Distorsioni nelle valutazioni economiche

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La maggiore violenza che si esercita attualmente in economia è quella che la specie umana, nel modello di sviluppo economico imperante, compie sul sistema ambientale. Lo sviluppo è giustificato dal mito di una crescita illimitata secondo modelli propri tra ‘800 e ‘900, la pressione demografica crescente unita a vecchi modelli economici e tecnologici, determinano un progressivo depauperamento delle risorse ambientali e distruzioni di ecosistemi.

La mistificazione risiede nella promessa della possibilità di estendere in termini illimitati la crescita di un benessere fondato su consumi predatori ad una popolazione in espansione esponenziale, a fronte di un progressivo degradarsi dell’ambiente.

I limiti dei nove principali processi ambientali che gli scienziati hanno individuato:
• Cambiamento climatico;
• Acidificazione degli oceani;
• Riduzione dello strato di ozono;
• Cicli dell’azoto e del fosfato;
• Consumo di acque dolci;
• Uso del suolo;
• Perdita di biodiversità;
• Aerosol atmosferico;
• Inquinamento chimico;
sono stati superati in tre, più precisamente la perdita di biodiversità, il ciclo dell’azoto e il cambiamento climatico, mentre si va verso i limiti per il ciclo del fosforo, l’acidificazione degli oceani e l’uso del suolo (Foley); vi è quindi la necessità di nuove politiche economiche per tenere sotto controllo i processi ambientali (1).

I costi di produzione

I costi di produzione sono determinati dai prezzi dei fattori produttivi e dal progresso tecnologico, a questi si aggiungono i prezzi dei beni correlati nell’influenzare l’offerta delle imprese, le quali per tale via variano costantemente l’offerta stessa, restando peraltro sensibili ai costi delle politiche pubbliche di regolamentazione dell’attività produttiva.

A sua volta il reddito dei consumatori fa sì che sia facilitata la sostituzione fra beni complementari, con beni di costo inferiore e questo ancor più nel caso di beni necessari o resi tali, considerati gli elevati gradi di desiderabilità, si hanno quindi in ultima analisi più elevati e possibili gradi di inquinamento.
Lavoro, terra e capitale sono le ampie categorie a cui si rifanno i fattori produttivi, vi è tuttavia un “vincolo naturale” per il fattore terra, non incrementabile oltre un determinato limite dato.

Il progresso tecnologico tende a sostituire e rendere più efficienti gli altri due fattori, ma il limite del “vincolo naturale” resta, come del resto la problematicità dell’esternalità dei costi, a cui si risponde con le “correzioni” proprie derivante dalla capacità discorsiva, della “tassa pigouiana”.

Sorge la necessità di riconsiderare l’attuale mito della crescita, che, come è stato osservato, ci ha mantenuto in una adolescenza perpetua, evitando di volere prendere coscienza dell’eccessivo attrito che il modello imponeva al pianeta (Mckibben).

Il volere pretendere di vivere su questo pianeta come se fosse quello di due secoli precedenti risulta impossibile avendo, attraverso lo sviluppo industriale fondato sulla crescita progressiva di consumi nel tempo non sostenibili, compromessa una crescita che si voleva illimitata. Sostenuta tuttavia nei termini attuali, dagli enormi interessi in gioco sia economici che politici e dalla ricerca della via più rapida per uscire dal sottosviluppo (2).

Nei fenomeni naturali vi è una irreversibilità nel superamento delle soglie, il trend evolutivo non risulta pertanto lineare bensì a scalini, alla globalità degli eventi naturali sono quindi connessi “incertezza e irreversibilità”.

La “resilienza” dell’ambiente naturale viene a complicare la capacità di prevedibilità sull’evolvere degli eventi, essendo le risposte degli ecosistemi raramente lineari e controllabili.

La crescita economica mondiale

La crescita economica mondiale a ritmi e modalità attuali risulta pertanto una promessa fallace, mistificatoria, con cui coprire la difficoltà e i costi nell’individuare nuovi percorsi.

Risulta un mito economico anche l’efficienza nell’uso dell’energia attraverso i prezzi di mercato in presenza di “esternalità”, si punta tutto sull’infinita resilienza della Terra.

D’altronde il progresso tecnico inteso come semplice aumento della produttività, non è sempre accompagnato automaticamente ad un migliore utilizzo o conservazione delle risorse ambientali, finendo per complicare anziché risolvere i problemi della specie umana, risultando pertanto anch’esso un mito pericoloso se non criticamente valutato.

Vi è pertanto la necessità di sganciare la crescita del PIL dalla crescita automatica nell’utilizzo delle risorse naturali, non potendo utilizzare i parametri ottocenteschi, impostati su una popolazione di 1 miliardo di individui, con le attuali dimensioni di popolazione in crescita esponenziale.

