Etica e Governance nel concetto economico evoluzionista Forza e limiti dell’individualismo ideologico

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Zygmunt Bauman osserva che l’ideologia “attualmente predicata dai vertici perché sia fatta propria dal popolo coincide con l’opinione che pensare alla totalità ed elaborare concezioni della società giusta sia una perdita di tempo, in quanto irrilevante per i destini individuali e per il successo nella vita” (L’ideologia senza ideali, in Repubblica, 43, 17/9/07).
         Viene a mancare il concetto di diversità del collettivo rispetto al singolo, unire le forze per un’azione collettiva è inutile non esistendo più la “causa comune” e viene pertanto a perdersi il principio della responsabilità comune, considerata base per l’aborrito “Stato assistenziale”, elemento di dipendenza e quindi ostacolo alla felicità quale esclusivo successo personale, alla cui gara solo all’arrivo si consegue il rispetto sociale; nella realtà umana vi è sempre stato un intreccio di individualismo e collettivo quale contrapposizione tra qualità e quantità, il contrasto è solo apparente in quanto il prevalere alternativamente dell’uno o dell’altro è in realtà un prodotto della tecnologia e dei rapporti organizzativo – economici del momento,quindi si può dire che non vi è, se non apparentemente, una contrapposizione fra i due termini in quanto la qualità non può che appoggiarsi sulla quantità.
         L’ideologia senza ideali, come chiamata da Bauman, diventa elemento di esclusione e rifiuto del rispetto altrui con la conseguenza di creare una spirale di rancori, in altre parole diventa una religione individuale della felicità promessa, demolitrice del senso di comunità con un carattere di antagonismo, con il rischio di preparare futuri conflitti non creativi ma puramente demolitori.
 Sorge evidente la necessità di predire il comportamento degli individui al fine di risolvere i conflitti sociali accrescendo la conoscenza e quindi le capacità e potenzialità creative, senza ricorrere a pure forme di aggressività deleterie per la creatività, porta alla nascita di meccanismi normativi giuridici. Si risolve, pertanto, la necessità di ottenere una regolamentazione delle azioni individuali non conflittuale (Ricoeur), il diritto come creazione di valori normativamente determinati, necessari ad un comportamento pratico di interazione tra individui ( Kauffman ).
In quest’ottica è fondamentale il riconoscimento di se stessi attraverso il riconoscimento dell’altro, circostanza che permette attraverso questo gioco di specchi di identificare le relazioni sociali come interpretazioni dei comportamenti altrui (Nowak & Sigmund). Risulta evidente la contestualizzazione socio-storica della normativa e la relativa difficoltà di accettazione di eventuali norme esterne non in sintonia con il contesto sociale.
Il principio di reciprocità, inteso come “funzione propria” degli esseri umani (Atahualpa), fa sì che ai fini della cooperazione e dei conseguenti contratti acquista importanza ciò che gli altri fanno in relazione con noi e quello che pensano del nostro comportamento.
La necessità ai fini primordiali della sopravvivenza e a quelli moderni del benessere sociale di un alto livello di interscambio e di coesione dei vincoli sociali, conduce alla necessità di sviluppare una particolare abilità alla scoperta della defezione come imbroglio rispetto al semplice errore, si crea pertanto un rapporto tra rispondere a determinati requisiti necessari ed ottenere un beneficio sociale (Cosmides – Pinker).
L’inganno attiva dei sentimenti morali profondi di ostilità, in quanto altera e compromette le quattro relazioni sociali sopra, gli esseri umani hanno istintivamente predisposti dei meccanismi psicologici di cooperazione atti a scambiare lavoro e informazioni (Sober – Wilson), in un sano equilibrio tra individualismo e cooperazione, d’altronde la logica razionale economica regge solo in presenza di una cooperazione che non può che essere basata sul rispetto delle regole di reciprocità.
La “certezza del diritto” viene pertanto intesa come soluzione alla necessità di prevedere le azioni dei membri del gruppo in rapporto alla funzionalità economica dell’agire collettivo.
I valori etici costituiscono quindi strategie acquisite al fine della sopravvivenza degli individui nel loro agire in gruppo (Damasio), queste abilità acquisite determinano condotte istintive su base neurofisiologica. Sorge il problema della delimitazione del gruppo che potrà identificarsi con la famiglia, il clan, la tribù o altre organizzazioni sociali, quali le aziende, fino alle maggiori strutture come gli stati o le grandi religioni monoteiste, creando di fatto la possibilità di una doppia morale, interna basata sulle reciprocità ed esterna sull’inganno.
