Dubbi in tema di limitazioni orari delle sale gioco posti dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4867 del 2018

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Nel corso degli anni gli interventi del Legislatore, da un lato, e quelli della P.A., dall’altro, hanno inteso perseguire la via della dissuasione dal gioco d’azzardo nel dichiarato intento di offrire una adeguata protezione a particolari categorie di cittadini particolarmente a rischio.
Non può tuttavia non osservarsi come lo stesso Legislatore abbia contestualmente adottato una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali ad esso connesse (T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 3 luglio 2017, n. 7575).

Il gioco d’azzardo

Il gioco d’azzardo, così come realizzato dai cd. videogiochi, intanto è stato ritenuto, in via legislativa, lecito in quanto svolto in regime di concessione amministrativa sì da contrastarne gli abusi ed in particolare la ludopatia.
Sono stati previsti a carico dei concessionari taluni precisi oneri consistenti nella realizzazione di un collegamento telematico reticolare e completo da attuare unitamente al sistema di registrazione e verifica della trasparenza economica del flusso delle scommesse.
Il giurista, da parte sua, non può che considerare i giochi legalmente autorizzati, e pienamente tutelati, al fine di verificare se, ed entro quali limiti, l’azione amministrativa possa intervenire su di essi disciplinandone in concreto l’esercizio in forma imprenditoriale (art. 41 Cost.).
La stessa giurisprudenza ha oculatamente osservato che: <<a fronte di una attività ammessa e disciplinata dalla legislazione statale come quella di cui si tratta l’ente locale non può adottare provvedimenti i quali finiscano per inibire completamente il suo esercizio, poiché in tal modo verrebbe sostanzialmente espropriato il diritto di iniziativa economica>> (T.a.r. Toscana, Sez. II, 18 maggio 2017, n. 715).
Deve evidenziarsi come sia in ambito nazionale, che in ambito comunitario, non esista, in realtà, un disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale, ove esso cioè non sfugga al controllo degli organismi statali e non si esponga alle infiltrazioni criminali (T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 18 giugno 2018, n. 6833).

