Il diritto all’amore dei figli

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La disciplina della filiazione rappresenta uno dei punti fondamentali del diritto di famiglia. Gli articoli 29,30 e 31 della Costituzione sanciscono la rilevanza che l’ordinamento giuridico italiano attribuisce ai rapporti familiari e, in particolar modo, al legame che unisce i genitori ai figli. Tale legame si manifesta in una serie di diritti e di doveri il cui contenuto viene poi disciplinato dalle numerose norme previste dal codice civile e dalle leggi speciali di settore. Originariamente la disciplina della filiazione si basava sulla ripartizione dello status di figlio in quattro categorie differenti: legittimo, naturale, legittimato ed adottivo. Tralasciando il piano degli effetti, che è assolutamente identico, la vera disparità era costituita dalla differenza tra i nati all’interno di una famiglia fondata sul matrimonio, cioè i figli legittimi e quelli nati da genitori non coniugati, cioè i figli naturali. In tale ambito è intervenuta la recente riforma della filiazione che con la legge 219 del 2012 ha eliminato ogni forma di disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali. Due le ragioni che hanno spinto il Legislatore a procedere ad una riorganizzazione della materia, ovvero la necessità, in primis, di adeguare la disciplina italiana della filiazione ai principi dell’Unione Europea, tra cui quello sancito dall’art. 21 della CEDU “ divieto di discriminazione in base alla nascita” e la necessità di eliminare le numerose incertezze derivanti dalla giurisprudenza. Tale riforma, attuata con l’emanazione del decreto legislativo 28 dicembre 2013 numero 154, ha comportato anzitutto l’eliminazione degli aggettivi “legittimo” e “naturale” in favore della sola dicitura di “figlio” e la sostituzione dell’espressione “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale” al fine di evidenziare non più il rapporto di subordinazione del figlio ai genitori ma al contrario, la funzione servente dei genitori rispetto al sano sviluppo psicofisico dei figli.

Rilevante è l’introduzione del nuovo art. 315 bis c.c. relativo ai “diritti e doveri del figlio”. Si sottolinea che, mentre la previgente disciplina si riferiva unitamente ai doveri del figlio verso i genitori, la nuova norma pone, invece, l’accento sui diritti del figlio, sancendo, in particolare, il diritto al mantenimento, all’istruzione e all’educazione; il diritto all’assistenza morale nel rispetto delle loro capacità; il diritto a crescere nella famiglia e a mantenere rapporti significativi con i parenti; il diritto ad essere ascoltati in tutte le questioni in cui sono coinvolti e solo all’ultimo comma il legislatore relega il contenuto del vecchio articolo 315 c.c relativo ai doveri del figlio verso i genitori. E’ evidente che il nuovo art. 315bis ha ampliato l’elenco dei diritti spettanti al figlio, andando ben oltre il riferimento ai soli diritti di mantenimento, educazione ed istruzione, già previsti dalla Costituzione.

Partendo da tale nuova norma, la dottrina ha ipotizzato, la configurabilità in capo al figlio minore di un diritto all’amore nell’ambiente familiare, toccando, peraltro, un tema particolarmente complesso,
e cioè quello della rilevanza giuridica dei sentimenti. Va preliminarmente chiarito che laddove il sentimento resti un fatto interno all’animo umano, privo di esternazione, esso non avrà alcuna rilevanza, non comportando alcuna modificazione della realtà; laddove, invece, il sentimento venga esternato, traducendosi in un comportamento materiale, sarà quest’ultimo, e non al sentimento in sé che dovranno attribuirsi gli effetti giuridici eventualmente ricollegati dall’ordinamento. Ad esempio se un sentimento di amore spinge un soggetto ad arricchire un altro a titolo di liberalità, gli effetti giuridici saranno dall’ordinamento ricollegati a tale comportamento laddove presenti i requisiti formali e sostanziali di un atto di donazione ex articolo 769 codice civile, e non al sentimento di amore. Da tali premesse sembrerebbe, pertanto, negarsi l’esistenza di una qualche valenza giuridica dei rapporti sentimentali, poiché il sentimento, inteso come processo emozionale interno, costituirebbe un interesse di fatto, individuale, e giuridicamente irrilevante.

Invero, quando lo stesso diviene valore sociale, e giudicato socialmente rilevante, risulta essere meritevole di tutela: sì pensi ad esempio al sentimento dell’onore, tutelato dagli articoli 594 e 595 codice penale.

Pertanto, l’ordinamento giuridico sembra ritenere meritevole di tutela il rapporto di amore tra il figlio minore il genitore sotto forma di diritto soggettivo del primo ad essere amato dal secondo. Tale considerazione è l’esito di approfonditi studi a seguito dei quali le scienze antropologiche e medico-psichiatriche sembrano concordare nel ritenere imprescindibile, ai fini della corretta formazione psicofisica del minore, l’importanza del rapporto affettivo dei genitori. E’stata, quindi, riconosciuta dalla dottrina l’esistenza di un vero e proprio diritto all’amore nell’ambiente familiare. Dal punto di vista della natura giuridica tale diritto sembrerebbe qualificabile come diritto relativo, potendo la prestazione di amore che ne costituisce l’oggetto essere pretesa solo nei confronti di soggetti determinati, in primis i genitori, ma anche gli altri parenti con cui il minore instaura rapporti significativi ai sensi dell’articolo 315 bis secondo comma. E’ assimilabile dunque ad un diritto di credito, ma se ne distacca in virtù delle caratteristiche della non patrimonialità, indisponibilità e imprescrittibilità proprio dei diritti della personalità. Tuttavia parte della dottrina ne teorizza la natura di diritto assoluto spettante reciprocamente sia al genitore che al figlio, e quindi tutelabile erga omnes nei confronti di qualunque terzo estraneo al nucleo familiare. Difficoltosa, risulta a tal punto, la sua tutela, in riferimento soprattutto all’infungibilità ed alla suscettibilità di valutazione economica.

Un orientamento ritiene applicabili i tradizionali rimedi della responsabilità contrattuale e dunque l’azione di condanna all’adempimento, che però, trattandosi di prestazione infungibile, potrebbe tuttavia essere finalizzata all’emanazione di una sentenza che possa essere da stimolo per un adempimento spontaneo nella forma di miglioramento del rapporto genitoriale e l’azione di risarcimento del danno. Sembra, però, preferibile condurre la lesione del diritto all’amore in quanto diritto della personalità riconducibile all’articolo 2 della Costituzione all’alveo della responsabilità extracontrattuale, sulla scia della ormai consolidata giurisprudenza che ammette la risarcibilità ex articolo 2043 e 2059 codice civile dei danni endofamiliari, laddove il danno ingiusto si concretizzi nella lesione di un diritto della personalità del membro della famiglia. La tutela del diritto all’amore tra genitore e figlio deve considerarsi dunque esperibile erga omnes nei confronti di tutti i soggetti sia interni che esterni al nucleo familiare che abbiano con la loro condotta illecita leso tale relazione.

Pertanto, si potrebbe ipotizzare la possibilità di richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso del genitore che ingiustificatamente impedisce all’altro di vedere il proprio figlio o nel caso di emissione da parte delle autorità di provvedimenti privi dei presupposti di legge che vadano ad allontanare il minore dall’ambito familiare.

Avv. Fornaro Pasquale

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