Diritto sulla famiglia, diritto per la famiglia

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Oggi si parla tanto di famiglia ma, forse, si pratica poco la famiglia. Tra i neologismi odierni compare “famigliafobia”, un atteggiamento sempre più diffuso contro la famiglia, cui si dovrebbe rispondere impiegando, in maniera atecnica, attività quali “doing business” (fare impresa), “civic crowfunding” (finanziamento collettivo) e “fundraising” (raccolta fondi). Se si riscoprissero il senso e il significato della famiglia non ci sarebbe bisogno di alcun neologismo, né negativo né positivo.

“L’interesse della famiglia non sempre coincide con quello egoistico dei singoli, e perciò l’organizzazione familiare viene regolata da numerose norme inderogabili, di ordine pubblico. Mentre massima è la libertà che il diritto riconosce ai soggetti nel determinarsi al compimento degli atti familiari, minima è l’autonomia che viene loro riconosciuta nel regolamento del rapporto di famiglia”: così si esprimeva il grande giurista Alberto Trabucchi, “maestro del diritto di famiglia”, tra gli anni ’60 e gli anni ’70, anni cruciali per il diritto di famiglia. Con l’avvento degli anni 2000, purtroppo, è tornato preponderante l’interesse egoistico che ha portato all’ammissibilità di patti in deroga ai doveri coniugali (inammissibili, però, se riguardanti l’obbligo di assistenza morale e materiale o se finalizzati all’elusione dei doveri coniugali) e alle varie configurazioni e denominazioni della famiglia, dalla famiglia unipersonale alla famiglia arcobaleno.

“Quando si esanimano i grandi capolavori della letteratura o del cinema, non si può non essere colpiti dal modo in cui le realtà familiari si trovano spesso nel cuore del dramma o della tresca. Complessità delle relazioni tra congiunti, tra fratelli e sorelle, tra genitori e figli, tra famiglie imparentate o vicine. La vita familiare sembra presentare una gamma quasi infinita di situazioni che offrono al talento dello scrittore o del cineasta l’occasione di appassionarci e di farci riflettere. Prendendo in esame tale realtà multiforme, questi osservatori della vita familiare vi trovano il peggio e il meglio. Vi si trovano infatti generosità, bontà, sacrifici, come pure abusi a volte terribili, chiusura e sofferenza. […] Si tratta di una realtà umana e sociale fondamentale: le famiglie rivelano ciò di cui è capace il cuore umano, nel bene e nel male. Le famiglie possono essere ferite, segnate dal peccato e dal silenzio, possono essere luoghi di dolore e di follia, ma pure […] possono essere luoghi di crescita e di bontà, di bellezza e di perdono, di parola e di verità. Questo vale per la vita della coppia genitoriale – che ne è la fonte e la base -, come pure per le relazioni genitori-figli, che ne sono il frutto. […] Ognuno di noi ha la propria esperienza, e questo ai diversi livelli della realtà familiare. Ci sono infatti in ogni famiglia ombre e luci, cose e avvenimenti di cui non si deve parlare, e persone il cui coraggio si trasmette silenziosamente agli altri. Una moglie o un marito che si prende cura del proprio coniuge malato con una dedizione incondizionata. Genitori che si prendono cura dei loro figli con pazienza amorevole. Fratelli e sorelle generosi e solidali tra loro, quando uno vive un momento difficile. Pensiamo anche a genitori con un figlio vittima della droga. D’altra parte, conosciamo tutti gelosie strane e implacabili tra fratelli e sorelle, padri assenti che si disinteressano dei loro figli, fratelli e sorelle che si fanno del male, stupidamente e amaramente, per un’eredità, soffrendo per vecchie ferite mal digerite, coppie in cui l’amore s’è trasformato in guerre con trincee più o meno silenziose. Perché una tale tavolozza?” (il teologo francese Marc Rastoin)[1]. Non esiste nessuna “famiglia del Mulino Bianco” e proprio per questo bisogna darsi ancor di più da fare. Per arginare i contrasti insiti in ogni famiglia il legislatore della riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975) ha focalizzato l’attenzione sulla famiglia nella sua interezza, con le varie locuzioni in cui è richiamata la famiglia, per fissarne la priorità rispetto ai singoli membri: interesse della famiglia (art. 143 comma 2 cod. civ.), bisogni della famiglia (art. 143 comma 3 cod. civ.), esigenze preminenti della famiglia (art. 144 cod. civ.), esigenze dell’unità e della vita della famiglia (art. 145 comma 2 cod. civ.), mantenimento della famiglia (art. 324 comma 2 cod. civ.). Il senso e significato di mettere su famiglia è indicato nell’art. 144 cod. civ.: concordare l’indirizzo della vita familiare e fissare la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi (vocabolo che differisce da “tutti e due”, perché indica una relazione più stretta) e quelle preminenti della famiglia stessa. Il legislatore del 1975, oltre alla funzione naturale di “mediazione attiva” della famiglia, ha previsto anche una sorta di “mediazione interattiva” con l’intervento del giudice e pure con l’audizione dei figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno d’età (art. 145 cod. civ.). Questa disposizione, come altre innovative dell’allora riforma, sono state disattese o neglette.

