Contratto a forma scritta ad probationem: l’inammissibilità della prova per testi non può essere rilevata d’ufficio

Redazione 04/09/20
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1.- Documento e documentazione.

In senso lato, il documento si può identificare in “qualcosa che fa conoscere qualcos’altro”[1]. Da tale comune nozione va distinta quella giuridica, che qualifica il documento come lo “strumento che consente la formulazione di un giudizio circa l’esistenza di un fatto o atto, nonché la possibilità di sussumere il fatto o atto sotto una fattispecie normativa”[2]. La capacità di rappresentare non è, peraltro, da confondere con la somiglianza: solo la prima è attribuita ad una cosa dalla volontà dell’uomo, poiché non esistono documenti naturali[3]. Si è affermato, che la capacità rappresentativa del documento “non è nei segni, ma in chi intende il significato dei segni”[4]. Sebbene l’ermeneutica sia una momento fondamentale nella definizione dei lineamenti del fatto rappresentato, è da rilevare che solo la lettura del documento e l’interpretazione del suo contenuto dipendono dalle qualità intellettuali del soggetto, che intende avvalersene, e non anche l’esistenza del documento medesimo, che viene alla vita e permane nel mondo giuridico con certe caratteristiche, a prescindere dalle capacità di chi se ne serva[5]. L’attività di interpretazione del documento deve essere tenuta distinta da quella di valutazione delle prove. Mentre quest’ultima risulta incensurabile, se è stato correttamente motivato il giudizio circa la rilevanza dei singoli mezzi di prova[6], la prima è sempre sottoponibile a controllo del giudice di legittimità sotto il profilo del rispetto delle norme sull’ermeneutica e non viene meno neanche quando la legge prevede una efficacia probatoria predeterminata[7].

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La rilevanza giuridica di un documento può sussistere nel momento stesso della sua formazione oppure può sopravvenire, poiché essa non attiene alla struttura del documento medesimo, bensì alla sua funzione, e può, quindi, essere anche attribuita ex post[8]. Occorre, comunque, distinguere tra documenti creati a seguito di specifica attività di documentazione e quelli venuti ad esistenza per fini diversi, che acquistano la funzione di documento solo in singole ipotesi. Nel primo caso, la res in cui l’atto o il fatto sono stati incorporati è, in ogni modo, qualificabile come documento, a prescindere da un eventuale uso processuale, mentre nella seconda ipotesi la cosa diventa documento in senso giuridico soltanto nel momento in cui viene posta in relazione al thema probandum[9].

I documenti vengono tradizionalmente divisi in due categorie: indiretti e diretti. La rappresentazione degli atti o fatti documentati, nei primi passa attraverso il filtro della mente umana (es. scrittura privata), mentre nei secondi si ottiene immediatamente (es. fotografia)[10].

In relazione al documento sono da distinguere: materia, mezzo e contenuto.

La materia costituisce la res sulla quale un soggetto giuridico imprime segni o tracce, che in un momento successivo saranno in grado di rappresentare un atto o fatto. Il mezzo può essere considerato sotto un duplice profilo: come modo di comunicare, ed allora può essere verbale (testo scritto) o figurativo (immagine), ovvero come strumento con cui imprimere i segni rappresentativi, ed allora può essere dei più vari (penna, matita etc.). Relativamente al contenuto, è da rilevare che tra i fatti documentabili assumono grande rilevanza le dichiarazioni del documentatore[11]. Ciò ha indotto la dottrina a distinguere i documenti in due grandi categorie: dichiarativi (rappresentativi di quel particolare fatto che è una dichiarazione, proveniente da chi ha formato il documento stesso emettendola) e narrativi (o non dichiarativi, e cioè tutti i documenti che non contengono dichiarazioni, ma soltanto l’esposizione di un accadimento). I documenti dichiarativi si distinguono a loro volta in testimoniali e dispositivi (questi ultimi vanno dai negozi giuridici ai provvedimenti giudiziari).

In relazione ai documenti dichiarativi, è particolarmente evidente la costante tendenza a confondere nella pratica il documento con la documentazione e, quindi, i profili probatori con quelli negoziali. Tanto è grave tale difficoltà che lo stesso legislatore ha confuso l’atto con il documento, quando ha parlato nell’art.2699 c.c. di “atto pubblico”, invece che di “documento pubblico”. Bisogna avere ben chiaro, che “lo scrivere è un atto, mentre lo scritto è una cosa”[12], lo scrivere è la forma di una dichiarazione, mentre lo scritto è il documento della dichiarazione: “L’evitar la confusione tra i due termini è una vera necessità logica, poiché la dichiarazione (negozio) è un atto, il documento è un oggetto … il requisito formale della dichiarazione non è punto il documento, ma la formazione del documento; in altri termini ciò che importa per la forma è lo scrivere (atto), ciò che importa per la prova è lo scritto (oggetto)”[13] . Così, mentre il documento è una cosa corporale in grado di ricevere, conservare e trasmettere la rappresentazione di un fatto giuridico, la documentazione è l’attività del rappresentare, cioè l’operazione necessaria per creare il documento, l’attività attraverso la quale si manifesta un atto di volontà. Essa può essere svolta da notai o da altri pubblici ufficiali autorizzati ad attribuire pubblica fede al documento (che in tal caso è sempre eterografo, cioè formato da un soggetto diverso dall’autore) oppure direttamente dai privati (il documento in tale ipotesi può essere autografo, cioè formato dall’autore, o eterografo).

In buona sostanza, mentre la documentazione attiene al momento della formazione di un atto, o più in generale al momento in cui si verifica l’accadimento di cui si vuole offrire una rappresentazione a futura memoria, il documento è la prova del fatto rappresentato, è cioè il risultato dell’attività di documentazione.

L’importanza attribuita dal legislatore alla documentazione ed al documento è di palmare evidenza nei casi in cui la legge subordina alla formazione di un documento scritto la validità di un atto giuridico (art.1350 c.c.) ovvero la prova dell’esistenza dell’atto medesimo (artt.1888, 1928, 1967, 2556 c.c.)[14]. Tali diverse finalità vengono tradizionalmente indicate distinguendo due tipi di forma: forma scritta ad substantiam[15], elemento necessario per la produzione degli effetti giuridici di determinati atti[16], e forma scritta ad probationem, non appartenente alla disciplina sostanziale dell’atto, ma oggetto di norme aventi rilevanza processuale, in quanto dirette a limitare l’ammissibilità della prova testimoniale, senza escludere, peraltro, che la prova possa essere fornita con altri mezzi[17]. La predetta distinzione è criticata da illustre dottrina[18], la quale, muovendo dalla distinzione tra faciendum e factum, afferma che, mentre la forma ad substantiam è un requisito del negozio[19] e, quindi, attiene ad un profilo strutturale di determinati atti, la forma ad probationem si riferisce esclusivamente alla funzione probatoria del documento in generale[20]. L’accostamento dei due tipi di forma viene contestato, atteso che, nei casi in cui il legislatore richiede la forma scritta ad probationem, non viene disciplinata la documentazione, ma il documento, non la forma in cui è stata manifestata la volontà, che sarà validamente espressa anche ove non rivesta la forma scritta, ma la sola forma del mezzo di prova[21]. Ciò porterebbe, quindi, a concludere che non è corretto individuare una categoria di documenti richiesti ad probationem, perché nelle ipotesi in cui è richiesta dalla legge la prova per iscritto, il negozio, nella sua esistenza e nel suo contenuto, può essere provato non solo avvalendosi di ogni documento proveniente dalle parti (contratto, documento sottoscritto da una sola parte, quietanza a saldo, corrispondenza epistolare, etc.)[22], ma anche mediante altri mezzi di prova, quali la confessione, il giuramento decisorio[23], una dichiarazione ricognitiva scritta[24], o addirittura attraverso la non contestazione della sua esistenza e del suo contenuto[25]. Il ricorso a simili strumenti probatori non è, invece, assolutamente possibile nei casi in cui la forma scritta è richiesta ad substantiam[26] e, dunque, solo l’atto scritto e sottoscritto dalle parti, in cui è documentato l’accordo raggiunto, sarà in grado di conferire ad esso validità e dimostrarne in giudizio l’avvenuto perfezionamento. I limiti legali della prova di un contratto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem operano, tuttavia, esclusivamente quando il contratto sia invocato in giudizio quale fonte di diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche se lo stesso rilevi ai fini di un distinto rapporto[27].

Si è ritenuto, che l’unica nota comune ai due tipi di forma fosse l’art.2725 c.c., il quale afferma che, sia nel caso in cui il negozio richieda la forma scritta a pena di nullità, sia nel caso in cui esso debba essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nella ipotesi prevista dall’art.2724 n.3 c.c., e, cioè, quando il contraente ha senza sua colpa perduto (distruzione, smarrimento, deterioramento) il documento che gli forniva la prova. Ricorrendo l’ipotesi predetta, i testimoni, dunque, dovrebbero dichiarare non solo che l’atto de quo abbia assunto forma scritta, ma anche quale ne fosse il contenuto.

Il documentare esprime la costante lotta dell’uomo contro l’azione erosiva ed abolitiva del tempo[28], tuttavia, mentre il documento come res è soggetto alle vicende del tempo, la documentazione, una volta compiuta, conserva per sempre il rilievo attribuitole dalla legge[29]. Il documento potrà andare distrutto, ma nell’ipotesi di cui all’art.2724, n.3, la prova testimoniale dovrà avere ad oggetto la forma dell’atto ed il suo contenuto[30].

Il documento è sempre un bene funzionale all’esercizio o alla prova delle situazioni giuridiche che in esso risultano rappresentate. Occorre, tuttavia, distinguere un diritto sul documento, come cosa, e un diritto sul contenuto del documento[31]. Il carattere accessorio della res ha indotto il legislatore a far riferimento al contenuto per attribuirne la proprietà materiale, cosicché la proprietà del documento si acquista normalmente in quanto si diventa titolari del rapporto, con il quale il suo contenuto risulta funzionalmente e strumentalmente connesso (es. art.658 c.c.). Ove non dovesse verificarsi una convergente titolarità su cosa e contenuto, un’autorevole dottrina[32] ritiene, che il diritto sul contenuto abbia prevalenza rispetto al diritto sulla res, e che il titolare di quest’ultimo sia obbligato a non alterarne il contenuto, a non modificare o distruggere il documento stesso ed a consentire sempre l’estrazione del contenuto medesimo[33].

2.- Le prove documentali.

2.1. Scrittura privata ed documento pubblico. 2.2 Le altre prove documentali.

2.1. Scrittura privata e documento pubblico.

Sin dagli albori dell’età illuminata, una diffusa sfiducia nei confronti del libero apprezzamento del giudice indusse all’inserimento nei codici moderni delle c.d. prove legali, prove vincolanti per il magistrato in sede giudicante, in quanto oggetto, nel tipo, di una preventiva valutazione da parte del legislatore. Il codice civile italiano lascia ampio spazio alla prova legale, ma nel complesso può essere definito un sistema misto, in cui il principio del libero convincimento del giudice, espresso dall’art.116 c.p.c. (“Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”), deve trovare applicazione solo ove la legge non determini espressamente il valore da attribuire alla prova. Così, qualora il legislatore abbia predeterminato l’efficacia probatoria, stabilendo che determinati documenti costituiscono “piena prova”, è esclusa la loro valutazione discrezionale da parte del giudicante, vincolato alle risultanze formali dei documenti medesimi, mentre, quando è previsto che determinati documenti fanno semplicemente “prova”, essi sono sottoposti al suo libero convincimento[34].

Dalla lettura delle norme emerge, tuttavia, che in relazione all’efficacia probatoria delle prove documentali si distinguono tre ipotesi: casi in cui il documento forma piena prova fino a querela di falso (atto pubblico e scrittura privata riconosciuta o legalmente considerata come riconosciuta: artt.2699, 2702 e 2703 c.c.); casi in cui il documento forma piena prova (riproduzioni meccaniche, ove non ne venga disconosciuta la conformità ai fatti o alle cose rappresentati: art.2712 c.c.); casi, infine, in cui il documento forma semplicemente prova, senza una particolare efficacia (carte e registri domestici: art.2707 c.c.; annotazioni in calce, in margine o a tergo di un documento: art.2708 c.c.; scritture contabili delle imprese soggette a registrazione: art.2709 c.c. e ss.).

Secondo un parte della dottrina[35], le ipotesi in cui compare la sola dizione “piena prova” ovvero “prova” (artt.2707, 2708, 2709, 2712 c.c.) non sottintendono una diversa graduazione di intensità degli effetti, “dal momento che si tratta in ogni caso del vincolo scaturente da una contra se pronuntiatio e, quindi, da una dichiarazione confessoria”. E’, tuttavia, preferibile ritenere che, soltanto ove sia stabilito che determinati documenti facciano piena prova, sia escluso il libero convincimento del giudice, mentre, qualora sia previsto che formino semplicemente prova, essi rimangano sottoposti al principio del libero convincimento. Così, solo nei casi in cui ad essi sia stata attribuita la capacità di fare “piena prova” dei fatti rappresentati, il giudice, dinanzi a prove contrastanti, non è libero di affermare la prevalenza delle une sulle altre ovvero dichiarare di non aver raggiunto il convincimento in ordine alla verità dei fatti rappresentati dalle prove documentali e decidere in base alla regola dell’onere della prova. Come è stato giustamente affermato[36], la pienezza della prova sta proprio ad indicare, che in presenza di prove legali (es. atto pubblico, giuramento) il giudizio sulla verità della prova è sottratto al giudice, cui è preclusa ogni attività critica ed ogni possibilità di valutazione.

