Crediti alimentari: la giurisdizione nei procedimenti di esecuzione forzata

Matteo Magnani 15/02/21
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SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il rapporto tra il Regolamento (CE) n. 4/2009 e il Regolamento (UE) n. 1215/2012 – 3. La soluzione del caso di specie e la determinazione della giurisdizione

Premessa

Il 4 giugno 2020 la Terza Sezione della Corte di giustizia ha emesso una sentenza molto importante in tema di crediti alimentari[1]. La massima istanza giudiziaria dell’Unione Europea ha infatti avuto a che fare con una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione del regolamento (CE) n. 4/2009[2], nella parte relativa alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni straniere in tale materia; nella soluzione del caso, essa ha anche colto l’occasione per stabilire una volta per tutte la competenza nella fase dell’esecuzione.

Il Tribunale circoscrizionale di Cracovia aveva condannato un soggetto domiciliato in Germania a versare nei confronti della figlia minorenne, legalmente rappresentata dalla madre e domiciliata in Polonia, un assegno per alimenti. La madre, una volta ottenuta l’apposizione della formula esecutiva da parte del Tribunale circostanziale di Colonia, aveva avviato una procedura di esecuzione forzata in Germania, alla quale il padre si era opposto, sostenendo di aver già soddisfatto in larga parte, il debito alimentare.

Il Tribunale tedesco si era domandato a quel punto se l’opposizione innanzi a lui proposta potesse rientrare nella sua giurisdizione, sospendendo il procedimento e sottoponendolo all’attenzione della Corte di giustizia. Il punto cruciale era stabilire se questa dovesse o meno considerarsi rientrante nella materia delle obbligazioni alimentari, e quindi sottoposta ad una disciplina eurounitaria ad hoc.

Il rapporto tra il Regolamento (CE) n. 4/2009 e il Regolamento (UE) n. 1215/2012

Il succitato regolamento (CE) n. 4/2009 ha configurato una disciplina a sé stante sulla circolazione delle statuizioni di natura alimentare, recependo le indicazioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999.

In tale occasione, gli organi legislativi dell’Unione erano stati invitati ad istituire specifiche norme comuni per semplificare ed accelerare la composizione delle cause transfrontaliere riguardanti tali obbligazioni. Essi hanno così optato per la soppressione del cd. exequatur, ovvero della necessità da parte del richiedente di dover ottenere un’autorizzazione per poter eseguire una decisione emessa in uno Stato membro diverso da quello dell’esecuzione[3]. Una scelta finalizzata a consentire una più facile riscossione dei crediti, assicurando allo stesso tempo una sostanziale parità di trattamento tra tutti i soggetti beneficiari[4]: il coniuge, il minore, il maggiorenne non autosufficiente o il maggiorenne portatore di handicap[5].

Con tale atto, il legislatore dell’Unione ha dunque voluto sostituire le disposizioni in materia di obbligazioni alimentari contenute all’epoca nel Regolamento n. 44/2001 (cd. Bruxelles I), per spingere verso una maggiore rapidità nella circolazione delle sentenze. Ad onore del vero, però, l’esecuzione diretta delle sentenze di Stati membri non è una novità assoluta; essa si pone nel solco di altri regolamenti dell’Unione europea adottati nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile[6] i quali, seppur con modalità diverse, sono ispirati alla stessa idea[7]. Inoltre questo principio è stato recepito anche nel nuovo regolamento (UE) n. 1215/2012 (cd. Bruxelles I-bis): esso, oltre ad abrogare il regolamento n. 44/2001, al suo art. 41, par. 1, non manca di ribadire come le decisioni emesse dall’autorità giurisdizionale di uno Stato membro vadano trattate come se fossero state pronunciate nello Stato membro richiesto.

Il rapporto tra il Regolamento (UE) n. 1215/2012 e il Regolamento (CE) n. 4/2009 è di genere a specie: mentre il primo si applica in generale alla “materia civile e commerciale”, ai sensi del suo art. 1, par. 1[8], il secondo concerne esclusivamente il sottoinsieme delle “obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di parentela, di matrimonio o di affinità”[9]. Di conseguenza, anche il capo IV di quest’ultimo, intitolato “Riconoscimento, esecutività ed esecuzione delle decisioni”, e rilevante per il caso di specie, costituisce una sorta di lex specialis[10].