“Il dramma è non tentare l’impossibile per togliere le incrostazioni, sanare le ferite, rimuovere il non-detto nelle dinamiche che normalmente vive una coppia, in modo che da una situazione di crisi – salutare, il più delle volte – riemerga un nuovo ritmo di vita a due. La posta in gioco è la felicità delle persone e in definitiva di ciascuno di noi” (la psicologa e psicoterapeuta Paola Bassani)[2]. “Collaborazione nell’interesse della famiglia” (art. 143 comma 2 cod. civ.) significa che la coppia coniugale deve sublimarsi e non può incrinarsi alla prima crisi, sbandata o difficoltà come, invece, avviene. Quasi una dimensione triadica in cui la coppia è la base ed il vertice è la famiglia.

“La vocazione alla famiglia è iscritta nella natura umana, ed essa prende la forma di un viaggio impegnativo e a volte conflittuale, come lo è tutta la vita, del resto. Sono incalcolabili la forza, la carica di umanità in essa contenute: l’aiuto reciproco, le relazioni che crescono con il crescere delle persone, la generatività, l’accompagnamento educativo, la condivisione delle gioie e delle difficoltà” (il teologo Antonio Spadaro). Tale descrizione è espressa giuridicamente nell’attualità e problematicità dell’art. 29 comma 1 della Costituzione: “[…] famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

“C’è, infine, un problema culturale più ampio, sul modo di intendere la famiglia. […] Senza un orizzonte autenticamente relazionale, la famiglia non può né costituirsi né, poi, reggersi” (Franco Miano, docente di filosofia morale). Famiglia deriva etimologicamente dall’osco-umbro “faam”, casa, divenuto poi nel latino “famulus”, servitore. Famiglia è fare casa insieme e mettersi al servizio l’uno dell’altro. Se vengono a mancare queste caratteristiche sin dal “progetto di famiglia”, non vi è famiglia ed è inutile e dannoso mettere al mondo un figlio sperando che “cementifichi” una relazione vacillante o inesistente. È questo il senso della pluricitata definizione (considerata ossimoro) dell’art. 29, comma 1, della Costituzione, ove si legge “famiglia società naturale fondata sul matrimonio”. Una famiglia da progettare è quel diritto di sposarsi e di fondare una famiglia riconosciuto in tutti gli atti internazionali (per es. art. 16 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) che è ben diverso da quei “progetti di genitorialità privi di legami biologici con il nato” di cui si parla nella sentenza del G.I.P. del Tribunale di Napoli del 17 luglio 2015 (che, molto discutibilmente, ha aperto le porte in Italia alla cosiddetta maternità surrogata o utero in affitto). La genitorialità non è un diritto e la famiglia è tale anche senza figli. Non bisogna pretendere di avere figli ad ogni costo e con ogni mezzo trascurando, poi, i diritti degli altri, in primis dei futuri figli. Una sublimazione dell’amore genitoriale si ha già nella genitorialità adottiva, nel cui caso la legge riconosce il diritto del figlio adottato di accedere ad informazioni sulle proprie origini (il novellato art. 28 legge 4 maggio 1983 n. 184 distingue varie modalità). Famiglia è dare la vita e darsi la vita in uno spirito di servizio intrafamiliare e interfamiliare, ovvero “generatività” (concetto elaborato per la prima volta dallo psicoanalista tedesco Erik Erickson, intesa come capacità dell’età adulta opposta ad una condizione di stagnazione e autoassorbimento), che non si manifesta necessariamente nella “generazionalità” (mettere al mondo altre generazioni): è anche questo uno degli aspetti dell’ecologia familiare, relazionale ed umana, esigenza sempre più sentita.

