«DOMAIN NAMES», NATURA E DISCIPLINA GIURIDICA

Redazione 28/07/01
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Rosamaria Ferorelli

1.Premessa; 2. Analisi dell’essenza del «domain name» e della funzione che svolge nel web. Alcune notazioni tecniche; 3. «Domain name», semplice indirizzo o funzione distintiva? Analisi della giurisprudenza; 4. Valenza «economica» del «domain name»; 5. Il Diritto & Diritti – rivista giuridica on line «domain name» come bene giuridico; 6. Marchio, insegna, targa o testata? Il domain name come segno atipico; 7. Tutela giuridica dei «domain names». La disciplina applicabile; 8. «Domain name» e diritti altrui, le fattispecie ipotizzabili: a) nome di dominio che sia la riproduzione di un marchio registrato; b) nome di dominio che sia la riproduzione di un marchio non registrato e che possa creare confusione con l’attività di un’altro soggetto; c) nome di dominio che coincida con un nome, cognome o pseudonimo di una persona fisica; d) nome di dominio che coincida con la testata di un giornale; e) nome di dominio che sia un nome generico o descrittivo; f)nome di dominio che individui un’azienda che opera solo in rete.

1) Premessa.

L’esponenziale sviluppo della rete Internet si sta realizzando nel pressoché totale vuoto normativo, facendo sorgere nuove problematiche giuridiche. Una di queste, attualmente molto dibattuta, riguarda la tutela giuridica dei nomi di dominio (i cd.«domain names»).

L’esigenza di tale tutela deriva dalla stessa struttura di Internet che, come vedremo, esclude che possano coesistere due nomi di dominio uguali, in rete, nell’ambito di uno stesso livello (nel cd.«TLD, cioè Top Level Domain»), ponendo così evidenti premesse di contrasti al momento della registrazione del nome.

In presenza di tali conflitti sorge l’esigenza di verificare, quale sia la natura giuridica del domain name e, di conseguenza, quale sia il diritto destinato a prevalere.

Il problema finora, in assenza di precisi riferimenti normativi è stato, il più delle volte, risolto dalla giurisprudenza, mediante l’estensione alla fattispecie della normativa a tutela dei segni distintivi dell’impresa e, in particolare della legge marchi del ’42 (r.d. 21 giugno 1942, n. 929 e successive modifiche).

Il domain name svolge nel web, infatti, come vedremo in seguito, una funzione distintiva e questo lo rende idoneo a porsi in contrasto con diritti altrui riguardo a segni distintivi, al nome, e ai suoi derivati.

2. Analisi dell’essenza del «domain name» e della funzione che svolge nel web. Alcune notazioni tecniche.

Per accertare quale sia la disciplina che meglio si possa ricondurre, o estendere analogicamente, alle problematiche giuridiche sollevate dai domain names, sembra utile partire dall’individuazione della loro natura e quindi dalla loro essenza, dalla loro funzione e dall’uso che se ne è fatto.

Innanzi tutto occorre rilevare come si potrebbe essere portati a confondere il nome di dominio, con il sito sottostante, e quindi parlarsi di una sorta di diritto di proprietà sul sito – inteso come spazio nel web- derivante dalla titolarità del diritto sul nome utilizzato come dominio[1].

In realtà, il domain name non è il sito web e, prova ne è che se a seguito di una contestazione viene revocato all’assegnatario il diritto di utilizzo del nome di dominio, il sito (e anche quella serie di numeri che definiremo l’indirizzo di Internet protocol) rimane nella disponibilità di chi lo ha creato, il quale dovrà soltanto cambiare domain name.

Circa l’essenza e la funzione del domain name, da un punto di vista prettamente tecnico, esso è la trasposizione in lettere di un numero, l’indirizzo di Internet protocol (IP) che identifica in maniera univoca un computer collegato alla rete Internet.

Poiché è più facile per le persone ricordare un nome piuttosto che un numero si è pensato di operare questa conversione tra l’indirizzo numerico e quello alfabetico con il risultato che un determinato sito web sarà individuato dagli utenti Internet tramite l’uso, come chiave di ricerca, del nome di dominio.[2]

Ogni indirizzo alfabetico si compone di due parti la parte situata all’estrema destra il «cd. TLD, top level Domain», composto da due o tre lettere, che identifica l’attività svolta dal sito (com, org, edu, ecc.) oppure identifica la sua appartenenza geografica ( it., uk., fr, ecc. ), nonché la parte situata all’immediata sinistra del «top level Domain» il cd. SLD «Second Level Domain», che può essere scelto liberamente dall’utente il quale può utilizzare qualsiasi lettera o sigla purché non superi il limite di 24 caratteri complessivi.

A questo punto è possibile maggiormente chiarire l’affermazione sopra fatta circa l’impossibilità, derivante dalla stessa struttura di Internet, della coesistenza di due nomi di dominio uguali all’interno del web, chiaramente l’unicità riguarda il solo «Second Level Domain», nell’ambito dello stesso «Top Level Domain». E’ cioè tecnicamente impossibile che possano coesistere due siti denominati entrambi «www.nomemio.it» mentre potranno esistere due siti uno denominato «www.nomemio.it» e l’altro «www.nomemio.com».

Occorre sottolineare che la giurisprudenza[3] ha individuato proprio nel dominio di secondo livello, il «cuore» dell’indirizzo Internet osservando che i suffissi degli indirizzi Internet (.com, .net, .it …), hanno un valore generico e come tali non hanno un carattere sufficientemente distintivo dei siti[4].

Da quanto affermato appare evidente che il nome di dominio non possa essere considerato un semplice indirizzo di un computer collegato alla Rete in quanto esso, oltre ad individuare il luogo virtuale dove si scambiano informazioni, beni, servizi e si effettuano contrattazioni, assume anche un carattere distintivo e individualizzante. Si deve innanzi tutto osservare che una distinzione tra i siti web sarebbe impossibile se ad ognuno di essi non fosse posto un particolare segno d’identificazione ovvero il domain name.

Ma la valenza distintiva del domain name deriva anche dalla sua capacità, tipica dei segni distintivi, di rapportare l’attività (scambio d’informazioni, beni e servizi) svolta sotto quel determinato nome al titolare di quel nome, e quindi di indicare in tal modo che quell’attività svolta in quel sito, sotto quel nome, proviene dal titolare di quel nome.

3. «Domain name», semplice indirizzo o funzione distintiva? Analisi della giurisprudenza.

Quanto affermato finora trova conferma pressoché unanime nella giurisprudenza. Ultimamente si è però pronunciato in senso contrario, identificando il nome di dominio come un semplice indirizzo, il Tribunale di Firenze[5].

In tale pronuncia il giudice fiorentino, decidendo l’ormai noto caso «sabena.it» ha affermato che: «Non vi è dubbio che, in quanto genericamente attività umana, anche la produzione e presentazione di pagine o siti sul web non sfugga a regole dell’ordinamento giuridico generale, relative per es. all’ordine pubblico o al buon costume, salve, naturalmente, le enormi difficoltà di attuazione ed esecuzione di qualunque tutela, data la caratteristica costitutiva d’internazionalità della rete. Siti inneggianti al nazismo, per esempio, ben potrebbero essere considerati contrari all’ordine pubblico e conseguentemente sanzionati (…) Ma, come si vede, ne deriverebbe esclusivamente una questione di contenuti di un determinato sito web. Cosa diversa, invece, è considerare lo stesso domain name, traduzione in qualche modo testuale dell’IP number, come parte di una sfera individuale tutelabile ovvero sanzionabile e, in ogni caso, giuridicamente rilevante».

Occorre invece, a questo punto, – prosegue l’ordinanza – «domandarsi se sia forse qualcosa di più che insolito, strano, curioso o bizzarro che Registration Authority e Naming Authority, gli organismi che consentono a Internet di esistere e svilupparsi, considerino invece il domain name alla stregua di un mero indirizzo, un mero numero di telefono, sia pure tradotto in lettere alfabetiche. L’elemento funzionale, operativo, non sembra affatto poter essere semplicemente obliterato. Il domain name è l’indirizzo Internet di un computer collegato alla rete. Le pagine del sito internet prodotte dal soggetto che utilizza quel computer esporranno al pubblico l’attività di quel soggetto, offriranno i suoi servizi on line, esibiranno la sua denominazione.

Mediante il domain name solamente si raggiungerà quel sito, non diversamente, si potrebbe opinare, da quanto avviene raggiungendo un certo numero civico di una certa via per andare a trovare qualcuno o comporre un numero di telefono per parlare con una data persona».

E’ proprio qualcosa più che «insolita, strana, curiosa o bizzarra» l’idea, affermata con questa ordinanza, del domain name come un mero «indirizzo» paragonabile ad un numero di telefono privo di rilevanza giuridica. Il domain name, infatti, a differenza di una serie di numeri difficili da ricordare, permette di essere più facilmente individuati in rete e, del resto, è proprio questa la ragione per cui si è creato il sistema del domain name, cioè la trasposizione del numero di Internet protocol in una parola di senso compiuto.

Innanzitutto non si deve dimenticare che il nome di dominio non è una vera «traduzione» dell’indirizzo IP in quanto non c’è alcuna necessaria corrispondenza tra il numero assegnato e il nome utilizzato, il quale è frutto di una «liberissima» scelta.

Ma soprattutto escludere rilevanza giuridica al domain name, come si legge nell’ordinanza fiorentina, sulla base dell’affermazione che esso è solo una trasposizione in lettere alfabetiche di un indirizzo numerico non vuol dire nulla in quanto anche il logo, o il marchio non sono altro che la trasposizione in parole aventi senso compiuto, di lettere dell’alfabeto, di figure e di segni ma questo non ha impedito il riconoscimento della loro rilevanza giuridica.

In altre parole che il sistema dei domain names sia stato originariamente concepito con una funzione meramente funzionale e strumentale «come un mero indirizzo» non esclude che, a seguito dell’uso che se ne è fatto, come vedremo, esso abbia acquisito un’attitudine distintiva, la cui efficacia è direttamente proporzionale al nome scelto, e un valore economico, anche questo proporzionale al numero di «collegamenti» (accessi giornalieri) al relativo sito.

Tale tesi trova conferma in una pronuncia del Tribunale di Vicenza[6] in cui si afferma che «il principio del «first come, first served» normalmente applicato per le registrazioni dei domini è una regola di natura privatistica, priva di forza normativa, che non può prevalere sui diritti altrui., e che pertanto i provvedimenti e ancor più le «considerazioni» della Registration autohority italiana, l’ente che concede i nomi di dominio ai richiedenti, non hanno alcuna possibilità di limitare i diritti dei terzi[7]».