La prova documentale è una prova precostituita, che vive fuori del processo[37] e si distingue dai documenti formati nel corso del processo, cioè dalle riproduzioni, copie ed esperimenti previsti dall’art.261 c.p.c.; quest’ultimi, inoltre, differiscono dai documenti previsti dall’art.2712 c.c., per non essere precostituiti al processo e per essere dotati del requisito dell’autenticità sotto il profilo della conformità alle cose o ai luoghi documentati[38]. A differenza, inoltre, di quanto accade per le altre prove costituende (es. prova testimoniale), l’acquisizione al processo della prova documentale precostituita non è soggetta ad una preliminare valutazione di rilevanza, che verrà compiuta dal giudice solo in sede decisoria.

Il legislatore nel codice civile ha dato prevalente rilievo a due figure di documento, atto (o meglio documento) pubblico e scrittura privata, ma ha previsto anche altre forme documentali sebbene di minore rilievo. Al centro sono sempre poste le dichiarazioni, gli atti negoziali, ritenuti i fatti più importanti da documentare, così come posizione dominante occupa il documento cartaceo, ritenuto tradizionalmente la principale forma documentale.

Le dichiarazioni di un soggetto giuridico possono tradizionalmente assumere nel momento della loro espressione la forma orale ovvero la forma scritta. La prima consiste nella manifestazione verbale del loro contenuto, mentre la seconda da’ ad esse una veste giuridica di maggiore rilevanza. In relazione alla prova documentale scritta, disciplinata dal codice civile, sono da distinguere quattro ipotesi: a) documento scritto per intero e sottoscritto di pugno dall’autore (ipotesi eccezionale art.602 c.c.: testamento olografo); b) documento scritto anche da terzi, ma sottoscritto di pugno dall’autore: è l’ipotesi degli artt.2699, 2702 e 2703 c.c.; c) documento scritto di pugno dall’autore, ma da lui non sottoscritto: annotazioni apposte in calce, in margine o sul dorso di un titolo di credito o di una quietanza, dalle quali risulta la liberazione del debitore (art.2708 c.c.); registri e carte domestiche (art.2707 c.c.)[39]; d) documento scritto per il quale non sono necessari, né la sottoscrizione, né l’autografia del testo, ma soltanto la concorrenza di speciali condizioni: i libri e le scritture contabili (artt.2709 – 2711 c.c.) ed i telegrammi (art.2705 c.c.)[40]. In relazione alle scritture non sottoscritte cui viene, comunque, attribuita dal legislatore rilevanza probatoria, parte della dottrina parla di scritture private improprie[41], il cui regime è profondamente distinto da quello previsto per la scrittura privata. Le scritture che non rientrino nei tipi previsti potranno avere una efficacia probatoria soltanto indiziaria[42], come ritiene la giurisprudenza ed alcuni autori[43], oppure potranno essere inserite, a seconda della posizione dottrinale che si accetta, nella categoria degli argomenti di prova[44] o in quella delle prove atipiche[45].

Poiché il documento è sempre il risultato di un lavoro, si pone subito in relazione ad esso il problema della sua paternità. E’ così prevalente tale aspetto, che “tutta la teoria del documento è dominata dal problema della sua paternità”[46]. Quindi, punto centrale nella logica della forma scritta è l’assunzione e la garanzia di paternità del documento. Autore del documento è considerato colui nei cui confronti si producono gli effetti giuridici della documentazione come forma dell’atto[47]. Per il diritto positivo la dichiarazione in esso contenuta è tale nella misura in cui sia riconoscibile chi lo ha compiuto. L’autore del documento coincide, quindi, con il soggetto che ha reso la dichiarazione, cosicché la prova della provenienza del documento costituisce un aspetto della prova della dichiarazione. Per accertare la provenienza di un documento scritto il legislatore, basandosi sull’id quod plerumque accidit, ha fatto riferimento alla sottoscrizione, per cui autore della scrittura privata viene ritenuto colui che l’ha sottoscritta. Già in età intermedia[48] si affermava che il subscribere poteva essere considerato attività idonea per consentire l’imputazione della paternità del documento. Tale regola è stata, tuttavia, sempre ritenuta valida soltanto nei casi in cui chi sottoscriveva fosse anche a conoscenza del contenuto della scrittura. Per evitare i problemi connessi ad una eventuale sua ignoranza, è stata configurata sulla base dei principi di autoresponsabilità e dell’affidamento, desumibili dal nostro ordinamento, una presunzione iuris tantum che il documento sia stato dal sottoscrivente preventivamente letto e trovato conforme alla sua volontà[49]. Tale presunzione di scienza del contenuto del documento e di volontà di riconoscersene autore opera sia nei confronti di chi sappia leggere e scrivere, sia nei riguardi dell’analfabeta, capace di sottoscrivere, il quale abbia apposto la propria firma alla scrittura da altri predisposta, essendo entrambi in grado di controllarne il contenuto[50]. Si è, così, affermato che la sottoscrizione di un testo scritto ha efficacia probatoria non solo della provenienza del documento, ma anche della conoscenza della dichiarazione in esso contenuta, poiché attraverso l’apposizione della propria firma un soggetto si appropria di ciò che è stato documentato da sè o da altri. La sottoscrizione è, dunque, parte integrante del documento e costituisce strumento di imputazione all’autore del documento e della dichiarazione in esso contenuta[51].

Il documento scritto è autogeno, quando l’autore in senso ideologico della rappresentazione è la stessa persona che ha interesse alla sua formazione, è, invece, eterogeno, quando è persona diversa. Il documento autogeno può essere a sua volta autografo ed eterografo, a seconda di chi abbia redatto materialmente il testo. L’autografia è richiesta, come abbiamo visto, solo in casi eccezionali, mentre la sottoscrizione deve essere sempre di pugno[52] di colui che viene indicato come l’autore. La sottoscrizione, consistendo in una scrittura autografa, si presume che sia unica per ogni individuo, difficile da riprodurre ed, in ogni modo, non modificabile e non riutilizzabile in quanto legata indissolubilmente al supporto, al quale è in ultima analisi affidata non solo l’integrità del contenuto, ma anche la garanzia della provenienza[53].

La sottoscrizione consta normalmente del nome e del cognome del sottoscrivente per esteso[54]. Essa svolge quattro funzioni: indicativa, servendo ad individuare l’autore del documento; dichiarativa, poiché essa consiste in una dichiarazione non sviluppata[55] di assunzione della paternità della dichiarazione contenuta nel documento; probatoria[56], per provare l’autenticità del documento; presuntiva[57], consentendo di risalire a determinate situazioni soggettive (che il sottoscrittore conosceva il testo della scrittura, che la dichiarazione sia definitiva, che la dichiarazione sia completa). Mentre per le prime due funzioni e la quarta viene in considerazione la sottoscrizione come atto documentato (scrivere), la terza funzione è svolta dalla sottoscrizione come res (scritto).

Dal complesso delle funzioni che svolge, la giurisprudenza è pervenuta all’affermazione consolidata che la sottoscrizione è elemento essenziale della scrittura privata[58]. Il crocesegno è considerato equipollente della sottoscrizione solo in casi eccezionali[59]. Fuori di essi non può costituire neanche principio di prova per iscritto ex art.2724 n.1, c.c.[60], ancorché apposto in presenza di testimoni[61]. Il documento dichiarativo tradizionale contiene, quindi, essenzialmente due dichiarazioni, l’una principale costituita dal testo, e l’altra di assunzione di paternità della prima. La data (luogo e tempo) è un elemento eventuale, di cui la scrittura privata prova l’apposizione ma non la veridicità[62].

Relativamente all’atto pubblico sono da distinguere la sottoscrizione del pubblico ufficiale, che fa prova della redazione del documento ad opera del soggetto indicato dalla legge, dalla sottoscrizione dei soggetti del negozio giuridico documentato, che sono autori del documento solo nel senso che da loro provengono le dichiarazioni e nei loro confronti si verificano gli effetti negoziali.

L’art.2699 c.c. offre una definizione di atto pubblico, che lascia trasparire quanto profonde fossero le radici della tendenza a confondere negozio e forma, a scambiare, cioè, l’attività di produzione con il prodotto. Il documento pubblico formato in conformità delle disposizioni normative fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento medesimo dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale[63] attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (art.2700 c.c.).

La scrittura privata è “una cosa corporale, capace di conservare in via duratura la traccia di segni grafici che vi sono stati impressi allo scopo di rappresentare un accadimento rilevante per il diritto, e precisamente la dichiarazione di uno o più soggetti, i quali la fanno propria mediante la sottoscrizione”[64]. Requisiti essenziali della scrittura privata sono, dunque: un testo formato da un insieme di segni grafici provenienti da soggetti privati, la corporalità della cosa su cui è impressa la scrittura, la sottoscrizione[65]. La materialità del supporto è garanzia di integrità del contenuto (le abrasioni o cancellature sono ben visibili) e, come già detto, della sua provenienza. Il contenuto della scrittura privata può essere anche costituito da dichiarazioni non negoziali[66]. La sottoscrizione autografa[67] è il solo strumento ritenuto in grado di creare un solido collegamento tra il documento cartaceo ed il suo autore[68], cosicché non integra una scrittura privata il documento che il soggetto abbia redatto anche di suo pugno, ma che abbia omesso di sottoscrivere[69]. Non è, comunque, mai necessario il suo disconoscimento[70]. Esso potrà solo avere un valore indiziario, a meno che non rientri nelle ipotesi di documento scritto espressamente disciplinate dal legislatore. Tuttavia, anche nel caso in cui manchi la sottoscrizione la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha individuato degli equipollenti, che sostanzialmente consistono in una confessione integrativa[71] ovvero in una nuova manifestazione di volontà[72], ove questa sia ancora possibile. Ma in alcuni casi si è andati addirittura ed inspiegabilmente oltre, giungendo ad affermare, che alla mancata sottoscrizione di una dichiarazione può sopperirsi, “persino quando la forma scritta sia richiesta ad substantiam”, con equipollenti comunque in grado di offrire una ragionevole certezza circa la provenienza delle dichiarazioni[73], probabilmente confondendo il documento con la documentazione.

L’art.2702 c.c. attribuisce alla scrittura privata l’efficacia di piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. La regola della prova legale enunciata da detta norma ha come suo presupposto l’autenticità della sottoscrizione, la quale può essere prestabilita al processo nella forma dell’autenticazione, ovvero acquisita nel corso del medesimo, attraverso il riconoscimento o la verificazione. Dal combinato disposto degli artt.2702 e 2703 c.c. e 214 e 215 c.p.c. emerge che i casi cui ci si riferisce sono essenzialmente quattro: a.- il riconoscimento espresso; b.- il riconoscimento tacito, che ricorre nei seguenti casi: 1) contumacia della parte contro cui è riprodotta, salvo la disposizione dell’art.293 c.p.c.; 2) mancato disconoscimento nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione in giudizio; 3) mancato disconoscimento nel termine fissato dal giudice, quando la scrittura è copia autentica; 4) mancata dichiarazione di non conoscere da parte degli eredi o degli aventi causa (unico caso in cui viene posto in capo al terzo un onere simile a quello del disconoscimento); c.- l’autenticazione da parte di un pubblico ufficiale; d.- il giudizio di verificazione. Il valore probatorio delle scrittura privata nell’ordinario processo di cognizione, presuppone, quindi, che essa sia stata autenticata o riconosciuta o giudizialmente accertata, si tratta di vere e proprie “condizioni” cui è subordinata la sua efficacia probatoria[74].

Come ha affermato il legislatore nella Relazione che ha accompagnato il codice civile “La scrittura come documento, in concorso col successivo riconoscimento della sottoscrizione o col fatto che essa debba legalmente considerarsi come riconosciuta, non fa prova se non di ciò: che le dichiarazioni che essa contiene sono (o valgono come se fossero) dichiarazioni provenienti da chi le ha sottoscritte (o legalmente si ritiene le abbia sottoscritte). E questo per l’appunto dispone l’art.2702 c.c.. Quali siano poi le conseguenze giuridiche che derivino dalla dichiarazione, in quanto ne sia così accertata la provenienza, è problema che va risolto secondo i principi generali sulle dichiarazioni negoziali o confessorie od enunciative e non riguarda l’efficacia probatoria del documento”[75]. Risulta evidente, che già allora era fortemente sentita la tendenza a confondere l’efficacia negoziale con quella probatoria, con tutte le conseguenze che ciò può comportare anche sul piano delle strategie processuali.