A proposito di quest’ecologia (“eco-” dal greco “oikos” che significa “casa, famiglia”), nelle attuali compagini familiari, famiglie con figlio unico o famiglie allargate, i genitori hanno ancor di più il compito di educare alla fratria, alla fraternità e alla fratellanza. Anche se non è costruttivo che la riforma del decreto legislativo 154/2013 abbia eliminato dall’art. 147 del codice civile la distinzione tra “prole” (complesso dei figli di una famiglia) e “figli” (i singoli figli). Così sostiene fra Fabio Scarsato (occupatosi a lungo di disagio giovanile): “Senza per forza di cose arrivare ai «fratelli coltelli» o alle diaboliche liti per le eredità, ma certamente l’esperienza ci ha insegnato che fratelli e sorelle si nasce, in qualche modo. Ma poi, giorno dopo giorno, bisogna anche diventarlo. Geneticamente e spiritualmente siamo predisposti alla fraternità. Ma questa non avverrà senza di noi. Che è come dire: qualcosa viene donato, ma poi il resto va responsabilmente costruito assieme, faticando, sbagliando, ricominciando. Talvolta anche accettando che il fratello o la sorella restino diversi dalle nostre aspettative, non ci assomiglino, facciano altre scelte di vita, anche sbagli. Perché essere fratelli non significa non vedere o giustificare sempre. E comunque parliamo di fratelli, non di gemelli, perfettamente uguali, l’uno fotocopia dell’altro. Il fatto è che le nostre fatiche e i nostri insuccessi non sono di per sé una negazione della fraternità. Ci dicono piuttosto della lunga strada da percorrere e del nostro desiderio insopprimibile di arrivarci”.

“La famiglia deve essere riconosciuta quale soggetto attivo, consapevole e responsabile, titolare di doveri e diritti all’interno del sistema dei servizi alla persona, con particolare riferimento agli ambiti culturale, scolastico, lavorativo, sociale, assistenziale, sanitario, giuridico, psicologico e relazionale e deve poter fruire delle relative adeguate misure economiche” (punto n. 16 del Patto associativo del Forum delle associazioni familiari, 1999). La famiglia è e deve essere anche soggetto economico. Occorre riappropriarsi del vero e profondo significato di economia, quell’economia richiamata nella Costituzione, a cominciare dall’art. 2 ove si parla di “solidarietà economica”.