Come anticipato, il giudice nazionale tedesco aveva espresso dubbi in merito alla sua giurisdizione sull’opposizione all’esecuzione proposta nei confronti di una decisione emessa da un giudice di uno Stato membro diverso, accertante un credito alimentare.

A suo avviso, dall’applicazione dell’uno o dell’altro complesso normativo, potevano infatti discendere conseguenze molto diverse.

Nel caso in cui si fosse convenuto di ricondurre tale fattispecie entro l’ambito del Regolamento cd. Bruxelles I-bis, avrebbe acquisito massima importanza il suo art. 24, n. 5[11]. Esso, seppur secondo la dottrina maggioritaria[12] non attribuisca direttamente un titolo di giurisdizione in materia di esecuzione delle decisioni, ripartisce la stessa esclusivamente per gli incidenti di cognizione aperti in sede esecutiva, attribuendola allo Stato presso il quale pende il procedimento esecutivo[13].

Stando a questa interpretazione[14], l’art. 24, n. 5, può dunque ritenersi riferito proprio alle opposizioni, ma per poter essere operativo necessita di essere integrato dalla lex fori, che in prima battuta individuerà i confini della giurisdizione in materia esecutiva. L’autorità giurisdizionale adita dal creditore procedente, in seguito, se riterrà di avere la giurisdizione necessaria per risolvere la vicenda processuale sottopostale, acquisirà anche la competenza giurisdizionale sulle potenziali questioni da questa scaturenti, proprio in virtù della disposizione comunitaria succitata[15].

In una situazione normativa come quella tedesca, diversamente da quanto accade in quella italiana[16], i confini della giurisdizione in materia di opposizione sono delineati in modo alquanto chiaro dall’articolo 828 del Zivilprozessordnung; una norma che riguarda la competenza territoriale ma che, secondo la dottrina tedesca, deve essere utilizzata anche per la delimitazione dei confini della giurisdizione esecutiva. In questo senso, essa stabilirebbe che, in caso di pignoramento di crediti, la giurisdizione esecutiva tedesca esista se nei confronti del debitore sussiste la giurisdizione di cognizione tedesca ovvero, in mancanza di tale requisito, se il terzo ha la sua residenza in Germania[17]. Applicando il Regolamento Bruxelles I-bis e il ZPO, pertanto, si sarebbe dovuta valutare come sussistente la giurisdizione tedesca.

Ciò nonostante, il giudice a quo aveva evidenziato di preferire l’opposta opinione di una parte della dottrina, ritenente che un’eccezione fondata soltanto sul quantum o sul quomodo del pagamento del credito, o ancora sul suo trasferimento, fosse comunque rivolta di fatto contro il titolo esecutivo, e non già contro il modo in cui si è proceduto all’esecuzione forzata.

In questo caso, si sarebbe dovuto tenere in considerazione esclusivamente l’art. 8 del regolamento (CE) n. 4/2009: in tale norma infatti è previsto che il debitore non può proporre un’azione per modificare la decisione accertante il credito, o ottenerne una nuova sul punto, in uno Stato membro diverso da quello di origine, fintantoché il creditore continui a risiedere abitualmente nello Stato in cui è stata emessa la stessa[18]. In conclusione, secondo questa ipotesi la giurisdizione sarebbe spettata all’autorità polacca, in adesione allo scopo, perseguito dal legislatore unionale, di garantire un’adeguata tutela al creditore di alimenti, collocandolo in una posizione di favore sotto il profilo delle regole di competenza[19].

La soluzione del caso di specie e la determinazione della giurisdizione

La Corte di Giustizia, con la sentenza c. 41/19, ha risolto il contrasto interpretativo in modo piuttosto agevole, reputando come la controversia oggetto del procedimento principale dovesse essere considerata inerente all’ambito di applicazione del regolamento in materia di obbligazioni alimentari.

In appoggio a tale conclusione, l’istituzione europea ha richiamato la sentenza AS-Autotelie[20], nella quale era stato affermato il principio secondo cui una siffatta opposizione all’esecuzione, concernente il credito stesso accertato dalla sentenza, presenta sempre una stretta connessione con il procedimento di esecuzione, seppur in questo caso il giudice tedesco fosse stato adito per la prima volta dal padre nell’ambito di un’opposizione[21].

Non è questa, però, la parte che spicca in termini di importanza, ma quella in cui viene dedotta la regola di competenza a partire dal regolamento (CE) n. 4/2009.

