Corte Costituzionale: illegittimo il termine di 24 ore per i reclami sui permessi di necessità dei detenuti

La Consulta dichiara illegittimo il termine di 24 ore per il reclamo dei detenuti sui permessi di necessità: ora sono previsti 15 giorni.

Allegati

La Consulta dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (il termine di 24 ore per i reclami sui permessi di necessità dei detenuti). Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

Corte costituzionale -sentenza n. 78 del 7-04-2025

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Indice

1. Il fatto


Il Tribunale di sorveglianza di Sassari era chiamato a decidere su un reclamo avverso un provvedimento del Magistrato di sorveglianza che, a sua volta, aveva rigettato una richiesta di permesso di necessità ai sensi dell’art. 30 ordin. penit..
Ciò posto, la richiesta appena menzionata era rigettata dal Magistrato di sorveglianza in ragione, da un lato, della persistente pericolosità sociale dell’istante, resosi per anni latitante in un paese del Sud America e, dall’altro, dell’assenza di imminente pericolo di vita di un suo prossimo congiunto, secondo quanto riferito dal medico legale.
Orbene, a fronte della situazione giudiziale venutasi a creare, il detenuto proponeva reclamo, «con riserva dei motivi a mezzo difensore», fermo restando che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza era stato notificato anche al difensore dell’interessato che, il giorno seguente alla suddetta notifica, aveva ha chiesto alla cancelleria del Tribunale di sorveglianza il rilascio di una copia della relazione del medico legale e delle note della Questura di Reggio Calabria e della Direzione nazionale antimafia e, quindi, una volta ricevute codeste copie, siffatto legale proponeva un reclamo corredato dai motivi, nel quale chiedeva tra l’altro che fossero sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis ordin. penit., nei termini poi ritenuti rilevanti e non manifestamente infondati dal Tribunale. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: illegittimità costituzionale dell’art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354


Il Tribunale di sorveglianza di Sassari sollevava talune questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il reclamo debba essere proposto entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza relativo ai permessi di necessità.
In particolare, quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente riteneva anzitutto pacifico che il termine di ventiquattro ore di cui alla disposizione censurata abbia natura perentoria, osservando subito dopo che la giurisprudenza di legittimità assimila il reclamo in oggetto ad un’impugnazione, nella quale debbono essere enunciati, a pena di inammissibilità, motivi specifici, senza che sia possibile riservarne l’articolazione oltre il termine stabilito per il reclamo (sono citate, ex multis, Corte di Cassazione, Settima Sezione penale, ordinanza 29 maggio-13 dicembre 2013, n. 50338; Prima Sezione penale, sentenze 7 marzo-22 aprile 2013, n. 18339 e 24 gennaio-27 aprile 2006, n. 14542).
Ebbene, ad avviso del giudice a quo, un simile assetto normativo contrasta con il diritto di difesa del ricorrente, dal momento che il termine di ventiquattro ore, per proporre una impugnazione motivata, risulterebbe eccessivamente compresso e non consentirebbe all’interessato, nella maggior parte dei casi, di redigere e depositare un atto in grado di confutare utilmente il decreto del magistrato di sorveglianza, essendo emblematica a questo proposito la stessa vicenda del procedimento in qurstione, nella quale i risultati dell’attività istruttoria, non disponibili per le parti fino al deposito del provvedimento impugnato, sarebbero stati decisivi per orientare la decisione del giudice di prima istanza.
Nel termine di ventiquattro ore, dunque, per il Tribunale di Sorveglianza di Sassari, il ricorrente avrebbe dovuto chiedere e ottenere copia di tali documenti, redigere il reclamo e depositarlo: adempimenti tutti inesigibili in un lasso di tempo così breve, tanto che il detenuto nel caso in esame aveva potuto soltanto inoltrare il reclamo lo stesso giorno in cui il provvedimento gli era stato comunicato, rinviando poi a una successiva articolazione dei motivi da parte del difensore, il quale a sua volta aveva potuto depositare reclamo motivato soltanto dopo avere ricevuto copia dei documenti, a termine di legge ormai scaduto.
Ciò posto, il rimettente ricordava poi come un’analoga questione di legittimità costituzionale sia stata dichiarata fondata dalla Consulta con sentenza n. 113 del 2020, con riferimento all’identico termine di ventiquattro ore, in origine previsto per il reclamo contro il provvedimento di diniego di un permesso premio di cui all’art. 30-ter ordin. penit., tenuto conto altresì del fatto che la considerazione, che la questione ora all’esame concerneva il permesso di necessità ai sensi dell’art. 30 ordin. penit., sempre a suo avviso, non avrebbe giustificato una conclusione differente con riguardo alla congruità di tale termine.
Nel dettaglio, si reputava come non varrebbe quale ragione giustificativa della diversità di disciplina l’urgenza che caratterizza il procedimento di concessione dei permessi di necessità, dovendosi osservare come sia lo stesso istante ad avere «tutto l’interesse ad inoltrare quanto prima reclamo motivato avverso un provvedimento di diniego»; sicché il termine “ordinario” di quindici giorni, stabilito dalla stessa sentenza n. 113 del 2020 in luogo di quello originario di ventiquattro ore, «non determinerebbe aggravi e disfunzioni di sorta» nemmeno con riferimento ai permessi di necessità.
Da tale ultima considerazione, quindi, se ne faceva discendere «l’ulteriore contrasto con l’art. 3» Cost.
Sempre per il giudice a quo, nessun dubbio sussisterebbe, infine, sulla rilevanza delle questioni prospettate, «atteso che dalla documentazione medica in atti emergeva che il prossimo congiunto del detenuto fosse affetto da una gravissima patologia tumorale con varie metastasi atta a fondare la richiesta di permesso ex art. 30 ordin. penit..