La giurisprudenza

Nel contesto di tale, complessa, materia si pone la sentenza n. 4867 del 2018 resa dal Consiglio di Stato il quale è chiamato a vagliare la legittimità, o meno, della misura con cui un Comune aveva disposto <<limitazioni al funzionamento>> degli apparecchi da gioco, prescrivendone, in particolare, la sospensione in una determinata fascia orario (provvedimento già ritenuto legittimo dal G.A. di prime cure).
Tale sentenza si innesta nel solco di un consolidato orientamento della medesima Sezione (v.: Consiglio di Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1933; Consiglio di Stato, sez. V, 28 giugno 2018, n. 3998; Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2018, n. 4145; Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2018, n. 4147; Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2018, n. 4224; Consiglio di, sez. V, 17 luglio 2018, n. 4338; Consiglio di, sez. V, 17 luglio 2018, n. 4339) e sottolinea come, pur in assenza di una normativa comunitaria specifica sul gioco d’azzardo, il Parlamento europeo abbia approvato il 10 settembre 2013 una risoluzione in cui si afferma la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, anche quando sia ad essi sottesi una limitazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.
Si precisa come il gioco d’azzardo non sia un’attività economica <<ordinaria>> (v.: Corte di Giustizia, 22 gennaio 2015, c 463-2013 che sottolinea il carattere <<peculiare>> della disciplina dei giochi d’azzardo) e come la Commissione Europea nel 2014 sia intervenuta sul tema con la Raccomandazione del 14 luglio 2014, n. 478 sul gioco d’azzardo (on line), disponendo principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli.
Quanto al quadro normativo nazionale di riferimento l’adito Collegio di Palazzo Spada si riporta al cd. Decreto Balduzzi (D.L. n. 158/2012 conv. con mod. in L. n. 189/2012) argomentando nel senso dell’esistenza <<di un vero e proprio obbligo a porre in essere da parte dell’amministrazione, (…), interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione>>.
Si giunge così ad affermare nella sentenza in esame come legittimamente gli enti locali – nella specie il Comune e per esso il Sindaco (ex art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000) – stabiliscano fasce orarie di interruzione quotidiana dell’attività di gioco non potendosi sottacere <<la innegabile notorietà del fenomeno della diffusione della ludopatia>>.
Il Consiglio di Stato muove quindi dal presupposto per cui ragioni di contrasto al gioco d’azzardo patologico legittimano provvedimenti amministrativi restrittivi (nella specie, come visto, limitativi dell’orario di apertura delle sale giochi).
Il tema che così si pone all’attenzione dell’interprete è quello dei limiti all’esercizio di una attività economica privata giacché nel nostro Paese, se esercitata legalmente in virtù di una specifica disposizione di legge, la gestione di una casa da gioco <<rappresenta normalmente attività d’impresa>> (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 1163; Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2012, n. 16511; Cass. civ., sez. un, 6 giugno 1994, n. 5492).
Sicuramente sono ammissibili, in termini generali, diposizioni limitative dell’utilizzo degli apparecchi da gioco lecito in quanto il fatto che il regime di liberalizzazione degli orari sia oggi applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude al Comune di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica.
Tuttavia, precisa la giurisprudenza <<ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati … (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), interessi che non possono considerarsi violati aprioristicamente e senza dimostrazione alcuna>> (Consiglio di Stato, sez. V, 30 giugno 2014, n. 3272 resa in tema di limitazioni della fascia oraria di apertura dei locali autorizzati all’esercizio di giochi leciti)
Il T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, 28 marzo 2018, nn. 453 e 454 ha osservato: <<l’intervento dell’autorità in materia di apertura delle sale giochi deve contemplare un accurato bilanciamento tra valori ugualmente sensibili (il diritto alla salute e l’iniziativa economica privata), sulla scorta di approfondite indagini sulla realtà sociale della zona e sui quartieri limitrofi, con l’acquisizione di dati ed informazioni – il più possibile dettagliati ed aggiornati – su tendenze ed abitudini dei soggetti coinvolti (T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. II, 31 agosto 2012 n. 1484; T.a.r. Lazio, Latina, 16 settembre 2015, n. 616); a questo proposito, sono pertanto da ritenersi insufficienti i generici riferimenti a “non meglio specificati “studi clinici” in ordine alle dipendenze patologiche da gioco (T.a.r. Toscana, sez. II, 18 novembre 2011, n. 1784) o altri generici riferimenti>>.
In definitiva, l’esercizio di siffatto potere regolamentare può ritenersi consentito soltanto in caso di accertate esigenze delle quali sia dato compiutamente conto, non potendo fondarsi su un astratto riferimento al generale fenomeno del c.d. “gioco d’azzardo lecito” e ai suoi effetti sociali e sanitari, ovvero a prescindere da attendibili studi scientifici correlati allo specifico ambito territoriale attinto dalle misure in concreto adottate (v.: T.a.r. Marche, Ancona, 6 novembre 2015, n. 814).
Quanto, poi, alla rilevanza del fatto notorio (si è detto come la sentenza n. 4867 in esame evidenzi espressamente: <<la innegabile notorietà del fenomeno della diffusione della ludopatia>>) secondo una opzione interpretativa della giurisprudenza amministrativa non è sufficiente il riferimento <<a fatti notori>> ed <<affermazioni relative al fenomeno in generale>>, senza alcun riferimento alla <<concreta situazione locale>> (T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. II, 1 ottobre 2018, n. 930).
In conclusione, possiamo ritenere che ai fini della legittimità dei provvedimenti limitativi degli orari dei giochi leciti, nonché degli esercizi presso i quali i medesimi sono collocati:
A) sono del tutto insufficienti generiche considerazioni inerenti all’impatto economico e sociale del fenomeno ludico con vincite in denaro, ovvero riferite alla percezione della possibile dannosità del gioco da parte di alcune fasce della popolazione (T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, ord. 10 gennaio 2017, n. 6).
La giurisprudenza ha sottolineato la necessità che il potere di limitazione degli orari dell’attività di gioco (attribuito al Sindaco) sia assistito da precisi studi scientifici relativi all’ambito territoriale di riferimento (T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, 26 ottobre 2015, n. 1415);
B) devono emergere dati epidemiologici, statistici e clinici da cui poter inferire la supposta maggiore pericolosità per la salute delle persone degli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, R.D. n. 773 del 1931 (T.U.L.P.S.) rispetto agli altri servizi di gioco (T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, 26 ottobre 2015, n. 1415; T.a.r. Molise, Campobasso, sez. I, 28 aprile 2017, n. 155);
C) non sono idonee mere statistiche poste in essere dall’Azienda Sanitaria di riferimento, anche perché la stessa non coincide con lo specifico ambito comunale, dovendosi peraltro considerare l’agevole possibilità per i giocatori c.d. <<problematici>> di spostarsi in territori limitrofi dove non siano stabilite analoghe limitazioni orarie (v.: T.a.r. Lazio, Latina, sez. I, 16 settembre 2015, n. 616).
Ed allora la previsione di un regime orario deve costituire il risultato di un’eventuale differenziazione in base alle tipologie di esercizi ed alle zone del territorio di riferimento, allo scopo di effettuare un giusto bilanciamento tra le esigenze di tutela della sicurezza e della salute pubblica, da una parte, e l’interesse alla libera iniziativa economica, dall’altra (T.a.r. Marche, Ancona, sez. I, 6 novembre 2015, n. 814, cit.).
Lo stesso Consiglio di Stato, con parere 20 febbraio 2018, n. 449 – relativo ad una vicenda in cui l’Amministrazione locale aveva adottato limitazioni al funzionamento degli apparecchi da gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6, R.D. n. 773 del 1931 (T.U.L.P.S.), senza aver prima proceduto ad alcuna istruttoria – ha accolto il ricorso nella parte in cui <<lamenta il difetto di istruttoria e il conseguente vizio di carente motivazione del provvedimento gravato>>, dal momento che <<i motivi di interesse generale che consentono le limitazioni di orario in discorso non possono consistere in un’apodittica e indimostrata enunciazione, ma debbono concretarsi in ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale. (…) Sotto questo profilo risulta violato anche il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, non potendosi verificare se l’imposto limite all’attività in questione corrisponda e in quale misura a una reale esigenza di protezione degli interessi pubblici sopra richiamati>>.
Da parte sua la giurisprudenza comunitaria ha sottolineato che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo sia idoneo a giustificare quelle misure restrittive che soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (Corte di Giustizia, sez. III, 12 settembre 2013, cause riunite C – 660/11 e C – 8/12).

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