Se alla base vi è una funzione acquisita cognitiva neurofisiologica su base modulare secondo un così detto funzionalismo cognitivo, che acquista le caratteristiche del funzionalismo computazionale, ossia basato sull’attivazione o disattivazione di elementi fisici – neuroni – del cervello (Fodor – Chomsky), in cui vi è un’organizzazione funzionale la quale crea uno “ spazio di lavoro globale” attraverso i due principi funzionali dell’integrazione e della      specializzazione (Friston ) ; acquista particolare importanza l’interazione tra cervello / mente e ambiente, inteso come gruppo ristretto in cui si agisce, e in questo ambito si evidenzia la particolare funzione mentale del linguaggio quale competenza linguistica nel trasferire informazioni e valori.
Le determinazioni genetiche neurofisiologiche contenenti le attitudini morali sociali sono riplasmate dall’interazione con le costruzioni culturali storiche di ciascuna società, tali da limitare la libertà di scelta, seppure entro un’ampia gamma, nell’elaborazione dei precetti etici normativi.
Vi sono, pertanto una serie di spazi di libertà relativi alle singole culture che possono anche essere concettualmente antagonisti o solo parzialmente compenetrati, circostanza che impone punti di riferimento nell’elaborazione normativa.
La trasmissione culturale consente, pertanto, alla struttura sociale di diminuire i tempi e i costi per una trasmissione efficace in termini evolutivi, compreso l’ambito del diritto (Boyd – Richerson).
   Vi è quindi una psicologia naturale su dei valori etici a cui la nostra architettura cognitiva impone forti costrizioni, secondo il principio della “seconda biologia sociale” (Lumsed – Wilson) è il nostro cervello a stabilire l’universo delle norme che possiamo apprendere, restiamo comunque in grado di valutare istintivamente ciò che va oltre la nostra limitata capacità di apprendimento.
In realtà non vi è una accettazione conscia di norme razionalmente analizzate secondo un modello economico razionale, esso è solo un aspetto dell’uomo cognitivo in quanto la valutazione del rischio di essere puniti può solo fare variare il livello del rischio accettabile e conseguentemente del premio necessario, senza eliminare l’intervento ed il prevalere alla lunga delle intuizioni morali evolutive manipolate culturalmente.
Consegue che l’etica ed il diritto possiedono una salda base solo se collegati all’architettura cognitiva della mente (Maturana), si deve superare la classica contrapposizione tra natura – cultura in quanto vi è alla base un fine ultimo evolutivo necessario alla sopravvivenza e crescita che è la coesione del gruppo.
L’accrescere della complessità sociale richiede un parallelo incremento delle norme regolatrici le azioni comportamentali comuni che saranno sempre più sofisticate, logicamente il processo di evoluzione avverrà per tentativi ed errori, questo spiega evoluzionisticamente le così dette leggi ingiuste.
Da quanto finora detto emerge chiaramente che la teoria della razionalità limitata (Simon) per cui le scelte giuridiche avvengono con una elaborazione limitata delle informazioni, non solo per capacità cognitive limitate ma anche per limiti culturali, è senz’altro più aderente alla realtà rispetto alla teoria della perfetta razionalità (Kelsen – Friedman), in cui l’incertezza delle scelte individuali sulla massima utilità viene causata dagli eventi derivanti dall’ambiente esterno.
Rientra in questo processo l’incapacità di rappresentare in anticipo tutte le strategie altrui, le quali dovrebbero essere influenzate dagli impulsi profondi e disciplinate in forma cooperativa dal diritto, al fine di ridurre l’incertezza relazionale.
Il diritto non dovrebbe essere altro che la formalizzazione di norme comportamentali sulle quali vi è un’ampia concordanza sui benefici ricavabili, esso viene violato nel preciso momento in cui tali benefici sono disconosciuti, per cui dovrebbe aumentare la violenza per la loro imposizione da parte delle autorità (Margaret Gruter).
Le scelte di valore sul giusto e l’ingiusto, come già detto per le scelte giuridiche, non avviene solo sulla base di calcoli razionali, ma prevalentemente su intuizioni morali innate e stimoli emozionali basati sulle quattro elementari relazioni sociali elencate da Alan P. Fiske.