4. Valenza «economica» del «domain name».

Continuando ad esaminare la funzione del domain name, si può riscontrare come esso presenti una forte influenza sull’utente di Internet, il quale, in molti casi, «intuisce» il nome di dominio corrispondente ad una realtà che cerca su Internet proprio grazie al collegamento implicito e ormai diffusissimo del nome dell’impresa con l’indirizzo Internet. Un utente che, per esempio non conoscesse l’indirizzo, sul World Wide Web, del sito di una ditta, automaticamente digitando «www.nomeditta.it» il più delle volte riuscirebbe a raggiungere il sito desiderato.

Si può affermare quindi che il nome di dominio è anche un indirizzo, in quanto individua un luogo nel web, ma che a seconda del nome che si da a questo luogo il sito sarà più o meno raggiungibile e, di conseguenza, più o meno «visitato».

La scelta del nome di dominio presenta quindi anche implicazioni di natura economica. Esso non si limita al pari di un numero di telefono ad individuare un soggetto e quindi un sito web, ma svolge anche una funzione di natura pubblicitaria in quanto catalizzatore di utenti. Non si deve poi dimenticare che il più delle volte lo scopo per cui si apre un sito (sia informativo che commerciale) sia quello di avere il maggior numero di «visitatori» che, a seguito dell’accesso, sul sito stesso potranno leggere e visionare la pubblicità ospitata dal titolare della pagina web, il quale potrà vendere tali spazi a terzi facendosi forte dei dati di «spoglio» forniti dai vari «provider» o fornitori dei programmi.

Si sofferma a evidenziare l’importanza e il valore della scelta del domain name anche il Tribunale di Genova[8], pronunciandosi sul caso «Altavista».

Si trattava di un ricorso presentato da una società – la Compaq S.p.A., titolare della licenza d’uso del marchio Altavista, denominazione che rappresentava l’elemento distintivo dell’indirizzo di accesso ad un motore di ricerca dei siti Web per Internet, anch’esso denominato «Altavista.com» contro un’altra società, denominata GreenTel che utilizzava lo stesso marchio «Altavista.it» per identificare alcune pagine Web che fornivano servizi sulla rete telematica.

Il giudice genovese accogliendo il ricorso sulla base della sussistenza, nel caso in esame, della contraffazione del marchio e di un’attività di concorrenza sleale, giunge ad affermare che « motori ricerca sono realizzati da società specializzate che li inseriscono nella rete consentendone l’accesso gratuito a tutti gli utenti, l’interesse ed economico che giustifica questa operazione è rappresentato dalla vendita di spazi pubblicitari all’interno del programma: è evidente che più un motore di ricerca viene utilizzato, più esso acquisisce valore (…). Occorre ora considerare che l’accesso ai motori di ricerca avviene attraverso l’indirizzo informatico che ciascuno di essi si è scelto, in base alla semplice digitazione dell’indirizzo stesso e che il numero di utenti che visitano ogni singolo motore, e dunque il suo valore commerciale come veicolo pubblicitario, viene determinato sulla base del numero di collegamenti che si sono così realizzati in un dato periodo di riferimento».

Se pertanto, da un punto di vista tecnico, continua la pronuncia, l’utilizzo da parte della società GreenTel «della denominazione Altavista non impedisce agli utenti, anche se tratti in inganno dalla omonimia una volta avvedutisi dell’orrore di uscire dal sito Altavista.it per posizionarsi sul motore di ricerca Altavista digitando l’indirizzo www.altavista.com, ciò non è (…) circostanza di poco conto avuto riguardo alle conseguenze che l’imposizione di un simile “passaggio” determina».

Il giudice di merito quindi evidenzia che «l’induzione in errore degli utenti, realizzata attraverso lo sfruttamento della notorietà del nome Altavista (…) ha come conseguenza immediata quella di “catturare” nel sito a lei intestato utenti diretti verso il motore di ricerca omonimo, con ciò stesso realizzando la diffusione di messaggi pubblicitari contenuti nella relativa pagina ed accreditandogli presso gli operatori commerciali una potenzialità diffusiva degli stessi che altrimenti sarebbe del tutto estranea»; e quindi, conclude, affermando che in tal modo si è realizzato «un sistema che attraverso lo sfruttamento della notorietà del nome Altavista era volto ad accreditare il proprio sito quale valido veicolo pubblicitario».

Vi è quindi un interesse ad assicurarsi un nome di dominio che coincida con il proprio marchio e/o nome e che risulti perciò facilmente memorizzabile. Tale interesse implica una rilevanza economico-sociale del domain name.

A questo punto, si deve considerare che il nome di dominio soddisfa un «bisogno» dell’uomo, che è quello di distinguere o individuare i siti web, species del più generale bisogno di differenziare cose o persone.[9] In quanto strumento che permette di soddisfare tale bisogno, riprendendo la tesi espressa dal Guglielmetti[10] in materia di marchio, si può affermare che si tratti di un bene in senso economico[11], intendendo «per bene in senso economico» la cosa che presenta un valore (di uso e/o di scambio).[12]

Il domain name, infatti, come abbiamo visto, è una cosa che arreca utilità all’uomo, soddisfacendo il suo bisogno di identificazione, e in relazione a tale funzione è valutabile economicamente.

Si consideri anche che la cessione onerosa del diritto all’uso del nome di dominio è assolutamente ammissibile, e lecita[13], ciò che è vietata è tale cessione nell’ipotesi che si tratti di un domain name registrato in violazione di diritti altrui o addirittura a fini ricattatori (c.d.domain grabbing o cybersquatting).[14]

5. Il «domain name» come bene giuridico.

Riconosciuto nel domain name la qualità di bene in senso economico, si deve sottolineare che tale nozione è soggettiva in quanto fa dipendere la qualifica esclusivamente dalla valutazione di un soggetto[15] una simile nozione non può quindi essere accolta dal diritto.

Infatti, perché un bene in senso economico possa essere considerato un bene giuridico è necessario che al giudizio del singolo sull’utilità che quella «cosa» gli procura, per cui questa diventa per lui un bene, si sovrapponga la valutazione del legislatore che esaminata la funzione esercitata dalla cosa stessa, la sua idoneità a soddisfare esigenze, interessi e bisogni meritevoli di tutela, stabilisce se riconoscerle rilevanza giuridica.[16]

La funzione esercitata costituisce quindi il criterio per valutare la rilevanza giuridica di una «cosa». Occorre ora verificare se sussiste il presupposto (funzione giuridicamente rilevante) per poter considerare il domain name un bene giuridico.

Abbiamo visto che la funzione del domain name è quella di consentire l’individuazione del sito web agli utenti e nello stesso tempo di proteggere l’interesse del titolare del sito stesso dal rischio di confusione con gli altri siti, si può quindi affermare che tale funzione sia meritevole di essere riconosciuta dall’ordinamento giuridico. Infatti, in assenza di domain name il titolare del sito non potrebbe distinguere il suo spazio web da quello altrui e gli utenti si troverebbero nell’assoluta impossibilità di individuare il sito che cercano.

Concludendo si può quindi affermare che il domain name è da ritenersi un bene in senso giuridico in quanto svolge una funzione rilevante per l’ordinamento giuridico.

6. Marchio, insegna, targa o testata? Il domain name come segno atipico.

L’uso del nome di dominio, bene di rilevanza giuridica, in quanto centro di convergenza di una pluralità di interessi giuridicamente rilevanti, è pertanto l’uso di un «segno», per finalità distintive, in un nuovo ambiente «la realtà virtuale».

L’aver individuato la funzione del domain name permette di riscontrare come esso sia un segno atipico, assimilabile ad un’insegna, o meglio ad una «targa» che individua un determinato luogo –il sito web- la cui disciplina pertanto dovrà essere determinata tenuto conto delle possibili diverse destinazioni del sito (informative o commerciali) nonché della diversa natura del diritto al nome utilizzato come domain name.

Il Gastembide (Adrien Gastambide, Traite théorique et pratique des contrefaçons en tous genres, ou de la propriété en matière de littérature, théâtre, musique, peinture, dessin, gravure, dessins de manufactures, sculpture, sculptures industrielles, marques, noms, raisons commerciaux, enseignes. – Paris, Chez Legrand et Descauriet, 1837. – VIII, p.496) ci da una definizione dell’insegna che può aiutarci a capire: «nous appelons enseigne un tableau, une inscription, une décoration quelconque, placée a l’extérieur ou à la partie visible d’une maison, et ayant pour objet de distinguer cette maison aux yeux du public et par conséquent de lui en faciliter la recherche».

Anche ildomain name infatti è posto «a l’extérieur ou à la partie visible d’une “maison”» in questo caso il sito web, e assolve alla funzione di «distinguer cette maison aux yeux du public et par conséquent de lui en faciliter la recherche».

Parlo di segno distintivo «atipico» e di «targa» in quanto la disciplina dell’insegna non mi appare esaustiva in materia.
Innanzitutto per le caratteristiche stesse della rete Internet che richiede una tutela per il nome di dominio più ampia –anche geograficamente- rispetto a quella dell’insegna nel mondo reale.

Ma soprattutto perché il ricorso al concetto di «targa» può aiutare a capire meglio come, in mancanza di una norma unificante, necessariamente diversa sarà la disciplina del domain name, come è diversa la disciplina della «targa», a seconda che sia posta su un’azienda (ditta, insegna), sui prodotti o servizi di un’impresa (marchio registrato o, di fatto), sulla piastra fuori dalla porta di casa (nome) o su un giornale (testata).

L’assimilazione della natura del domain name all’insegna trova conferma in alcune pronunce della giurisprudenza vedi ad es. Tribunale di Milano[17], 10 giugno 1997. Nel caso di specie, i giudici milanesi chiamati a giudicare sulla fondatezza del ricorso proposto dalla Amadeus Marketing s.a. sotto il profilo della contraffazione del marchio Amadeus, di cui erano titolari, da parte della società Logica s.r.l. che ha utilizzato quale domain name del proprio sito Internet la denominazione «Amadeus.it» hanno affermato la non contestabilità «che il domain name assuma anche un carattere distintivo dell’utilizzatore del sito – atto a concorrere all’identificazione del medesimo e dei servizi commerciali da esso offerti al pubblico a mezzo dell’interconnessione di reti (Internet) – con qualche apparente affinità con la figura dell’insegna, in quanto il sito spesso configura, di fatto, il luogo (virtuale) ove l’imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto» giungendo così a confermare la fondatezza del domanda sussistendo la confondibilità tra la denominazione «Amadeus.it» e il marchio Amadeus di proprietà della ricorrente; nonché ultimamente vedi la pronuncia del Tribunale di Modena[18], 1 agosto 2000, in cui si afferma che «in realtà, non può seriamente dubitarsi dell’appartenenza del domain name alla categoria dei segni distintivi, di cui possiede tutte le caratteristiche peculiari, vale a dire la natura di rappresentazione grafica (nella specie denominativa) prescelta dal titolare allo scopo di far riconoscere la propria attività rispetto agli altri. Che poi, esso debba ricondursi ad una piuttosto che ad altra categoria di segni, al fine che qui occupa, poco importa (questo giudice, sia detto per inciso, propende per l’assimilazione all’insegna perché svolge l’identica funzione di contraddistinguere il luogo virtuale in cui l’imprenditore offre i propri prodotti o servizi al pubblico, consentendone al contempo il reperimento e l’individuazione rispetto ai concorrenti)».

