E’ stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis c.p.: vediamo in che modo

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Corte costituzionale, 25 giugno 2020 (ud. 25 giugno 2020, dep. 21 luglio 2020), n. 20099 (Presidente Cartabia, Relatore Petitti)

(Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva)

(Riferimento normativo: C.p., art. 131-bis)

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Il fatto

Nel giudizio principale pendente innanzi al Tribunale di Taranto, vi era un imputato accusato del reato di ricettazione attenuata da particolare tenuità per avere egli, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, acquistato o comunque ricevuto alcune confezioni di rasoi e lamette da barba di provenienza furtiva.

L’istruttoria dibattimentale, a sua volta, avrebbe comprovato la particolare tenuità sia del danno subito dalla persona offesa dal furto che del lucro conseguito dall’imputato, quest’ultimo, peraltro, soggetto incensurato, sì da potersi intendere la sua condotta come del tutto occasionale.

Sarebbero ricorsi, quindi, tutti gli estremi della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto introdotta dall’art. 131-bis cod. pen., la cui applicazione sarebbe stata tuttavia impedita dall’entità della pena edittale della ricettazione attenuata, il cui massimo di pena detentiva, pari a sei anni di reclusione, eccede il limite applicativo dell’esimente, fissato dal primo comma dello stesso art. 131-bis in cinque anni.

 

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

 

Con ordinanza, il Tribunale ordinario di Taranto, in composizione monocratica, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

La norma censurata, ad avviso del giudice a quo, avrebbe violato gli evocati parametri nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto al reato di ricettazione attenuata da particolare tenuità previsto dall’art. 648, secondo comma, cod. pen.

In particolare, ad avviso del rimettente, l’assenza di minimo edittale di pena detentiva per il reato di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., e quindi l’operatività del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall’art. 23, primo comma, cod. pen., indicherebbe che il legislatore «ha formulato in riferimento alle meno offensive fra le condotte di ricettazione un giudizio di scarsissimo disvalore».

Sarebbe stato quindi irragionevole, alla luce dell’art. 3 Cost., che la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. non avesse potuto trovare applicazione a queste ipotesi di reato, così poco offensive, «nel mentre, rispetto a condotte per le quali è stato formulato un giudizio di disvalore ben più severo, tale esimente ben possa essere applicata».

Il giudice a quo portava a tal proposito a comparazione i reati di furto, danneggiamento e truffa, che assume lesivi dello stesso bene giuridico della ricettazione, i quali rientrano nella sfera di applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. in ragione di un massimo edittale di pena detentiva non superiore a cinque anni e che tuttavia hanno una pena minima di sei mesi di reclusione, «maggiore di ben dodici volte la pena minima prevista dal codice penale in riferimento al delitto di ricettazione attenuata».

L’irragionevole esclusione di quest’ultimo reato dalla sfera applicativa della causa di non punibilità, inoltre, avrebbe violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost. «atteso che la palese disparità di trattamento in parola è idonea a frustrare le esigenze rieducative correlate al trattamento sanzionatorio».

Il Tribunale di Taranto riteneva quindi di sollevare una questione non preclusa dalla sentenza n. 207 del 2017, con la quale la Consulta aveva dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., allora promosse in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., sempre per l’inapplicabilità dell’esimente della particolare tenuità del fatto al delitto di ricettazione attenuata di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen..

Posto di voler «muovere da assunti differenti» rispetto alle pregresse questioni, l’odierno rimettente precisa che non intende invero sindacare – come il precedente – l’opzione discrezionale del legislatore circa il limite applicativo del massimo edittale di cinque anni, quanto censurare l’irragionevolezza della disparità di trattamento nell’applicazione dell’esimente, quale emerge dal confronto tra i minimi edittali di fattispecie omogenee.

Considerato che tale disparità di trattamento si trovava già stigmatizzata proprio nella sentenza n. 207 del 2017 e che il monito a porvi rimedio, dalla sentenza stessa rivolto al legislatore, era rimasto inascoltato, il giudice a quo invocava un intervento «correttivo» della Corte costituzionale, reso viepiù necessario dalla conformazione edittale della pena detentiva per la ricettazione attenuata, superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, e tuttavia pari nel minimo a soli quindici giorni.