Quanto finora descritto in termini giuridici trova conferma nei recenti studi di economia comportamentale animale, in cui emergono principi di reciprocità, cooperazione e divisione dei profitti. Questo nuovo filone di studi fondato da Kahneman e Smith ha portato ad osservare che ai fini di una cooperazione continuativa è fondamentale scoraggiare lo sfruttamento mediante truffa, al fine di ridurre tale rischio, senza dovere tenere sotto controllo un eccessivo e costoso flusso di dati, le società di primati osservate si strutturano secondo un grado di familiarità in relazione alla durata nel tempo del rapporto.
Più un soggetto è estraneo, maggiore è l’attenzione di reciprocità con un conto giornaliero di dare ed avere, si ha quindi un aggravio delle relazioni cooperative con reazioni pesanti agli squilibri ritenuti istintivamente ingiusti, sorge il problema in relazione all’integrazione dei principi di cooperazione internazionale nella globalizzazione in atto.
Da quanto detto emerge chiaramente la necessità di una coerente regolamentazione giuridica, secondo profondi valori istintivi, al fine di garantire la sicurezza della cooperazione e quindi della reciprocità indipendentemente dal grado di vicinanza protratta nel tempo, creando un clima di fiducia atto agli scambi informativi ed economici con una maggiore probabilità di successo evolutivo di gruppo. Sorgono qui problemi sull’esatta interpretazione del neo-liberismo, inteso come globalizzazione, rispetto ai principi di cooperazione internazionale.
L’interpretazione a seguito delle precedenti premesse presenta limitazioni dovute alle circostanze culturali e alle informazioni incomplete e parzialmente inutili che devono essere elaborate, tali limiti sono aggravati dalle ridotte potenzialità cognitive degli interpreti che sviluppano pertanto delle strategie euristiche per leggere la sempre maggiore complessità ambientale e le relative informazioni da elaborare.
E’ stato inoltre osservato che ciascuna norma, indipendentemente dalla funzione prescrittiva, costituisce situazioni giuridiche obbligatorie in quanto parte di un sistema giuridico autonomo che induce il singolo ad agire conformemente e vincola la libertà dell’interprete (teoria costitutivista – Carcaterra) senza che per questo venga esclusa la formazione di sempre nuovi universi giuridici, d’altronde se la norma viene ad essere in collisione con gli aspetti intimi delineati dalla concezione evoluzionista o viene ad essere applicata in modo contrario ai valori individuali può creare un effetto opposto di sfida da parte del soggetto che la subisce, l’interprete a sua volta è un portatore di valori culturali ed interessi che limiteranno inevitabilmente i suoi giudizi.
Ma nei giudizi viene ad agire anche una assimetria morale dovuta al doppio standard, condannato come ipocrisia, di colui che giudica le proprie o altrui azioni      ( paradosso agente – osservatore, PizarroTaylor & Fiske ).
Pertanto, più l’interpretazione si allontana dall’aspetto letterale e più è arbitraria ed è accettabile solo se è conforme ai valori del gruppo in cui viene applicata, ma sia l’interpretazione che l’applicazione letterale della norma presenta dei problemi di comunicazione derivanti dal rapporto fra valori etici espressi dalla norma e valori etici del gruppo in cui dovrebbe essere applicata; una mancata sintonia determina il fallimento non solo interpretativo ma della norma stessa, con un aumento esponenziale della forza necessaria alla sua applicazione fino al possibile esaurirsi del sistema per eccesso di costi e svuotamento motivazionale.
Ma il problema comunicativo di decodificazione fra culture diverse è aumentato dalla complessità sia del sistema sociale, sia dal parallelo sistema normativo, in questo influisce la crescita esponenziale del tecnicismo e dei bisogni a seguito dell’espandersi del benessere economico, su cui non manca di agire quale rumore di fondo la necessità psicologica nei singoli attori di emergere che talvolta si esprime in sofismi interpretativi favoriti da determinati ambiti culturali.
Recenti studi sul sistema neurologico, sembrano confermare che i giudizi non sono che il prodotto della miscela di due sistemi, uno rapido e inconscio basato sull’intuizione e sui sentimenti, l’altro lento sulle regole e il ragionamento; uno relativo all’aspetto profondo animale del cervello, l’altro sull’aspetto più superficiale e complesso dell’Homo sapiens evoluto in Homo economicus ( Le DouxKahnemann e Frederick ).