A mio parere la mancanza di una normativa che definisca la natura giuridica del domain name, svolgendo una funzione unificante delle varie fattispecie possibili, esclude la possibilità di poterlo considerare alla stessa stregua di uno soltanto dei segni distintivi esistenti, in quanto per le sue caratteristiche, per le sue specifiche peculiarità, per le caratteristiche del mondo in cui viene ad operare, esso spesso non è sussumibile integralmente sotto un’unica figura, apparendo come un quid diverso e nuovo che necessita di un’attività interpretativa ed adeguatrice del diritto esistente.

L’impossibilità di applicare al domain name, sempre e in maniera univoca, la disciplina prevista per uno dei segni distintivi tra quelli che conosciamo, è una conseguenza del fatto che esso è un «nome» che identifica un luogo e questo «luogo», il sito web, può avere le più disparate destinazioni, escludendo pertanto la possibilità di rivolgersi esclusivamente alla disciplina del marchio o dell’insegna.[19]

7. Tutela giuridica dei «domain names». La disciplina applicabile.

Individuata la funzione che il domain name svolge nel web e la sua rilevanza giuridica in quanto centro catalizzatore di una serie di interessi meritevoli di tutela, si pone il problema di verificare le fonti e l’estensione di questa tutela.

Richiamando quanto finora abbiamo affermato si può innanzitutto osservare che poiché la registrazione di un nome di dominio comporta l’uso di un nome, conseguentemente come in qualsiasi altra fattispecie che comporti l’utilizzo di un nome, anche in questo caso non si potrà prescindere dalle norme di carattere generale.

Le regole di attribuzione di un nome di dominio su Internet (attualmente basate sul rigoroso rispetto del criterio della precedenza, senza alcun controllo di merito, in base alla regola del «first-come, first-served») infatti, non possono non inchinarsi all’ordinamento positivo. Esse non possono non conformarsi alle regole generali dell’ordinamento circa l’uso dei nomi: e così sia alle regole desumibili dagli artt. 7 e 2564 cod.civ., sia alle regole statuite in materia di segni distintivi dell’impresa nonché ai principi in tema di immagine, identità personale e diritto di autore.

In altri termini, l’esistenza di Internet non può cancellare diritti altrimenti esistenti nel nostro ordinamento ma soprattutto non può rendere lecito nella realtà virtuale ciò che fuori di essa non lo sarebbe!

Del resto è incontestabile come sia avvertita, in tutto il mondo, l’esigenza di garantire i titolari di nomi o di marchi contro le registrazioni, abusivamente effettuate da terzi, di domini web corrispondenti a tali nomi.

In tal esplicito senso è orientato il disegno di legge «Passigli» del governo italiano,[20] approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 aprile 2000, nonché l’attribuzione alla Wipo

(Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale) -per i domini non registrati in Italia cioè ad esclusione di quelli con suffisso «.it»- del ruolo di «giudice Internet» cioè di organismo chiamato a regolare i problemi di uso abusivo o a fini speculativi degli indirizzi della Rete, con un ruolo di tutela dei nomi propri, di quelli societari, dei marchi registrati, dei nomi di città e dei prodotti tipici.

8. «Domain name» e diritti altrui, le fattispecie ipotizzabili.

A questo punto occorre esaminare le varie ipotesi di conflitto che si possono verificare al momento della scelta e dell’uso di un nome come domain name:

1. nome di dominio che sia la riproduzione di un marchio registrato;

2. nome di dominio che sia la riproduzione di un marchio non registrato e che possa creare confusione con l’attività di un’altro soggetto;

3. nome di dominio che coincida con un nome, cognome o pseudonimo di una persona fisica;

4. nome di dominio che coincida con la testata di un giornale;

5. nome di dominio che sia un nome generico o descrittivo;

6. nome di dominio che individui un’azienda che opera solo in rete;

Passiamo ad esaminare le singole fattispecie.

1) Nome di dominio uguale o simile ad un marchio registrato.

In giurisprudenza la maggior parte delle pronunce riguarda le ipotesi di conflitto tra il diritto sul nome di dominio e la tutela del marchio. Tali pronunce hanno avuto origine dalla richiesta di alcune aziende di vedere tutelato il loro marchio, da loro debitamente registrato per l’utilizzo nel mondo reale, nei confronti di altri soggetti, titolari o meno di un analogo diritto, che lo avevano utilizzato come domain name nel mondo di Internet.

In presenza di tale fattispecie occorre innanzi tutto distinguere tra il considerare il nome di dominio come un marchio e l’estendere la disciplina del marchio al nome di dominio.

Spesso, infatti, in giurisprudenza queste due diverse ipotesi vengono confuse.

A mio parere il nome di dominio non può essere considerato un marchio, il marchio, infatti, è concesso, salvo determinate eccezioni, a seconda del tipo di attività dell’azienda e della sua diffusione territoriale, pertanto, salvo provare la confusorietà, ci possono essere, nel mondo reale, marchi uguali tra aziende che operino in diversi settori merceologici non concorrenziali. Situazione che, come abbiamo visto, non si può verificare in Internet, dove il domain name può essere uno, e uno solo[21].

Altro discorso è invece esaminare la possibilità di estendere la tutela del marchio al domain name nell’ipotesi che questo sia uguale ad un marchio registrato. Si tratta di accertare l’esistenza in capo al titolare di un marchio di un potere di impedire ai terzi un’utilizzazione «atipica» del marchio stesso.[22]

In materia la prevalente giurisprudenza italiana, sulla scia di quella d’oltreoceano, è favorevole a ritenere ammissibile l’estensione dello ius excludendi del titolare del marchio all’interno della rete di Internet.

Spostando l’attenzione all’interesse a protezione del quale è accordata la tutela del marchio, ossia la tutela della funzione distintiva del segno, si può riscontrare che è lo stesso interesse che viene leso dall’illegittimo uso del marchio come domain name, e che pertanto giustifica la medesima tutela.

Il problema che si pone è quindi quello di verificare se lo iux excludendi del titolare del marchio all’interno del web necessiti di una tutela più allargata e nel caso affermativo individuare le fonti su cui fondare tale tutela.

Esaminando la normativa che tutela il marchio risulta che ai sensi della lett. a), dell’art 1, 1°comma, (r.d. 21 giugno 1942, n. 929 e successive modifiche) il titolare di un marchio d’impresa registrato ha il diritto di vietare a terzi l’uso di un segno identico o simile a quello registrato per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può anche consistere in un rischio di associazione fra i due segni; e che, in base alla lett. b) dello stesso articolo, si afferma che il limite dell’identità o dell’affinità dei prodotti o dei servizi per cui il marchio viene registrato (cd. principio della relatività della tutela del marchio) viene meno qualora il marchio registrato goda di rinomanza nello Stato e se l’uso del segno senza giusto motivo consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo, dalla rinomanza del marchio o rechi pregiudizio allo stesso. Analogo regime di tutela viene, poi, previsto a favore del titolare del marchio, dall’art.13 della stessa legge, nei confronti di chi lo usi come ditta, denominazione, ragione sociale e insegna.

Applicando questi principi al mondo di Internet sembrerebbero essere pienamente lecite le registrazioni come domain names di marchi altrui se l’entità registrante opera in un settore merceologico completamente distinto da quello del titolare del marchio stesso salvo l’ipotesi di marchio rinomato.

Tuttavia tale opinione merita una più attenta rimeditazione.

Esaminando la lettera a) dell’art.1, l.m. sopra citato, si può osservare che sancisce la liceità dell’uso di un marchio identico o simile per prodotti o servizi non affini nonché per prodotti o servizi affini in assenza di qualsiasi rischio di confusione per il pubblico.

Al titolare del marchio pertanto è riconosciuto un potere di esclusiva non illimitato ma al contrario limitato e in funzione del bene che l’ordinamento mira a proteggere cioè il carattere distintivo del segno.[23] In sostanza egli non ha il monopolio assoluto del marchio, ma un diritto di esclusiva che trova il suo limite nelle ragioni stesse della sua attribuzione.[24]

Il fondamento della tutela apprestata dalla normativa a tutela del marchio è da rivenirsi, infatti, come già detto, nell’esigenza di evitare il rischio di confondibilità e di confusione per il pubblico. E nel mondo reale il rischio di confusione ovviamente non c’è tra prodotti o servizi non affini e deve essere valutato di volta in volta tra prodotti e servizi affini.[25]

Si può invece osservare che in Internet il rischio di confusione per il pubblico sussiste anche nell’ipotesi di prodotti o servizi non affini in quanto l’identità del nome a dominio con un marchio altrui è di per sé elemento di confondibilità, confusione e danno.[26] Infatti, l’utente che accedesse al sito web tramite un determinato nome di dominio, corrispondente ad un marchio altrui, verrebbe innanzi tutto tratto in errore sulla titolarità del sito, in quanto sarebbe indotto a ritenere che tra la titolarità del marchio e l’attività esercitata sotto tale nome (il sito web) esista un elemento di connessione, nonché produrrebbe un’indebita utilità al titolare di questo sito in quanto questi godrebbe di un accesso di cui non avrebbe goduto qualora non avesse quel nome di dominio.

In tal senso v. Trib. Crema,[27] 24 luglio 2000 in cui si afferma che «registrare ed utilizzare un dominio corrispondente al nome di una impresa esistente, induce automaticamente il consumatore a ritenere che a quel dominio corrisponda il «sito ufficiale» dell’impresa stessa, e che i contenuti del sito stesso siano emanazione diretta dell’impresa a cui corrisponde in nome del dominio».

E’ un po’ come se un cliente si potesse accorgere che il negozio che ha di fronte non è quello che cerca, pur avendo lo stesso nome, solo dopo esservi entrato, aver visto la merce e aver letto il depliant esplicativo, cioè solo dopo che il titolare di questo negozio abbia comunque tratto una certa utilità.

Non si deve infine dimenticare che l’’illiceità dell’utilizzo di un marchio altrui come nome di dominio, indipendentemente dal tipo di attività esercitata, affine o non affine, deriva anche dalla stessa struttura di Internet in quanto, il legittimo titolare del marchio per aprire un sito web, dovrebbe differenziare il proprio dominio dal proprio marchio, rendendosi meno raggiungibile o addirittura, irraggiungibile vista la presenza dell’altro sito che svia l’utente verso le proprie pagine.

Per tutte queste ragioni ritengo che, nell’ambito della realtà di Internet, il titolare di un marchio registrato necessiti di una più ampia tutela volta a riconoscergli uno ius excludendi non solo nei confronti di un attività affine e quindi concorrente, ma anche non affine in quanto comunque concorrente. Tale tutela allargata potrebbe fondarsi, in base alle norme vigenti, sull’art. 2598 cod. civ., che considera compimento di atti di concorrenza sleale l’uso di «nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri…».