Più in generale, in relazione alla scrittura privata possono, dunque, essere ricostruite cinque ipotesi: a) la scrittura privata non sottoscritta, che di per sé non è una scrittura privata, e quindi non è da disconoscere[76], ma può solo eventualmente avere valore indiziario; b) la scrittura privata non ancora riconosciuta o disconosciuta, che può essere valutata al fine di concedere un decreto ingiuntivo (art.633 c.p.c.); c) la scrittura privata disconosciuta, del tutto priva di valore probatorio[77]; d) la scrittura privata espressamente o legalmente riconosciuta, a cui fanno riferimento gli artt.2702 e 2703 c.c.; e) la scrittura privata giudizialmente verificata[78].

La funzione probatoria legale della scrittura privata presenta limitazioni di ordine oggettivo e soggettivo. Sotto il primo profilo è principio consolidato quello secondo cui l’efficacia privilegiata è limitata alla provenienza della dichiarazione dal sottoscrittore, e non si estende al contenuto della dichiarazione[79], con la conseguenza che soltanto l’elemento estrinseco del collegamento tra dichiarazione e sottoscrizione (funzione dichiarativa) fa prova fino a querela di falso, mentre la veridicità della dichiarazione può essere contrastata con ogni mezzo di prova[80]. Sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza afferma che l’art.2702 c.c. trova applicazione soltanto tra le parti[81]. Contro le scritture provenienti da terzi non è necessario il disconoscimento ed è inammissibile la verificazione, riguardante unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo[82]. Esse hanno solo valore indiziario[83]. Fermo l’onere per chi le produce di provarne l’autenticità e la provenienza, si è affermato, che la contestazione dell’autenticità della scrittura del terzo si risolve in una eccezione di falso, che deve essere proposta nella forma della querela di falso[84]. Parte della giurisprudenza ritiene, invece, che “l’autenticità della scrittura privata proveniente da terzi, ove venga contestata, possa essere accertata con qualsiasi mezzo e rimanga affidata al libero apprezzamento del giudice”[85], senza che sia quindi necessario instaurare un giudizio di falso. Tali scritture pongono il più generale problema della ammissibilità delle prove atipiche. In dottrina sono tuttora in atto ampi dibattiti. Si oscilla tra la posizione di chi ritiene, che l’assenza di un espresso divieto di utilizzare prove diverse da quelle espressamente disciplinate dalla legge ed il principio del libero convincimento del giudice, consacrato nell’art.116 c.p.c., rendano ammissibili anche altre fonti di prova, liberamente valutabili dal giudice[86], e quella di chi, invece, afferma che, non rinvenendosi una disposizione di chiusura, legittimante mezzi prova non espressamente previsti, deve ritenersi inammissibile ogni prova diversa da quelle disciplinate dal codice civile[87].

La giurisprudenza, presa dalla necessità si fornire una pratica soluzione alle controversie sottoposte a suo esame, ha di fatto sempre ambiguamente negato la configurabilità delle c.d. prove atipiche, ribadendo costantemente che le prove non disciplinate dal legislatore rientrano nell’ampia categoria degli indizi[88], ritenuti sempre in grado di fondare anche da soli il convincimento del giudice[89]. Tale orientamento, diretto a rendere applicabile nel caso de quo gli artt.2727 – 2729 c.c., è tuttora fondato sulla convinzione che l’indizio, cioè la prova del fatto noto che può essere posto a premessa della presunzione, abbia nel nostro sistema processuale una natura rigorosamente atipica di per sé aperta a recepire ogni elemento che possa fondare il procedimento logico di deduzione dal noto all’ignoto[90]. Una recente sentenza del Supremo Collegio[91] sembra aver superato ogni ipocrisia intepretativa laddove esplicitamente afferma che “Il giudice di merito può utilizzare in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, al fine di trarne non solo semplici indizi o elementi di convincimento, ma anche di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per una perizia svolta in sede penale o una consulenza tecnica svolta in altre sedi civili”. Non si comprende come mai venga di fatto attribuita ad un mezzo istruttorio assunto in un altro processo la dignità di prova, quando l’art.310 c.p.c., III, comma, prevede testualmente che le prove raccolte in un processo estinto “sono valutate dal giudice a norma dell’articolo 116, II comma”. Rimangono, inoltre, numerosi dubbi relativamente alla disciplina applicabile alle c.d. prove atipiche. In particolare, si sostiene[92] che considerare come prova un documento, che le parti o almeno una delle parti non abbiano concorso a formare, violerebbe il principio del contraddittorio sancito dall’art.24 Cost.. La dottrina nel tentativo di definire un legittimo uso delle c.d. prove atipiche è ferma su due posizioni. Da un lato si afferma che, ritenuta ammissibile la categoria delle prove atipiche, il regime loro applicabile si articolerebbe in due gruppi di norme: a.- quelle dirette a garantire lo svolgimento del pieno contraddittorio delle parti in merito alla prova in questione; b.- quelle previste dagli articoli sulle presunzioni (cosicché esse potranno essere utilizzate solo se gravi precise e concordanti)[93]. Sull’altro versante si ritiene che, poiché in ordine ai fatti secondari posti a base del meccanismo delle presunzioni il pieno rispetto del principio del contraddittorio può venire solo dalla assunzione di prove tipiche nel corso del giudizio, le c.d. prove atipiche non offrano sufficienti garanzie in proposito e debbano, quindi, farsi rientrare nella categoria degli argomenti di prova[94], che, giacché valgono soltanto a corroborare e non a fondare il libero convincimento del giudice, non esigono un contraddittorio delle parti su di essi.

Come evidenziato da un autore[95], la c.d. prova atipica non è necessariamente produttiva di indizi utili per provare fatti secondari, ma può avere indifferentemente ad oggetto tanto la verifica di un fatto secondario, quanto quella di un fatto principale, proprio come la prova tipica. E’ vero che ciascuna delle parti è, comunque e sempre, in grado di contestare la veridicità del documento acquisito aliunde, disconoscendolo ovvero esperendo la querela di falso[96], ma una giustificazione dell’indirizzo seguito dalla giurisprudenza che faccia salvi i principi costituzionali e fissi dei limiti all’utilizzabilità degli elementi di prova assunti sembra necessario. Rimane poco chiaro come giustificare il fatto che lo stesso legislatore abbia attribuito alle prove assunte in altro procedimento la rilevanza di argomento di prova (art.310 c.p.c.), ma sostanzialmente si può convenire sul fatto che entrambe le ultime tesi esposte tentano di porre degli argini al fiume in piena rappresentato da quella moltitudine di semi-prove che possono entrare nel processo ed influire sul libero convincimento del giudicante.

Quindi, ove un tipo di prova documentale sia previsto dal legislatore, la valutazione del giudice deve innanzitutto verificarne la riconducibilità ad un tipo disciplinato. Nel caso in cui non rientri nelle ipotesi previste dalla legge, esso potrà comunque contribuire alla formazione della sua opinione sui fatti di causa, ma solo come indizio (diretto o indiretto) con tutti i limiti propri di tale categoria di prova (es. inammissibilità nei casi in cui è esclusa la prova per testimoni) ovvero come argomento di prova.

In altri termini, non esistono altre vie per far entrare nel processo gli strumenti di convincimento del giudice, all’infuori di quelle che la legge espressamente disciplina. Quindi, si deve convenire sulla prospettazione degli elementi probatori in una gerarchia tripartita che ha al suo vertice le prove legali, seguono quelle liberamente valutabili e si termina con gli argomenti di prova di cui all’art.116, II comma, e 310 c.p.c.[97].

In relazione alla scrittura privata sono stati previsti il giudizio di verificazione e la querela di falso, mentre contro il documento pubblico, e le ipotesi in cui la sottoscrizione sia stata autenticata, riconosciuta, ovvero legalmente considerata come riconosciuta, unico rimedio è la querela di falso[98].

Il giudizio di verificazione è utilizzabile per dare alla scrittura privata una certezza che il mancato riconoscimento e la mancata autenticazione le hanno impedito di conseguire. La querela di falso, invece, mira a distruggere la certezza che la documentazione pubblica, l’autenticazione e il riconoscimento o il mancato disconoscimento hanno impresso alla scrittura medesima[99].

Parte della dottrina[100] è portata a concepire la verificazione di scrittura e la querela di falso come due facce di una stessa medaglia, cosicché il giudizio di verificazione può “servire per la dichiarazione non solo della genuinità della scrittura, ma anche della sua falsità”[101]. L’oggetto dei due giudizi, invece, è radicalmente diverso. Infatti, mentre il giudizio di verificazione concerne la provenienza del documento e, quindi, si limita ad accertare l’autenticità della sottoscrizione, il giudizio di falso riguarda la provenienza della dichiarazione dal soggetto che la sottoscrizione indica come l’autore e può essere qualificato come un processo a contenuto oggettivo diretto ad eliminare, con efficacia erga omnes, ogni collegamento tra la dichiarazione ed il sottoscrittore apparente[102]. Nulla vieta che l’interessato chieda subito che un documento esibito in giudizio contro di lui sia dichiarato falso, invece di dover attendere che l’avversario, dopo il suo disconoscimento, si attivi per la verificarne la genuinità[103].

Il giudizio di verificazione può avere carattere incidentale o essere proposto in via principale[104]. E’ discussa la natura del primo tipo di giudizio. La dottrina si divide nel ritenerlo accertamento incidentale[105] o semplice richiesta istruttoria[106]. La giurisprudenza[107] si è, invece, uniformemente espressa a favore della seconda tesi affermando, che “il procedimento di verificazione ha la funzione esclusiva di attribuire ad un documento l’efficacia di prova del giudizio”. A seguito del disconoscimento dell’originale ovvero della copia di una scrittura privata[108], è onere della parte che intende avvalersi della scrittura contestata instaurare il giudizio di verificazione, ammissibile solo fin quando consentita la produzione dei documenti in giudizio[109]. La mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, per presunzione di legge, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto[110] ed è, quindi, ammessa la prova dei fatti mediante prova testimoniale senza i limiti di cui all’art.2722 c.c.[111]. La scrittura disconosciuta e non verificata non produce alcun effetto[112] o, meglio, resta nel suo stato originario, priva per se stessa di valore giuridico, senza che, tuttavia, possa escludersi, ad altri effetti, un suo riconoscimento[113]. La sentenza che respinge l’istanza di verificazione non dichiara mai la falsità del documento, in quanto la falsità non deve essere confusa con la verifica, che riguarda solo l’integrazione della scrittura e la formazione della prova. Non si avrà un giudicato di accertamento, quindi, bensì la formazione nel processo di una prova con valore legale, la cui efficacia può operare anche in un diverso giudizio, secondo la regola sancita dall’art.310, III, c.p.c.[114].

La sentenza, che dichiara la falsità di una scrittura, priva di ogni valore probatorio il documento impugnato, sottraendolo ad ogni libera valutazione da parte del giudice. Non sorgono dubbi circa i casi cui può essere esperita la querela di falso contro un documento pubblico. Essi sono sostanzialmente tre: a) il documento non è stato redatto dal pubblico ufficiale (falsità materiale per contraffazione); b) il documento redatto dal pubblico ufficiale è stato successivamente alterato (falsità materiale per alterazione); c) il pubblico ufficiale ha attestato falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto in sua presenza[115].

Non sono pacifici, invece, i casi in cui sia possibile ricorrere alla querela di falso avverso la scrittura privata. E’ da ritenere che l’unica falsità rilevabile sia quella materiale, atteso che quella ideologica riguarda il contenuto e richiede, quindi, un apposito giudizio di accertamento[116], diretto a rilevare, ad esempio, che il negozio è stato simulato ovvero che la volontà del sottoscrittore è viziata, e, quindi, la non veridicità della dichiarazione.

La giurisprudenza meno recente ammetteva, tuttavia, come figura generale, il cosiddetto falso ideologico in scrittura privata, ravvisandone gli estremi “ogni qualvolta si crea un documento vero nella forma, ma falso nella sostanza”[117]. Pronunce più recenti[118] sembrano, invece, tendere sempre più a distinguere l’aspetto della falsità documentale dalla falsità dei contenuti, così da giungere a ritenere ammissibile la querela di falso solo ove non sia possibile eliminare il documento formalmente valido agendo sul piano sostanziale, come ad esempio nei casi di alterazione abusiva del contenuto[119] o di riempimento del foglio sottoscritto in bianco absque pactis[120]. In particolare, nel caso in cui una sottoscrizione sia stata apposta ad un foglio in bianco, ove vi sia stato il rispetto dei patti nulla quaestio, atteso che si presume che il riempimento da parte della controparte sia avvenuto consenziente il sottoscrittore, ma allorché dovessero sorgere contestazioni circa il contenuto del foglio de quo, sono da distinguere in ordine ai rimedi due ipotesi di riempimento abusivo: absque pactis e contra pacta. Mentre nel primo caso è esperibile la querela di falso, nell’altra ipotesi, per il soggetto danneggiato si prospetta, secondo la dottrina e la giurisprudenza, solo la possibilità di un’azione contrattuale[121], configurandosi la violazione di un contratto di lavoro autonomo di riempimento[122].

