Divorzio: come ottenere la revisione dell’assegno di mantenimento?

Redazione 28/01/20
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Dopo la sentenza n. 11504/2017, appena depositata dalla Corte di Cassazione, il panorama del diritto di famiglia in tema di assegno di mantenimento a seguito del divorzio è del tutto cambiato.

Il quantum dell’assegno assistenziale che si dovrà corrispondere all’ex coniuge sarà da rapportare al criterio dell’autosufficienza e dell’indipendenza economica. Ciò sempre che il giudice riconosca che sia effettivamente dovuto un contributo, vagliando i diversi indici di reddito di entrambi gli ex coniugi.

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Assegno di Mantenimento: come si modifica?

Ma è possibile chiedere la revisione dell’assegno di mantenimento già liquidato dal giudice, precedentemente il cambio di orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione? E se sì, come? Procediamo con ordine.

Innanzitutto, le controversie relative a separazione e divorzio rientrano tra le tipologie di cause di c.d. volontaria giurisdizione, per le quali è lo stesso codice di procedura civile a prevedere la piena modificabilità del decreto giudiziale. Dunque, su richiesta di una o entrambe le parti, è possibile modificare l’importo, nonché l’an dell’assegno divorzile.

Per ottenere tale risultato, in particolare, è possibile sia ricorrere all’Autorità giudiziaria, rappresentata dal Presidente del Tribunale, sia optare per un accordo stragiudiziale mediante negoziazione assistita o dinanzi al Sindaco. Diverso il caso i cui gli ex coniugi non riescano a rinvenire un accordo pacifico: allora sarà necessario iniziare una vera e propria lite processuale, notificando un ricorso alla controparte.

Si legga anche:”Assegno di mantenimento: le modalità di recupero”

Revisione dell’assegno di mantenimento: i fatti nuovi

Tuttavia, è necessario che sussistano alcuni requisiti, al fine di rendere modificabile una decisione dapprima intervenuta tra le parti, anche per assicurare la certezza del diritto. Deve cioè ricorrere la circostanza per la quale si siano verificati fatti nuovi rispetto a quelli alla luce dei quali si è valutata la situazione che ha dato adito alla sentenza emessa, che si dice sia valida rebus sic stantibus.

Tra i casi annoverati tra quelli significativamente utili alla revisione dell’assegno vi è ad esempio il fatto che:

  • il coniuge beneficiario del mantenimento inizi una stabile e duratura convivenza con un altro partner, avviando una famiglia di fatto;
  • il coniuge beneficiario del mantenimento ottenga un aumento della retribuzione o aumenti i suoi guadagni o inizi un’adeguata attività lavorativa;
  • il coniuge tenuto al pagamento del mantenimento abbia una nuova famiglia con nuovi figli;
  • il coniuge tenuto al mantenimento subisca una invalidità o una consistente riduzione dello stipendio;
  • il coniuge tenuto al mantenimento perda il lavoro.

Diversamente, si potrà far leva sull’articolo 9 della legge sul divorzio che presuppone, per la proposizione dell’azione, l’esistenza – concreta e attuale – di “giustificati motivi” di natura economico patrimoniale.

Da un punto di vista strettamente processuale, il procedimento di revisione segue il rito camerale, e il decreto del tribunale è reclamabile alla Corte d’appello entro 10 giorni, revocabile in ogni tempo. I criteri con cui si individua la competenza del tribunale sono quelli di cui agli articoli 18 comma 1, 20 del c.p.c., 1182 comma 3 del c.c. e 12-quater della L. n. 898/70.

La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione

La Prima Sezione civile, decidendo sulla domanda di revisione dell’assegno divorzile determinato anteriormente all’evoluzione giurisprudenziale recata da Sez. 1, 10 maggio 2017, n. 11504 e Sez. U, 11 luglio 2018, n. 18287 in ordine alla sua natura e funzione, ha affermato che tale mutamento dell’orientamento della S.C. non integra, ex se, i giustificati motivi sopravvenuti richiesti dall’art. 9, comma 1, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 per la revisione dell’assegno, atteso che – in forza della formazione rebus sic stantibus del giudicato sulle statuizioni cd. determinative e del carattere meramente ricognitivo dell’esistenza e del contenuto della regula iuris proprio della funzione nomofilattica, che non soggiace al principio di irretroattività – il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali degli ex coniugi attiene agli elementi di fatto e deve essere accertato dal giudice ai fini del giudizio di revisione, da rendersi, poi, al lume del diritto vivente.

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