Alla luce di quanto si è affermato a proposito della funzione giuridicamente protetta del marchio e dei limiti entro i quali esso è tutelato si può anche rispondere all’obiezione, che potrebbe essere fatta, che presupposto della tutela del marchio è che l’assegnatario sia imprenditore.[28]

Come abbiamo visto l’ampiezza della tutela accordata dall’art. 1 l.m., sopra citato, al titolare del marchio nel «mondo reale» deriva dalla considerazione che non ci sono pericoli di confusione e concorrenza, e quindi di danno, dall’uso del segno altrui da parte di chi non svolga attività di impresa. Ma nella fattispecie in esame, nell’ipotesi cioè di questo uso «atipico» del marchio, questo rischio di confusione, concorrenza e danno, come abbiamo visto, deriva dalla stessa struttura di Internet, e pertanto a mio parere, a differenza di quello che avviene al di fuori del web, non è escluso dalla natura non imprenditoriale dell’assegnatario del nome di dominio.

Anche un domain name –uguale ad un marchio registrato-apposto ad un sito di natura informativa può creare confusione, e arrecare indebiti vantaggi al suo assegnatario in danno del legittimo titolare del marchio (si pensi per es. al costo degli spazi pubblicitari determinato dal numero di visitatori del sito).

Ritengo poi che ai fini di una valutazione circa la liceità o meno dell’utilizzo «atipico» del marchio altrui non possano trascurarsi le finalità di tale utilizzo. Finalità che indirizzeranno l’interprete verso un giudizio di illiceità qualora consistano nella volontà di sfruttare l’intrinseca forza attrattiva del marchio e ciò a prescindere dalla qualifica di chi ha realizzato tale utilizzazione.

Non è di questo avviso, anche se comunque la pronuncia è limitata alla applicabilità della disciplina degli atti di concorrenza sleale per confusione ex art. 2598 cod. civ, il Tribunale di Modena.[29] Nella decisione in esame, il giudice modenese, pronunciandosi a seguito del ricorso presentato dalla società editrice de «Il Foro italiano» nei confronti di un soggetto che aveva aperto un sito che ospitava — gratuitamente — una conferenza in rete destinata ad avvocati e procuratori legali, chiamata foro.it, infatti, rigettava la domanda ex art. 2598 cod.civ., per la mancanza del presupposto soggettivo della imprenditorialità nel soggetto utilizzatore del domain name incriminato, anche se poi comunque accoglieva il ricorso sotto il diverso profilo dell’utilizzo del titolo dell’opera altrui in violazione del diritto d’autore, per la acclarata possibilità di confusione e per l’ingiustificato valore assunto dal sito del resistente, valore non avente radici nel patrimonio dello stesso, nonché per il comportamento del resistente stesso ritenuto lesivo dell’identità personale della società ricorrente (posizione soggettiva riconosciuta in questi ultimi anni anche alle persone giuridiche).

Ovviamente la fattispecie che stiamo esaminando presuppone la non titolarità del diritto sul marchio dell’assegnatario del domain name, qualora, infatti, si trattasse di conflitto tra due marchi entrambi legittimamente registrati l’unica soluzione giuridicamente possibile appare essere l’applicabilità del principio, attuato dalla Naming Autority, del «first-come, first-served» cioè una sorta di «chi prima arriva prima alloggia».[30]

Sui rapporti tra domain names e tutela del marchio vedi le pronunce del Tribunale di Verona[31] che, chiamato a decidere sulla legittimità della registrazione -effettuata da una società concorrente- come nome di dominio, del marchio «Technovideo», oggetto di preuso e in corso di registrazione, ha affermato che «ancorché possa eventualmente farsi rientrare nell’ambito dei c.d. “marchi deboli”, appare (…) dotato di sufficiente capacità distintiva» e quindi « va affermata la sussistenza del diritto della ricorrente, titolare del marchio in corso di registrazione, di reagire avverso le azioni costituenti violazione della privativa», quale, come nel caso in esame, l’uso del marchio come nome di dominio da parte di società concorrente; in termini analoghi v. Pret. Valdagno,[32] 27 maggio 1998, in cui si è affermato che «il titolare di un marchio registrato notorio ha il diritto esclusivo di servirsene nella comunicazione d’impresa e, quindi, anche in Internet all’interno di un sito o come domain name»; nonché Trib. Roma,[33]2 agosto 1997, cheoccupandosi dell’ormai celebre «caso Porta Portese», questione nella quale la ricorrente lamenta l’uso di «portaportese» come nome di dominio da parte della resistente, riconosce la potenziale efficacia confusoria che può derivare dall’identità tra marchio e nome di dominio, « anche in considerazione della sostanziale assimilabilità dei servizi resi al pubblico dalle due società». E quindi conclude che l’uso come domain name di un marchio registrato altrui è da qualificarsi come un atto di concorrenza sleale nel momento in cui i servizi siano assimilabili a quelli forniti dal titolare del marchio e siano, quindi, idonei a creare confusione tra gli utenti;

Dall’esame della giurisprudenza in materia si può osservare che si è anche affermata l’applicabilità in Internet del principio della protezione ultramerceologica nell’ipotesi dell’uso quale domain name di un marchio rinomato altrui.

In materia si è pronunciato il Tribunale di Vicenza[34] il quale risolvendo la controversia fra la casa automobilistica francese Peugeot e i proprietari della registrazione del dominio internet «Peugeot.it» ha riconosciuto che il marchio Peugeot gode di rinomanza presso il pubblico italiano, ed ha dunque diritto ad una protezione allargata, estesa oltre le classi di prodotti per i quali il marchio è stato registrato. Non ha dunque rilevanza, secondo il Tribunale, il fatto che il dominio fosse usato per beni e servizi dissimili da quelli coperti dal marchio Peugeot. Infatti, osservano i giudici vicentini, il proprietario del domino «Peugeot.it» trae dall’uso di tale nome «il vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio» mentre la casa automobilistica subisce il pregiudizio di vedere « il suo nome associato a servizi o prodotti non da lui provenienti»..

Contro l’orientamento prevalente della giurisprudenza, sopra esaminato, si è pronunciato il Tribunale di Firenze[35] imprimendo una brusca frenata a quella che appariva una corsa in discesa a favore dei titolari di marchi registrati.

Il giudice fiorentino, infatti, ha affermato la non applicabilità «alla registrazione dei domini Internet la tutela prevista dalla legge sui marchi, rilevando l’insussistenza di un principio di necessaria corrispondenza fra marchio e nome a dominio. In sostanza, la corrispondenza marchio-dominio, non è un bene assoluto, non è un valore assoluto e, soprattutto, non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento» e ha concluso che «finché Internet in Italia non è regolata, normata ed in qualche modo inclusa nell’ordinamento giuridico generale, questo Giudice è convinto che gli aspetti operativi, tecnici e logici propri del Domain name System prevalgano sull’utilità che la singola impresa può ricavare dalla corrispondenza nome-dominio; (…) Questo Giudice è convinto, in sostanza, che la funzione del Domain name System sia quella di consentire a chiunque di raggiungere una pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico-logico, non può porsi per esso un problema di violazione del marchio di impresa, della sua denominazione o dei suoi segni distintivi».

In riferimento a quest’ultima pronuncia non appare condivisibile l’assunto che un interesse, non sia meritevole di tutela, finché non sarà esplicitamente tutelato, in quanto vorrebbe dire che è l’ordinamento che trasforma un «qualcosa» di «scarsa» (!!!) utilità pratica, imparentato con l’indirizzo di casa, il numero telefonico o la targa automobilistica in un interesse meritevole di tutela.

In realtà è vero che sia l’ordinamento a selezionare gli interessi da tutelare[36] e a tutelare il bene in cui confluiscono tali interessi ma è proprio quest’assunto che ci permette di riconoscere al domain name, quale centro di convergenza di una pluralità di interessi economici e sociali, una rilevanza quale bene giuridico meritevole di tutela.

La pronuncia del giudice fiorentino appare inoltre in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento v. per es. Coviello,[37] il quale afferma che «perché un interesse si ritenga garantito dal diritto e si possa ammettere l’esistenza di un diritto soggettivo non è necessario che vi sia una norma apposita che lo riguardi e conceda la relativa azione. Basta che non vi sia nulla, né nelle norme speciali, né nel sistema generale del diritto, che osti alla tutela di «un determinato interesse» (e dei relativi regolamenti rimessi all’autonomia privata) «e che questo abbia in sé le note oggettive per essere riguardato come degno di tutela sia cioè reale, serio, morale».

2) nome di dominio uguale o simile a un marchio non registrato e pericolo di confusione.

Altra fattispecie che in materia si può verificare è la registrazione di un nome di dominio che sia la riproduzione di un marchio non registrato e che possa creare confusione con l’attività di un’altro soggetto.

Sulla «terraferma» il criterio di tutela del marchio non registrato è quello del «preuso» ex art. 9 l.m. e 2571 cod. civ. in base ai quali chi per primo ha utilizzato un marchio ha diritto a continuare ad utilizzarlo nei limiti in cui se ne era valso, anche se altri lo abbiano successivamente registrato; in tanto però è ammessa la registrazione di un marchio non registrato altrui, in quanto tale marchio non sia notorio o abbia una notorietà puramente locale. Questo vuol dire, che non è possibile registrare un marchio già ampiamente noto (art. 17 l.m.) e, che se qualcuno registra un marchio noto solo in un piccolo ambito locale, colui che lo usava in questo piccolo ambito locale può continuare ad usarlo.[38]

Richiamando quanto già affermato in precedenza circa le caratteristiche di Internet e la natura del domain name, si può ritenere che la disciplina del marchio non registrato appare pienamente estensibile analogicamente al «cybermondo». Infatti, lo stesso pericolo di confusione e di inganno per il pubblico circa l’origine dei «prodotti» contrassegnati, che può derivare al titolare di marchio di fatto dall’uso che altri ne faccia, e che costituisce il fondamento giuridico della tutela di tale marchio, si può rinvenire nella fattispecie in esame. Stessi sono i rischi, le conseguenze e i danni analoga quindi la tutela.

Si può affermare pertanto che il titolare di un diritto di preuso su un marchio di fatto avrà il diritto di escludere la registrazione di tale marchio come domain name da parte di un terzo, qualora tale marchio, sia pur non registrato, abbia acquisito una tale notorietà da porsi come elemento distintivo e caratterizzante l’attività da lui svolta, viceversa non potrà vantare alcuno ius excludendi qualora si tratti di un marchio non notorio o di fama puramente locale.