Più in generale, sul piano civile sono, dunque, prospettabili due rimedi avverso le scritture private nei casi in cui le dichiarazioni in esse contenute non siano piena espressione della libera volontà di chi formalmente ne risulta l’autore: nel caso in cui l’atto sia esistente, e cioè sia stato effettivamente formulato dal suo autore, è possibile solo l’azione contrattuale (di nullità o annullamento), mirante ad una pronuncia con efficacia inter partes; ove, invece, l’atto sia inesistente sul piano sostanziale, unico strumento offerto per rimuovere il documento come falso materiale è, appunto, la querela di falso[123], che condurrà, invece, come visto sopra, ad una sentenza avente efficacia erga omnes. Così, ad esempio, nel caso in cui la sottoscrizione venga apposta al buio, senza cioè prendere conoscenza del contenuto da altri predisposto, non sarà in discussione la provenienza del documento, bensì un’eventuale invalidità del negozio in esso racchiuso, anche se è da ritenere che nel rispetto del principio dell’autoresponsabilità sussista, comunque, una responsabilità per colpa del sottoscrivente[124].

E’ sempre possibile esperire la querela di falso avverso la scrittura privata espressamente o tacitamente riconosciuta, dal momento che l’intervenuto riconoscimento esclude solamente che colui al quale la sottoscrizione è attribuita possa limitarsi a disconoscerla, addossando l’onere della verificazione alla parte che del documento voglia avvalersi, ma non si pone come accertamento di autenticità non altrimenti impugnabile[125]. Inoltre, nel caso in cui una scrittura privata esibita in fotocopia in giudizio sia stata considerata tacitamente riconosciuta, non costituisce preclusione del giudizio di falso di quella scrittura il fatto che il possessore di questa, invitato dal giudice a depositarla in originale, ne depositi invece una fotocopia, adducendo di avere smarrito l’originale[126], sempre che le parti siano concordi sulla sua esistenza e sul suo contenuto[127].

2.2 Le altre prove documentali.

Il codice civile nel Capo II, del Titolo II, del Libro VI, oltre al documento pubblico e alla scrittura privata elenca come documenti probatori: il telegramma (artt.2705, 2706 c.c.), le carte e i registri domestici (art.2707 c.c.), le annotazioni in calce, in margine o a tergo di un documento (art.2708), i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione (artt.2709 – 2711 c.c.), le riproduzioni meccaniche (art.2712), le taglie o tacche di contrassegno (art.2713 c.c.). Nei successivi articoli si occupa delle copie degli atti (artt.2714-2719 c.c.) e degli atti di ricognizione o di rinnovazione (art.2720 c.c.).

Al telegramma è attribuita la stessa efficacia probatoria della scrittura privata pur non essendo tale. Esso è un documento che riproduce il dispaccio originale e, quindi, sostanzialmente sarebbe a ben vedere la riproduzione meccanica di una dichiarazione[128]. Per ottenere lo scopo il legislatore ha elaborato una complessa fattispecie nella quale il telegramma acquista l’efficacia propria della scrittura privata, se l’originale consegnato all’ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo. E’ evidente, che siamo in presenza di un documento equiparato alla scrittura privata solo ai fini probatori, cosicché esso non potrà valere come tale, qualora la legge richieda la forma scritta ad substantiam, o, meglio, detta forma sarà rivestita soltanto dall’eventuale originale sottoscritto[129].

Le carte e i registri domestici (art.2707 c.c.) fanno prova contro chi li ha scritti: 1) quando enunciano espressamente un pagamento ricevuto; 2) quando contengono la menzione espressa che l’annotazione è stata fatta per supplire alla mancanza di titolo in favore di chi è indicato come creditore. E’ necessario che esse siano scritte di pugno dall’autore[130].

Le annotazioni in calce, in margine o a tergo di un documento fatte dal creditore (art.2708 c.c.), benché non siano da lui sottoscritte, fanno prova se tendono ad accertare la liberazione del debitore. Tale efficacia probatoria si ritiene sia condizionata al fatto che si tratti di scritture autografe[131].

Gli artt.2709 – 2711 c.c. sono dedicati alle scritture contabili delle imprese soggette a registrazione. E’ implicito il rinvio all’art.2214 c.c., secondo il quale l’imprenditore deve tenere il libro giornale, il libro degli inventari e le altre eventuali scritture contabili, che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Il loro valore probatorio è analogo a quello delle carte e dei registri domestici ed infatti essi fanno prova contro l’imprenditore[132], ma chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto. Non è necessario siano scritture autografe[133].

Con le taglie e tacche di contrassegno si lascia la disciplina del documenti scritti e si passa alla regolamentazione delle diverse prove documentali. Esse sono residui di una società rurale, che aveva l’abitudine di precostituirsi la prova delle somministrazioni fatte e ricevute mediante intacchi corrispondenti praticati su due verghe di eguale lunghezza, delle quali l’una restava in possesso del somministrante e l’altra in possesso del somministrato.

Con l’art.2712 c.c., si passa a disciplinare prove documentali basate sulla utilizzazione di strumenti di riproduzione o di rappresentazione di fatti e cose, che prescindono dalla scrittura, intesa come materiale apposizione di segni su una res. Tra i fatti giuridici documentabili, contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina[134], è da ritenere rientrino anche le dichiarazioni dei soggetti giuridici[135]. La norma, riferendosi “in genere ad ogni altra rappresentazione meccanica”, si pone come una sorta di clausola generale o norma di chiusura dettata all’interno della sezione dedicata alla prova documentale e, rispetto ad essa, l’art.2719 c.c., relativo a copie fotografiche di scritture, si pone come norma speciale[136]. L’art.2712 c.c. disciplina le riproduzioni meccaniche di fatti e di cose, realizzate fuori del processo. Esse possono integrare una prova legale e, a differenza delle scritture, possono essere create anche da terzi[137]. In particolare, formano “piena prova” dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Riguardo alla efficacia probatoria da riconoscere loro, ove non siano contestate, vi sono in dottrina due opinioni. La prima ritiene di poter assimilare, sebbene con alcune limitazioni, la riproduzione meccanica alla scrittura privata, e, dunque, ad una vera e propria prova legale, che, in mancanza di disconoscimento, diviene vincolante per tutti i giudici che ne prendano cognizione e che dovranno considerarla genuina ossia integra[138]. La seconda opinione, invece, afferma che il mancato disconoscimento non ha altro effetto, se non quello di dare alla riproduzione il valore di semplice prova, come tale liberamente valutabile secondo le regole generali[139]. Invero, è da rilevare sia che il legislatore in relazione alle riproduzioni meccaniche non parla né di “piena prova fino a querela di falso”, né di semplice prova”, ma di “piena prova”, sia che ci si trova dinanzi ad una prova legale che vincolerà soltanto il giudice davanti al quale essa non sia stata contestata ovvero, a seguito di disconoscimento, sia stata offerta la prova contraria[140]. E’ stato lo stesso legislatore ad affermare, nella Relazione che ha accompagnato il codice civile, che “… l’efficacia probatoria qui deriva non soltanto dalla riproduzione in sé e per sé considerata, ma dal complesso della riproduzione e del riconoscimento (o non disconoscimento) della parte interessata, come deriva del resto, da un analogo complesso l’efficacia della scrittura privata secondo l’art.2702 c.c.. Con questo l’articolo non esclude che la conformità possa essere altrimenti dimostrata con mezzi di prova precostituiti o con indagini od esperimenti compiuti in corso di giudizio, ma in questo caso non vi è più luogo ad una norma di prova legale e vale il principio generale proclamato dal codice di procedura civile del libero apprezzamento del giudice”[141]. La riproduzione meccanica disconosciuta, a differenza della scrittura privata, è da ritenere possa essere utilizzato dal giudice come indizio o argomento di prova[142] ai fini della decisione. Non vi sono, inoltre, termini per il disconoscimento, che, tuttavia, pur non trovando applicazione analogica l’art.215 c.p.c., previsto per la scrittura privata, è da ritenere debba intervenire comunque entro e non oltre i termini perentori di cui all’art.184 c.p.c., salvo una possibile remissione in termini ex art.184 bis c.p.c.[143]. Quindi, in base alla regola vigente per i fatti non contestati, si considera raggiunta la prova quando la parte nei cui confronti viene fatta valere la riproduzione meccanica non la disconosce nei termini fissati per il deposito in giudizio delle prove documentali. Da ciò non può desumersi, tuttavia, che un eventuale disconoscimento privi definitivamente la riproduzione meccanica dell’efficacia di prova legale. Infatti, rimane, comunque, salva la possibilità per il giudicante, prevista dallo stesso Guardasigilli, di sottoporre la riproduzione disconosciuta alla sua libera valutazione, facendo ricorso a presunzioni ed all’ausilio di altri mezzi di prova ammessi[144], al fine di verificarne la genuinità (integrità) e provenienza, nel pieno rispetto delle regole generali sull’onere della prova e del contraddittorio. Tale verificazione, secondo un’autorevole dottrina[145], dovrà investire l’aspetto tecnico della riproduzione meccanica e, pertanto, non potrà consistere nel semplice riesame della riproduzione in questione.

Un suo esito positivo, contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina, non consente alla riproduzione meccanica di acquisire l’efficacia di piena prova, perché è lo stesso legislatore a negare ciò nella Relazione che ha accompagnato il codice civile, nella quale espressamente, come abbiamo visto sopra, afferma che in caso di disconoscimento una eventuale verifica positiva equipara la riproduzione alle altre prove liberamente apprezzabili dal giudice. Nel caso di un esito negativo, invece, è da ritenere che essa “rappresenti una presunzione o un indizio e può essere confortata o scossa dagli altri elementi di prova ed in genere dalle altre risultanze processuali”[146]. E’ da ritenere, comunque, ammissibile la querela di falso avverso le riproduzioni meccaniche[147].

Abbiamo visto sopra, che il documento scritto è res signata e che è proprio il supporto cartaceo (o di materia simile alla carta) ad offrire le maggiori garanzia di integrità del segno e di paternità del sottoscrittore[148]. In esso il segno scritto non è in grado di vivere senza quella sola res cartacea in cui originariamente si è incorporato. Eventuali copie saranno perfettamente distinguibili, perché riprodurranno il signum solo in quanto parte integrante della res originaria (es. fotocopia: è fotografia della cosa scritta) e, se così non fosse, ci troveremmo dinanzi ad una ripetizione della documentazione e non al documento originario. La riproduzione meccanica è una prova documentale, in cui si riscontrano come in tutti i documenti sia la res (ad es. pellicola fotografica), che il signum (ad es., per rimanere sull’esempio della pellicola, le impressioni riportate sul materiale fotosensibile), ma a differenza di quanto accade per i documenti scritti, essa presenta tre fondamentali caratteristiche: a) il signum, moltiplicandosi, può passare nella sua originaria struttura da una res ad un’altra; b) il signum nel passaggio da un supporto ad un altro è facilmente alterabile, senza che resti traccia dell’intervento abusivo; c) è impossibile stabilire in modo certo la paternità del signum, attesa la tradizionale impossibilità di apporvi una sottoscrizione autografa. In buona sostanza, nelle riproduzioni meccaniche il signum, pur avendo sempre bisogno di una res che lo custodisca, è in grado di vivere una vita propria ed autonoma rispetto alla res, che lo ha ospitato originariamente e che può anche andare distrutta senza che venga perduto il signum originale, ove di quest’ultimo se ne sia fatta in precedenza una copia. Inoltre, qualora sia stato oggetto di un trasferimento da un supporto ad un altro, oltre che alla conformità ai fatti ed alle cose riprodotte, si dovrà verificare anche la conformità del signum derivato a quello originario, rispetto al quale, sebbene si ponga come copia, è perfettamente identico nella forma. Tuttavia, quantunque esso possa essere trasferito in (e viceversa ripreso da) innumerevoli altri oggetti, ciascuno in grado, da solo (es. fotografia) o con l’ausilio di una macchina (es. filmato), di riprodurlo in maniera appunto identica all’originale, un abusivo intervento dall’esterno potrebbe facilmente impedirne una corretta riproduzione ed interromperne circolazione nella sua integrale dimensione. Il signum rimane privo di res solo nel momento della sua trasmissione, ed è questo un momento molto delicato, perché più lungo e privo di controlli è il tragitto che deve compiere da un supporto ad un altro e più è facile realizzare su di esso un’alterazione abusiva.

Proprio la facilità di mutarne il supporto e la impossibilita di sottoscriverlo, rendevano la riproduzione meccanica una prova non suscettibile di essere equiparata ai documenti scritti, che continuavano ad offrire una maggiore garanzia in merito alla integrità del contenuto ed, ove sottoscritti, alla provenienza delle dichiarazioni. Per il legislatore del 1942, dunque, la riproduzione meccanica poteva assurgere a dignità di “piena prova”, solo ove la conformità ai fatti od alle cose rappresentati fosse pacifica tra le parti. In relazione alle riproduzioni meccaniche è, dunque, necessario operare una distinzione tra riproduzioni meccaniche in senso stretto e riproduzioni meccaniche in senso lato[149]. Le prime consistono nel solo signum, e cioè nel contenuto in grado di staccarsi senza alterazioni dal suo supporto originario e migrare in altri moltiplicandosi, le seconde, invece, sono costituite da tutti i supporti recanti il signum originario ed in grado di farlo continuare a circolare da res in res. L’efficacia probatoria di “piena prova” è propria, però, sempre e soltanto del signum, e cioè della riproduzione, registrazione o rappresentazione e non del supporto che è mutevole, a differenza di quanto avviene con la scrittura privata rispetto alla quale la res è parte integrante del documento facente “piena prova fino a querela di falso”. Così, sarà “documento in senso stretto” ad es. l’immagine riprodotta, mentre “documento in senso lato” saranno la pellicola o la fotografia che la ospitano, ma l’efficacia probatoria dei fatti e delle cose rappresentate sarà sempre propria dell’immagine riprodotta e non del suo supporto.