L’interagire di questi due sistemi se da una parte permette alle emozioni di fungere da indicatori di importanza, dall’altra rallenta la decisione impulsiva razionalizzandola, anche se un recente modello sociale intuizionista è giunto ad affermare come ipotesi estrema che le deliberazioni coscienti svolgono una funzione secondaria essendo in realtà utilizzate per giustificare giudizi già presi (Haidt), si è in effetti evidenziato che in molte occasioni vi è un inversione del problema interpretativo, non ricercando la ratio e l’efficacia dell’enunciato ma in realtà ciò che vuole ottenere consciamente o inconsciamente l’interprete.
In realtà i due sistemi sembrano lavorare in accordo per correggere gli eccessi di un giudizio intuitivo troppo rapido o eccessivamente rallentato dall’analisi rafforzando la cooperazione sociale, circostanza che permette un’alta crescita economica a fronte di regole di diritto affidabili ( Zack & Knack).
         Nel corso di questi ultimi anni si è tornati a parlare e forse riflettere sull’etica nel governo sia dell’impresa che delle grandi strutture in generale. E’ finora prevalsa una visione economica, ossia esclusivamente del valore finanziario delle cose, con un’ottica speculativa e non di investimento a lungo termine, l’ “economico” così interpretato che si è utilizzato ha rafforzato una visione cinica sull’immediato a scapito di una morale del sociale.
         Recuperando l’etica rigorista kantiana non si può dimenticare gli inevitabili compromessi richiesti dalla vita sociale competitiva, ma questo non può condurre ad una società retta da precari equilibri frutto di forze contrapposte in eterna lotta senza regole. Non a caso, osservava Kant, anche i più pragmatici e cinici giustificano verso gli altri e se stessi il proprio operato con motivazioni etiche, che possiamo individuare ad esempio nella necessità di una propria presunta difesa o nelle necessità di vita familiari.
         L’imperativo categorico in realtà dimostra in termini negativi la falsità di tali affermazioni, in quanto se “tutti devono mentire” nessuno potrà credere all’altro e la società perderebbe la sua coesione interna, mentre la menzogna non avrebbe alcun valore aggiunto, quindi si mente supponendo di non dovere mentire.
         Consegue che la carenza di etica pone la società in pericolo di dissoluzione, si deve considerare la violazione delle regole come una speculazione a breve termine pertanto a vantaggio di pochi che viene a corrodere il capitale di molti, garanzia di un reddito da investimento a lungo termine.
         E’ stato dimostrato che il gioco dell’investimento si basa sulla fiducia che l’altro giocatore adotti comportamenti tali da massimizzare i profitti di entrambi. Questo “in linea di massima” in quanto vi sarà prima o poi un tentativo di tradire le aspettative per massimizzare i profitti, ma questo potrà avvenire solo perché precedentemente vi erano rapporti fiduciari e a costo di un rallentamento successivo dello sviluppo economico. La valorizzazione della capacità riflessiva, della responsabilità e dell’auto-correzione all’interno dell’organizzazione portano alla formazione di tante “verità” dialoganti, secondo una matrice umanistica in cui acquistano importanza le qualità personali.
         Si ha, in altre parole, un’abilità metadisciplinare contrapposta ad una multidisciplinare, sostanzialmente la capacità di relativizzare le proprie abilità rispetto alle altre competenze dialogando con esse senza cadere in una commistione informe, ma mantenendo una visione a tutto tondo del mondo.
         La recente teoria delle organizzazioni come complessi culturali, porta a considerare l’organizzazione come un insieme di simboli, valori, credenze, in cui il management deve provvedere a tramandare i valori dell’organizzazione, formando il personale sulla cultura e quindi sui relativi codici secondo una nuova etica aziendale che, superando i meri aspetti contabili, sfoci nella proiezione di un’azienda “condivisa”. Ma c’è un aspetto più intimo nell’etica quello del costo personale che comporta il suo mantenimento, per cui il più alto impegno indotto rinforza   la coesione del gruppo nel raffronto con i restanti gruppi (teoria del segnale costoso), con la conseguente maggiore capacità di raggiungere i migliori risultati qualitativi protratti nel tempo.
         Un classico caso di dilemma etico è il problema della gestione dei conflitti di interesse, non intesi come normale contrapposizione tra compratore e venditore, ma come rottura di un rapporto di fiducia in cui vi sia omissione di informazioni che evidenzino l’interesse del fiduciario nell’esecuzione di un’operazione, sostanzialmente i conflitti di interesse provocando una asimmetria nella distribuzione delle informazioni determinano una inefficiente allocazione delle risorse.
