E’ dovuto il risarcimento alla parte civile se il fatto è di particolare tenuità?

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Sussiste il diritto della parte civile ad essere risarcito in sede penale anche quando è riconosciuta la particolare tenuità del fatto

     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Consulta
  3. Conclusioni

1. La questione

Il Tribunale militare di Roma sollevava, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che, «quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e seguenti» dello stesso codice.

Il rimettente, infatti, sospettava come questa norma, nel precludere la pronuncia del giudice penale sulla domanda civile restitutoria o risarcitoria anche nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. (ipotesi in cui, contrariamente alle altre fattispecie di proscioglimento, sarebbe accertata sia la sussistenza del fatto, già qualificabile come illecito civile, sia la sua commissione da parte dell’imputato), fosse in contrasto con i parametri costituzionali su richiamati, per un verso, comprimendo i diritti costituzionali e convenzionali della vittima del reato, per altro verso, ledendo il principio generale di ragionevolezza e quello più specifico di ragionevole durata del processo.

2. La soluzione adottata dalla Consulta

La Consulta, al fine di decidere su tale questione, evidenziava prima di tutto il parallelismo intercorrente tra l’art. 131-bis cod. pen. e l’art. 651-bis cod. proc. pen. nel senso che, al pari della sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento (art. 651 cod. proc. pen.), anche quella dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile restitutorio o risarcitorio promosso nei confronti dell’imputato (condannato, nel primo caso; prosciolto nel secondo), nonché del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale (art. 651-bis cod. proc. pen.).

Il giudicato, in tal modo, per il Giudice delle leggi, è modellato su quello tipico delle sentenze di condanna e non già su quello delle sentenze di assoluzione nel senso che la sentenza, che dichiara la non punibilità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., pur integrando una decisione di proscioglimento, contiene già l’accertamento, con efficacia di giudicato, delle circostanze che possono essere poste a fondamento di una pretesa risarcitoria posto che «[l]a perdurante illiceità penale della condotta, anche quando il fatto è di lieve entità, risulta inequivocabilmente dall’art. 651-bis cod. proc. pen.» (sentenza n. 120 del 2019); in altri termini, per la Consulta, la pronuncia di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen. si atteggia come una vera e propria sentenza di accertamento dell’illecito penale che, in quanto avente efficacia di giudicato, può costituire presupposto di una domanda di risarcimento del danno nel successivo giudizio civile, rimanendo al giudice adito il compito della determinazione, di norma, del danno risarcibile, sempre che ne sussistano i presupposti nella specificità dell’illecito civile, avente comunque carattere di ontologica autonomia rispetto all’illecito penale.

Dunque, per i giudici di legittimità costituzionale, proprio siffatto “parallelismo” disvelava un deficit di tutela per la parte civile quando si viene a ragionare della prescrizione processuale dettata dalla disposizione censurata (art. 538 cod. proc. pen.) secondo cui, come è noto, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta dalla parte civile, «[q]uando pronuncia sentenza di condanna».

Difatti, sempre per la Corte costituzionale, a fronte del fatto che l’idoneità dell’istituto ad adempiere pienamente alla sua funzione riparativa «senza pregiudizio per l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno» trova un limite nella impossibilità, derivante dalla norma suddetta, vale a dire l’art. 538 cod. proc. pen., per il giudice penale di conoscere della domanda restitutoria o risarcitoria formulata dalla parte civile quando, con sentenza resa all’esito del dibattimento, dichiara la non punibilità dell’imputato per la particolare tenuità del fatto, trattandosi di una impossibilità che discende dalla qualificazione formale della sentenza la quale è pur sempre di proscioglimento per estinzione del reato, anche se ha un contenuto positivo di accertamento dei presupposti di tale reato, una volta che nel processo si è accertato, con pronuncia idonea ad acquisire efficacia di giudicato (ex art. 651-bis cod. proc. pen.), che sussiste il fatto ascritto all’imputato e che egli lo ha commesso e, considerato altresì, che tale fatto integra una fattispecie di illecito penale, sussistendo il relativo elemento soggettivo del dolo o della colpa, risulta irragionevole l’impossibilità di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria (o restitutoria) della parte civile, ad opera dello stesso giudice penale, che, a sua volta, contestualmente adotti una sentenza di proscioglimento dell’imputato per non punibilità ex art. 131-bis cod. pen..