E’ evidente, che, se il signum consistente in un testo digitato verrà trasposto su carta e l’autore procederà ad un sua sottoscrizione materiale, quella res diventerà scrittura privata, come insieme indissolubile di res e signum. Il documento originariamente scritto può, invece, divenire riproduzione meccanica in senso stretto o signum (ad es. una riproduzione fotografica), ma il contenuto di essa sarà sempre, come visto sopra, riproduzione della res originaria e non del solo testo scritto in essa incorporato. E’ il caso del telefax, che è riproduzione fotografica di una scrittura, trasmessa a distanza. Relativamente ad esso è da escludere senza dubbio la sussistenza della forma scritta e la sua efficacia resta circoscritta al piano della prova, potendo offrire idonea dimostrazione del fatto che la scrittura privata da esso riprodotta è stata formata. La sua efficacia probatoria secondo la giurisprudenza è quella propria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art.2712 c.c.[150]. La migliore dottrina afferma, invece, che al telefax trova applicazione l’art.2719 c.c.[151] con tutte le conseguenze di un mancato disconoscimento, che, peraltro, ove si tratti di scritture private, dovrà intervenire nei termini di cui all’art.215, n.2 c.p.c., atteso che le copie acquistano in mancanza di disconoscimento la stessa efficacia dell’originale, di cui implicitamente si afferma l’esistenza[152]. Rimane salva, tuttavia, in caso di disconoscimento, la possibilità per il giudice di accertare aliunde la conformità della copia all’originale, anche tramite presunzioni[153]. Tra le riproduzioni meccaniche, la dottrina e la giurisprudenza hanno ricondotto anche il telex[154]. Rispetto ad esso il discorso è un po’ più complesso, atteso che non vi è documento scritto originario, ma, come può accadere per il telegramma, vi è solo la digitazione di un testo. Il legislatore non ha previsto per il telex una disciplina specifica analoga a quella del telegramma (che, in mancanza delle norme ad esso relative artt.2705 – 2706 c.c., sarebbe da considerare riproduzione meccanica), probabilmente solo perché ancora non esisteva. Poiché in entrambi i casi, c’è un operatore pubblico che trasmette un testo il cui originale rimane nelle mani del mittente, parte della giurisprudenza e della dottrina ha ritenuto fosse da applicare al telex la disciplina del telegramma per analogia[155]. Ma non solo l’art.2705 c.c. è norma eccezionale insuscettibile di essere applicata analogicamente (art.14 delle Preleggi), ma le circostanze da esso previste non si riscontrano tutte relativamente all’ipotesi del telex[156], cosicché l’applicabilità dell’art.2712 c.c. rimane l’unica soluzione possibile: il testo digitato passa dalla memoria elettronica della macchina in cui esso è creato in quella della macchina ricevente, che automaticamente procede ad una stampa del signum ricevuto, che non è una immagine, bensì un testo digitato.

Il telefax ed il telex vengono ritenuti istituti del tutto diversi dal documento informatico “in quanto rappresentano solo mezzi di trasmissione a distanza della manifestazione di volontà, la quale perviene però al destinatario sotto forma di normale documento cartaceo. Manca quindi in questo caso ogni riferimento ad una memoria elettronica da conservare: il che costituisce presupposto per inquadrare il fenomeno nell’ambito del documento informatico”[157].

La pronuncia a Sezioni Unite

Le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, risolvendo un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, hanno affermato che l’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; in particolare, hanno chiarito che, qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione.

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Le prove nel processo civile

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Note

[1] F. CARNELLUTTI, Documento (Teoria moderna), in Nov. Dig., Torino, 1960, VI, 85 ss..

[2] S. PATTI, Della prova documentale, in Commentario al Codice Civile, Bologna, 1996, 7; F. CARNELLUTTI, op. cit., 85 ss.; G. VERDE, Profili del processo civile, Napoli, 2000, II, 86 ss.; C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2000, II, 197 ss.; A. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1999, 451 ss.; L. MONTESANO, G. ARIETA, Diritto processuale civile, Torino, 1999, II, 162 ss.; F. P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 1999, II, 94 ss.; V. ANDRIOLI, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 675 ss.; G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1965, 842 ss.; S. SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1992, 357. Nel codice civile si fa menzione del documento solo in relazione ai documenti scritti, sebbene il capo dedicato alla prova documentale riporti norme che si riferiscono anche ad altri tipi di documento (riproduzioni meccaniche).

[3] P. GUIDI, Teoria del documento, Milano, 1950, 62. Si è sostenuto, tuttavia, con forza che la cosa capace di rappresentare un’altra è tale per caratteristiche intrinseche non perché l’uomo l’abbia destinata a tale funzione: N. IRTI, Sul concetto giuridico di documento, in Riv. Trim. dir e proc. civ., 1969, 484 ss..

[4] N. IRTI N., op. cit., 502.

[5] S. PATTI, op. cit., 1996, 6.

[6] Cass., 12 maggio 1999, n.4687; Cass., 20 novembre 1998, n.11767; Cass., 12 maggio 1998, n.4777, in cui si afferma, che “Al di fuori dei casi di prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo la valutazione delle prove rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne deriva che il convincimento del giudice di merito sulla verità di un fatto può fondarsi anche su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che egli fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.”.

[7] Cass., 26 maggio 1999, n.5103; Cass., 7 giugno 1999, n.5599; Cass., 2 agosto 1996, n.7001.

[8] F. CANDIAN, Documento e documentazione (teoria generale), Enc. Dir., Milano, …, 588.

[9] In senso contrario: V. DENTI, Prova documentale, in Enc. Dir., XXXVII, 1988, 713 ss.. Per l’autore non vale il tipo di distinzione suesposto, bensì ogni cosa, e non solo quella creata per altri motivi, diventa solo processualmente un documento, poiché “la rappresentatività non è un dato costitutivo del documento, ma un giudizio … la cosa, quindi, non è di per sé stessa documento, ma diviene tale nel momento in cui viene posta in relazione col thema probandum, attraverso un procedimento induttivo che ha alla base la sua identificazione come fonte attendibile di conoscenza del fatto”.

[10] F. CARNELLUTTI, op. cit., 85.

[11] PESANTE, Documento, in Enc. For., 349. Si ha, in generale, una dichiarazione quando qualcuno esteriorizza ad altri qualcosa facendosi riconoscere, sia essa una volontà, un pensiero una narrazione, perché per il diritto positivo l’atto dichiarativo è tale nella misura in cui sia riconoscibile chi lo ha compiuto.

[12] F. CARNELLUTTI, op. cit., 85.

[13] F. CARNELUTTI, La prova civile, Roma, 1947, 134 ss..

[14] Fuori dei casi espressamente previsti, è, inoltre, consentito alle parti di un rapporto negoziale di stabilire convenzionalmente una qualsiasi forma per i loro accordi (art.1352 c.c.: “Se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo”).

[15] La forma scritta ad substantiam è in realtà un forma “sotto – scritta”, atteso che l’art.1350 c.c. recita: “Devono farsi per atto pubblico o scrittura privata sotto pena di nullità …..” F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, 83.

[16] Il ricorso, in deroga al generale principio di libertà della forma negoziale, ad una forma vincolata è dettato, storicamente, dall’esigenza di “determinare negli interessati un’atmosfera negoziale, svegliarne la consapevolezza giuridica, sollecitarli a più matura riflessione, garantirvi la serietà della decisione finale”. S. TONDO, Formalismo negoziale tra vecchie e nuove tecniche, in Riv. notariato, 1999, 924. Secondo l’Autore, inoltre, “l’istanza della forma scritta, nella prospettiva moderna per la regolamentazione degli atti negoziali, vuole essere sempre, indipendentemente dal fatto che abbia a concretarsi in scrittura privata o pubblica, in ragione dell’efficacia probante, ch’essa può assolvere, in ordine ad un atto dichiarativo”. La forma ad substantiam è, inoltre, sempre richiesta quando la documentazione costituisce l’esercizio di una pubblica funzione V. DENTI V., op. ult. cit, 715. Inoltre, “Quando nei contratti la forma scritta è richiesta ad substantiam il documento deve contenere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle parti di concludere quel determinato negozio, non essendo sufficienti a provare l’avvenuta stipulazione, né la produzione di un documento che si limiti a riconoscere il fatto dell’avvenuta conclusione, né la concorde ammissione delle parti che il contratto stesso fu stipulato nella forma scritta.” Cass., 30 agosto 1994, n.7590; Cass., 29 ottobre 1994, n.8937.

[17] F. CARNELUTTI, op. ult. cit., 135; V. DENTI V., op. ult. cit., 713; E. REGGIANI, Forma e firma digitale: struttura e valore probatorio del documento informatico, in Documenti giustizia, 1998, 1587; E. MARMOCCHI, Scrittura privata, Enc. Giur., Roma, XXVIII, 1992, 1.

[18] N. IRTI, Idola libertatis, Milano, 1985, 49 ss..

[19] Cass. 12 febbraio 1986, n.855, “Qualora per la validità di un contratto sia prescritta la forma scritta ad substantiam, essendo il contratto, privo della menzionata forma, nullo, la prova di esso deve fornirsi esclusivamente mediante atto pubblico o scrittura privata”.

[20] In tal senso, anche V. DENTI V., op. ult. cit., 715; R. SACCO, La forma, in Trattato di Diritto Privato, Torino, 1982, 219. In senso contrario, S. TONDO, op. cit., 930, il quale mette in evidenza il carattere eversivo di tali conclusioni.

[21] L’atto per cui è richiesta la forma scritta ad probationem sarà valido anche ove non sia stato documentato in la forma scritta.

[22] In tal senso Cass., 6 ottobre 1999, n.11117 (devono risultare documentalmente tutti gli elementi essenziali del negozio”); Cass., 7 luglio 1999, n.7048 (“tale prova può essere costituita da una qualsiasi attestazione scritta circa la esistenza del negozio, anche se successiva alla pattuizione ed a carattere meramente ricognitivo, purchè attribuibile alle parti”); Cass., 16 maggio 1996, n.4552; Cass., 14 maggio 1993, n.5489 (entrambe queste ultime si riferiscono a documento sottoscritto da una sola parte); Cass., 2 novembre 1992, n.11871; Cass., 12 agosto 1992, n.9525 (“lo scritto è forma della prova e non forma dell’atto, sicché il requisito dell’esistenza della forma può essere ricostruito nei modi più vari, attraverso la confessione di una delle parti, la quietanza a saldo contenente la causale del versamento e simili altri fatti … la forma scritta riguarda la sola prova del contratto e l’esistenza di questa può essere ricavata dal giudice in uno dei qualsiasi modi indicati, dovendosi fornire la prova del documento e non dell’accordo in esso contenuto”); App. Napoli, 19 giugno 1993 (la prova di una transazione può trarsi da una quietanza liberatoria che ne riporti gli estremi ovvero da una corrispondenza scambiata dalle parti); Pret. Torino, 28 novembre 1990, in Foro it., 1991, I, 954 (“la prova del contratto di edizione per il quale è richiesta la forma scritta ad probationem, può essere fornita mediante la produzione in giudizio del testo edito con il nome dell’autore e dell’editore.”); Cass., 28 luglio 1989, n.3540 (“non è preclusa l’utilizzabilità di documenti successivi alla conclusione del contratto”); Cass. 18 giugno 1986, n.4071 (dichiarazione unilaterale di natura confessoria sottoscritta dalla parte che abbia interesse contrario all’accertamento della simulazione); Cass., 23 agosto 1985, n.4500; Cass., 30 luglio 1982, n.4361.

E’ necessaria sul punto una precisazione.

L’art.2724 c.c., nel prevedere le eccezioni al divieto di prova testimoniale avverso il contenuto di un contratto scritto, al n.1 dispone che la prova testimoniale è ammessa in ogni caso quando vi è un principio di prova per iscritto: “questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato”. Parte della dottrina sostiene, che per principio di prova per iscritto non si debba ritenere un documento contenente già in sé una parte della prova, che debba solo essere integrata, bensì un qualsiasi documento proveniente dalla controparte, anche ove non rechi la sua sottoscrizione, F. CANDIAN F., op. cit, 586, ma la giurisprudenza dominante è orientata in senso contrario, e cioè nel pretendere che il documento sia sottoscritto: Cass., 18 dicembre 1999, n.12813; Cass. 1 aprile 1999, n.3120; Cass. 13 novembre 1997, n.11232. Anche qui, tuttavia, si potrebbe riproporre l’eventuale ricorso a situazioni equipollenti per accertarne la provenienza.