         Si pone il problema di come distribuire i tre elementi della governance dati dalle norme di legge, dall’autoregolazione e dalla supervisione delle autorità.
         L’autoregolazione è elemento fondamentale al fine di impedire una eccessiva burocratizzazione della struttura, mantenendo elastica ed adattabile la stessa; infatti una eccessiva normazione tende ad irrigidire l’organizzazione in contrasto con il mutare dell’ambiente, occorre pertanto trovare un complemento nei codici di autodisciplina di cui garante dovrà essere in parte l’organo di vigilanza.
         Una solida ed efficiente governance non è solo necessaria alla singola impresa, ma all’intero sistema economico e costituisce elemento di valutazione per la reputazione dell’impresa, valutazione costituente a sua volta elemento per la creazione di valore nel tempo. In altre parole la corporate governance è parte integrante del più generale concetto di “corporate social responsability” .
         La mancata fiducia derivante dallo scarso rispetto di regole etiche di governance da parte di un sistema di governo sfornito di adeguati strumenti credibili si riflette, tra l’altro, come concausa della tradizionale riottosità dei piccoli imprenditori a fondersi tra loro in società maggiori.
         D’altronde i codici deontologici, privati o pubblici che siano, acquistano pregnanza solo nel momento in cui i vertici organizzativi credano in essi e ne impongano l’applicazione, altrimenti restano puri esercizi retorici per l’esterno, consegue la necessità di formare eticamente la classe dirigente con comportamenti coerenti. 
         L’aspetto etico viene ad investire pesantemente i rapporti sociali in tutte le forme, basti pensare alla penetrazione nella P.A., nei media e nell’economia in generale del crimine che portando discredito nelle istituzioni, indebolisce la fiducia relazionale diffondendo sospetto sulla governance e sull’intero sistema economico, minando l’imperio della legge e della certezza delle regole, con la conseguenza che l’eventuale debolezza della reazione rende sempre più redditizie e perniciose le attività illegali.
         Non deve sottovalutarsi il fenomeno se si pensa che la sola corruzione sottrae una cifra stimata intorno ai mille miliardi di dollari al mondo legale degli affari, distruggendo ricchezza pubblica, minando la fiducia nella P.A., riducendo i servizi essenziali e la loro qualità e per tale aspetto mettendo in servitù i più deboli che non per diritto ma per concessione potranno ottenere quanto in realtà dovuto per legge.
         Nelle amministrazioni locali il controllo del governo della città comporta il depauperamento delle risorse da quelle ambientali a quelle finanziarie, per non parlare dei rapporti sociali alterati e minati con conseguente impossibilità di un’ampia crescita. Ma anche i mercati sono alterati, la concorrenza falsata e le decisioni relative agli investimenti condizionate; l’uso di “aziende di facciata” in cui si riciclano i proventi illegali tagliando i prezzi, porta all’eliminazione dei competitori onesti con riduzione dei parametri ambientali e degli investimenti, alterando inoltre l’allocazione delle risorse nel sistema finanziario internazionale.
         Se quanto finora esaminato nella relazione tra etica e crimine riguarda aspetti estremi del rapporto etica e governance, non devono sottacersi gli aspetti apparentemente più modesti ma pur sempre rilevanti per il funzionamento di un sistema come è ad esempio quello della gestione quotidiana di un istituto scientifico in cui in base al principio sociologico della “legge dello zdanovismo” gli scienziati meno capaci tendono ad appoggiarsi a “poteri esterni” per prevalere creando di fatto due carriere parallele, una per chi è interessato alla ricerca l’altra per chi è legato alle attività amministrative-burocratiche e politiche, naturalmente rimanendo il tutto estraneo a criteri di valutazione scientifici o comunque oggettivi.
         Appare perciò evidente l’importanza delle Authority, non tanto per orientare in forma dirigistica il mercato, quanto per imporre il rispetto di regole derivanti sia da codici etici, di cui altrimenti non vi sarebbero garanti, che da normative regolamentari; anche le stesse cartolarizzazioni sugli immobili nella loro freddezza finanziaria nascondono valutazioni etiche relative agli investimenti che non possono non essere che a lungo termine, in contrapposizione al breve termine a carattere speculativo incentrato sulle necessità immediate della presente generazione.
        
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
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Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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