 

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L’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri

 

Interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che aveva chiesto che venissero dichiarate le questioni proposte inammissibili in quanto si sarebbe trattato di questioni già decise nel senso dell’infondatezza dalla citata sentenza n. 207 del 2017 della quale sarebbe restata intatta la ratio dell’insindacabilità delle opzioni sanzionatorie discrezionalmente esercitate dal legislatore.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Consulta

 

La Corte costituzionale osservava in via pregiudiziale come l’eccezione sollevata dalla Presidenza del Consiglio fosse infondata atteso che, per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la riproposizione di una questione già dichiarata infondata, pure in mancanza di argomenti nuovi, non determina l’inammissibilità della questione reiterata, bensì, in ipotesi, la sua manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2020, n. 160 del 2019 e n. 99 del 2017; ordinanze n. 96 del 2018, n. 162 del 2017 e n. 290 del 2016) tenuto conto altresì del fatto che il giudice rimettente aveva evidenziato alcuni profili che, per il giudice delle leggi, valevano a precisare le questioni da lui sollevate rispetto a quelle decise dalla sentenza n. 207 del 2017, sia per una più puntuale selezione dei tertia comparationis, ispirata a criteri di omogeneità, sia per l’identificazione dell’oggetto di censura nell’omessa previsione di un minimo edittale rilevante ai fini dell’applicazione dell’esimente piuttosto che nell’avvenuta previsione del massimo edittale dei cinque anni.

Premesso ciò, nel merito, la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. veniva considerata fondata per le seguenti ragioni.

Si rilevava a tal riguardo prima di tutto che, nel definire la particolare tenuità del fatto come causa di non punibilità, l’art. 131-bis cod. pen. stabilisce al primo comma che «[n]ei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale» mentre, ai sensi del quarto comma del medesimo art. 131-bis, la determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma, di regola insensibile alle circostanze del reato, risente tuttavia di quelle a effetto speciale, a tal fine neppure suscettibili di bilanciamento; inoltre, per il quinto comma, «[l]a disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante».

Orbene, come rilevato in sede di legittimità costituzionale, veniva altresì precisato che tale ultima disposizione indica che l’esistenza di un’attenuante, di cui la particolare tenuità del danno o del pericolo sia elemento costitutivo, di per sé non impedisce l’applicazione della causa di non punibilità, ma neppure la comporta automaticamente (sentenza n. 207 del 2017) e ciò in quanto la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. richiede una valutazione complessiva di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, a norma dell’art. 133, primo comma, cod. pen., incluse quindi le modalità della condotta e il grado della colpevolezza, e non solo dell’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 6 aprile 2016, n. 13681).

A sua volta, nel definire la ricettazione come delitto contro il patrimonio mediante frode, l’art. 648 cod. pen. stabilisce al primo comma che, «[f]uori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329» mentre, ai sensi del secondo comma del medesimo art. 648 c.p., «[l]a pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità».

A fronte di ciò, veniva fatto presente che, dal momento che la «particolare tenuità del fatto» di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen. integra una circostanza attenuante rientrante nel novero di quelle cosiddette indefinite o discrezionali (ancora sentenza n. 207 del 2017) posto che è acquisito invero che non si tratti dell’elemento costitutivo di un reato autonomo rispetto alla ricettazione-base di cui all’art. 648, primo comma, cod. pen., bensì di una circostanza attenuante speciale (tra le tante, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 24 marzo 2017, n. 14767, 25 gennaio 2013, n. 4032, 26 maggio 2011, n. 21010, e 14 ottobre 2008, n. 38803), in linea astratta, dunque, per effetto del quinto comma dell’art. 131-bis cod. pen., la particolare tenuità del fatto quale attenuante della ricettazione, come definita dall’art. 648, secondo comma, cod. pen., avrebbe potuto concorrere a integrare l’esimente di cui al medesimo art. 131-bis cod. pen. qualora, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., l’offesa sia di particolare tenuità e il comportamento risulti non abituale mentre, viceversa, per effetto del quarto comma dell’art. 131-bis cod. pen., che attribuisce rilevanza alle circostanze speciali quoad poenam, detta causa di non punibilità non può trovare applicazione in rapporto alla ricettazione attenuata di cui al secondo comma dell’art. 648 cod. pen. poiché questo fissa un massimo edittale di pena detentiva pari a sei anni di reclusione, quindi superiore al limite di cinque anni posto dalla norma esimente (Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 12 aprile 2019, n. 16083, e 12 maggio 2017, n. 23419).

Difatti, una volta fatto presente che, aggiunto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2015, l’art. 131-bis cod. pen. segna il punto di arrivo di una linea di sviluppo avviata dall’art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), e proseguita dall’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), i quali rispettivamente contemplano l’«irrilevanza del fatto» quale causa di improcedibilità nei confronti dell’imputato minorenne e la «particolare tenuità del fatto» quale causa di improcedibilità per i reati di competenza del giudice di pace, i giudici di legittimità costituzionale notavano che, nell’illustrare gli elementi differenziali fra tali istituti, pur nella loro comune ispirazione di fondo, la Consulta aveva avuto modo di rilevare che l’art. 131-bis cod. pen. «prevede una generale causa di esclusione della punibilità che si raccorda con l’altrettanto generale presupposto dell’offensività della condotta, requisito indispensabile per la sanzionabilità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge» (sentenza n. 120 del 2019) fermo restando che, per delineare questa esimente generale, il legislatore del 2015 aveva «considerato i reati al di sotto di una soglia massima di gravità – quelli per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, nonché quelli puniti con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva – e ha tracciato una linea di demarcazione trasversale per escludere la punibilità – ma non l’illiceità penale – delle condotte che risultino, in concreto, avere un tasso di offensività marcatamente ridotto, quando appunto l’“offesa è di particolare tenuità”» (ancora sentenza n. 120 del 2019) posto che è stato precisato che «il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l’art. 131-bis cod. pen., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per riaffermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la “rieducazione del condannato”, sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione» (ordinanza n. 279 del 2017).