Il principio di prova scritta non si identifica con la forma scritta ad probationem, perché esso pur consistendo in un qualsiasi scritto proveniente dalla parte contro la quale la domanda è diretta, è inidoneo a provare direttamente il fatto, ma sufficiente a renderlo verosimile. Quindi, perché esso ricorra si richiede, oltre alla sua provenienza dalle parti ed il nesso logico tra lo scritto ed il fatto controverso (Cass., 16 luglio 1980, n.4623; Cass., 21 aprile 1981, n.2337), soltanto la verosimiglianza, che non è una prova e neppure, per se stessa, presunzione, ma al più un argomento di prova C. MANDRIOLI, op. cit., II, 240 e 164. (Al principio di prova scritto viene, tuttavia, attribuita dal Supremo Collegio la rilevanza di mera prova indiziaria Cass., 12 novembre 1981, n.6001; Cass., 8 ottobre 1981, n.5296, in grado di rendere ammissibile la prova testimoniale ed il ricorso alle presunzioni semplici ulteriori).

[23] Sull’ammissibilità della confessione e del giuramento: Cass., 26 settembre 1997, n.9462; Cass., 6 maggio 1996, n.4167, in Giur. It., 1997. I, 2, 319; Cass., 29 marzo 1993, n.3771, in Nuova giur. Civ., 1994, I, 184, con nota di Conio; Cass., 13 marzo 1991, n.2653; Cass., 27 aprile 1989, n.1947; Cass., 9 febbraio 1982, n.775.

[24] E. REGGIANI, op. cit., 1587.

[25] In tal senso G. VERDE, Prova documentale (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XXXVII, 616, Milano, 1988, il quale implicitamente afferma, che la forma ad probationem è oggetto di cui le parti possono disporre. Secondo Cass., 13 aprile 1999, n.3621, “richiedendo la transazione la forma scritta non già ad substantiam ma ad probationem tantum, si appalesa non ortodossa la declaratoria con la quale il giudice del merito, in una situazione in cui i contendenti hanno dato per pacifica l’intervenuta stipulazione del contratto di cui trattasi, ha escluso la rilevanza di questo in ragione soltanto della mancata produzione di un documento, sottoscritto dai contraenti, idoneo a documentare la formale consacrazione per iscritto dell’accordo negoziale”. Nel caso esaminato dalla predetta sentenza, era stato depositato in giudizio un atto documentato in forma scritta, ma non sottoscritto dalle parti, le quali davano per pacifica la sua provenienza da loro medesime, cosicché, più che un problema di forma, si era posto un problema di accertare la provenienza del documento, rispetto alla quale si è verificata una relevatio ab onere probandi, data dal fatto non contestato. E’, invece, costante l’orientamento della giurisprudenza del Supremo Collegio nel ritenere che il fatto pacifico tra le parti non abbia bisogno di essere provato, salvo che la legge richieda un atto scritto ad substantiam o ad probationem, Cass., 29 aprile 1982, n.2710; Cass., 20 febbraio 1975, n.656; Cass., 25 gennaio 1975, n.294; Cass., 7 novembre 1974, n.3398; Cass., 31 maggio 1966, n.1449, in Riv. dir. proc., 1967, 343 ss., con nota contraria di Laserra, Osservazioni sulla prova della forma.

[26] Cass., 13 marzo 1991, n.2653; Cass., 27 aprile 1989, n.1947; Cass., 9 febbraio 1982, n.775. Inoltre, l’art.2739 c.c. vieta espressamente la possibilità di deferire giuramento decisorio sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta.

[27] Cass., 8 settembre 1999, n.9549; Cass., 25 marzo 1995, n.3562; Cass., 16 giugno 1992, n.7400; Cass., 21 dicembre 1988, n.6987; Cass., 7 aprile 1987, n.3351; Cass., 21 luglio 1983, n.5029; Cass., 14 aprile 1982, n.2256.

[28] F. CANDIAN F., op. cit.,589.

[29] S. PATTI, op. cit., 12.

[30] “Se lacero il foglio di carta, distruggo il documento, ma non sopprimo dalla storia degli uomini lo scrivere, la forma grafica in cui si espresse l’autore. La forma sta nello scrivere e questa ha l’effimera labilità del muto contegno e della parola detta. Nessuna forma dura nel tempo; tutte appartengono al passato”, N. IRTI, La rinascita del formalismo e altri temi, in Idola libertatis, Milano, 1985, 60.

[31] Proprio il carattere corporale del documento porta la dottrina civilistica ad inquadrarlo tra i beni mobili materiali ed a giustificare la disciplina speciale cui è assoggettato in funzione del particolare vincolo di accessorietà che lo lega al fatto rappresentato, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, 61; S. PATTI, op. cit., 10.

[32] CARRARO, Diritto sul documento, 50.

[33] La distinzione tra diritto di proprietà sulla res e diritto sul contenuto del documento rileva, altresì, con riferimento ai documenti pubblici. Se infatti i privati non possono in genere ottenere gli originali dei documenti pubblici, essi hanno tuttavia il diritto di ottenere delle copie che, se compilate dal pubblico ufficiale competente, hanno lo stesso valore probatorio degli originali (S. PATTI, op. cit., 11).

[34] La sfiducia nei confronti del libero apprezzamento del giudice ha determinato, l’inserimento delle prove legali nei codici moderni, ma ad essa si è accompagnata l’aspirazione al massimo grado di certezza nello svolgimento dei rapporti giuridici (S. PATTI., op. cit., 15, n.1).

[35] V. DENTI, op. ult. cit, 717.

[36] S. PATTI, op. cit, 15.

[37] S. SATTA, op. cit., 358.

[38] V. DENTI, op. ult. cit., 718.

[39] P. GUIDI, Teoria del documento, Milano, 1950, 69.

[40] P. GUIDI, op. cit., 68.

[41] P. GUIDI, op. cit., 199, con riferimenti in nota n.307.

[42] Cass., 12 gennaio 1962, n.36.

[43] CAVALLONE, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv,. dir. proc., 1978, 679; G. VERDE, Prova documentale, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991; C. MANDRIOLI C., op. cit., 158.

[44] L. MONTESANO, Le prove atipiche nelle presunzioni e negli argomenti del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980, 235; F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, 122 ss..

[45] Il termine prova atipica viene usato per contrassegnare o una fonte di convincimento del giudice non disciplinata dal legislatore ovvero un modo diverso attraverso cui assumere prova tipica. Nel primo caso si tratta di prove ammissibili, nel secondo si fa riferimento ad un procedimento di assunzione inammissibile, G. F. RICCI, Le prove atipiche, Milano, 1999, 43 ss.; E. GIANNANTONIO E., Manuale di diritto dell’informatica, Padova, 1997, 369; M. TARUFFO, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, 389.

[46] F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. Di dir. Comm., 1929, I, 509 ss..

[47] V. DENTI, op. ult. cit., 715; S. PATTI, op. cit., 17.

[48] “Tota vis approbationis in subscriptione”, così Menonchio, citato da P. GUIDI, op. cit., 68, con altri numerosi riferimenti nella nota n.11.

[49] Cass., 15 maggio 1982, n.3027; P. GUIDI, op. cit., 68; F. CARNELUTTI F., op. ult. cit., 522; S. PATTI, op. cit., 20.

[50] Il primo con la lettura diretta del documento, il secondo ricorrendo ad altri mezzi, come la lettura da parte di un terzo: le diverse modalità per l’esercizio di detto controllo da parte dell’analfabeta comportano soltanto la necessità di una differente valutazione dell’idoneità della prova contraria, che sia stata offerta per superare l’indicata presunzione relativa. Cass., 15 maggio 1982, n.3027; 26 gennaio,1976, n.251, in Foro it., 1976, I, 1913; 14 gennaio 1965, n.73.

[51] S. PATTI, op. cit., 17; F. CARNELUTTI, op. ult. cit., 511 ss..

[52] F. CARNELUTTI, Documento (teoria moderna), Nov. Dig., Torino, VI, 1960, 87. Unica eccezione è l’art.2354 c.c. in materia di sottoscrizione di azioni: “E valida la sottoscrizione mediante riproduzione meccanica della firma, purché l’originale sia depositato presso l’ufficio del registro delle imprese ove è iscritta la società”

[53] R. ZAGAMI R., Firme “digitali”, crittografia e validità del documento elettronico, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1996, 152.

[54] Alcune disposizioni di legge prevedono la validità della sottoscrizione incompleta (art.8 legge camb.; art.602, II comma, c.c.), ma la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione è costante nell’affermare la necessità della scritturazione per esteso del nome e del cognome. Una parte della dottrina, prendendo spunto dalla presenza di norme che equiparano alla scrittura privata documenti del tutto privi di sottoscrizione (es. art.2705 c.c.), afferma che, se la sottoscrizione è diretta ad accertare la provenienza del documento, è sufficiente riscontrare nel segno grafico apposto sul documento la idoneità a designare con ragionevole certezza la persona che lo ha vergato.

[55] P. GUIDI, op. cit., 68.

[56] F. CARNELUTTI, Studi sulla sottoscrizione, in Riv. Dir. Comm., 1929, I, 529 ss..

[57] E. MARMOCCHI, op. cit., 4.

[58] Cass.16 giugno 1977, n.2506; 8 luglio 1974, n.1989; 26 luglio 1967, n.1971. In dottrina A. MORELLO, Sottoscrizione, in Nov. Dig., XVII, Torino, 1970, 1003 ss.; A. SCARDACCIONE, Scrittura privata, in Nov. Dig., XVI, Torino, 1969, 809; B. CARPINO, Scrittura privata, Enc. Giur., XLI, Milano, 1989, 805; L. P. COMOGLIO, La scrittura privata, in Trattato di Dir. Priv. diretto da P. Rescigno, Torino, 1985, 19, 267.

[59] Casi eccezionali in E. MARMOCCHI, op. cit., 5.

[60] Cass.26 gennaio 1987, n.720, in Giust civ., 1988, I, 242; Cass., 5 febbraio 1972, n.275.

[61] Cass., 21 maggio 1992, in Giur. it., 1993, I, 1, 1550, con nota di Cimei; Cass., 26 gennaio 1987, n.720, in Giust. civ., 1988, I, 242.

[62] Per contestarne l’apposizione materiale è necessario esperire la querela di falso (Cass., 6 agosto 1987, n.6781; Cass., 13 luglio 1981, n.4581).

[63] I pubblici ufficiali autorizzati ad attribuire pubblica fede sono: il notaio, gli ufficiali dello stato civile, i cancellieri, i segretari comunali, gli ufficiali giudiziari rispetto alle notificazioni, i ricevitori e simili rispetto alle esazioni fatte, i conservatori delle ipoteche, gli agenti delle imposte, i magistrati, i componenti il seggio elettorale, occasionalmente il capitano della nave o dell’aereomobile autorizzati a redigere atti di stato civile e testamenti in navigazione etc..

[64] G. VERDE, op. ult. cit, 5.

[65] G. LASERRA, La scrittura privata, Napoli, 1959, 70 e 213; S. PATTI, op. cit., 62.

[66] S. PATTI, op. cit., 62. Secondo l’autore le pronunzie giurisprudenziali che hanno limitato il contenuto della scrittura privata a dichiarazioni aventi carattere negoziale (Cass., 21 marzo 1955, n.825, in Giust. civ., 1955, I, 1088; Cass., 19 marzo 1980, in Foro .it., 1981, I, 843) hanno posto una limitazione ingiustificata, e probabilmente dettata dalla confusione tra le sue due funzioni: forma del negozio e mezzo di prova.

[67] S. PATTI, op. cit., 64.

[68] La disciplina della firma digitale ha introdotto profondi mutamenti.

[69] Uniforme in tal senso è la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: Cass., 7 gennaio 1997, n.34; Cass., 2 ottobre 1996, n.8620; Cass., 24 gennaio 1995, n.801; Cass., 9 marzo 1985, n.1935, in Giust. civ., 1986, I, 214; Cass., 7 luglio 1974 n.1989; Cass., 28 aprile 1968, n.1236. G. LASERRA G., op. cit., 198; P. GUIDI, op. cit., 64; S. PATTI, op. cit.. Secondo parte della dottrina la scrittura priva di sottoscrizione, purché autografa, è liberamente apprezzata dal giudice anche nel punto specifico della sua provenienza dalla parte che viene indicata come l’autrice: C. MANDRIOLI, op. cit., II, 153; V. ANDRIOLI, op. cit., 679.

[70] Cass.9 marzo 1985, n.1935, in Giust. civ., 1986, I, 214.

[71] La giurisprudenza del Supremo Collegio ritiene, che se la scrittura non sottoscritta viene riconosciuta espressamente dalla parte come propria o come proveniente dal proprio autore, si formi egualmente prova legale sulla sua autenticità : “l’accertamento dell’autenticità di una scrittura privata può ben essere raggiunto attraverso una dichiarazione confessoria, in quanto l’autenticazione, l’omesso disconoscimento in giudizio e la verificazione giudiziale non costituiscono mezzi esclusivi per il riconoscimento della scrittura stessa”, Cass., 29 maggio 1971, n.1618.