La negazione di tali diritti è da affermarsi in modo molto più cauto, come vedremo, qualora il marchio di fatto venga a coincidere con il nome, la ragione o denominazione sociale o la ditta dell’imprenditore. E’ tuttavia chiaro che in tal caso la tutela dovrebbe rinvenirsi negli artt.7, 2292, 2326, 2564 cod. civ., e l’ipotizzata lesione del diritto al marchio di fatto si risolverebbe nella lesione al diritto al nome e all’identità personale.

Un’ipotesi di domain name corrispondente ad un marchio non registrato è stata oggetto di una pronuncia del Tribunale di Modena.[39] Nel caso di specie le Poste Italiane avevano citato in giudizio un’impresa di Modena, che aveva registrato i nomi di dominio: «bancoposta.it», «raccomandata.it», e «vaglia.it», asserendo che tale registrazione costituiva attività di contraffazione e di illecita concorrenza, poichè ledeva i propri diritti sul marchio notorio «bancoposta» e sui marchi di fatto «vaglia» e «raccomandata». I giudici modenesi, pronunciandosi in sede di reclamo avverso l’ordinanza del Tribunale di Modena (Trib. Modena, 28/7/2000, inedita) che aveva rigettato la domanda cautelare proposta da Posta Italiane, affermano che «si ravvisa nella fattispecie la attribuibilità ai termini “banco posta” (…), “vaglia “, “raccomandata “, del carattere di termini: a) certamente appartenenti al lessico comune ma associati dalla generalità dei consociati a servizi svolti ed a prodotti offerti dalle poste italiane; b) normativamente disciplinanti servizi svolti e prodotti offerti dalle poste italiane” e che, per quanto si tratti di marchi non registrati «tali termini sono percepiti dalla generalità degli utenti come identificativi di prodotti e servizi forniti dalle poste italiane (…) e come tali muniti di certa ed elevata attitudine ad attirare coloro che navighino all’interno della rete Internet».

I giudici di merito quindi, qualificano tali termini come termini non nuovi, ex art.17 l.m., cioè corrispondenti ad un marchio di fatto notorio, e affermano che «l’impiego da parte del resistente dei termini in oggetto sia strumentale a “catturare” nei propri siti gli utenti che intendano viceversa mettersi in contatto con siti delle poste italiane» e che per quanto «l’utente una volta avvedutosi dell’errore ha facoltà di disconnettersi dal sito e rivolgersi altrove, nondimeno parte resistente avrà fruito di una massa di contatti nel proprio sito della quale altrimenti non avrebbe potuto giovarsi».

E concludono affermando che nella fattispecie in esame si ravvisa un’attività diretta a violare i diritti delle poste italiane sotto il profilo del pericolo di confusione generata nella generalità dei consociati, e di concorrenza sleale di cui all’art. 2598, 1° comma; v. anche la pronuncia del Tribunale di Viterbo[40] in cui però l’indebito utilizzo del marchio «Touring», in quanto idoneo a creare confusione e confondibilità con l’attività del Touring club italiano, viene affermato alla luce della normativa sul diritto di autore; vedi inoltre quanto deciso dal Tribunale di Cagliari.[41]Nel caso di specie si trattava di un conflitto tra un marchio di fatto non notorio (Andala) utilizzato anche come domain name, e un altro marchio di fatto, sorto successivamente al primo, ma di notorietà generale (Andala Umts s.p.a.). Il giudice cagliaritano innanzi tutto afferma che «l’impiego di fatto del segno distintivo si sarebbe di per sé stesso venuto a realizzare con la semplice creazione del sito internet» in quanto «deve riconoscersi che l’attivazione dell’indirizzo, o nome a dominio, ha i caratteri dell’uso della denominazione (…) e non è contestabile che lo stesso nome a dominio rappresenta un riferimento testuale che costituisce il principale elemento distintivo del sito su internet». Quindi riconoscendo che nulla osta ad ammettere la possibilità di una contemporanea esistenza «del diritto del preutente locale in un settore merceologico ben definito, e del concorrente diritto di altro utilizzatore del marchio di fatto in un diverso settore merceologico, con un marchio che, pur sorto successivamente, sia stato viceversa adoperato senza limitazioni territoriali ed abbia assunto i caratteri della notorietà generale», conclude affermando che il primo non può giovarsi del segno oltre i limiti in cui egli stesso in precedenza se ne è valso, cioè con modalità maggiormente incisive, quale è la rete Internet; in generale in materia di marchio non registrato e concorrenza vedi la pronuncia della Corte di Appello di Napoli[42] in cui si afferma che «La difesa da atti di concorrenza sleale non richiede per i segni distintivi specifica registrazione, né i requisiti necessari al marchio, con la conseguenza che la capacità distintiva del nome in materia di concorrenza sleale può risultare dall’uso continuo (…) cosicché, a seguito dell’uso protratto nel tempo, una denominazione generica dell’attività o un’indicazione descrittiva della stessa può vedere rafforzata la propria capacità distintiva, sino ad acquistare un significato secondario di segno di identificazione di una specifica attività d’impresa: il che impone una corrispondente tutela per evitare il pericolo di confusione».

3) nome di dominio che coincida con un nome, cognome o pseudonimo altrui.

Una ulteriore fattispecie che può coinvolgere la disciplina dei domain names si può presentare quando il nome di dominio venga a coincidere con un nome, cognome o pseudonimo di una persona fisica.

Riguardo a tale fattispecie, preliminarmente occorre precisare che si presuppone, perché il conflitto possa aver rilevanza, che l’assegnatario del dominio non abbia alcun diritto sul nome utilizzato. E’, infatti, evidente che non si potrà riconoscere alcun tipo diritto esclusivo ai diversi legittimi titolari di uno stesso nome, cioè ai casi di omonimia[43].

Per quanto riguarda il diritto al nome, l’art. 7 cod. civ. stabilisce che «la persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni[44]» analoga tutela è poi riconosciuta dall’art. 9 cod. civ. allo pseudonimo che abbia acquistato l’importanza del nome.

I due requisiti da analizzare sono quindi il concetto di «pregiudizio» e di «indebito».

Quanto al termine «pregiudizio» esso è volutamente generico. Il legislatore in questo modo ha voluto non limitare la tutela ad uno specifico genere di pregiudizio[45]. Il nome pertanto andrà tutelato, qualora dall’uso che altri ne faccia ne possa derivare una conseguenza pregiudizievole di qualsiasi natura morale, economica o sociale al suo titolare.

Con riferimento invece al concetto di uso «indebito» esso può intendersi, sia come uso non dovuto (ovvero uso del nome per individuare un’entità diversa dal legittimo titolare di quel nome),[46] sia come uso ingiustificato (ovvero uso non autorizzato dal titolare né dall’esistenza di un diritto in tal senso).[47] Pertanto sarà da considerarsi indebito l’uso del nome per distinguere una persona diversa dal titolare, un’entità extra personale (un’azienda, un negozio), una persona immaginaria, o una cosa.[48]

Esemplificando, tutto questo vuol dire che, fuori dal mondo di Internet, Tizio potrà citare in giudizio Caio se questi utilizza, si presenta, si firma Tizio causandogli un pregiudizio di qualsiasi natura. Il problema da affrontare è se sussiste analoga tutela nell’ipotesi in cui, per rimanere all’esempio, Caio apra un sito denominato «Tizio.it».

Occorre osservare innanzitutto che il principio alla base della tutela del diritto al nome, diritto peraltro costituzionalmente garantito, sia da rinvenirsi nell’interesse del titolare di evitare «un pregiudizio dalla perdita» e «il pregiudizio della perdita» degli estremi di qualificazione della propria individualità, a causa dell’uso che altri ne faccia.

In materia si è affermato[49] anche che, pur mantenendo «la tutela apprestata al nome dall’art. 7 c.c. esclusivamente nei limiti della funzione di identificazione della persona», un ipotesi di confusione è da individuarsi «nel caso in cui il nome venga usato per attribuire al titolare atti, attività, prestazioni od opere che egli non ha compiuto o nel caso in cui l’uso del nome sia idoneo a far credere ai terzi che dietro una determinata attività vi sia la persona che quel nome porta legittimamente». In pratica si è asserito che solo il legittimo titolare del nome può «firmare» la propria attività e conseguentemente compie usurpazione di nome chi «firma» con il nome altrui un opera propria se a seguito di ciò l’opera possa essere attribuita al titolare legittimo di quel nome.[50]

Emerge quindi chiaramente come vi siano fortissime limitazioni all’uso di un nome altrui ed, infatti, come è stato validamente sostenuto, l’ambito di tutela riconosciuto dall’art. 7 è volto a ricomprendere ogni utilizzazione del nome altrui che sia idonea ad arrecare al suo titolare un pregiudizio «non giustificato dall’esistenza in diritto positivo di una norma che protegga, anche a costo di sacrificare l’interesse tutelato (quello del titolare del diritto al nome), l’attività dell’autore della violazione».

A questo punto appare evidente che l’utilizzo di un nome altrui quale domain name sia un uso illecito non solo perché manca nel nostro ordinamento una norma che giustifichi, in presenza di una fattispecie del genere, il sacrificio del titolare del diritto al nome ma anche perché non è individuabile in tale tipo di registrazione un interesse meritevole di tutela.[51]

Può pertanto affermarsi che il titolare di un nome possa inibire ad un terzo, non avente titolo legittimo per utilizzarlo, di utilizzare tale nome come domain name quando vi abbia un interesse o da tale uso possa derivargli un pregiudizio.

D’altronde l’unico interesse che sembrerebbe sussistere in una fattispecie del genere, e che potrebbe entrare in conflitto con quello del titolare del diritto al nome (interesse, quest’ultimo, morale e patrimoniale), è quello del terzo che, nell’ipotesi di nome famoso, cercasse di trarre profitto dalla fama e dalla celebrità di tale nome, interesse (esclusivamente patrimoniale questo) che non appare assolutamente meritevole di tutela.

La sussistenza di tale tutela è evidente nell’ipotesi di uso, come domain name, di nome famoso, conosciuto, o appartenente ad un personaggio pubblico del mondo politico, dello spettacolo, imprenditoriale (si pensi per es. a «romanoprodi.it»), etc…, sia perché manca nel terzo un interesse, giuridicamente rilevante e prevalente rispetto al diritto del legittimo titolare del nome all’esclusivo sfruttamento economico del suo nome, con le modalità che ritiene più opportune, a presentarsi in Internet con il nome altrui sia perché preclude al legittimo titolare del nome di presentarsi sulla rete con la propria identità.