L’uso delle risorse naturali comporta una esternalità dei costi sociali difficilmente quantificabili (diseconomie esterne). Un compromesso, tra il valore addizionale di produzione e il danno marginale causato dall’inquinamento, è stato ricercato nell’equilibrio efficiente, dato dall’uguaglianza tra beneficio marginale sociale derivante dalla riduzione dell’inquinamento e il costo marginale sociale (livello di inquinamento socialmente efficiente).

Lo Stato dovrebbe assumere come compito di indurre il settore privato a produrre il livello di inquinamento ritenuto socialmente efficiente. I rimedi proposti fondati sul mercato sono: multe e imposte, sussidi per la riduzione dell’inquinamento e permessi di inquinamento negoziabili, alternative risultano essere le soluzioni fondate su una regolamentazione diretta (Stiglitz).

Ognuna di queste ipotesi presenta aspetti negativi, derivanti in primis dalla burocratizzazione stessa e dal conseguente accrescersi dei costi diretti e indiretti di distorsioni sul funzionamento del mercato, per non parlare delle possibili devianze corruttive e criminali, ma anche l’assegnazione dei permessi pone problemi a loro volta di natura equitativa.

L’adozione di un tipo di strumento o di un altro presenta inoltre una diversa concezione sull’ambiente, in cui il diritto si sposta dall’obbligo di mantenere i beni naturali (imposta) al diritto di usarli inquinando (sussidi).

Vi è tuttavia la necessità di contemperare vari interessi e diritti, che vanno dal mantenimento nel tempo dei beni naturali nonostante l’uso, ai problemi sociali derivanti dalla perdita dei posti di lavoro.

Infine la regolamentazione diretta, oltre ai già rilevati problemi burocratici, nell’individuare degli standard crea dei problemi di ripartizione degli obblighi tra le imprese, dovendo raccogliere informazioni sui costi d’impresa, fatto solo apparentemente semplice se si considerano le problematiche relative alla raccolta dati, quali la dispersione o la segretezza delle procedure di produzione.

Ormai nessuna società può pretendere di operare in un ecosistema a risorse infinite, la biosfera finita impone nuovi modi di pensare. La dimensione ottimale dei consumi risiede nel punto in cui utilità e disutilità marginale sono uguali, mentre il limite di futilità è dato dalla mancanza nell’accumulo di alcuna utilità. La disutilità marginale è la quantità di sacrificio necessaria ad ottenere un’unità di consumo in più rispetto alla stessa utilità e cresce progressivamente all’accrescersi dei consumi.

Nella sostenibilità capitale naturale e capitale prodotto dalla trasformazione umana risultano complementari e non alternativi, ma questo comporta nuovi modi di misurare il benessere, trasferimenti di risorse, progressiva riduzione di mercati già consolidati a favore di nuove realtà.

Una trasformazione che non può avvenire senza shock e in cui la mistificazione dell’informazione è all’ordine del giorno (Daly); in cui lo stesso settore finanziario ipertrofico e autoreferente subirebbe una riduzione (3).

Nei beni pubblici insorge il problema del free-riding, in cui il mercato non riesce ad effettuare una allocazione Paretto-efficiente delle risorse, con il conseguente ricorso alla fiscalità obbligatoria e tutte le problematiche che ne derivano, tanto di equità nella distribuzione dei carichi che di distorsione dei mercati.

I beni pubblici

Se nei beni pubblici vi è normalmente un consumo non rivale e non escludibile, una particolare categoria di beni pubblici misti è data dai beni non escludibili ma consumo rivale.

Il libero accesso alle risorse crea il fenomeno noto come “tragedia dei beni comuni”, ossia una allocazione inefficiente, essendo i costi sociali non inclusi nei calcoli individuali, così che non potrà aversi automaticamente l’uguaglianza tra beneficio marginale e costo marginale, in modo da ottenere la massimizzazione dei benefici netti, anche in questi casi dovrà intervenire una regolamentazione con tutti i conseguenti problemi già rilevati.

Il cambiamento demografico in atto foriero di ulteriori lotte viene a coinvolgere flussi migratori e trasferimenti di risorse tra fasce di età, in cui l’interesse privato viene a l con la spinta evolutiva alla sopravvivenza e al desiderio di accrescimento (Cohen).

Ci poniamo innanzi al dilemma di una rinnovata crescita o all’opposto di una esplosione (4), demografica. Economia e ambiente correlati tra loro creano nuove dinamiche conflittuali dovendo passare dalla combinazione di più produttività, più persone e più risorse ad una produttività che da quantitativa , come finora si è imposta quale rapido accesso alla ricchezza, ad una qualitativa (Musser), dove accanto alla pura conoscenza tecnica si deve recuperare la coscienza critica propria di una preparazione umanistica (5).