[72] E’ costante orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, quello secondo cui “In tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, il contraente che non abbia materialmente sottoscritto l’atto negoziale può validamente perfezionarlo producendolo in corso di giudizio al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente, a condizione che, medio tempore, quest’ultimo, pur avendo validamente sottoscritto l’atto, non abbia poi revocato il proprio consenso prima della proposizione della domanda giudiziale, non potendosi in tal caso, riconnettere alla successiva produzione in giudizio del documento da parte di chi non l’aveva, a suo tempo, sottoscritto l’effetto di perfezionare efficacemente un contratto in relazione al quale era già venuta meno la volontà dell’altro contraente, con conseguente impossibilità di formazione di quel consensus in idem placitum indispensabile alla nascita di una valida fattispecie negoziale” (ex plurimis Cass., 19 febbraio 1999, n. 1414).

[73] Cons,. Stato, 19 giugno 1986, n.442, in Foro amm., 1986, 1074; App. Genova, 20 luglio 1989, in Dir. marittimo, 1990, 348.

[74] S. PATTI, op. cit., 74.

[75] Relazione al Codice Civile n.1106.

[76] Cass.1935/75; Cass., 7 luglio 1974 n.1989.

[77] S. PATTI, op. cit., 73.

[78] Contro di essa, parte della dottrina ritiene non sia esperibile la querela di falso, G. VERDE, op. cit.; ID., Querela di falso, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991.

[79] Cass., 13 aprile 1987, n.3667; Cass., 6 febbraio 1978, n.534; Cass., 9 luglio 1974, n.2027; Cass., 20 gennaio 1968, n.148; Cass., 14 maggio 1963, n.1199. In dottrina, E. MARMOCCHI, op. cit., 6.

[80] E. MARMOCCHI, op. cit., 6.

[81] E. MARMOCCHI, op. cit., 7.

[82] Cass., 7 gennaio 1997, n.34; Cass., 6 aprile 1995, n.4036; Cass., 9 marzo 1985, n.1935; V. DENTI, Verificazione della scrittura privata, in Nov. Dig., Torino, 1975, 673,

[83] Cass., 27 novembre 1998, n.12066; Cass., 4 novembre 1988, n.5974; Cass., 9 maggio 1987, n.4295; Cass., 7 giugno 1984, n.3440; Cass., 14 maggio 1983, n.3322. In tal senso, G. VERDE, Prova documentale, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991.

[84] Cass., 17 gennaio 1995, n.482; Cass., 3 agosto 1968, n.2793, in Riv. dir. proc., 1969, 476, con nota di SCARDACCIONE, Contestazione dell’autenticità della scrittura privata attribuita ad un terzo.

[85] Cass., 30 maggio 1991, n.6134.

[86] M. TARUFFO, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, 389; G. F.RICCI, op. cit., 223: “Sono da ritenere ammissibili nel nostro sistema le prove atipiche per un triplice ordine di elementi: a.- dalla circostanza che il principio dell’accertamento della verità effettiva, si riconferma come un sicuro scopo anche del processo civile; b.- dall’ammissibilità nel nostro ordinamento dell’indizio come fonte di prova; c.- dal riconoscimento del diritto alla prova garantito dall’art.24 Cost., che deve consentire alle parti di potere utilizzare ogni mezzo di indagine che in concreto appaia rilevante per l’accertamento dei fatti di causa, purché non sia escluso da specifiche disposizioni di legge …. Non sembra, invece, costituire un argomento utilizzabile per sostenere l’ammissibilità delle prove atipiche il richiamo al principio del libero convincimento, che pur essendo di importanza fondamentale, opera esclusivamente con riferimento alla valutazione della prova e non alla sua ammissibilità”. Il principio del libero convincimento concerne, dunque, solo la valutazione di prove già ritenute ammissibili nel nostro ordinamento: G. VERDE G., Per chiarezza di idee in tema di documentazione informatica, in Riv. dir. proc., 1990, 736. E’ favorevole alla configurabilità della categoria delle prove atipiche, E. GIANNANTONIO, Il valore giuridico del documento elettronico, in Riv. dir. comm., 1986, 269; ID., Manuale di informatica giuridica, 1997, 369 ss.. L’autore ritiene che sia, invece, proprio il principio del libero convincimento del giudice a comprendere, almeno tendenzialmente, il principio della libera ammissibilità delle prove. Le prove atipiche, peraltro, pur da assumere nel rispetto del principio del contraddittorio, dovrebbero, comunque, essere valutate in modo conforme alle norme dettate in tema di presunzioni

[87] CAVALLONE, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv,. dir. proc., 1978, 679; G. VERDE, Prova documentale, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991; C. MANDRIOLI C., op. cit., 158. Secondo quest’ultimo autore, l’inserimento nel nuovo codice di procedura penale di una norma, l’art.189, che ammette espressamente l’impiego delle prove innominate, è da ritenere non possa assumere significato rispetto al processo civile, stanti le profonde differenze di impostazione e di esigenze che stanno alla base dei due processi.

[88] Cass., 13 aprile 1965, n.675; Cass., 23 novembre 1970, n.2410, in Foro .it., 1971, I, 133; Cass., 20 dicembre 1990, n.12091 (consulenza tecnica espletata in altro procedimento).

[89] Cass., 3 febbraio 1999, n.914; Cass., 4 maggio 1999, n.4406; Cass., 4 febbraio 1993, n.1377; Cass., 6 aprile 1983, n.2373; Cass., 27 gennaio 1982, n.552; Cass., 22 luglio 1981, n.4709; Cass., 11 marzo 1981, n.1384.

[90] M. TARUFFO, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc., 1973, 387.

[91] Cass., 11 agosto 1999, n.8585.

[92] F. DE SANTIS, op. cit., 137, con ampie note di richiami.

[93] E. GIANNANTONIO, Manuale di informatica giuridica, 1997, 374.

[94] L. MONTESANO, Le prove atipiche nelle presunzioni e negli argomenti del giudice civile, in Riv. dir. proc., 1980, 235; F. DE SANTIS, Il documento non scritto come prova civile, Napoli, 1988, 139 ss. Quest’ultimo autore riporta le considerazioni di V. Andrioli in merito agli argomenti di prova, che “non sono desumibili soltanto dagli atti, dalle attività e dai comportamenti indicarti dall’art.116, II comma, perché se così fosse, la forza normativa della disposizione si esaurirebbe nel primo comma”.

[95] CAVALLONE, Critica della teoria delle prove atipiche, in Riv,. dir. proc., 1978, 702.

[96] Anche contro le riproduzioni meccaniche è ammissibile la querela di falso: Cons. Stato, 5 dicembre 19994, n.984, in Cons. Stato, 1994, I, 1677.

[97] C. MANDRIOLI, op. cit., II, 164. Gli argomenti di prova mirano a corroborare le prove acquisite. Si ritiene che cada in equivoco chi (S. SATTA, op. cit., 214), tentando di offrire una spiegazione dell’efficacia degli argomenti di prova, afferma che le situazioni indicate dall’art.116, II comma, c.p.c. possono dare vita ad una vera e propria prova, allorché si risolvano in ammissioni dei fatti di causa, cosicché troverebbero spiegazione le numerose sentenze che ammettono largamente il contegno delle parti come fonte di prova. In tali casi il convincimento del giudice non si formerebbe sugli argomenti di prova, bensì sulla relevatio ab onere probandi data dal fatto non contestato (G. F. RICCI, op .cit., 233). Invero, è da rilevare come ove il contegno in esame non sia univoco e concludente, è difficile affermare che un determinato fatto sia pacifico tra le parti, mentre è possibile qualificarlo come ammissione (G. VERDE, op. ult. cit., 616).

[98] Il giudizio civile di falso in tanto potrà prescindere totalmente dalla repressione penale, in quanto non sia imputabile ad alcuno il reato di falsità, ovvero il reato stesso sia estinto (V. DENTI, Querela di falso, in Nov. Dig., Torino, 1967, 659).

[99] G. VERDE, op. ult. cit., 11.

[100] V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1953, 156; F. CARNELUTTI., Teoria del falso, Padova, 1935, 100.

[101] ATTARDI, L’interesse di agire, Padova, 1955, 192.

[102] V. DENTI, Verificazione della scrittura privata, Nov. Dig., Torino, 1975, 675; ID., Querela di falso, in Nov. Dig., Torino, 1967, 662. Cass., 17 ottobre 1998, n.10287; Cass., 27 luglio 1992, n.9013, in Foro it., 1994, I, 2873. Oltre a diversità di oggetto, tra i due giudizi vi sono profonde diversità procedurali.

[103] G. VERDE, Querela di falso, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991, 1. L’autore ritiene che, tuttavia, la querela di falso esiga che la scrittura impugnata abbia già conseguito il valore di prova legale nei modi previsti dalla legge. In senso contrario: Cass., S.U., 4 giugno 1986, n.3734 e G. CHIOVENDA, op. cit., 848; S. PATTI, op. cit., 83, con ampia nota di richiami (n.4).

[104] Secondo il DENTI (Verificazione della scrittura privata, in Noviss. Dig., Torino, 1975, 671) la verificazione in via principale diretta ad ottenere un’autenticazione giudiziale della sottoscrizione è un mezzo di tutela tipico, strettamente coordinato con le norme del codice civile che richiedono tale accertamento in alternativa con l’autenticazione stragiudiziale, per la trascrizione di un atto (art.2657 c.c.) o per la iscrizione di un’ipoteca (art.2835 c.c.) o per omettere l’iscrizione dell’ipoteca legale (art.2834 c.c.). Fuori di questi casi il giudizio di verificazione in via principale è inammissibile e deve lasciare spazio ad un normale giudizio di accertamento del negozio e la verificazione della scrittura si ridurrà ad un incidente del giudizio principale. In tali casi la funzione del giudizio di verificazione è quella di fornire la scrittura del requisito formale richiesto ai fini della trascrizione o iscrizione e non quella di integrare l’efficacia probatoria della scrittura ai fini del giudizio nel quale essa è prodotta. In tali casi si realizza una vera e propria autenticazione giudiziale della sottoscrizione. In tal senso anche, S. PATTI, op. cit., 81.

[105] V. ANDRIOLI, op. cit., 156; E. T. LIEBMAN, Manuale di diritto processaule civile, II, Milano, 1981, 133; G. LASERRA, op. cit., 123; A. SCARDACCIONE, Le prove, Torino, 1971, 216; G. VERDE, Verificazione della scrittura privata, in Enc. Giur., Roma. In favore di tale tesi viene dedotto che: a.- non è possibile procedere d’uffico alla verificazione; b.- l’istanza viene decisa dal Collegio con sentenza; c.- la predetta sentenza ha efficacia erga omens; d.- il giudizio di verificazione può essere instaurato in via principale.

[106] V. DENTI, op. ult. cit., 177; S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1966, 180. In parte, F. CARNELUTTI, Verificazione di scrittura privata in appello, in Riv. Dir. proc., 1960, 670. In favore di tale tesi viene dedotto che: a.- la verificazione si svolge sempre davanti al giudice delal causa principale (anche se è in grado di appello); b.- la decisione negativa non assume la forma di sentenza di rigetto, ma resta assorbita dalla pronunzia di merito.

[107] Cass., S.U., 11 ottobre 1965, n.2112; Cass., 4 maggio 1966, n.1129; Cass., 14 luglio 1972, n.2410.

[108] Secondo una recente pronuncia del Supremo Collegio (Cass. 4 aprile 1997, n.2911) “Il disconoscimento, ai sensi dell’art.215, comma 2, c.p.c., dell’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata senz’altro ammissibile pur se prodotta in copia fotostatica, da un lato comporta che, se la parte intende avvalersene, deve produrre l’originale, necessario per la procedura di verificazione; dall’altro detto disconoscimento, nel privare di efficacia probatoria la copia fotostatica (art.2719 c.c.), implica anche la contestazione dell’esistenza dell’originale”. Ciò significherebbe, che il disconoscimento della copia implica sempre il disconoscimento della scrittura privata, con la conseguenza che in mancanza di produzione dell’originale, onde accertarne la genuinità all’esito del giudizio di verificazione, resta preclusa definitivamente l’utilizzabilità del documento come mezzo di prova. La giurisprudenza è, tuttavia, costante nell’affermare che il giudizio di verificazione può essere instaurato solo ove sia depositato l’originale: Cass.14 maggio 1992, n.5738; 22 ottobre 1993, n.10469. In dottrina: V. DENTI V., Verificazione della scrittura privata, Enc. Dir., Milano, Agg. I, 1997, 991.

[109] DENTI V., op. ult. cit., 991.

[110] Cass., 8 gennaio 1994, n.155; Cass., 7 luglio 1993, n.7302. Il ricorso alla presunzione non è, peraltro, necessario, poiché allo stesso risultato può pervenirsi alla luce della regola relativa ai fatti pacifici (S. PATTI, op. cit., 84). Contrariamente si afferma che la mancata proposizione della suddetta istanza “non sia da intendere come rinuncia alla prova, bensì come esercizio della libertà di scelta dei mezzi di prova, che compete ad ognuna delle parti” Cass., S.U., 11 ottobre 1965, n.2112; V. DENTI, op. ult. cit., 991.