“In alcune famiglie si sta provando a educarsi al valore delle cose. Talvolta basta decidere che un guasto o una rottura, soprattutto se provocati da disattenzione o superficialità, non saranno magicamente pagati da chissà chi: la famiglia, solennemente riunita in seduta plenaria, deciderà a che cosa si rinuncerà per far fronte a quel costo. E ognuno contribuirà per quel che può ed è alla portata delle sue tasche (ma si può anche sopperire con qualche lavoretto in casa o rinunciando a un gelato). Un’altra volta, all’arrivo del tanto richiesto cagnolino, ci si dividerà equamente i compiti, dando a ognuno la sua piccola responsabilità (l’esperienza insegna che quando si tratta periodicamente di portare il cagnolino a fare una passeggiata, non è così semplice staccarsi dai propri giochi o dalla tv). Educarsi a «pagare di persona» nelle piccole cose” (fra Fabio Scarsato). Nel Preambolo e nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si prescrive di educare il fanciullo ai valori e alla responsabilità, ma in realtà in famiglia occorrono coeducazione valoriale e corresponsabilità che esprimono il vero senso della famiglia di mettersi al servizio l’uno dell’altro.

“Il nostro mondo scorre dinanzi a noi e assume la nostra impronta, la nostra forma” (dal pensiero del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson): così ogni famiglia e l’infanzia generata ed educata in seno ad ogni famiglia. È inutile lamentarsi delle nuove generazioni: esse sono lo specchio delle generazioni precedenti. La famiglia genera tutto, non solo i figli, e può far degenerare ogni cosa, per esempio i valori in disvalori. Il primo luogo sicuro (etimologicamente “senza preoccupazione”), deputato per natura ad ogni forma di educazione, è e deve essere la famiglia. La reciprocità nell’amare è anche saper chiedere e prendere l’amore e il calore dall’altro e dell’altro. Questa è l’educazione sentimentale (ancor prima che sessuale) che bisogna impartire e in cui bisogna crescere in famiglia.

Negli ultimi decenni per arginare la forza centrifuga della deriva individualistica e l’arretramento del Welfare State, che hanno fatto sorgere nuove esigenze come quella dei caregiver (letteralmente “colui che si prende cura” e si riferisce a tutti i familiari, prevalentemente donne, che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile) o del cohousing (una forma di coabitazione solidale in cui più famiglie condividono spazi, tempi e servizi), il legislatore ha cercato di riassettare il tessuto relazionale della famiglia con varie leggi, dalla legge 28 marzo 2001 n. 149 che ha cambiato la rubrica della legge sull’adozione in “Diritto del minore ad una famiglia” al decreto legislativo n. 80/2015 (decreto attuativo della c.d. riforma Jobs Act) che ha esteso i congedi (in tal caso non retribuiti) per i genitori, lavoratori dipendenti, sino all’età di 12 anni dei figli. La legge 149/2001 ha profondamente innovato la legge sull’adozione 184/1983 tanto da renderla un vero vademecum della genitorialità (non solo di quella adottiva), dall’art 1 in cui si stabilisce che il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia all’art. 6 in cui si parla di idoneità e capacità dei futuri genitori, e così di seguito. Lungo la stessa linea è seguita la legge 10 dicembre 2012 n. 219 “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” (come pure il decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154) che, tra le varie novelle legislative, ha sostituito l’art. 315 del codice civile, nel cui attuale testo al secondo comma si legge: “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. Perché nella famiglia si è (o si dovrebbe essere) l’uno dall’altro, l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, soprattutto in presenza di figli.

La famiglia è un progetto fatto di vari momenti, componenti ed elementi. La famiglia, prima ancora di essere una comunità, è comunione, alla base di ogni altra comunità. Infatti, laddove venga a mancare questa comunione si riportano conflittualità e negatività in ogni altro contesto. In quasi tutte le fonti normative la famiglia è definita “naturale”: sia per la famiglia e non a costo della famiglia ogni decisione, personale o politica. Dalla famiglia alla famiglia: così la vita, così l’aspirazione, così l’esigenza di ogni uomo. Dalla famiglia alla famiglia: ecco il cerchio della vita.

 


[1] M. Rastoin, “La famiglia e le sue contraddizioni” in “La Civiltà Cattolica” n. 3954 del 21 marzo 2015 pp. 527-528

[2] P. Bassani, “A passo di coppia”, ed. Paoline, 2011

Dott.ssa Marzario Margherita

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