Per quanto riguarda il nome di una persona «comune»,[52] sia pur considerando che difficilmente la fattispecie si realizzerà, in quanto un terzo non avrebbe alcun interesse ad utilizzare come domain name un nome non famoso e diverso dal proprio, alla luce dell’art. 7 che, come abbiamo visto, ricollega la lesione del diritto al nome alla sussistenza dei requisiti «dell’uso indebito» del nome altrui e del «pregiudizio» arrecato al titolare,[53] si può affermare che anche esso andrà tutelato qualora dal suo uso come domain name, ne possa derivare una conseguenza pregiudizievole al suo titolare. Conseguenza pregiudizievole che sarà principalmente il rischio di confusione personale o meglio di confusione sulla titolarità del sito, ma potrà anche derivare dal contenuto del sito, in quanto lesivo di diritti quali onore, reputazione, decoro (si pensi a un sito pornografico).[54]

Si deve considerare, infatti, che quanto detto finora, sia riguardo al nome «famoso» che riguardo a quello «comune», prescinde dall’ipotesi che un ulteriore pregiudizio possa derivare al legittimo titolare del nome dal contenuto del sito e questo sia nell’ipotesi in cui il sito associ il nome a un contenuto tale da ledere l’onore, il prestigio, la reputazione della persona a cui appartiene, sia nell’ipotesi in cui si venga a configurare la violazione di altri diritti quali segretezza della corrispondenza, privacy, considerando che spesso un sito ha una casella di posta elettronica a cui è possibile inviare «e-mail», (cioè vere e proprie lettere), che arriverebbero ad un soggetto che non necessariamente sarebbe il legittimo destinatario di quella corrispondenza.

Non mi pare invece che sia asseribile un diritto assoluto a difendere il proprio nome «comune» dall’utilizzo che altri ne faccia come domain name in assenza di pregiudizio; ma il problema probabilmente non sussiste in quanto, nello stesso momento in cui la richiesta di tutela viene invocata, un pregiudizio si è verificato, o per lo meno viene lamentato, e il problema si sposta sulla necessità di verificare se effettivamente sussiste, e se lede un interesse meritevole di tutela.[55].

4) nome di dominio che coincida con la testata di un giornale;

Il domain name può porsi anche in conflitto con diritti d’autore. Tale fattispecie si può verificare qualora il nome scelto per identificare il sito corrisponda al titolo di un periodico.

L’art. 100 della legge 22 aprile 1941, n.633 e succ. mod. (c.d. Legge sul diritto d’autore), richiamabile in materia, prevede, al primo comma, che «Il titolo dell’opera, quando individui l’opera stessa, non può essere riprodotto sopra altra opera senza il consenso dell’autore» e, al secondo comma, che «Il divieto non si estende ad opere che siano di specie o carattere così diverso da risultare esclusa ogni possibilità di confusione».

Si deve osservare che l’art.100 appare pienamente applicabile alla fattispecie in esame. Come affermato anche dalla giurisprudenza[56] un sito di natura informativa è equiparabile ad un organo di stampa, pertanto come l’introduzione di informazioni su di esso ha natura di pubblicazione ai sensi dell’art.12 l.d.a. così il domain name, in tale fattispecie, costituisce la testata.

Appare quindi evidente ex art.100 l.d.a. il divieto di utilizzare quale nome di dominio una testata di titolarità altrui.

Considerando anche che, per quanto riguarda il secondo comma dello stesso art.100, la diversità dello strumento (cartaceo o informatico) non appare idonea a distinguere l’opera cartacea da quella informatica. Infatti, l’utente che si indirizzi ad un sito tramite un nome uguale a quello di una testata (di un giornale cartaceo) è chiaramente indotto a ritenere che tra il sito e il giornale vi sia un collegamento.

Tale tesi trova conferma anche nella giurisprudenza che più volte si è pronunciata sulla questione.

Il Tribunale di Bari,[57] ad es. chiamato a giudicare su un ricorso presentato dal titolare della testata giornalistica «Nuovo Corriere Barisera» nei confronti di altra società che aveva utilizzato il nome di dominio «barisera.it» per contrassegnare un sito/portale svolgente attività giornalistica, ha affermato che l’utilizzo da parte della resistente del domain name «”barisera.it” quale titolo (…) che contraddistingue la sua iniziativa editoriale lede il diritto esclusivo al titolo spettante alla ricorrente ed inoltre concreta un’attività concorrenziale». Il Tribunale barese quindi conclude asserendo che «l’uso della parola “barisera” da parte del resistente costituisce violazione del diritto d’autore nonché concorrenza sleale».

L’art.100 della legge sul diritto di autore è stato richiamato anche dal Tribunale di Modena.[58] Nel caso di specie però, occorre precisare, si trattava di un soggetto che aveva utilizzato il nome «Foro.it», abbreviazione del nome della nota rivista giuridica, non come domain name ma all’interno di un sito, che ospitava un gruppo di discussione in materia giuridica. Il nome «Foro.it» pertanto non era utilizzato con finalità distintive del sito il quale aveva, infatti, il domain name denominato «Iura.it».

Il giudice modenese comunque riconoscendo la violazione dell’art.100 l.d.a. e il rischio di confusione con il nome della rivista, accoglieva il ricorso affermando che «il titolo dell’opera, quando individui l’opera stessa, non può essere riprodotto sopra altra opera senza il consenso dell’autore».

5) nome di dominio che sia un nome generico o descrittivo.

Per quanto riguarda l’ipotesi di utilizzazione di un domain name costituito da un nome generico o descrittivo, non ritengo che la disciplina del marchio registrato possa essere applicata analogicamente.

La ratio del divieto sancito dall’art. 18, lett. b) l.m. di registrazione come marchio delle denominazioni generiche dei prodotti è, infatti, da ravvisarsi nella constatazione che non è possibile proteggere un segno che costituisce la denominazione generica del prodotto o che ha carattere descrittivo di tutti i prodotti che hanno quella medesima funzione, in quanto non è idoneo ad esercitare alcuna funzione distintiva.

Ed, infatti, si è osservato che anche i nomi comuni dei prodotti possono essere adottati come marchi se utilizzati per merci diverse o qualora abbiano subito alterazioni tali da consentire una loro differenziazione rispetto alla denominazione generica della merce.[59]

Sulla base della normativa a tutela dei marchi non ci sono pertanto ragioni valide per poter affermare analogicamente l’illegittimità di un tale tipo di domain name. E’, infatti, evidente il carattere distintivo che svolge un domain name costituito da un nome generico o descrittivo per il sito web corrispondente.

Affrontando la questione da un altro punto di vista si può però osservare che l’uso di una parola generica non dovrebbe poter essere oggetto di «appropriazione» in modo esclusivo, in quanto l’uso del patrimonio linguistico è un fatto naturale che non dovrebbe poter diventare oggetto di un diritto di esclusiva. Situazione questa che si verifica nella fattispecie in esame dal momento che, come abbiamo visto, non possono esistere due domain name uguali in rete.

Qualora, pertanto, la genericità del nome del sito diventi un fattore di sviamento di clientela non conforme ai principi di correttezza professionale si potrebbe affermare la possibilità di ricorrere alla disciplina della concorrenza sleale ex art. 2598 cod. civ..

Infatti, l’uso di un nome generico quale nome di dominio può avere come conseguenza che un certo numero di utenti venga indirizzato verso il sito di un concorrente, in quanto, i «motori di ricerca», conducono ai siti nei quali è presente testualmente la parola, o le parole, inserite dall’utilizzatore senza distinguere l’attività esercitata nel sito stesso.

Sulla base di tale argomentazioni ad es. Tizio, produttore di spumanti probabilmente potrebbe citare in giudizio Caio che, produttore di spumanti anch’esso, avesse registrato un domain name: «spumante.it» considerando che si tratterebbe di un comportamento ai limiti dei principi di concorrenza sleale che verrebbe a costituire una ingiustificata posizione di vantaggio.

In assenza però di una norma specifica non rinvengo un principio generale in base al quale poter affermare in ogni caso l’abusività di un tale tipo di registrazione.[60]

Sull’argomento, vedi Mayr, in A.I.D.A., 1996, 223, I «domain names» ed i diritti sui segni distintivi: una coesistenza problematica, il quale afferma che «la disciplina della concorrenza si presenta peraltro decisiva ove l’inserimento della denominazione generica nel domain name possa dar vita ad un’indicazione in veritiera».

6) nome di dominio che individui un azienda attiva solo in rete.

Per quanto riguarda l’ultima fattispecie da esaminare, cioè l’ipotesi che il nome di dominio individui un azienda che opera solo in rete, si tratta di rovesciare il punto di analisi. Finora si è partiti dal mondo reale e si è analizzato quali diritti di tale mondo sono «trasportabili» in Internet, ora si tratta di partire dal «cybermondo» e verificare se i soggetti che vi abitano abbiano diritti o se anche questi siano solo «virtuali».

La già asserita natura di segno atipico del domain name permette di affermare che esso necessiti di essere tutelato nei confronti degli altri segni distintivi.

In proposito si possono richiamare gli artt. 9, 11 e 17, comma 1°, lett. b ) e c), l.m..

Esaminando tali norme si può osservare che esse vietano la registrazione di un marchio che sia «identico o simile ad un segno già noto come marchio o segno distintivo di prodotti o servizi fabbricati, messi in commercio o prestati da altri» ovvero che sia «identico o simile ad un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale e insegna adottato da altri» qualora «dall’identità o somiglianza tra i segni e dall’identità o affinità tra i prodotti o i servizi» ovvero qualora «dall’identità o affinità tra l’attività d’impresa da questi esercitata ed i prodotti e servizi per i quali il marchio è registrato» possa determinarsi «un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni».

Da tali norme si può quindi ricavare una tutela del domain name nell’ipotesi che rivesta tanto la qualifica di marchio di fatto quanto quella di ditta, denominazione o insegna.

Tralasciando, in quanto già ampiamente trattato, il problema circa la necessità di adeguare la nozione di affinità e confusione alle caratteristiche del web, preme qui analizzare il concetto di domain name «noto».

Effettivamente visto l’ambito di operatività mondiale di Internet si potrebbe arrivare ad affermare che ogni nome di dominio è «noto» in quanto è diffuso in tutto il mondo. In realtà sembra più giusto, e coerente con la ratio dell’articolo esaminato, distinguere tra diffusione e notorietà in quanto, se la diffusione mondiale della rete rende il domain name potenzialmente conoscibile in tutto il mondo, questo non significa che esso sia effettivamente noto.

Pertanto il parametro per accertare la notorietà del domain name dovrà essere individuato, prescindendo dalle caratteristiche del web, sulla base della notorietà del sito che quel nome individua, cioè sulla base del grado di associazione, tra domain name e «prodotto» sottostante, che quel nome riveste per gli utenti.[61]

Si può peraltro osservare che il domain name quando identifica un azienda esclusivamente virtuale è spesso impiegato, anche al di fuori di Internet, per fini commerciali, ad esempio come strumento pubblicitario svolgendo le funzioni, qualora ovviamente non sia stato registrato, di una sorta di marchio di fatto.

In tale caso ritengo che si possa riconoscere all’assegnatario di domain name una posizione analoga a quella spettante al titolare di un marchio non registrato e quindi un diritto di preuso ex artt. 2571 cod. civ. e 9 l.m.. Diritto che si atteggerà diversamente a seconda della notorietà o meno del domain name.