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In particolare, tale irragionevolezza viene fatta risalire dai giudici di legittimità costituzionale in relazione alla considerazione secondo la quale la mancanza di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile comporta che quest’ultima debba promuovere ex novo un distinto giudizio civile in cui azionare la medesima pretesa, nonostante il giudicato che si forma già nella sede penale in senso favorevole alla possibile fondatezza della sua domanda (ai sensi dell’art. 651-bis cod. proc. pen.), tenuto conto altresì del fatto che la parte civile soffre anche il pregiudizio che, nell’immediato, le spese da essa sostenute nel processo penale restino a suo carico, non potendo il giudice penale porle a carico dell’imputato in mancanza di una formale soccombenza (così, Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13 novembre 2020-11 febbraio 2021, n. 5423).

Di conseguenza, alla luce di tale criticità, se è vero, proseguiva la Corte nel suo ragionamento decisorio, che la norma oggetto di censura prevede che il giudice penale decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno «[q]uando pronuncia sentenza di condanna» dell’imputato, soggetto debitore quanto alle obbligazioni civili, è altrettanto vero che questa regola, però, non è assoluta, ma deflette in varie fattispecie in cui si giustifica, all’opposto, che possa esservi una decisione sui capi civili, vuoi dello stesso giudice penale, vuoi in prosecuzione dell’originario giudizio penale in cui è stata azionata, dalla parte civile, la domanda risarcitoria (o restitutoria) e, tra queste eccezioni, venivano richiamate le ipotesi prevedute dall’art. 578 cod. proc. pen., dall’art. 576, co. 1, cod. proc. pen., dall’art. 622 cod. proc. pen. e dall’art. 578, co. 1-bis, cod. proc. pen. evidenziandosi per tutte esse, quale comune denominatore, che, per l’appunto in tutti questi casi, è ben possibile che la pronuncia di accoglimento della domanda di risarcimento del danno non si accompagni a una pronuncia di condanna penale per esserci stata, invece, una pronuncia di proscioglimento, o che vi sia, in prosecuzione dello stesso giudizio, una pronuncia in ordine alla pretesa restitutoria o risarcitoria della parte civile.

Pur tuttavia, si notava come sia, invece, diversa la fattispecie oggetto della sentenza n. 12 del 2016 con cui la Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 538 cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta dalla parte civile, quando pronuncia sentenza di assoluzione dell’imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente, giustificandosi ciò perché l’accertamento penale, che in tale evenienza ha il diverso effetto di giudicato previsto dall’art. 652 cod. proc. pen. e non certo quello di cui all’art. 651-bis cod. proc. pen., comporta il mutamento della prospettiva e dei presupposti della pretesa risarcitoria della parte civile: per il danno cagionato dall’incapace risponde chi è tenuto alla sua sorveglianza (art. 2047, primo comma, del codice civile).

Invece, e qui sta la specificità della questione emersa nella fattispecie in esame, nella ipotesi della non punibilità per «particolare tenuità» dell’offesa, vengono accertate la sussistenza del fatto e la sua illiceità penale, nonché si afferma (in sostanza) che l’imputato lo ha commesso, fermo restando che su tutto ciò si forma il ben più pregnante giudicato di cui all’art. 651-bis cod. proc. pen. per cui l’accertamento necessario per il proscioglimento per difetto di punibilità ex art. 131-bis cod. pen. ridonda anche in accertamento utile al fine dell’an della pretesa risarcitoria civile.