I giudici del Lussemburgo, infatti, hanno adottato un approccio completamente diverso rispetto al giudice di prime cure il quale, come si è detto, aveva ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 8 del succitato corpo normativo, nel caso in cui l’opposizione fosse stata qualificata come azione in materia di obbligazioni alimentari.

Non solo è stato considerato risolutivo il diverso art. 41, rientrante tra le “Disposizioni comuni” del regolamento, ma anche la conclusione sul punto è risultata diametralmente opposta: dal tenore di tale norma, è stato affermato che un’opposizione all’esecuzione strettamente inerente alla domanda principale debba essere sempre giudicata dai giudici dello Stato membro dell’esecuzione, e non di origine, rientrando nella loro competenza. Questo perché l’eccezione fondata sulla inesistenza del credito non è assimilabile a un’azione che mira a modificare la decisione o a ottenerne una nuova, avendo invece come unico scopo quello di contestare l’importo entro il quale la decisione che ha constatato la decisione accertante il credito resta suscettibile di esecuzione.

Sebbene infatti uno degli obiettivi del regolamento sia senz’altro quello di tutelare al meglio le ragioni del creditore di alimenti, collocandolo nella migliore posizione possibile dal punto di vista giuridico, esso non è l’unico, dovendo essere considerata prioritaria la corretta ed efficiente amministrazione della giustizia. D’altronde, come affermato dagli stessi giudici di Strasburgo, obbligando il giudice dello Stato membro dell’esecuzione a declinare la propria competenza in favore di un giudice prossimo alla residenza del creditore di alimenti, si produrrebbe la conseguenza di rallentare il recupero del credito, aggravando eccessivamente la procedura a danno proprio dello stesso creditore[22].

Una tale risoluzione del conflitto tra questi due diversi principi giuridici, a dir il vero, si trova anche nella sentenza Sanders e Huber del 18 ottobre 2014. In quel caso, infatti, sempre in nome dell’ottimizzazione dell’organizzazione giudiziaria era stata ritenuta non contrastante con il diritto eurounitario una normativa nazionale, come quella tedesca, che incardinava le controversie transfrontaliere in materia di obbligazioni alimentari dinanzi alla Pretura nel cui distretto il convenuto o il creditore hanno la propria residenza abituale[23].

Ne emerge così che il paventato contrasto tra le due discipline comunitarie citate sulla giurisdizione è completamente evaporato; infatti, anche avendo ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 24, n.5, del Regolamento Bruxelles I-bis, si sarebbe ugualmente concluso attribuendo la competenza transfrontaliera al giudice dell’esecuzione, senza dare alcun rilievo alla residenza del creditore.

Una soluzione certamente condivisibile e che ha permesso, da un lato, di evitare perdite di tempo che, in procedimenti delicati come nella materia alimentare, talvolta pregiudicano la situazione economica del beneficiario dell’erogazione, e, dall’altro, di uniformare la giurisdizione in questo campo.

Oggi infatti è possibile affermare che in ogni giudizio di opposizione all’esecuzione di un credito, di natura alimentare o meno, che presenti una stretta connessione con il procedimento di esecuzione, la competenza spetterà sempre allo Stato membro del luogo in cui si compie l’esecuzione[24]. Senza che venga per ciò solo alterato il merito della decisione dell’autorità giurisdizionale dello Stato membro di origine che ha accertato il credito alimentare, in virtù dell’art. 42 del regolamento n. 4/2009, che esclude il riesame nel merito nello Stato in cui sono richiesti il riconoscimento, l’esecutività o l’esecuzione[25].

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[1] Corte Giust., 4 giugno 2020, c.41/19, FX c. GZ.

[2] Esso, come noto, rappresenta la più recente tappa di una lunga evoluzione iniziata con la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, conclusa all’epoca dai soli sei Stati membri originari della CEE per consolidare l’obiettivo della certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo attraverso la libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale. La convenzione è stata poi trasformata in atto comunitario con l’adozione del regolamento (CE) n. 44/2001 (c.d. regolamento Bruxelles I); questo a sua volta è stato rimpiazzato dal regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. regolamento Bruxelles I-bis), entrato in vigore a partire dal 10 gennaio 2013. Sul punto v. SALERNO, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (UE) n. 1215/2012 (rifusione), Padova, 2015, p. 4; MALATESTA, Origini, obiettivi e caratteri del regolamento (UE) n. 1215/2012 (recast), in MALATESTA (a cura di), La riforma del regolamento Bruxelles I, Milano, 2016, p. 1 e ss.

