Contagio da Covid in ospedale: va indicata la violazione di linee guida

Non è sufficiente allegare il contagio intra ospedaliero da Covid, se non si indica quali linee guida sono state violate dalla struttura sanitaria.

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Non è sufficiente allegare il contagio intra ospedaliero da Covid, se non si indica quali linee guida sono state violate dalla struttura sanitaria. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

Tribunale di Napoli -sentenza n. 4346 del 05-05-2025

SENTENZA_TRIBUNALE_DI_NAPOLI_N._4346_2025_-_N._R.G._00095599_2021_DEL_05_05_2025_PUBBLICATA_IL_05_05_2025.pdf 157 KB

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Indice

1. I fatti: il contagio da Covid in ospedale


Nell’ottobre del 2020, un paziente di un ospedale napoletano era costretto a ricoverarsi per sottoporsi ad un intervento chirurgico di cranioterapia parietale bilaterale a causa di una emorragia bilaterale da cui era affetto. Al momento dell’ingresso in ospedale, il paziente veniva sottoposto ad un tampone risultato negativo al Covid.
Dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico, il paziente veniva regolarmente dimesso, ma nei giorni successivi alla dimissione avvertiva difficoltà respiratorie e veniva quindi ricoverato d’urgenza presso un altro ospedale.
Nel predetto secondo ospedale, veniva quindi accertata l’infezione da virus Sars-Cov2 e il paziente veniva ricoverato per una polmonite acuta dovuta alla contrazione del virus.
In considerazione di ciò, il paziente agiva in giudizio nei confronti della prima struttura sanitaria, ritenendola responsabile per la contrazione del covid, in quanto la stessa non aveva adottato i doverosi accorgimenti per contenere il rischio epidemiologico e dunque per evitare il contagio durante il suo ricovero. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon

VOLUME

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La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

 

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2. Le valutazioni del Tribunale


Secondo il Tribunale partenopeo, la responsabilità della struttura sanitaria per i danni causati ad un paziente è ascrivibile alla categoria contrattuale per inadempimento della obbligazione che la struttura sanitaria assume, direttamente con il paziente, di prestare la propria organizzazione aziendale per l’esecuzione della prestazione sanitaria richiesta dal paziente.
Tra struttura sanitaria e paziente si forma quindi un contratto atipico a prestazioni corrispettive, che si conclude al momento in cui questo viene accettato presso la struttura e dal quale insorgono a carico della struttura degli obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie per eseguire la prestazione sanitaria richiesta dal paziente (oltre agli obblighi di tipo alberghiero).
Inoltre, la struttura risponde anche dell’opera svolta dai propri dipendenti o degli ausiliari di cui si avvale per l’esecuzione della predetta prestazione sanitaria richiesta dal paziente.
In considerazione del tipo di responsabilità gravante sulla struttura sanitaria, il paziente non avrà l’onere di provare la colpa della struttura sanitaria o la gravità di essa, ma dovrà provare l’esistenza del contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario astrattamente idoneo a determinare l’aggravamento della situazione patologica o della insorgenza di nuove e diverse patologie a carico del paziente.
Applicando detti principi alle infezioni nosocomiali, il paziente attore dovrà provare che l’infezione dal medesimo contratta può essere causalmente ricondotta all’operato della struttura sanitaria. Mentre spetterà alla struttura provare di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive.

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3. La decisione del Tribunale


Nel caso di specie, il paziente ha individuato l’inadempimento della struttura sanitaria convenuta nel fatto che alcuni componenti della equipe medica, che ha eseguito l’operazione chirurgica cui egli è stato sottoposto, erano affetti dal virus Sars-Cov2 durante l’esecuzione di detto intervento chirurgico e quindi gli hanno trasmesso il virus. Detto inadempimento dedotto dall’attore, però, è stato ritenuto dal giudice molto evanescente, in quanto non sono stati indicati i protocolli che la struttura sanitaria avrebbe violato, né quali sarebbero state le iniziative errate e non rispettose rispetto alla situazione della seconda ondata pandemica del covid. L’attore, invece, si è limitato a riferire di essere a conoscenza che alcuni operatori sanitari che lavoravano all’interno della struttura convenuta erano positivi al virus, senza neanche indicare il loro nominativo, né in quale momento essi sarebbero entrati in contatto con l’attore.
Inoltre, l’attore non ha neanche dedotto che per detti operatori sanitari era mancato il controllo previsto dalla normativa vigente all’epoca, che imponeva controlli sul personale in servizio, né ha allegato che protocolli, direttive e linee guida non siano state applicate o rispettate dalla struttura sanitaria.
Secondo il giudice, quindi, sarebbe stato onere dell’attore indicare quali protocolli siano stati violati e quali misure precauzionali non sono state rispettate.
Ciò in quanto, il virus Sars-Cov2 e la conseguente infezione da Covid non può essere paragonata ai germi nosocomiali da nota insorgenza ospedaliera nonché in quanto si deve tenere conto della straordinarietà del periodo emergenziale.
A fronte di tale mancato assolvimento dell’onere gravante sul paziente, la struttura sanitaria invece ha dimostrato di aver sostanzialmente recepito le direttive ministeriali emesse durante il predetto periodo emergenziale, avendo allegato e depositato una serie di note aventi ad oggetto delle misure organizzative interne.
Infine, il giudice ha evidenziato come risulta carente anche la prova della sussistenza di un danno a carico del paziente. Infatti, pur avendo l’attore allegato la presenza di “sensazione di affaticamento, anche nel compimento di piccoli movimenti, costanti mal di testa, disturbi dell’attenzione, dispnea e disturbi del sonno”, dette problematiche non sono state dal medesimo documentate, né sostenute da riscontri clinici sotto il profilo del danno biologico. Analogamente, secondo il giudice, i sintomi di labilità emotiva, disturbi dell’umore, ansia ed insonnia, che pure l’attore ha allegato di avere, non sono stati certificati da medici specialisti che dovrebbero avere in cura il paziente proprio per far fronte a detti sintomi.
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto di rigettare la domanda formulata da parte attrice, ritenendola del tutto infondata, e ha condannato il paziente al pagamento delle spese di lite nei confronti della struttura sanitaria convenuta liquidandole al minimo dello scaglione applicabile.

Avv. Muia’ Pier Paolo

Co-founder dello Studio Legale “MMP Legal”, svolge la professione di avvocato in Firenze, Prato e Pistoia, occupandosi in via principale con il suo staff di responsabilità professionale e civile; internet law, privacy e proprietà
intellettuale nonchè diritto tributario. …Continua a leggere

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