Ciò posto, si rilevava altresì che, per costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, le cause di non punibilità costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali sicché la loro estensione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria, giudizio che appartiene primariamente al legislatore (ex multis, sentenze n. 140 del 2009 e n. 8 del 1996).

Ebbene, muovendo da tale premessa, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 207 del 2017, aveva rilevato che la scelta del legislatore in ordine all’estensione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. è sindacabile soltanto per «manifesta irragionevolezza» così come, con la medesima sentenza, sono state dichiarate non fondate, in riferimento agli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., nella parte in cui non estende l’applicabilità dell’esimente all’ipotesi attenuata di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen. in ragione del massimo edittale di pena detentiva superiore ai cinque anni evidenziandosi a tal riguardo come la declaratoria di infondatezza fosse stata motivata, sia con un rilievo di inidoneità dei tertia comparationis elencati dal giudice a quo, troppo eterogenei per poter fungere da modello di una soluzione costituzionalmente obbligata, sia con l’esigenza di salvaguardare la discrezionalità legislativa espressasi nella posizione del limite massimo dei cinque anni «che non può considerarsi, né irragionevole, né arbitrario» in quanto «rientra nella logica del sistema penale che, nell’adottare soluzioni diversificate, vengano presi in considerazione determinati limiti edittali, indicativi dell’astratta gravità dei reati».

La sentenza n. 207 del 2017 aveva tuttavia rilevato l’«anomalia» della comminatoria per la ricettazione di particolare tenuità in ragione dell’inconsueta ampiezza dell’intervallo tra minimo e massimo di pena detentiva (da quindici giorni a sei anni di reclusione), della larga sovrapposizione con la cornice edittale della fattispecie non attenuata (da due anni a otto anni), nonché dell’asimmetria scalare tra gli estremi del compasso, giacché «mentre il massimo di sei anni, rispetto agli otto anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione particolarmente contenuta (meno di un terzo), al contrario il minimo di quindici giorni, rispetto ai due anni della fattispecie non attenuata, costituisce una diminuzione enorme» rilevandosi al contempo come in questa decisione sia stato inoltre osservato che, «se si fa riferimento alla pena minima di quindici giorni di reclusione, prevista per la ricettazione di particolare tenuità, non è difficile immaginare casi concreti in cui rispetto a tale fattispecie potrebbe operare utilmente la causa di non punibilità (impedita dalla comminatoria di sei anni), specie se si considera che, invece, per reati (come, ad esempio, il furto o la truffa) che di tale causa consentono l’applicazione, è prevista la pena minima, non particolarmente lieve, di sei mesi di reclusione», cioè una pena che, «secondo la valutazione del legislatore, dovrebbe essere indicativa di fatti di ben maggiore offensività» e per ovviare all’incongruenza – si era aggiunto –, «oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di non punibilità non possa operare, potrebbe prevedersi anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità».

Astenutasi dal compiere siffatto intervento additivo, primariamente spettante alla discrezionalità legislativa, la Consulta, pur tuttavia, aveva ammonito il legislatore a farsene carico «per evitare il protrarsi di trattamenti penali generalmente avvertiti come iniqui» ma il legislatore non aveva dato seguito a tale monito, pur essendo recentemente intervenuto sul testo dell’art. 131-bis cod. pen. per aggiungere, nel secondo comma, un’ipotesi tipica di esclusione della particolare tenuità, ove si proceda per delitti puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero per violenza, minaccia, resistenza od oltraggio commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (art. 16, comma 1, lettera b, del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, recante «Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2019, n. 77) ed è proprio la circostanza che il legislatore non abbia sanato l’evidente scostamento della disposizione censurata dai parametri costituzionali che imponeva la Consulta, a parere di ques’ultima, nella decisione qui in commento, di intervenire con il diverso strumento della declaratoria di illegittimità costituzionale.

Nel procedere a pronunciare siffatta declaratoria, il giudice delle leggi osservava innanzitutto che, come osservato nella sentenza n. 207 del 2017 circa la ricettazione attenuata, con un rilievo che può, per la Corte, essere tuttavia formulato in termini generali, la mancata previsione di un minimo edittale di pena detentiva – e quindi l’operatività del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall’art. 23, primo comma, cod. pen. – richiama per necessità logica l’eventualità applicativa dell’esimente di particolare tenuità del fatto.