[3] In realtà, il regolamento aveva previsto due sistemi per la circolazione delle decisioni tra Stati membri: uno che si ispira ampiamente al capo III, reg. n. 44/2001, e applicabile nei confronti delle decisioni emesse in uno Stato membro non firmatario del Protocollo relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari (cd. Protocollo dell’Aia del 2007); l’altro caratterizzato dall’automaticità del riconoscimento e dall’esecuzione delle sentenze straniere, valido nei confronti degli Stati membri vincolati da tale protocollo. Dal 18.06.2011, data di applicazione del Regolamento n. 4/2009, solo quest’ultimo sistema è divenuto applicabile, dal momento che il suddetto protocollo, la cui conclusione era di competenza dell’Unione, è divenuto vincolante nei confronti di tutti gli Stati membri. Sul punto, v. MARINO, Il nuovo regolamento comunitario sulla cooperazione giudiziaria civile in materia di obbligazioni alimentari in Nuova Giur. Civ., 2009, pp. 20599 e ss.

[4] In questo senso anche il Considerando 25: “Il riconoscimento in uno Stato membro di una decisione in materia di obbligazioni alimentari mira soltanto a consentire il recupero del credito alimentare determinato nella decisione. Non implica il riconoscimento da parte di tale Stato membro del rapporto di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità che ha dato luogo alle obbligazioni alimentari da cui è scaturita la decisione”.

[5] SILVESTRI, La circolazione nello spazio giudiziario europeo degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione dei coniugi e cessazione degli effetti civili del matrimonio in Riv. trim. Dir. Proc. Civ., 2016, pp. 1287 e ss.

[6] Ci si riferisce ai regolamenti n. 805/2004 sul titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, n.1896/2006 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento, n. 861/2007 sulle controversie di modesta entità.

[7] Cfr. NISI-MALATESTA, Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in MALATESTA (a cura di), La riforma del regolamento Bruxelles I, Milano, 2016, p. 141.

[8] In mancanza di una precisa delimitazione del campo di applicazione del regolamento, la Corte di giustizia ha adottato un approccio interpretativo funzionale, incentrato da un lato sugli obiettivi della normativa comune europea e sui principi generali desumibili dal complesso degli ordinamenti nazionali, dall’altro sui profili economico-sostanziali del rapporto dedotto in giudizio. Corte giust., 28 aprile 2009, c-420/07, Meletis Apostolide c. David Charles Omar e Linda Elizabeth Orams, punti 41-45, non ha esitato nel ribadire che una controversia debba essere ricondotta alla materia “civile e commerciale” quando si tratti di un’operazione economica relativa al trasferimento di beni o di servizi, oppure al pagamento di somme, nella quale l’eventuale titolarità di un potere autoritativo di una parte e il relativo eventuale esercizio non costituiscono la ragione giustificativa del rapporto o della relativa disciplina.

[9] La Corte di Giustizia aveva già provveduto ad elaborare una definizione di “obbligazione alimentare” nel vigore del precedente art. 5, par. 2, del reg. n. 44/2001. Rientra, quindi, nel campo di applicazione del regolamento qualsiasi obbligazione che trova la propria origine nella necessità di garantire il sostentamento di una persona bisognosa, e che presuppone una valutazione delle esigenze del creditore e delle risorse del debitore (Cfr. MARINO, op. cit.). La dottrina maggioritaria (tra cui si MOSCONI-CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato. Volume 2: statuto personale e diritti reali, Milano, 2019, p. 210) propende poi oggi per l’inclusione, tra i rapporti suscettibili di generare obblighi alimentari, delle unioni civili, facendo anche leva sul riferimento ai “rapporti di affinità”.

[10] V. punto 33 della sentenza di cui trattasi, nella quale si rammenta come al Considerando 11 del nuovo reg. n. 1215/2012 sia precisato che le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio e affinità sono escluse dall’ambito di applicazione di tale atto.

[11] Esso, attribuendo la giurisdizione esclusiva in materia di esecuzione delle decisioni ai giudici dello Stato in cui ha luogo l’esecuzione, risponde al principio di sovranità, il quale si declina nel monopolio dello Stato sull’uso della forza sui beni e sulle persone all’interno del proprio territorio (BALBI, Giurisdizione in materia esecutiva: debitore residente all’estero ed espropriazione di crediti presso terzi in Italia, in Int’l Lis., 2016, p. 138). Tale visione peraltro appare in linea con Corte Giust., 26 marzo 1992, C-261-90, Reichert c. Dresdner Bank, punto 26.