Nell’ipotesi di domain name notorio l’assegnatario, infatti, potrà inibire ai terzi l’utilizzo nel web di nomi di dominio simili determinanti pericolo di confondibilità e sviamento di utenti, nonché impedire, fuori dal web, l’uso di un nome uguale o simile al proprio domain name, e tale da indurre confusione in quanto identificativo di un attività, di prodotti o di servizi uguali o affini a quelli da lui effettuati in rete.[62]

In presenza di un nome di dominio non notorio o di notorietà puramente locale egli invece potrà solo proseguire nell’uso di tale segno nei limiti in cui se ne è valso, ovvero della diffusione in rete.[63]

Rosamaria Ferorelli

Cultrice della materia in Diritto Privato

Università degli Studi di Bari

mailto:avv.ferorelli@libero.it

[1] Sui mezzi di informazione per es. v. Gerino (in La Repubblica, 4 marzo 2000, 38 «La tua casa sul “web” può essere rapita…»), riportando la notizia dell’iniziativa di un imprenditore privato che ha registrato a proprio nome oltre cinquecentomila domini «.it» si sottintende che l’utilizzo di un nome altrui come dominio sia una sorta di «spossessamento» di uno spazio.

[2] Sulle regole di «naming» italiane cfr. PASCUZZI, Ancora novità sul fronte dei nomi di dominio in Internet, in Foro it., 2000, I, 2335 ss..

[3] V. Trib. Milano 10 giugno 1997, in Foro it. 1998, I, 923, relativamente al nome di dominio «amadeus.it». Il Tribunale milanese afferma che «è fuori discussione che nella denominazione (domain name) adottata dalla convenuta il «cuore» del segno non può che essere individuato proprio nel nome “amadeus” oggetto della privativa attorea».

[4] Ad es. si pensi all’indirizzo «www.fiat.it» è di tutta evidenza come sia effettivamente il «second level domain», cioè il nome «fiat», a costituire l’effettiva denominazione del sito.

[5] v. Trib. Firenze, 29 giugno 2000, in Il diritto industriale, 2000, n.4, p. 331 con nota di BELLOMUNNO, nonché su: http://space.tin.it/associazioni/stcerut/Sabena.htm

[6] Vedi Trib. Vicenza, 6 luglio 1998, in AIDA, 1999, 526 ss. con nota di QUINTINI.

[7] Si consideri inoltre che secondo l’art. 16.6 delle vigenti regole di naming italiane (v. http://www.nic.it/NA/regole-naming-v331.txt) in caso di contestazione il nome di dominio viene trasferito dal resistente al ricorrente all’esito di una specifica procedura se quest’ultimo provi (a) che esso è identico o tale da indurre confusione rispetto ad un marchio su cui egli vanta diritti, o al proprio nome, (b) che l’attuale assegnatario non ha alcun diritto o titolo in relazione al nome a dominio contestato; ed infine (c) che il nome a dominio sia stato registrato e venga usato in mala fede.

[8] Trib. Genova, ord. 13 ottobre 1999, e 16 luglio 1999, in Dir. Inf. Informat., 2000, p. 346 ss. con nota di D’ARRIGO La contraffazione del «marchio virtuale»: il caso Altavista.

[9] Vedi GUGLIELMETTI, Il marchio oggetto e contenuto, Milano, 1968, p.105, il quale sottolinea come «l’individuo, nella sua vita di relazione, sente l’esigenza di distinguere tra loro non solo le persone, ma anche le cose, al fine di conoscere la realtà che lo circonda. E’ questo un bisogno insopprimibile».

[10] Vedi GUGLIELMETTI, op. cit

[11] Occorre peraltro rilevare che l’elemento dell’economicità non è decisivo al fine della costruzione di una nozione di bene in senso giuridico cfr. PUGLIATTI Gli istituti del diritto civile, Milano, vol. I., p.299.

[12] Vedi TORRENTE, SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1995, pag. 109 ss.

[13] Si deve ricordare infatti che dal 15 agosto 2000 la «Naming Autority» che regola l’assegnazione dei nomi ha varato nuove regole che permettendo il trasferimento consensuale del nome di dominio da un assegnatario ad un altro.

[14] Quasi letteralmente «scippo del dominio» e «occupazione del dominio», un’attività solitamente posta in essere da parte di soggetti che acquistano l’utilizzo di un nome (in violazione di diritti altrui) al solo fine di rivenderlo a caro prezzo.

[15] Vedi PINO, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. trim.dir. proc.civ., 1948, 833.

[16] Sul concetto di bene in senso giuridico vedi M. COSTANTINO, Beni in generale, in Trattato di Diritto privato diretto da P. Rescigno, Utet, in corso di pubblicazione.

[17] Trib. di Milano, ord., 10 giugno 1997, in Giur. It., 1997, I, 2, 697 ss., con nota di L. PEYRON, Nomi a dominio e proprietà intellettuale: un tentativo di conciliazione, e Foro it., 1998, I, 923, con nota di N. COSENTINO.

[18] Trib. Modena, 1 agosto 2000, inedita, è disponibile: http://www.patnet.it.

[19] In proposito si è validamente osservato vedi FAZZINI, Il diritto dei marchi nell’universo di Internet, in AIDA, 1998, 594) che «A ben vedere una volta che si attribuisca al nome di dominio la natura di segno distintivo, la riconduzione all’una o all’altra figura tipica, oppure a figure innominate, potrà tutt’al più incidere sull’estensione di una tutela che comunque in astratto dovrà essere riconosciuta»

[20] Disegno di legge Passigli, n. 4594 del 12.04.2000.Art. 1 (Utilizzazione dei nomi a dominio)

1.Per l’identificazione di domini è vietata, a chi non ne è titolare o non ne può disporre col consenso scritto di quest’ultimo, l’utilizzazione di:

a) nomi identici o simili a quelli che identificano persone fisiche, persone giuridiche o altre organizzazioni di beni o persone;

b) nomi identici o simili a marchi d’impresa o altri segni distintivi dell’impresa o di opere dell’ingegno;

c) nomi che identificano istituzioni o cariche pubbliche, enti pubblici o località geografiche;

d) nomi di genere, quando sono utilizzati per trarne profitto, tramite cessione, o per recare un danno;

e) nomi tali da creare confusione o risultare ingannevoli, anche attraverso l’utilizzazione di lingue diverse dall’italiano.

2. Fermo restando ogni altro effetto previsto dalle normative che tutelano i predetti nomi e segni, anche con riferimento al trattamento dei dati personali, l’utilizzazione dei nomi e dei segni distintivi di cui al comma 1 costituisce uso indebito di questi ultimi ai fini dell’ordine di cessazione dell’uso stesso e comporta il risarcimento del danno, nella misura minima di 30.000 euro. La sentenza che accerta l’illecito o quantifica il danno ordina la cancellazione del nome dall’Anagrafe di cui all’articolo 2, ove non già disposta dall’Anagrafe medesima. Gli atti dispositivi, posti in essere in contrasto, anche indirettamente, con il divieto di cui al comma 1, sono nulli di diritto.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano alla registrazione identificativa di domini Internet o servizi in rete ovunque ottenuti.

Art. 2 (Anagrafe nazionale dei nomi a dominio)

È istituita l’Anagrafe nazionale dei nomi a dominio. Detta Anagrafe opera presso l’Istituto per le applicazioni telematiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche, salve successive disposizioni sull’organizzazione dell’ente adottate in base alla normativa vigente.

1. La registrazione nell’Anagrafe nazionale dei nomi a dominio è effettuata con le modalità indicate dall’Anagrafe stessa nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 1. Alla registrazione si provvede, previa dichiarazione dell’insussistenza di preclusioni ed accettazione da parte del richiedente di una procedura di conciliazione, gestita dall’Anagrafe medesima, per la risoluzione delle eventuali controversie. La registrazione si perfeziona con la comunicazione all’interessato dell’attribuzione del nome di identificazione del dominio. In sede di prima applicazione, e salvo quanto previsto dal comma 3, sono inseriti nell’anagrafe nazionale i nomi identificativi di dominio già registrati alla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Ove emerga, anche in occasione della richiesta di registrazione di nome già registrato a favore di altro titolare, la non conformità della precedente registrazione alle disposizioni di cui alla presente legge, l’Anagrafe ne dispone la cancellazione ancorché antecedente alla data di entrata in vigore della legge medesima.

3. È comunque disposta la cancellazione del nome a dominio registrato presso l’Anagrafe di cui al comma 1, trascorsi 90 giorni dalla data della registrazione senza che ne sia seguita l’effettiva utilizzazione.

4. I ricorsi avverso il rifiuto o l’omissione di registrazione o contro gli atti dell’Anagrafe che, comunque, incidono sugli effetti della registrazione medesima rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Essi devono essere proposti davanti al tribunale amministrativo della regione ove l’Anagrafe ha sede.

[21] Un esempio pratico di tale assunto si può riscontrare per es. nel caso della casa automobilistica Ferrari, «ferrari.it» e dello spumante Ferrari il quale probabilmente, non essendoci alcuna possibilità di contestazione, utilizzando entrambi a buon diritto nel mondo reale il marchio Ferrari, ha ripiegato su un molto più anonimo –sulla legittimità dell’uso di un nome generico quale domain name si dirà in seguito- «spumante.it».

[22] Si deve osservare, infatti, che il diritto di esclusiva riconosciuto al titolare del marchio è variamente tutelato in vista del soddisfacimento di interessi concorrenti. Cfr.VANZETTI, Equilibrio di interessi e diritto al marchio, in Riv. dir. comm., 1960, I, 254 ss., il quale ha analizzato i diversi interessi che concorrono con quello del titolare del marchio: interesse dei consumatori, dei concorrenti e della collettività.

[23] Sulla ratio della non assolutezza dei segni distintivi v.LEONINI, Marchi famosi e marchi evocativi, Milano, 1991, 20 ss. che offre indirettamente e a contrario degli spunti per la teoria del riconoscimento di una tutela allargata del marchio nel mondo virtuale. L’autore sottolinea infatti che «le limitazioni della tutela trovano il loro fondamento razionale nel fatto che i segni distintivi non sono tutelati per un ipotetico valore intrinseco da essi posseduto o per la mera scelta di essi da parte di un soggetto, ma esclusivamente perché costituiscono uno strumento di identificazione indispensabile per il corretto funzionamento di un sistema economico concorrenziale: è pertanto sufficiente che essi siano protetti nei limiti necessari al libero esplicarsi di questa funzione. Si comprende perciò come, fin dall’origine, in mancanza di un concreto interesse, non solo collettivo ma neppure del titolare, ad una tutela assoluta del segno, ed in presenza di un interesse contrario dei terzi, si sia naturalmente affermata l’opinione che il diritto sui segni distintivi sia e debba essere relativo, limitato. Occorre infatti ricordare che nel secolo scorso i marchi e le ditte costituiti dal cognome dell’imprenditore erano assai frequenti, ancor più di oggi, e che un diritto assoluto sui segni distintivi avrebbe ingiustificatamente sacrificato il diritto degli omonimi ad utilizzare anch’essi il proprio cognome in attività o in zone geografiche differenti, nelle quali l’uso non sarebbe stato idoneo a causare possibilità alcuna di confusione tra le rispettive attività, i locali, i prodotti».