D’altronde, nella giurisprudenza costituzionale sul principio di proporzionalità della sanzione penale, il minimo assoluto dei quindici giorni di reclusione aveva identificato il punto di caduta di fattispecie delittuose talora espressive di una modesta offensività (sentenza n. 341 del 1994).

Nello specifico della comminatoria di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen., l’assoluta mitezza del minimo edittale, per la Corte, rispecchia difatti una valutazione legislativa di scarsa offensività della ricettazione attenuata «la cui configurabilità è riconosciuta dalla giurisprudenza comune solo per le ipotesi di rilevanza criminosa assolutamente modesta, talvolta al limite della contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza» (sentenza n. 105 del 2014) mentre, in linea generale, l’opzione del legislatore di consentire l’irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela inequivocabilmente che egli prevede possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più tenue offensività e, rispetto a queste ultime, è dunque manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen., quale discende da un massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione.

Il carattere generale dell’esimente di particolare tenuità di cui all’art. 131-bis cod. pen., difatti, a detta della Corte costituzionale, impedisce di rinvenire nel sistema un ordine di grandezza che possa essere assunto a minimo edittale di pena detentiva sotto il quale l’esimente stessa potrebbe applicarsi comunque, a prescindere cioè dal massimo edittale così come la stessa pena minima di sei mesi di reclusione, prevista per i reati menzionati dal giudice a quo come tertia comparationis, cioè furto, danneggiamento e truffa (artt. 624, primo comma, 635, primo comma, e 640, primo comma, cod. pen.), non è generalizzabile, neppure all’interno della categoria dei reati contro il patrimonio, ove solo si consideri la poliedricità del delitto di ricettazione.

Ben potrà quindi il legislatore, osservavano i giudici di legittimità costituzionale, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità in tema di estensione delle cause di non punibilità, fissare un minimo relativo di portata generale al di sotto del quale l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. non potrebbe essere preclusa dall’entità del massimo edittale.

In ordine alle norme costituzionali ritenute lese nella fattispecie in esame, la Consulta riteneva come dovesse censurarsi, alla luce dell’art. 3 Cost., l’intrinseca irragionevolezza della preclusione dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. per i reati – come la ricettazione di particolare tenuità – che lo stesso legislatore, attraverso l’omessa previsione di un minimo di pena detentiva e la conseguente operatività del minimo assoluto di cui all’art. 23, primo comma, cod. pen., aveva mostrato di valutare in termini di potenziale minima offensività rilevandosi al contempo che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva, lascia intatti, ovviamente, tutti i requisiti applicativi dell’esimente che prescindono dall’entità edittale della pena e, pertanto, anche nell’ipotesi di ricettazione attenuata ex art. 648, secondo comma, cod. pen., e in ogni altra ipotesi di reato privo di un minimo edittale di pena detentiva, l’esimente non potrà essere riconosciuta quando la valutazione giudiziale di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen. sia negativa per l’autore del fatto o la condotta di questi risulti abituale ovvero, ancora, quando ricorra una fattispecie tipica di non tenuità tra quelle elencate dal secondo comma dell’art. 131-bis cod. pen..

Veniva quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis cod. pen., per violazione dell’art. 3 Cost. nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva restando assorbita la questione sollevata in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost..

 

Conclusioni

 

La Consulta, nella pronuncia qui in commento, interviene sull’art. 131-bis c.p. che, come è noto, prevede la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto dichiarandolo costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva.

Fermo restando che, per effetto di questa decisione, vengono rideterminati i margini applicativi, in ordine al minimo edittale, in base ai quali può operare questa causa di non punibilità, resta fermo però, come trapela in questo stesso provvedimento, che tale esimente non potrà essere comunque riconosciuta quando la valutazione giudiziale di cui all’art. 133, primo comma, cod. pen. sia negativa per l’autore del fatto o la condotta di questi risulti abituale ovvero, ancora, quando ricorra una fattispecie tipica di non tenuità tra quelle elencate dal secondo comma dell’art. 131-bis cod. pen., ma nulla esclude, ad avviso dello stesso giudice delle leggi, che, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità in tema di estensione delle cause di non punibilità, il legislatore possa fissare un minimo relativo di portata generale al di sotto del quale l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod. pen. non potrebbe essere preclusa dall’entità del massimo edittale.

Sarebbe dunque auspicabile un intervento del legislatore che modifichi l’art. 131-bis c.p. individuando una pena minima al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità e questo per una evidente esigenza di certezza del diritto atteso che la Consulta, in tale sentenza, si riferisce genericamente ad un minimo edittale di pena detentiva senza però quantificarlo essa stessa.

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