Corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.)

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La fattispecie delittuosa della corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.) è disciplinata dal libro secondo del codice penale – dei delitti in particolare – titolo II – dei delitti contro la pubblica amministrazione – capo I – dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. La norma è posta a presidio del potere giudizio censurando severamente le condotte corruttive inerenti atti giudiziari, tutelando la terzietà dei magistrati nell’espletamento delle proprie mansioni. Si tratta di un delitto procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) e di competenza del tribunale collegiale (art. 33 bis c.p.p.). L’arresto è facoltativo in flagranza con riferimento al primo comma e seconda comma (prima ipotesi) (art. 381 c.p.p.) mentre è obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.) per la seconda ipotesi del secondo comma. È consentito il fermo di indiziato delitto (384 c.p.p.) nonché l’applicazione di misure cautelari personali (artt. 280 e 287 c.p.p.).

L’art. 319 ter c.p.

Per completezza dell’esposizione, giova ricordare che il delitto di scrutinio è stato elevato dal legislatore del 1990 a fattispecie autonoma di delitto in luogo di una circostanza aggravante. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere, dopo la novella di cui sopra, il delitto come una fattispecie autonoma posta a tutela dell’imparzialità delle decisioni giudiziarie. L’art. 319 ter c.p. è stato ritoccato in relazione al quantum di pena sia dalla Legge 6 novembre 2012, n. 190 – Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione – (c.d. Legge Severino) e dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69 – Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio -, innalzando nel minimo e nel massimo nel caso del comma 1 (la reclusione è da sei a dodici anni); per lo stesso reato, se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a 5 anni (ipotesi del comma 2), la pena è della reclusione da sei a quattordici anni, mentre se l’ingiusta condanna è la reclusione superiore ad anni cinque o l’ergastolo, la pena, inasprita in detta ipotesi solo nel minimo, è della reclusione da otto ad anni venti.

Testualmente l’art. 319 ter c.p. dispone che: “Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni”.

La norma in scrutinio censura come autonoma fattispecie delittuosa e non più come circostanza aggravante ad effetto speciale con riferimento agli artt. 318 c.p. – Corruzione per l’esercizio della funzione – e 319 c.p. – Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio -, la corruzione posta in essere dal funzionario pubblico, individuato nello specifico in ambito giudiziario (es. magistrati, cancellieri, funzionari). L’art. 319 ter c.p. elenca tassativamente il processo civile, quello penale e quello amministrativi. Dalla lettura della norma rimangono fuori i processi disciplinari, così come si evince che non è necessaria un’effettiva concretizzazione dell’intento criminoso.


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Caratteristica della norma in commento è il pactum sceleris tra funzionario pubblico ed il privato cittadino avente ad oggetto lo sviamento dei poteri o mancato esercizio degli stessi ad opera del pubblico funzionario.

La fattispecie delittuosa della corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.) ha natura plurisoggettiva dato che i soggetti del pactum sceleris agiscono in condizioni di parità a differenza di ciò che accade ad esempio del delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p.
Sul punto leggi La fattispecie delittuosa della concussione (art. 317 c.p.)

Chiara appare la natura di reato a dolo specifico caratterizzato dalla volontà di favorire o danneggiare, attraverso un’illecita erogazione di denaro o altra utilità una parte del processo. Il delitto de quo può realizzarsi anche nella forma del tentativo, così sul punto sostiene la giurisprudenza della Corte di Cassazione: “L’ipotesi di tentativo è configurabile nel delitto di corruzione in atti giudiziari previsto dall’art. 319 – ter c.p., attesa la natura di questo quale figura autonoma di reato, allorché sia posta in essere la condotta tipica con atti idonei e non equivoci (l’offerta o la promessa) e l’evento non si verifichi (ad esempio per mancata accettazione). Nell’affermare tale principio la Corte ha considerato non decisiva la mancanza di una figura di reato parallela a quella delineata nell’art. 322 c.p.) (Cass. n . 12409/2007).

Lo schema del delitto non è diverso da quello raffigurato per l’ipotesi della corruzione ordinaria propria. Si evidenzia come il secondo comma censuri ancor più severamente il comportamento del reo, nel momento in cui come effetto della corruzione in atti giudiziari si pervenga alla condanna della reclusione.

“È configurabile il reato di corruzione in atti giudiziari nella condotta del giudice delegato ai fallimenti, a carico del quale siano state accertate reiterate violazioni dei doveri nell’esecuzione della funzione giudiziaria, anche se non siano individuati singoli fatti corruttivi, ma una disponibilità continuativa a elargire benefici a singoli o a gruppi dietro contropartita economica, con danno patrimoniale per i creditori delle procedure fallimentari trattate” (Cass. n. 36323/2009).

La fattispecie delittuosa della corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.) è configurabile nella forma della corruzione susseguente? Così sul punto dispone recente statuizione giurisprudenziale: “Il delitto di corruzione in atti giudiziari può essere realizzato anche nella forma della corruzione cosiddetta susseguente, essendo indifferente che l’atto compiuto sia conforme o meno ai doveri d’ufficio, assumendo rilievo preponderante la circostanza che l’autore del fatto sia venuto meno al dovere costituzionale di imparzialità e terzietà soggettiva e oggettiva alterando la dialettica processuale”. (Cass. n. 48100/2019). Del resto, sia nel caso di corruzione antecedente che di corruzione susseguente, l’esercizio dell’attività giudiziaria rimane in ogni modo negativamente condizionata dall’atto o dalla condotta contraria ai doveri d’ufficio, determinante ai fini della realizzazione dell’interesse perseguito dal funzionario pubblico.

Infine, giungendo alle conclusioni, si evidenzia che sotto il profilo processuale si evidenzia che: “nel delitto di corruzione in atti giudiziari, per stabilire se la decisione giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo non al suo contenuto ma al metodo con cui a essa si perviene, nel senso che il giudice, che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità o ne accetta la promessa, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi, e la soluzione del caso portato al suo esame, pur accettabile sul piano della formale correttezza giuridica, soffre comunque dell’inquinamento metodologico a monte” (Cass. n. 33435/2006). Ed ancora: “la natura necessariamente concorsuale del delitto di corruzione implica che all’assoluzione per insussistenza del fatto, in separato procedimento, dell’imputato del delitto di corruzione passiva in atti giudiziari faccia seguito, nell’altro procedimento, l’assoluzione con identica formula del corruttore attivo e dei suoi intermediari, dovendosi escludere la sussistenza dell’intero fatto corruttivo”. (Cass. n. 33519/2006).

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