[12] V. MALATESTA, La competenza giurisdizionale in materia di esecuzione forzata tra convenzione di Bruxelles del 1968 e legge di riforma del diritto internazionale privato, in BROGGINI (a cura di), Collisio legum. Studi di diritto internazionale privato per Gerardo Broggini, Milano, 1997, pp. 287-308.; BALBI, op. cit., p. 138; GIUSSANI-CASSIANI, Il pignoramento di crediti di debitori esteri e l’art. 26-bis c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2018, p. 1190. Ritengono che l’art. 24 n. 5 reg. (UE) n. 1215/2012 vada interpretato nel senso di determinare direttamente la giurisdizione in materia di esecuzione forzata, attribuendola all’autorità giurisdizionale nel cui territorio ha sede il terzo debitore, in quanto vero destinatario dell’espropriazione presso terzi VANZ-FELLONI, Il pignoramento presso terzi, in DITTRICH (a cura di), Diritto processuale civile, III, Torino, 2019, p. 3811; MARINELLI- WIDMANN, sub Art. 26-bis, in CONSOLO (a cura di), Codice di procedura civile, I, Milano, 2018, p. 419; TEDOLDI, op. cit., p. 395; si veda anche Trib. Milano, 21 luglio 2015 (ordinanza), in Giur. It., 2016, p. 611, con nota di SALVIONI, La giurisdizione in materia di espropriazione presso terzi, che avvalla tale orientamento.

[13] Per ulteriori approfondimenti sulla reale portata dell’art. 24, n. 5, del suddetto regolamento, sia consentito richiamare MAGNANI, I confini della giurisdizione esecutiva italiana nell’espropriazione di crediti alla luce dell’ordinamento eurounitario e internazionale, in AulaCivile.it, 2020.

[14] Lo scopo della norma, secondo tale interpretazione, sarebbe quello di unificare il perimetro della competenza ratione materiae dei giudici dell’esecuzione, senza indicare direttamente il giudice dotato di giurisdizione, ma accentrando in unico foro la possibilità di trattare tutte le questioni legate all’esecuzione, al fine di evitare potenziali contrasti di giudicati determinati dalla parcellizzazione di decisioni relative alla medesima questione.

[15] Cfr. BALBI, op. cit., p. 139. In altre parole, un giudice italiano, a cui si propone l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, non dovrebbe mai declinare la propria competenza giurisdizionale qualora un’altra autorità giudicante italiana abbia già affermato la giurisdizione italiana sull’espropriazione.

[16] La questione è da tempo dibattuta e non è mai stata risolta in modo univoco dalla Corte di Cassazione una volta intervenuto il d.l. n. 132 del 2014; questo, introducendo il nuovo art. 26-bis c.p.c., ha modificato i criteri per individuare il foro competente per l’espropriazione presso terzi, ancorandolo non più al luogo di residenza del terzo debitor debitoris, ma bensì a quello del debitore esecutato, salva l’ipotesi in cui quest’ultimo sia una pubblica amministrazione, atteso che in tale caso rimane ferma la regola tradizionale. La domanda che allora oggi ci si pone è se tale mutamento incida anche sui confini della giurisdizione esecutiva italiana, destituendo di attendibilità l’unico precedente giurisprudenziale in materia, ovvero la sentenza n. 5827 del 5 novembre 1981, con la quale la Corte di Cassazione a Sezioni Unite aveva ritenuto che la giurisdizione italiana dovesse essere affermata sulla base del luogo in cui il credito fosse sorto o dovesse essere soddisfatto. Le opinioni in dottrina sono le più disparate: alcuni autori (v. ad es. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, 2019, p. 1776; MORETTI, Esecuzione forzata – sull’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione nel processo esecutivo, in Giur. It., 2018, pp. 1103 e 1104; D’ALESSANDRO, L’espropriazione presso terzi, in LUISO (a cura di), Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato. Commento al d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, Torino, 2014, pp. 70 e ss.) ritengono che nulla possa dirsi mutato; altri (v. ad es. SALETTI, Competenza e giurisdizione nell’espropriazione di crediti, in www.judicium.it, pp. 19 e 20; VANZ- FELLONI, Il pignoramento presso terzi, in DITTRICH (a cura di), Diritto processuale civile, III, Torino, 2019, pp. 3810 e 3811; ROSSETTI, L’espropriazione presso terzi., in DEMARCHI ALBENGO (a cura di), La nuova esecuzione forzata, Bologna, 2018, pp. 678 e 679) patrocinano una ricostruzione diversa, ritenendo che si dovrebbe aver riguardo alla localizzazione di colui che deve soddisfare quel credito, ossia del terzo debitor debitoris; altri, infine, ritengono che la questione debba essere rimessa all’intervento della Consulta, dovendo l’art. 26-bis c.p.c. essere ritenuto come norma fondante anche la giurisdizione, per il tramite dell’art. 3, comma 2°, ultima parte, della legge n. 218 del 1995 (Sul punto sia ancora consentito richiamare MAGNANI, I confini della giurisdizione esecutiva italiana nell’espropriazione di crediti alla luce della legge n. 218 del 1995, in AulaCivile.it, 2020; ma v. anche GIUSSANI-CASSIANI, op. cit., p. 1193; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Torino, 2019, p. 449).

