E’ diverso scrivere “dichiaro di donare” rispetto a “ti lascio” per aversi un testamento olografo?

Luca Mascaro 27/02/19
“Dichiaro che dono a mio figlio L.F. l’appartamento di mia proprietà sito in (OMISSIS)”

Questa la espressione al vaglio della Suprema Corte, oggetto della statuizione contenuta nella sentenza n. 2700, pronunciata dalla Seconda Sezione, il 30/1/2019.

I giudici di Piazza Cavour si sono trovati dinanzi ad una missiva, contenente la summenzionata disposizione, datata 26 luglio 1996, sottoscritta e redatta di suo pugno dalla de cuius.

Dato che in appello alla medesima era stato disconosciuto il valore di atto di ultima volontà venendo qualificata come “progetto dispositivo non impegnativo”, il ricorrente decide di adire la Corte di Cassazione, sul presupposto che sussistano tutti i requisiti prescritti dall’art. 602, comma 1, c.c., per la riconducibilità della missiva in commento nell’alveo del testamento olografo.

Caratteristiche del testamento olografo

Giova rammentare, in via preliminare, le peculiarità che contraddistinguono il testamento olografo, per poi passare ad valutare, più dettagliatamente, la questione in esame.

Innanzitutto trattasi di una scrittura privata che richiede determinati requisiti formali.

Primo fra tutti la olografia, consistente nella scritturazione per intero di pugno con qualsiasi mezzo e su qualsiasi materia[1].

Autorevole dottrina, sul punto, ritiene integrato tale requisito anche in caso di scrittura su un muro o addirittura su una roccia, perfino con il gesso, la matita, essendo in seguito possibile la pubblicazione per mezzo della allegazione di una riproduzione fotografica[2]

Ciò che imprescindibilmente deve essere assicurata è la provenienza da parte del testatore nonché la abitualità della grafia.

Inoltre sono richiesti la sottoscrizione a conferma della paternità delle disposizioni contenute nonché la data ai fini della individuazione del momento temporale del testamento sia per verificare la capacità del testatore sia perché questi può revocare la sua volontà fino all’ultimo respiro e quindi rileva per l’efficacia tra più testamenti.

Il testamento epistolare

È altresì da puntualizzare, con specifico riferimento al caso de quo, che è valido anche il testamento epistolare aventi i summenzionati requisiti e non occorre la spedizione, che potrebbe effettuarsi solo affinchè il destinatario possa garantire la scrupolosa custodia del documento[3]

Quello che occorre accertare, più precipuamente, e su cui si è interrogata la Suprema Corte, concerne la sussistenza o meno di una compiuta volontà di disporre mortis causa per capire se la espressione usata dal de cuius fosse semplicemente una intenzione o un legato.

Sul punto, si è evidenziato, conformemente a quanto già sostenuto in dottrina[4], che elemento rivelatore del negozio a causa di morte è da ravvisarsi nella “assoluta inefficacia” prima che si verifichi l’evento morte, che secondo la Corte costituisce un “prius logico” non riscontrabile nella fattispecie de qua.

Ed invero, la Cassazione asserisce che per aversi un valido testamento la morte deve essere punto di origine e quindi inequivocabilmente deve emergere il proprium dell’atto di ultima volontà, “ per il tempo in cui avrà cessato di vivere” di cui all’art 587 c.c.

La Suprema Corte, dunque, rinviene nella espressione “dichiaro di donare”, una dichiarazione unilaterale dell’intenzione di donare, tra l’altro nulla per difetto di forma e neppure suscettibile di convalida, quale liberalità, da parte degli eredi, al ricorrere dei presupposti eccezionalmente previsti ai sensi dell’art. 799 c.c., mancando l’accordo tra donante e donatario.

Deve quindi concludersi che, pur essendo possibile regolare le sorti del proprio patrimonio anche a mezzo di testamento olografo, il testatore deve avere riguardo non solo ai requisiti formali sopra citati ma deve anche usare espressioni, seppure atecniche, che individuino nella morte il loro momento iniziale.

Si può, dunque, sostenere che il termine “lascio”(tecnicamente “lego”) va bene in quanto rievoca alla mente la volontà di regolare, disporre la concreta destinazione dei propri beni post mortem , mentre invece  “dichiaro di donare” no perché indica una intenzione e non una concreta volontà in tal senso. In ragione di tanto è da escludersi la configurabilità del negozio testamentario in tale secondo caso.

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Note

[1] Cfr. Cass. 13 aprile 1959, n.1089

[2] Cfr. CAPOZZI, Successioni e donazioni (a cura di Annamaria Ferrucci e Carmine Ferrentino), III, Milano 2009,  Tomo I,  843 ss.

[3] Cfr. BONILINI, Il testamento epistolare, in Casi e questioni di diritto privato 2, Successioni e donazioni, Milano, 1995,116

[4] Cfr. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 222.

Luca Mascaro

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