Esercizio arbitrario delle proprie ragioni e scriminante art. 51 c.p.

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In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è invocabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen.
(Riferimento normativo: Cod. pen., artt. 51; 392)
Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n. 3950 del 30-11-2022

    Indice

    1. La questione

    La Corte di Appello di Milano, in riforma di una sentenza di condanna emessa dal Tribunale della medesima città, assolveva l’imputato dall’accusa di cui all’art. 392 c.p..
    Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponevano ricorso per Cassazione, ai soli effetti civili, le parti civili che chiedevano l’annullamento della sentenza impugnata (per l’appunto) agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente in sede di appello.

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    2. La soluzione adottata dalla Cassazione

    I ricorsi summenzionati erano accolti.
    In particolare, gli Ermellini ritenevano sussistente l’ipotesi delittuosa contestata, non condividendo l’assunto, sostenuto dalla Corte territoriale, secondo il quale l’esistenza della potenziale controversia civile tra le parti varrebbe ad escludere la configurabilità del reato di ragion fattasi posto che, da un lato, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si caratterizza proprio per l’elemento intenzionale, in quanto l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata (Sez. 6, n. 23923 del 16 maggio 2014), dall’altro, non vale ad escludere il reato in oggetto la buona fede del soggetto attivo che, lungi dall’essere inconciliabile con il dolo, costituisce invece un presupposto necessario del reato (Sez. 6, n. 41368 del 28 ottobre 2010) così come, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è invocabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. da parte del titolare di un diritto, in quanto l’esercizio di un diritto cosiddetto “contestabile” non può che avvenire ricorrendo all’intervento dirimente del giudice, non potendosi legittimare l’autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto suo esercizio (Sez. 4, n. 1040 del 10 marzo 2006).
    La Suprema Corte, di conseguenza, annullava agli effetti civili la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello civile di Milano – competente per valore – alla quale era anche devoluta la liquidazione delle spese tra le parti per il grado di legittimità.

    3. Conclusioni

    La decisione in esame desta un certo interesse, specialmente nella parte in cui è ivi affermato, in conformità con quanto enunciato dalla stessa Cassazione in precedenti decisioni, che, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è invocabile la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. da parte del titolare di un diritto, in quanto l’esercizio di un diritto cosiddetto “contestabile” non può che avvenire ricorrendo all’intervento dirimente del giudice, non potendosi legittimare l’autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto suo esercizio.
    E’ dunque sconsigliabile, perlomeno alla luce di questo approdo ermeneutico, intraprendere una linea difensiva che, all’opposto, sostenga la sussistenza di questa causa di liceità ove sia contestato un reato di siffatto genere.
    Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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