Il mito della globalizzazione presenta come ogni cambiamento umano due facce, da una parte vi è stato un esplodere di consumi e crescita finanziaria dall’altro uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse naturali e umane, la violenza non risulta visibile.

I costi sociali possono essere esternati, tuttavia essa è un saldo che in un sistema chiuso quale è quello della terra porterà prima o poi ad un bilancio che potrebbe diventare negativo, infatti modelli economici efficienti in una determinata scala diventano inefficienti a scale superiori.

Si richiede un cambiamento di visione, nuovi paradigmi nel valutare la crescita (Bardhan – 6), le difficoltà sono comunque enormi se si considerano i possibili conflitti di interesse, come nel caso emerso dalla Big Pharma (Seife C., La ricerca farmaceutica è affidabile?, 30 – 39, in Le Scienze, 534, 2/2013).

Già Keynes sosteneva che solo quando il manager, all’inizio del XX secolo, possedevano la maggior parte delle azioni si sapeva con sufficiente certezza il valore delle società. Superata questa fase, con l’azionariato diffuso, si è dato luogo alle esuberanze irrazionali, tanto che gli economisti concordano sul volume sorprendentemente alto degli scambi, circostanza che rientra perfettamente sull’eccesso di fiducia nelle proprie capacità (overconfidence), tanto degli operatori professionisti che dei singoli investitori.

I prezzi dovrebbero già contenere in sé le informazioni, tuttavia vi è la tendenza a formulare previsioni su “rumori”, ossia su dati inconsistenti, circostanza aggravata ulteriormente dall’impostazione di sistemi automatici, oltre a cercare di estrapolare il futuro dal recente passato.

Le bolle possono essere individuate ma difficilmente potrà essere previsto il momento della loro implosione, pertanto, come dimostrato dall’Economia comportamentale, la pessima allocazione delle risorse può essere notevole, si apre quindi la questione dell’intervento pubblico nell’opporsi alla corrente (Thaler).

La mistificazione risiede anche nel creare il concetto di benessere nel movimento perenne, alla ricerca di una momentanea soddisfazione inesausta nel consumare attraverso il possedere che può risultare staccato dal vecchio concetto della proprietà, quello che interessa è il rinnovo quantitativo della produzione, la violenza passa pertanto da un livello fisico ad uno psichico nell’impossibilità di rimanere quieti e soddisfatti (118 – Baumann Z., L’etica in un mondo di consumatori, Laterza, 2010).

Nell’evitare conflitti ed aumentare la capacità di consumo al fine di sostenere la produzione ed aumentare il livello di benessere, si è creato il sistema del Welfare, ma questi risiede attualmente nella sua sostenibilità in una esternalità dei costi. Vi è quindi una difficoltà nel passare dal quantitativo al qualitativo, rimodulando il senso dei consumi, in questo favoriti ma al contempo anche ostacolati dalla crescente complessità del progresso tecnico.

Gli studi di Economia comportamentale hanno evidenziato che la percezione dell’equità dipende anche dal modo in cui una azione è presentata, oltre che dall’abitudine ad alcune condizioni commerciali.
Inerzia ed avversione alla perdita intervengono quindi nella valutazione del principio di equità in relazione alle singole azioni, tuttavia se l’insieme dei concorrenti si muovono in una unica direzione, si crea la nuova abitudine, inducendo il singolo ad accettare ed abituarsi a quello che inizialmente non riteneva equo (Thalez).

La frantumazione nella valutazione degli eventi fa sì che manchi una visione comp0lessiva, in questo vi è in molti casi una precisa volontà, come del resto fornire false ponderazioni ai singoli eventi stessi.

Viene pertanto meno la fiducia in una presunta razionalità assoluta del singolo in economia, intervenendo fattori psicologici e considerazioni facilmente sviabili dall’esterno.

Noi vogliamo una completa controllabilità e compensabilità del rischio, delle insicurezze che il correre tecnologico ci comporta, un misto di crescente onnipotenza ma anche insicurezza e fragilità. Liberati dalle necessità materiali ci ritroviamo in una sicurezza tecnologica dagli innumerevoli rischi che vogliamo evitare di vedere per non sentirci impotenti, l’insicurezza cacciata dalla porta rientra dalla finestra.