[24] In generale sulla funzione del marchio cfr. anche AGHINA, L’utilizzazione atipica del marchio altrui, Milano, 1971, p.42 ss.

[25] Circa il giudizio di confondibilità v. peraltro Trib. Milano, 6 novembre 1978, in Giur. ann. Dir. ind., 1978, 1093, 675 ss., in cui si afferma che «il giudizio di affinità non dovrà essere effettuato secondo un criterio astratto di valutazione, (…) ma dovrà adeguarsi al contesto concreto in cui i consumatori percepiscono il marchio, e corrispondere ad una realtà entro la quale anche la maggiore o minore rinomanza del segno distintivo, il modo in cui esso è stato utilizzato, i comportamenti imprenditoriali normalmente seguiti nell’ambito delle imprese cui appartiene quella titolare del marchio possono influenzare la opinione del pubblico circa l’imputabilità dei prodotti ad una determinata fonte produttiva».

[26] Vedi A. PALAZZOLO, «Il domain name» in Nuova giur. civ. comm., p.167, II, 2000, il quale afferma che nello specifico contesto di Internet, il giudizio di confondibilità assume dei connotati peculiari. L’autore sottolinea infatti che se «Il generale giudizio di confondibilità è comparativo, e fortemente condizionato da una molteplicità di fattori, che vanno dalla natura dei prodotti e dei servizi contrassegnati al contesto ambientale nel quale la contraffazione si svolge»., e che se normalmente « tale giudizio deve a)essere globale-sintetico; b) svolgersi nel rispetto –marchi rinomati a parte – del principio della relatività della tutela dei segni distintivi(…); c) tenere in considerazione il grado di discernimento del consumatore medio coinvolto», nel contesto di Internet ci sono delle peculiarità che «riguardano appunto questi tre aspetti».

[27] Inedita, è disponibile su: «www.altalex.it», 3.10.2000, «Uso di domain name di azienda concorrente e redirect».

[28] Sulla legittimazione passiva dell’azione di contraffazione di marchio e concorrenza sleale cfr. tra gli altri FRANCESCHELLI, L’esistenza di una situazione di concorrenza in senso economico come presupposto della concorrenza sleale, in Riv. dir. ind., 1958, II, 29;FERRARA JR., La teoria giuridica dell’azienda, Firenze, 1948, p.294 ss..

[29] Trib. Modena, 23 ottobre 1996, in Foro it., 1997, I, 2316, con nota di Cosentino.

[30] Da un punto di vista pratico sarebbe auspicabile la predisposizione di una pagina portale comune che eviterebbe le difficoltà per gli utenti di raggiungere il sito il cui dominio è stato successivamente registrato e che quindi ha dovuto differenziarsi dal primo.

[31] Trib. Verona, 25 maggio 1999 e 14 luglio 1999, in Riv. Dir. Ind., 2000, II, p. 162 ss. e Foro it., 2000, I, 2334.

[32] Pret. Valdagno, 27 maggio 1998, in Giur.it., 1998, 1875.

[33] Trib. Roma, 2 agosto 1997, in Foro.it, 1998, I, 923. Vedi anche Trib. Napoli, 24 maggio 1999, in Arch. Civ., 2000, 79.

[34] Trib. Vicenza, 6 luglio 1998, in AIDA, 1999, 526 ss. con nota di QUINTINI.

[35] Trib. Firenze, ord., 29 giugno 2000, cit..

[36] Sul concetto di bene in senso giuridico vedi M. COSTANTINO, Beni in generale, in Trattato di Diritto privato diretto da P. Rescigno, Utet, in corso di pubblicazione.

[37] COVIELLO in Diritto Civile Italiano, Milano, 1924, p.19.

[38] Sull’argomento vedi MANGINI, Il marchio non registrato, Padova, 1964, 21 ss..

[39] Trib.Modena, 23 agosto 2000, inedita, disponibile su «www.Patnet.it».

[40] Trib Viterbo, 24 gennaio 2000, in Foro.it., 2000, I, 2334.

[41] Trib. Cagliari, 12 aprile 2000 e 23 dicembre2000 , inedite, vedi: http://www.altalex.it/index.php3.

[42] A. Napoli, 23 marzo1989, in Giur. dir. ind., 1989, 317.

[43] Si veda ad es. sulla rivista Quattroruote, quanto sta accadendo riguardo al domain name: «nissan.com» (vedi sul sito http://www.quattroruote.it/news/news/singola_news.cfm?CodNews=2345). Si tratta, si legge, di « Una lotta, una sfida che dura da oltre sei anni e che vede, l’uno contro l’altro, Uzi Nissan, cittadino americano di origine israeliana, e la Casa giapponese, fra i principali produttori automobilistici del mondo. Motivo del contendere, un sito Internet: è dal 1994 che il signor Nissan, titolare di una software house, ha registrato il dominio www.nissan.com. Ovvio che l’indirizzo faccia gola al costruttore nipponico, che sinora ha dovuto ripiegare sul meno immediato www.nissandriven.com. Sinora, comunque, la bilancia sembra pendere dalla parte del più debole: il signor Nissan è già arrivato alla quarta pronuncia favorevole da parte di un tribunale. Ma la Casa non sembra intenzionata a mollare».

[44] Sul contenuto del diritto al nome riconosciuto dall’art.7 cod.civ. v. tra gli altri DE CUPIS, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Mengoni, Milano 1982, p.541, NUZZO voce Nome, b) diritto vigente, in Encicl. Dir., vol.XXVIII, Milano, 1978, p.307, i quali affermano, sia pure con argomentazioni differenti , che si ha lesione di tale diritto anche quando il nome viene utilizzato per designare un’entità extra personale.

[45] Osserva DE CUPIS, op. cit., p. 542, che «l’art.7 cod. civ., mentre richiede che l’indebito uso dell’altrui nome possa produrre un pregiudizio, non limita il pregiudizio medesimo alla confusione personale o familiare. Può verificarsi(…) che l’uso del nome altrui determini una confusione racchiudente un pregiudizio così per l’identità come per la dignità della persona cui il nome spetta. Ma può avvenire anche che tale uso, pur non determinando alcuna confusione, sia atto a pregiudicare semplicemente la dignità (onore) della persona: anche allora, riscontrandosi comunque la possibilità di un pregiudizio, è esperibile l’azione per usurpazione di nome».

[46] In tal senso SORDELLI, Diritto al nome e personaggio di fantasia, in Foro pad., 1956, I, 1407 ss..

[47] In questo senso v. CAPIZZANO, La tutela del diritto al nome civile, , in Riv. dir. comm., 1962, I, 249 ss..

[48] Sulla questione in particolare vedi SANTINI , I diritti della personalità nel diritto industriale, Padova, 1959, p.156 ss., nonché DE CUPIS, op. cit., p. 542 ss..

[49] Vedi LEONINI, Marchi famosi e marchi evocativi, Milano, 1991, p. 335 ss..

[50] Vedi anche DE CUPIS, op. cit., p. 541 ss, il quale afferma che« se l’altrui nome è usato per designare un’azienda, un ne­gozio (…), esso può sembrare, di riflesso, essere anche il nome per­sonale del titolare dell’azienda, del negozio (…), così da verificarsi una confusione delle persone (…) in questi casi, è in questione proprio il bene dell’identità personale, e quindi il titolare del nome può certamente promuovere l’azione per usurpazione di nome (…)». Analogamente se l’altrui nome personale viene usato come marchio, si può ingenerare « nel pubblico l’opinione che il nome usato come marchio designi la persona del produttore: si verifica, allora, una confusione personale ».

[51] Vedi, sia pure in materia di registrazione di nome altrui come marchio, LEONINI, op. cit., p.341 ss..

[52] Anche se si tratta di pronuncia in tema di marchi, per alcuni spunti vedi Trib. Torino, 5 marzo 1998 in Riv. Dir. ind., 1999, II,477, in cui si afferma che «nella valutazione dell’uso lesivo del marchio non deve incidere la mancanza di notorietà del ricorrente», infatti «se, da un lato, l’eventuale notorietà del titolare del nome costituisce una sicura amplificazione del pregiudizio (…) dall’altro non si può fare a meno di rilevare che l’art. 21 l.m. non fa distinzione alcuna».

[53] In proposito vedi nota 41.

[54] Nonché nell’ipotesi che il titolare del diritto al nome svolga un’attività simile o affine a quella dell’assegnatario del domain name per l’evidente rischio di confusione agli utenti che questo determinerebbe, in quanto sarebbero indotti a collegare l’attività che si svolge sotto quel domain name al titolare di quel nome.

[55] Sul punto, anche se nel caso di specie non si trattava di un sito Internet, bensì del nome di un apparecchio telefonico, v. Trib. Torino, 5 marzo 1998 (in Riv. Dir. ind., 1999, II,477), in cui un tale, chiamato Fido, aveva citato in giudizio la Telecom per la campagna del noto telefono di tipo DECT [Fido], sostenendo la prevalenza del diritto al nome su quello all’uso del marchio. Il Tribunale rigettava la domanda.

[56] Vedi ad es. Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in Responsabilità civile e previdenza, 1998, 173, nonché Trib.Viterbo, cit..

[57] Trib. di Bari, 12 giugno 2000, inedita. Vedi anche Trib. Macerata, 2 dicembre 1998, in Dir. ind., 1999, p.35 ss. con nota di QUARANTA.

[58] V. Trib. Modena, 23 ottobre 1996, citata, con nota di FRASSI, il quale peraltro non osserva che in tale ipotesi non si trattava di conflitto di un nome di dominio con un marchio.

[59] In proposito vedi GUGLIELMETTI, Il marchio oggetto e contenuto, Milano, 1968, p. 17 ss..

[60] In tal senso v. Cass. 12 gennaio 1984, Giur. dir. ind., 1984, 12.

[61] Sull’argomento vedi PALAZZOLO, op. cit., p. 175 in cui si ipotizzano altri criteri di valutazione.

[62] Un caso pratico di questo genere si è verificato ultimamente negli Stati Uniti dove «Yahoo», il più grande portale Internet del mondo, ha dovuto lottare in sede legale per difendersi da falsi siti che usavano il suo nome in modo fraudolento e confusorio. I siti che erano stati aperti utilizzavano domain names quali «yahoochat.com», «yahoologins.com», «yahoomessenger.com» manifestamente simili al domain name «Yahoo.com», la W.i.p.o pertanto ha dichiarato la loro idoneità a creare confusione agli utenti dando ragione all’attore.

[63] Diffusione in rete che sarà comunque limitata nell’ambito del TLDN in cui già operava.

Redazione

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