La logica di fondo, che complessivamente emergeva da queste fattispecie, quindi, per il Giudice delle leggi, è quella di evitare, finché possibile e compatibile con l’esito del giudizio in ordine all’azione penale, una situazione di absolutio ab instantia in riferimento alla domanda della parte civile e di salvare il procedimento in cui quest’ultima ha promosso la pretesa risarcitoria o restitutoria, senza che la stessa sia gravata dell’onere di promuovere un nuovo giudizio dal momento che, se nelle fattispecie sopra esaminate, sia quelle che vedono lo stesso giudice penale pronunciarsi nel merito della pretesa civile risarcitoria (o restitutoria), pur senza che contestualmente emetta una condanna penale (ciò in deroga alla regola dell’art. 538 cod. proc. pen.), sia quelle connotate comunque dalla distinta prosecuzione del giudizio solo sui capi civili, c’è una risposta di giustizia alla domanda della parte civile, anche in mancanza dell’accertamento, da parte del giudice penale, con effetto di giudicato, quanto «[a]lla sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso» mentre, invece, una risposta di giustizia manca proprio quando tale accertamento sussiste, ex art. 651-bis cod. proc. pen., allorché il giudice penale prosciolga l’imputato per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen..

Difatti, per la Consulta, in questo caso la regola generale, posta dall’art. 538 cod. proc. pen., non deflette, non consentendo al giudice penale di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile, e ciò rende la norma censurata contrastante con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), per l’argomento a fortiori che può trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c’è l’absolutio ab instantia pur in mancanza di siffatto accertamento, vuoi perché il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi è una condanna penale, vuoi perché il giudizio prosegue comunque per la definizione anche solo delle pretese civilistiche, tenuto conto altresì del fatto che essa, da una parte, si pone anche in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), nella specie della parte civile, la quale subisce la mancata decisione in ordine alla sua pretesa risarcitoria (o restitutoria) anche quando essa appare fondata e meritevole di accoglimento proprio in ragione del contestuale accertamento, ad opera del giudice penale, della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della riferibilità della condotta illecita all’imputato nel contesto del proscioglimento di quest’ultimo ex art. 131-bis cod. pen., dall’altra, collide con il canone della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) a causa dell’arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuità rispetto a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento è onerata la parte civile, anche solo per recuperare le spese sostenute nel processo penale.

La reductio ad legitimitatem della disposizione censurata richiede, dunque, ad avviso della Corte di legittimità costituzionale, di riconoscere al giudice penale, come necessaria deroga alla regola posta dalla disposizione stessa, la possibilità di pronunciarsi anche sulla domanda di risarcimento del danno quando accerti che sussistono i presupposti per dichiarare la non punibilità dell’imputato in ragione della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen..

La Consulta, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen..

3. Conclusioni

La Corte costituzionale, con la sentenza qui in commento, con una motivazione articolata, e, ad avviso dello scrivente, in modo del tutto condivisibile, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 538 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen..

Infatti, in tale pronuncia, si è proceduto ad “allineare” l’art. 538 cod. proc. pen. sulla scorta di quanto affermato nell’art. 651-bis cod. proc. pen., il che rappresenta, per lo scrivente, un’operazione giudiziale del tutto logica e coerente.

Se, infatti, come è noto, l’art. 651-bis, co. 1, cod. proc. pen. stabilisce che la “sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”, non aveva alcun senso, per colui che scrive, il fatto che l’art. 538 cod. proc. pen. non prevedesse, in maniera analoga, che il giudice non potesse decidere, in presenza del riconoscimento di questa medesima causa di non punibilità, sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli articoli 74 e seguenti del cod. proc. pen., tanto più se si considera che, come fatto presente in questa stessa pronuncia, una sentenza che dichiari l’imputato non punibile a norma dell’art. 131-bis cod. pen. appare essere modellata piuttosto sulle sentenze di condanna, che su quelle di assoluzione, e ciò proprio in ragione del fatto che la sentenza, che dichiara la non punibilità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., pur integrando una decisione di proscioglimento, contiene già l’accertamento, con efficacia di giudicato, delle circostanze che possono essere poste a fondamento di una pretesa risarcitoria.

Pertanto, per effetto di tale provvedimento, spetterà adesso al giudice penale decidere sulle richieste risarcitorie (e restitutorie) avanzate dalla parte civile anche nel caso in cui costui decida di dichiarare l’imputato non punibile per particolare tenuità del fatto.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, è, dunque, positivo, oltre per i motivi già enunciati in precedenza, anche perché garantisce ad uno dei soggetti del processo penale, qual è la parte civile, un diritto che in precedenza non le era riconosciuto.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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