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3. La soluzione adottata dalla Consulta: l’articolo è costituzionalmente illegittimo


La Corte costituzionale, dopo avere stimato le questioni proposte ammissibili, oltre che rilevanti, considerava una di essa fondata in riferimento all’art. 24 Cost., restando invece assorbita la censura ex art. 3 Cost..
In particolare, il Giudice delle leggi notava innanzitutto che, così come osservato nella sentenza n. 113 del 2020 in relazione ai permessi premio, «[i]ngiustificatamente pregiudizievole rispetto all’effettività del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. è […] un termine così breve rispetto alla necessità, per l’interessato, di articolare compiutamente nello stesso reclamo, a pena di inammissibilità, gli specifici motivi in fatto e in diritto sui quali il tribunale di sorveglianza dovrà esercitare il proprio controllo sulla decisione del primo giudice», deducendo al contempo come ciò rilevi, non solo con riferimento «alla oggettiva difficoltà, per il detenuto, di ottenere in un così breve lasso di tempo l’assistenza tecnica di un difensore, che pure è – in via generale – parte integrante del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (sentenze n. 143 del 2013, n. 120 del 2002, n. 175 del 1996, e ulteriori precedenti ivi richiamati)», ma anche in relazione alla pratica impossibilità, per una persona ristretta in carcere, di ottenere entro il termine di ventiquattro ore copia di tutti i documenti acquisiti ex officio dal giudice che aveva pronunciato il provvedimento di cui il ricorrente si doleva, vale a dire quei documenti che il reclamante avrebbe potuto non conoscere affatto, dal momento che il provvedimento impugnato era stato assunto de plano dal giudice, al di fuori di ogni contraddittorio con le parti.
Di conseguenza, alla luce di quanto sin qui esposto, i giudici di legittimità costituzionale giungevano ad affermare che il rimedio al vulnus riscontrato, anche in questo caso, può essere assicurato dalla disciplina di cui all’art. 35-bis ordin. penit. sul reclamo giurisdizionale avverso le decisioni delle autorità penitenziarie che riguardano il detenuto, che «fornisce […] un “precis[o] punto di riferimento, già rinvenibil[e] nel sistema legislativo” (sentenza n. 236 del 2016) […] ancorché non costituente l’unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 242, n. 99 e n. 40 del 2019, nonché n. 233 e n. 222 del 2018)» (sentenza n. 113 del 2020; in senso analogo ora, ex multis, sentenze n. 37 del 2025, punto 6.2. del Considerato in diritto; n. 31 del 2025, punto 8.3. del Considerato in diritto; n. 46 del 2024, punto 4.1. del Considerato in diritto).
In effetti, sempre ad avviso della Consulta, la pur indubitabile differenza di ratio dei permessi di necessità rispetto ai permessi premio non osta a che il termine per proporre reclamo, per il detenuto, sia reso omogeneo dalla presente pronuncia in relazione a entrambi i benefici, come già – del resto – accadeva nell’originario disegno del legislatore visto che, in presenza di ragioni di particolare urgenza, sarà interesse del detenuto presentare il più presto possibile la propria impugnazione, sì da porre il giudice del reclamo in condizione di pronunciarsi a sua volta entro i dieci giorni successivi, come prescritto dal quarto comma dell’art. 30-bis.
