Diritto del padre a fruire riposi giornalieri per la cura del figlio minore di un anno: parola all’Adunanza Plenaria

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Il Consiglio di Stato (Sezione II, Ordinanza 11 aprile 2022, n. 2649), in considerazione delle divergenze interpretative desumibili dagli orientamenti giurisprudenziali in materia, ha rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (ai sensi dell’art. 99, c. 1 e 5, codice del processo amministrativo) tre questioni afferenti alla fruizione dei congedi giornalieri, da parte del padre di figlio minore di un anno, ove la madre sia casalinga.

Gli esordi della disciplina

I diritti al riposo a tutela del bambino, riconosciuti alle lavoratrici madri dalla l. n. 1204/1971, non furono all’inizio accordati al padre lavoratore, al quale soltanto con la l. n. 903/1977 si incominciò a riconoscere il diritto di assentarsi dal lavoro, in alternativa alla madre lavoratrice, ovvero quando i figli erano affidati solo a lui.

L’evoluzione normativa

Da disposizioni siffatte ha tratto origine l’evoluzione dell’evidenziato e peculiare profilo del diritto di famiglia, nel senso della valorizzazione del prevalente interesse del bambino, riconosciuto autonomo titolare di interessi da salvaguardare, e del conseguente riconoscimento di paritetici diritti-doveri di ambedue i coniugi e della loro reciproca integrazione nella cura dello sviluppo psico-fisico del figlio. In tal modo, è stato progressivamente riconosciuto che pure il padre è idoneo a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore.

La Consulta del 1987

Con la sentenza n. 1/1987 si è esteso il principio sulla parità di trattamento fra uomini e donne (previsto dall’art. 7, l. n. 903/1977) ritenendo che il diritto ai riposi giornalieri retribuiti, previsti per la lavoratrice (art. 10, l. n. 1204/1971), dovesse essere riconosciuto al padre lavoratore nel caso in cui l’assistenza della madre al minore fosse diventata impossibile per decesso o grave infermità. Veniva in tal modo chiarito che la natura e la finalità dei riposi giornalieri non risponde solo all’allattamento del neonato e altre sue esigenze biologiche, bensì risulta finalizzata a qualsiasi forma di assistenza del bambino nel primo anno di vita.

La Consulta del 1993

Con la sentenza n. 179/1993 la Corte ha ritenuto superata la concezione di distinzione dei ruoli fra i genitori nell’assistenza del bambino, dichiarando incostituzionale l’art. 7, l. n. 903/1977 nella parte in cui non estendeva in ogni ipotesi (e non in limitati casi) al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, purché consenziente, il diritto ai riposi giornalieri per assistere il figlio nel suo primo anno di vita. Per la Consulta i due genitori, nello spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio, devono di volta in volta decidere quale di essi, assentandosi dal lavoro, possa meglio provvedere alla sua assistenza.

Il D.Lgs. n. 151/2002

La Sezione ha quindi esaminato gli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001, la cui non univoca formulazione è alla base dei contrastanti indirizzi giurisprudenziali. L’alternatività nella fruizione, intrinseca nella circostanza che il legislatore ha in primis disciplinato l’istituto con riferimento alla lavoratrice madre (art. 39), viene esplicitamente richiamata solo alla lettera b) dell’articolo 40, a indicare che, se ambedue i genitori siano lavoratori dipendenti, si preferisce accordare i riposi alla madre, salvo che la medesima non intenda avvalersene. Per contro, ne può fruire (esclusivamente) il padre, se risulti unico affidatario dei figli (lettera a) o unico genitore superstite o in grado di prendersene cura (lettera d), nel caso di morte o grave infermità della madre; ne può fruire il padre anche in ipotesi ove la madre non sia lavoratrice dipendente, per la ragione che in tali casi la misura non può essere riconosciuta alla stessa. La II Sezione ha evidenziato che le contrapposte possibili letture del quadro normativo in parola sono emerse nelle sentenze dei giudici amministrativi, e si sono riproposte, sia pur con alcune varianti, nei successivi sviluppi giurisprudenziali.

Le tre questioni

La II Sezione del Consiglio di Stato ha quindi formulato tre questioni, rimettendole all’Adunanza plenaria:

  • se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre, in caso di richiesta di permesso da parte del padre, lavoratore dipendente, del minore di anni uno, si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla casalinga, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero-professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;
  • in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40, d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;
  • quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.

 

Sentenza collegata

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Avv. Biarella Laura

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