[111] Cass., 9 marzo 1984, n.1634.

[112] V. DENTI, op. ult. cit., 991.

[113] S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1959, 188.

[114] V. DENTI, op. ult. cit., 992.

[115] Non è invece necessaria la querela di falso per dimostrare che il documento è stato firmato da un pubblico ufficiale incompetente o senza il rispetto delle formalità prescritte (viene meno la forma) e neppure è necessaria per dimostrare che la dichiarazione resa la notaio è viziata o simulata (profili sostanziali da tenere distinti).

[116] V. DENTI, Querela di falso, in Nov. Dig., Torino, 1967, 664. Cass., 6 luglio1999, n.6959; Cass., 6 maggio 1998, n.4582, in Giust civ., 1998, I, 2547; Cass., 19 marzo 1996, n.2284; Cass., 23 aprile 1993, n.4773; Cass., 25 novembre 1982, n.6375. Il falso ideologico costituisce, peraltro, reato solo ove sia commesso da un pubblico ufficiale.

[117] Cass., 23 dicembre 1963, n.3207, in Foro it., 1964, I, 39.

[118] Cass., 6 luglio 1999, n.6959; Cass., 6 maggio 1998, n.4582, in Giust. civ., 1998, I, 2547, con nota di Nannipieri; Cass., 19 marzo 1996, n.2284; Cass., 23 aprile 1993, n.4773.

[119] Cass., 22 settembre 1981, n.5162.

[120] Cass. 10 settembre 1998, n.8960; Cass., 18 dicembre 1997, n.12823; Cass., 1 dicembre 1997, n.12137; Cass., 17 aprile 1996, n.3624; Cass., 2 febbraio 1995, n.1259; Cass., 15 dicembre 1994, n.10732, in Giust civ., 1995, I, 1879.

[121] Cass. 17 aprile 1996, n.3624; Cass., 24 giugno 1992, 7765; Cass., 2 dicembre 1988, n.6525. Contra v. Cass. 13 ottobre 1980, in Giust. civ., I, 2713, con nota di A. Schermi, Abusivo riempimento di foglio firmato in bianco e querela di falso. L’autore afferma che si tratta, comunque, di un procedimento di formazione progressiva della scrittura privata nella sua totalità e non soltanto delle dichiarazioni in essa contenute, cosicché esperendo la querela di falso e non facendo valere un vizio del volere, il sottoscrittore potrebbe spezzare il nesso formale tra la sua sottoscrizione e le dichiarazioni scritte dal terzo nel documento. Di contro si afferma che nel caso di riempimento contra pacta se di falso si vuole parlare è solo di falso ideologico, che il legislatore circoscrive alla sola attività di documentazione posta in essere dal pubblico ufficiale, cosicché è necessario individuare nel sistema un altro strumento di tutela che è stato individuato nell’istituto dell’errore ostativo S. PATTI S., op. cit., 72, con ampia nota di richiami (n.13).

[122] S. PATTI, op. cit., 70.

[123] Cass. 10 settembre 1998, n.8960; Cass., 18 dicembre 1997, n.12823; Cass., 1 dicembre 1997, n.12137; Cass., 17 aprile 1996, n.3624; Cass., 2 febbraio 1995, n.1259; Cass., 15 dicembre 1994, n.10732, in Giust civ., 1995, I, 1879. La querela di falso serve in questo caso a combattere la presunzione della provenienza della dichiarazione dal firmatario ex art.2702 c.c. (S. PATTI, op. cit., 71).

[124] P. GUIDI, op. cit., 72; C. M. BIANCA, Diritto Civile, III, Il contratto, 1999, 298 ss..

[125] Cass., 17 ottobre 1998, n.10287; Cass., 10 giugno 1996,n.5350, in Giust. civ., 1997, I, 164.

[126] Cass., 10 giugno 1996,n.5350, in Giust. civ., 1997, I, 164

[127] Trib. Napoli, 21 maggio 1986, in Diritto e giur., 1987, 586, con nota di Pappa Monteforte. Nel giudizio di verificazione è invece sempre necessario il deposito dell’originale rispetto al quale effettuare le comparazioni.

[128] L’art.2706 c.c. parla di “riproduzione” del telegramma e di “conformità” tra originale e riproduzione, lasciando chiaramente intendere quale sarebbe stata la reale natura del documento in mancanza di espressa disposizione normativa. Un’autorevole dottrina afferma, tuttavia, che le riproduzioni meccaniche non provano dichiarazioni (V. DENTI, Prova documentale, in Enc. Dir., XXXVII, 1988, 715).

[129] Cass., 27 novembre 1997, n.11946: “Per il disposto dell’art.2705 c.c. il telegramma non prodotto in originale, non ha efficacia di scrittura provata e non è, pertanto, idoneo a costituire forma scritta per il perfezionamento di un contratto di trasferimento immobiliare a norma dell’art.1350 c.c.”; P. PERLINGIERI, Commentario al Codice Civile, Napoli, 1991, 163 ss..

[130] P. GUIDI, op. cit., 69. Contra, G. VERDE, Prova documentale, Enc. Giur., Roma, XXV, 1991, 15, che ritiene non sia necessario siano scritte di pugno dall’autore ed anzi possono anche essere redatte per suo conto da terzi incaricati.

[131] P. GUIDI, op. cit., 69; G. VERDE, op. cit., 15; Cass.11 gennaio 1968, n.64.

[132] La giurisprudenza è incline a valutare le scrittura contabili come fonti indiziarie di prova anche a vantaggio dell’imprenditore (Cass., 11 marzo 1975, n.910; Cass., 9 gennaio 1975, n.52; Cass., 23 giugno 1972, n.2089).

[133] P. GUIDI, op. cit., 69.

[134] V. DENTI La prova documentale (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., Milano, XXXVII, 1988, 713; ID, Verificazione della scrittura privata, Enc. Dir., Milano, Agg. I, 1997, 986.

[135] In tal senso la recente giurisprudenza in materia di telex telefax e autorevoli dottrine: G. VERDE, Per chiarezza di idee in tema di documentazione informatica, in Rivista di diritto processuale civile, 1990, 715; L. MONTESANO, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1987, 23.

[136] S. PATTI, op. cit., 125

[137] G. F.RICCI, op. cit., 381; F. DE SANTIS, op. cit., 47.

[138] F. CARNELUTTI F., Prova fotografica e fonografica, in Riv. dir. proc. civ., 1942, 233.

[139] E. T. LIEBMAN, op. cit., 120

[140] Secondo L. MONTESANO, op. cit., 23, mancando la previsione di efficacia di prova legale fino a querela di falso, la rappresentazione meccanica vincola non tutti i giudici, ma solo quelli davanti ai quali non vi sia stato disconoscimento di conformità ovvero essa sia stata verificata. In senso analogo, G. VERDE, op. ult. cit., 715.

[141] Relazione al Codice Civile n.1110.

[142] F. DE SANTIS, op. cit., 150.

[143] Una parte della dottrina sostiene la necessità di un tempestivo disconoscimento nei termini previsti dall’art.215 c.p.c., n.2, F. CARNELUTTI, op. ult. cit., 233; F. DE SANTIS, op. cit., 52.

[144] Il giudice può liberamente apprezzarne l’efficacia rappresentativa poiché a differenza delle ipotesi in cui è previsto l’onere di instaurare un giudizio di verificazione, qui non opera una presunzione di rinuncia alla prova, ma trovano applicazione le regole generali sull’onere della prova, S. PATTI, op. cit., 130; V. ANDRIOLI, op. cit., 695; Trib. Milano, 6 dicembre 1965, in Giur. it., 1966, I, 2, 653. In senso contrario si afferma che la riproduzione meccanica disconosciuta si trovi nello stato della scrittura privata disconosciuta, notoriamente priva di qualsiasi efficacia probatoria, L. MONTESANO, op. cit., 8

[145] L. MONTESANO, op. cit., 23; G. F.RICCI, op. cit., 863. Cass. 10 ottobre 1967, n.238, in Foro it., 1968, I, 469. Una recente giurisprudenza è, tuttavia, di segno opposto, ed ammette che le riproduzione meccaniche disconosciute possano, comunque, essere utilizzate con l’ausilio di altri mezzi di prova, per la formazione del convincimento in ordine alla verità dei fatti: Cass., 8 luglio 1994, n.6437, in ordine dischi cronotachigrafi.

[146] L. FERRARA, La prova fotografica nel processo civile, Napoli, 1906, 274. In senso contrario, si sostiene che nel caso di verificazione con esito negativo l’efficacia probatoria sarà quella propria degli argomenti di prova e, cioè, corroborare le altre prove acquisite, F . DE SANTIS, op. cit., 149; L. MONTESANO, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile, in Dir. informazione e informatica, 1987, 23 ss..

[147] Cons. Stato, 5 dicembre 1994, n.984, in Cons. Stato, 1994, I, 1677.

[148] Tale distinzione è confermata da tutta la recente legislazione in materia di documento informatico (D.p.r., 10 novembre 1997, n.513; D.P.C.M.,8 febbraio 1999; Schema di T.U. in materia di documentazione amministrativa approvato dal Consiglio dei ministri il 25 agosto 2000), che fa sempre riferimento al documento informatico come signum del supporto: come vedremo in seguito solo ad esso è opponibile la c.d. firma digitale.

[149] Questa ripartizione trova conferma nella nozione di documento informatico dettata dal legislatore nell’art.1 del D.p.r. 10 novembre 1997, n.513. Come vedremo, esso consiste in una riproduzione meccanica in senso stretto e per questo viene anche comunemente definito documento informatico in senso stretto.

[150] Cass., 13 febbraio 1989, n.886, in Foro it., 1990, I, 3490.

[151] S. PATTI, Documento, in Digesto Disc. Priv., Sez. Civile, Torino, VII, 1991, 12

[152] Cass., 1 febbraio 2000, n.1089, in Foro it., 2000; Cass., 21 dicembre 1999, n.14378, in Foro it., 2000, I, 1039; Cass. 13 giugno 1997, n.5346. Così, colui che ha esibito la copia, nel caso in cui oltre alla conformità venga contestata anche l’autenticità della scrittura, ove non voglia rinunciare alla prova, deve esibire l’originale e chiederne la verificazione. Tuttavia, secondo una pronuncia del Supremo Collegio (Cass. 4 aprile 1997, n.2911) “Il disconoscimento, ai sensi dell’art.215, comma 2, c.p.c., dell’autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata senz’altro ammissibile pur se prodotta in copia fotostatica, da un lato comporta che, se la parte intende avvalersene, deve produrre l’originale, necessario per la procedura di verificazione; dall’altro detto disconoscimento, nel privare di efficacia probatoria la copia fotostatica (art.2719 c.c.), implica anche la contestazione dell’esistenza dell’originale”. Ciò significherebbe, che il disconoscimento della copia implicherebbe sempre il disconoscimento della scrittura privata, con la conseguenza che in mancanza di produzione dell’originale, onde accertarne la genuinità all’esito del giudizio di verificazione, resta preclusa definitivamente l’utilizzabilità del documento come mezzo di prova.

[153] Cass. 13 giugno 1997, n.53466; Cass., 15 maggio 1987, n.4479.

[154] G. PASCUZZI, Telefax e telex, Digesto Disc. Priv., Sez. Civ., XIX, Torino, 1999, 282 ss.; C. BARRECA, Telex e telefax nel sistema delle prove documentali, in Riv. dir. proc., 1991, 907; P. MOSCOGIURI, Sull’efficacia probatoria del messaggio telex, in Nuovo dir., 1981, 280 ss.. Sicuramente non integra la forma scritta (Trib. Genova, 21 aprile 1989, in Foro Padano, 1990, I, 61), ma non si può dire che abbiano l’efficacia della scrittura privata (App. Ancona, 5 aprile 1982, in Foro Padano, 1982, 164), perché l’art.2705 c.c. è senz’altro norma eccezionale.

[155] Trib. Taranto, 11 maggio 1981, in Dir. Marittimo, 1981, 255; Trib. Ascoli Piceno, 7 settembre 1980, in Giur. It., 1981, I, 2, 6. In dottrina, C. MANZINI, Il telex come mezzo di prova, in Giur. comm., 1978, I, 890.

[156] G. F. RICCI, op. cit., 389.

[157] G. F. RICCI, op. cit., 389. E’ evidente la considerazione del documento informatico come res e che non è tenuto nel giusto conto il fatto che sia il telex che il telefax danno vita a documenti informatici che nascono in forma digitale e vengono così inviati ad una macchina che non è detto che proceda ad una loro stampa automatica. In particolare, tecnicamente, il telefax è la descrizione binaria di un foglio di carta attraverso l’attribuzione di valori “bianco/nero” ad ogni singola area di un duecentesimo di pollice, che viene compressa e trasmessa via modem. Ciò lascia aperta la possibilità di una piena applicazione ad essi della disciplina prevista per il documento informatico.

 

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