Vi è quindi una società del rischio che vuole controllare il rischio, non lo accetta, quale estrema promessa economica e tecnologica, ma che tuttavia nel suo persistere non vuole essere coinvolta. La falsa promessa si disvela negli imprevisti umani e naturali, nella stessa impossibilità di una eliminazione del rischio causato dalla stessa crescente complessità derivante dalla crescita scientifica e tecnologica (Beck); una non accettazione dei propri limiti umani che la stessa crescita infinita voleva negare, dei limiti fluidi ma pur sempre continuamente riemergenti (7).

La guerra, come ci ricorda Galbraith nel suo saggio Storia della Economia ( Il passato come presente, Rizzoli, 1988), è un potente motore nello sviluppo umano, nella ricerca e applicazione di nuova tecnologia da trasferirsi nella società civile, essa creò le premesse del welfare del secondo dopoguerra.
Ampliò l’intervento statale avvalorando le teorie keynesiane quali alternative valide al ciclo depressivo iniziato nel ’29, tuttavia la guerra, il conflitto in generale, crea le premesse e la giustificazione per la crescita di una potente lobby che vive su essa e alimenta la necessità di un conflitto stesso.

Né può essere eliminata la ricerca e produzione di nuovi mezzi, considerato i limiti nei rapporti cooperativi umani e i pericoli sempre rinascenti, vi è la necessità di un sistema difensivo e ma al contempo l’emergere della stessa necessità di un possibile controllo efficace. Necessita quindi la ricerca di una continua critica e riflessione sulle informazioni che il sistema politico-industriale trasmette.

Nelle crescenti forme di disuguaglianza sociale che l’incrocio tra globalizzazione e tecnologia comporta, vi è l’emergere di una necessaria analisi dei diritti ma anche della loro manipolazione nell’informazione da parte di gruppi sempre più elitari.

Si sono create le premesse del famoso downsizing, dell’intervento dei c.d. tagliatori di teste che in molti casi hanno rischiato di eccedere nella riduzione del capitale umano, il passaggio dal sistema tayloristico alla teoria della valorizzazione delle risorse umane, si è scontrato con lo sviluppo dell’ICT che ha comportato enormi tagli di personale e redistribuzioni di redditi, spingendo intere categorie verso attività a basso reddito.

E’ venuta meno la promessa che la fine della guerra fredda e lo sviluppo dell’informatica avrebbe portato ad una crescita di benessere diffuso “quasi” illimitato, una mistificazione tesa a diffondere una visione “esclusivamente” positiva della nuova tecnologia, evitando di evidenziare le possibili ricadute negative che ne avrebbero potuto rallentare la diffusione, richiedere un fardello di regolamentazioni (Turner, 8).
Nella necessità di integrare innumerevoli scelte nasce la pressione di stabilire le priorità razionali, nella formazione di questa scala che deve riflettere dei valori da diffondere nella società, se democratica, il potere politico entra in difficoltà per la necessità di seguire dei cicli elettorali, così che vi è una difficoltà nel rapporto elettorato/elettori.

Nel creare strutture di regolamentazione ci si impantana in discussioni e indecisioni, per non parlare delle pressioni lobbistiche a cui si è sottoposti. Gli economisti hanno a riguardo proposto di creare nuovi mercati per i problemi ambientali, efficienti e autosufficienti, capaci di gestire rischi e incertezze, ma il rischio è di creare nuove illusioni mancando “molti degli ingredienti necessari per dare vita a mercati efficienti” (122, Gibbs W. Wayt, Stabilire le priorità, in Le Scienze, 447,11/2005). Né si può ignorare l’influsso che l’economia illegale esercita sull’economia legale attraverso la cinghia di trasmissione della finanza.

A sua volta le carte di fidelizzazione, i giochi a punti, oltre a fidelizzare e fornire dati economicamente sfruttabili, hanno la funzione di permettere la compressione del costo lavoro attraverso sconti e offerte, che pilotano ulteriormente e in modo soft la libertà di decisione, vincolando secondo modelli di economia comportamentale.
La capacità critica propria dell’umanesimo, quale conquista dell’individuo, risulta pertanto impropria e quindi necessariamente e doverosamente comprimibile, in quanto di ostacolo al modello funzionale, nel quale il gioco dei punteggi crea piacere ma al contempo dipendenza.

Volume consigliato

NOTE

1. Foley J., Limiti per un pianeta sano, 47-49, in Le Scienze, 500, 4/2010;
2. Mc Kibben B., Sconfiggere il mito della crescita, 53-57, in Le Scienze, 500, 4/2010;
3. Daly H. E, L’economia in un mondo pieno, 112-119, in Le Scienze, 447, 11/2005;
4. Cohen J. E., Quante persone possono vivere sulla Terra, Il Mulino, 1998;
5. Musser G., Il culmine dell’umanità , 46-49, in Le Scienze, 447, 11/2005;

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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