rafforzamento del giusto procedimento dinanzi all’Agcm, come delle altre autorità indipendenti. E proprio questo pare, allo stato, il più diretto insegnamento della Sentenza.

[31] Di recente, però, il dato sembra in controtendenza: cfr. https://www.osservatorioantitrust.eu/it/.

[32] Cfr., tra tutti, A. Pera, Vent’anni dopo: l’introduzione dell’antitrust in Italia, in Concorrenza e mercato, 2010, pt. 2, pp. 837 e ss.

Redazione

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