Detenzione sostanza stupefacente: spaccio o uso personale?

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Il filo sottile fra reato ed illecito amministrativo
L’articolo analizza la fattispecie di reato prevista dall’art. 73 D.P.R. 309|90, in tutte le sue sfaccettature dal primo comma alla lieve entità di cui al comma V, soffermandosi in particolar modo sulla differenza con l’uso personale e dunque l’illecito amministrativo previsto dall’art. 75 della normativa sugli stupefacenti. Cosa dice la giurisprudenza a riguardo?

Indice

1. L’art. 73 D.P.R. 309|90 – comma I

L’art. 73 del Testo Unico sugli stupefacenti disciplina l’illecita detenzione non autorizzata di sostanza stupefacente.
Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000.”
La pena minima è stata portata nel 2019 ad anni sei dagli iniziali anni otto, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale, con sentenza 23 gennaio – 8 marzo 2019, n. 40, la quale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni”.
Il comma primo si differenzia dal comma secondo, dall’autorizzazione di cui all’articolo 17.
Difatti il secondo comma prevede una pena massima più elevata, pari ad anni ventidue, per chi commette il fatto godendo dell’autorizzazione di cui sopra.
Che differenza c’è tra il primo comma ed il quarto? Andiamolo ad analizzare.

2. L’art. 73 D.P.R. 309|90 – comma IV

Il comma IV dell’art. 73 D.P.R. 309|90, prevede una diminuzione di pena rispetto al comma primo dello stesso articolo, nel caso in cui la detenzione riguardi sostanze tassativamente elencate dalla tabella II sezioni A,B,C,D, e dal numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14.
“Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B, C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà.”
Nel 2014 il comma in esame ha subito delle modificazioni a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, la quale con sentenza 12 – 25 febbraio 2014, n. 32, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (che ha disposto la modifica della rubrica e dei commi 1, 2, 3, 4 e 5 del presente articolo e l’introduzione dei commi 1-bis, 2-bis e 5-bis al presente articolo).
Il testo previgente del comma IV difatti così recitava:
“Se taluno dei fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 riguarda sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dall’articolo 14, si applicano la reclusione da due a sei anni e la multa da lire dieci milioni a lire centocinquanta milioni.”.

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3. L’art. 73 D.P.R. 309|90 – comma V

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.”
Il comma V disciplina la fattispecie cosiddetta di lieve entità, difatti prevede una pena nettamente più tenue con un minimo di mesi sei ed un massimo pari ad anni quattro.
La Cassazione Penale, Sez. VI, 26 marzo 2014 (ud. 8 gennaio 2014), n. 14288, ha inoltre stabilito che il comma in esame rappresenta una figura autonoma di reato e dunque non più una mera circostanza attenuante del comma I dell’art. 73.
Ma quando si può definire una detenzione di lieve entità?
A riguardo si riporta una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, 31 gennaio 2022, n. 3338: “ai fini del riconoscimento o meno dell’ipotesi della lieve entità, occorre una complessiva e concomitante valutazione di tutti i parametri delineati dalla norma, fermo restando che possono ricorrere situazioni in cui uno dei parametri di per sé assuma una tale rilevanza, che finisca per connotare in modo decisivo la condotta, così da renderla irriducibile alla qualificazione in termini di lieve entità.
Ciò può valere soprattutto con riguardo al dato quali-quantitativo, in presenza di condotte aventi ad oggetto detenzione o cessione di quantitativi rilevanti, valutati anche alla luce del principio attivo, a prescindere dal riferimento a specifiche modalità o circostanze dell’azione.
Nondimeno, con riguardo ad ogni specie di sostanze stupefacenti, vi possono essere ipotesi intermedie, in cui il dato quali-quantitativo non assume rilievo decisivo e ben può essere ulteriormente qualificato da profili collaterali, inerenti agli altri parametri, in modo da risultare per tale via compatibile o meno con l’ipotesi della lieve entità.
È il caso del c.d. piccolo spaccio, quale forma socialmente tipica di attività illecita, di per sé tale da collocarsi sul gradino inferiore della scala dell’offensività e compatibile con la detenzione di dosi di droga conteggiabili a decine; in casi del genere, il fatto può ben rientrare nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, a prescindere dal mero profilo della continuatività della condotta, ove, però, mantenuta entro un “minimo” grado di offensività”.
In conclusione dunque la fattispecie di lieve entità, deve essere apprezzata in considerazione dei mezzi, delle modalità, delle circostanze dell’azione nonché della qualità e quantità delle sostanze stupefacenti.
L’apprezzamento del giudice deve svolgersi attraverso la valutazione congiunta dei parametri normativi e della rilevanza ostativa anche di uno solo di essi quando risulti chiaramente dimostrativo della “non lievità” del fatto.

4. L’art. 75 D.P.R. 309|90 – L’uso personale e l’illecito amministrativo. Chi deve dimostrarlo?

L’articolo 75 del D.P.R. 309/90 vieta l’uso personale di sostanze stupefacenti, stabilendo che, il possesso di stupefacenti di qualsiasi tipo, anche in minime quantità e per uso personale, non è ugualmente consentito dalla legge, essendo punito con sanzioni amministrative.
Si parla dunque di uso personale quando:
1.      La sostanza rinvenuta è di modica quantità anche in considerazione dei principi attivi stabiliti nelle tabelle;
2.      Dalle modalità del fatto non risulta cessione, anche a titolo gratuito, di sostanza stupefacente.
Per questione di sintesi riportiamo esclusivamente il comma primo dell’articolo in esame:
“Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative:
a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.”
Molto spesso tra la fattispecie di cui all’art. 75 e 73 D.P.R. 309|90 passa un filo davvero sottile.
Ma su chi incombe l’onere di dimostrare l’uso personale o la detenzione ai fini di spaccio?
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che la destinazione ad uso personale non ha natura giuridica di causa di non punibilità, quindi non spetta all’imputato dimostrare la destinazione all’uso personale, bensì è onere dell’accusa e dunque del pubblico ministero la dimostrazione della detenzione a fini di spaccio.
“La destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità, poiché, al contrario, la destinazione della sostanza allo “spaccio” è  elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale,  deve essere provata dalla pubblica accusa; non spetta, pertanto, all’imputato  dimostrare la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui sia  stato trovato in possesso” Cassazione penale sezione VI n. 47225 del 28 dicembre 2021.”
Per concludere, dunque, è necessario evidenziare come non spetti all’imputato la dimostrazione dell’uso personale della destinazione della droga detenuta ma, al fine di ritenere un soggetto responsabile del reato di cui all’art. 73 del Testo unico stupefacenti, è in capo alla stessa accusa l’onere di dimostrare la detenzione della droga per uso diverso da quello personale, e dunque per fini di spaccio.

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Avv. Gian Maria Nicotera

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