[17] D’ALESSANDRO, op. cit., p. 74, nota 18.

[18] Questa limitazione viene meno in quattro ipotesi. Nelle prime due l’eccezione è giustificata dal fatto che il creditore ha acconsentito all’introduzione dell’azione presso un altro giudice, in modo espresso o tacito. Le altre ipotesi attengono ai casi in cui vi sono impedimenti tecnici all’instaurazione del nuovo procedimento, cioè se il giudice dello Stato membro d’origine rifiuta di esercitare la propria competenza o se la prima decisione, proveniente da uno di questi Paesi, non può essere dichiarata esecutiva nello Stato membro in cui è esperibile la seconda azione.

[19] Questa opinione, che eviterebbe al creditore di difendersi dinanzi ai giudici dello Stato dell’esecuzione, era condivisa dalla dottrina pressoché unanime fin dalla uscita del Regolamento (CE) 4/2009; ex multis, MARINO, op. cit., pp. 20601 e ss.

[20] Corte giust., 4 luglio 1985, C-220/84, As-Autotelie Service GmbH c. Pierre Malhè, punto 12. In quell’occasione, i giudici comunitari furono chiamati anche ad accertare quali eccezioni di merito una parte potesse far valere nel procedimento di esecuzione senza varcare i limiti di applicazione dell’art. 16, n. 5, della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, analogo all’attuale art. 24, n.5, del Regolamento (UE) n. 1215/2012. Essi risolsero la questione affermando che “nella fattispecie, poiché i giudici tedeschi si sono già dichiarati incompetenti a conoscere del credito dedotto in compensazione, il fatto di invocare tale credito al fine di impedire l’esecuzione di un’ordinanza di liquidazione delle spese emessa nello stesso procedimento costituisce, da parte dell’attrice nella causa principale, un manifesto sviamento di procedura per ottenere indirettamente, da parte dei giudici tedeschi, una decisione relativa ad un diritto di credito per il cui accertamento tali giudici, secondo la convenzione, non sono competenti”. In questo senso. si veda anche Corte Giust., 10 luglio 2019, C-722/17, Norbert Reitbauer and Others v. Enrico Casamassima.

[21] V. punto 35 della sentenza di cui trattasi.

[22] V. punto 41 della sentenza di cui trattasi.

[23] Corte Giust., 18 dicembre 2014, Sanders e Huber, C-400/13 e C-408/13. Essa aveva infatti dichiarato come tale misura, concentrando la competenza in via esclusiva a un unico organo, potesse essere idonea a favorire lo sviluppo di particolari competenze tecniche per la risoluzione di questo tipo di contenzioso, che spesso presenta grande complessità dal punto di vista fattuale e giuridico, permettendo un recupero più celere del credito e favorendo una corretta amministrazione della giustizia; la valutazione di ciò, però, è stata in quel caso rimessa al giudice del rinvio.

[24] Diversamente, l’opposizione all’esecuzione che punta a modificare la decisione originaria, o a ottenerne una nuova pronuncia, va incardinata nello Stato membro di origine, sulla base del sopracitato art. 8 del regolamento.

[25] CASTELLANETA, Obbligazioni alimentari: spetta al giudice dello Stato membro chiamato a pronunciarsi sull’esecuzione in Guida dir., 2020, n. 31, p. 112 e ss

Matteo Magnani

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