Ad ogni modo, rilevvaa il Giudice delle leggi nella decisione qui in commento, non muta, invece, l’attuale termine di ventiquattro ore per il reclamo da parte del pubblico ministero stabilito dal terzo comma dell’art. 30-bis ordin. penit. poiché la questione decisa (nel caso di specie) è, in effetti, unicamente calibrata sull’esigenza di garantire il diritto di difesa del detenuto che si sia visto respingere la propria istanza di permesso di necessità, tenuto conto altresì del fatto che, d’altra parte, l’estensione del termine anche per il reclamo del pubblico ministero, nel caso opposto in cui l’istanza del detenuto sia accolta, determinerebbe la sospensione dell’esecuzione del provvedimento in pendenza dell’intero nuovo termine per l’impugnazione, ai sensi del settimo comma dello stesso art. 30-bis ordin. penit., quanto meno con riferimento ai permessi per eventi familiari di particolare gravità previsti dall’art. 30, secondo comma, ordin. penit. il che comporterebbe – rispetto alla disciplina [allora] vigente – un effetto pregiudizievole per lo stesso detenuto, frustrando le stesse ragioni di urgenza poste alla base del permesso.
Pur tuttavia, per la Consulta, spetterà comunque il legislatore se riconsiderare la complessiva disciplina in esame, eventualmente ricalibrando per entrambe le parti i termini per l’impugnazione e la complessiva disciplina relativa alla sospensione dell’esecuzione del permesso in pendenza di tali termini, in modo comunque idoneo a consentire il pieno esplicarsi del diritto di difesa.
La Corte costituzionale, dunque, alla luce delle considerazioni sin qui enunciate, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-bis, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che il provvedimento relativo ai permessi di cui all’art. 30 è soggetto a reclamo, da parte del detenuto, entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché entro quindici giorni.

4. Conclusioni


Fermo restando che, come è noto, l’art. 30-bis, co. 3, legge, 26 luglio 1975, n. 354 dispone che il provvedimento emesso in materia di permessi “è comunicato immediatamente senza formalità, anche a mezzo del telegrafo o del telefono, al pubblico ministero e all’interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, possono proporre reclamo, se il provvedimento è stato emesso dal magistrato di sorveglianza, alla sezione di sorveglianza, o, se il provvedimento è stato emesso da altro organo giudiziario, alla corte di appello”, con la pronuncia qui in esame, tale precetto normativo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che il provvedimento relativo ai permessi di cui all’art. 30, ossia quei permessi che, come recita il primo comma di tale articolo, sono concessi nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, è soggetto a reclamo, da parte del detenuto, entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché entro quindici giorni.
Di conseguenza, alla luce di siffatta sentenza, per siffatta tipologia di permessi è adesso concessa la possibilità di proporre reclamo, da parte del detenuto, entro un lasso temporale pari 15 giorni dalla sua comunicazione, anziché 24 ore.
Come trapela sempre dalla decisione qui in esame, il legislatore dovrà comunque considerare se rivedere l’intera normativa, eventualmente modificando i termini per l’impugnazione e le regole sulla sospensione dell’esecuzione del permesso, così da garantire il pieno esercizio del diritto di difesa per entrambe le parti.
Queste sono dunque le principali novità introdotte dalla sentenza qui in commento.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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