Consiglio di Stato, Sez. IV, 8.2.2008, n. 449: Sui presupposti affinchè sia legittimo un provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale disposto ai sensi dell’art. 143 del D. L.vo n. 267 del 2000, per condizionamento mafioso.

sentenza 28/02/08
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dalla Presidenza della Repubblica, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Napoli, in persona dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domiciliano per legge in Roma Via dei Portoghesi n. 12;
contro
i signori *** , rappresentati e difesi dagli avvocati *********’*******, *************** e **************** ed elettivamente domiciliati in Roma Via Cosseria n. 2 presso ****************;
e nei confronti
del comune di San Gennaro Vesuviano, non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. Campania – I Sez. di Napoli n. 7060 del 2007 (dispositivo n. 24 del 2007);
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica Udienza del 6 novembre 2007 il ***********************; uditi l’avvocato dello Stato Fedeli e gli avvocati ******* e *******;
Visto il dispositivo di decisione n. 515 del 2007;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
In base alle risultanze degli accertamenti effettuati dalla Commissione di accesso e della relazione da questa predisposta, il Prefetto di Napoli, su conforme avviso del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, ha proposto lo scioglimento del Consiglio del Comune di San Gennaro Vesuviano ai sensi dell’art. 143 del T.U.E.L. n. 267 del 2000.
Con decreto del Presidente della Repubblica del 15/11/2006, su proposta del Ministro dell’interno e previa delibera del Consiglio dei Ministri del 10/11/2006, l’organo elettivo è stato sciolto per 18 mesi e è stata insediata la Commissione straordinaria per la gestione dell’ente.
Il provvedimento è stato impugnato con ricorso e motivi aggiunti avanti al T.A.R. Campania dal sindaco e dai componenti dell’organo disciolto.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio per resistere al gravame.
Con ordinanza n. 564 del 2007 l’adito Tribunale ha disposto incombenti istruttori, ai quali l’Ufficio territoriale del Governo ha dato esecuzione producendo la documentazione richiesta.
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha quindi accolto le impugnative.
La sentenza stessa è impugnata con l’atto di appello all’esame dalle Amministrazioni in epigrafe indicate, le quali ne chiedono l’integrale riforma deducendo la sussistenza di tutti i presupposti per l’applicazione della misura di rigore divisata dall’art. 143 del Testo Unico n. 267 del 2000.
Si sono costituiti gli appellati, insistendo per la reiezione del gravame.
Le Parti hanno presentato memorie.
All’Udienza del 6 novembre 2007 l’appello è stato spedito in decisione e respinto come da dispositivo n. 515 del 2007 già pubblicato.
DIRITTO
L’appello non è fondato e va pertanto respinto.
Oggetto sostanziale della presente controversia è lo scioglimento del consiglio comunale di San Gennaro Vesuviano, disposto ai sensi dell’art. 143 del D. L.vo n. 267 del 2000.
Il provvedimento è stato motivato sulla base di vari elementi indiziari, richiamati nella relazione della Commissione di accesso.
In tale relazione viene innanzi tutto adombrato un rapporto di continuità tra il nuovo organo e quello precedente, già sciolto per infiltrazioni camorristiche: in sostanza alcuni amministratori appartenenti alla disciolta compagine sono stati riconfermati e due procedimenti penali, conseguenti a indagini della Direzione distrettuale antimafia nei confronti del detto organo, vedono coinvolti proprio gli amministratori confermati.
A monte, sono state peraltro registrate indebite interferenze nella fase elettorale in quanto la lista del candidato sindaco (poi eletto) sarebbe stata presentata dal congiunto di un soggetto sospettato di affiliazione ad un noto clan camorristico locale.
Sotto un diverso profilo la relazione valorizza altresì in senso negativo la precarietà che affligge la vita istituzionale dell’ente, travagliata dalle dimissioni di due assessori e di ben dodici consiglieri comunali, succedutesi in un breve arco temporale.
Fittissima, secondo la relazione, è poi la rete di parentele o almeno di frequentazioni, che lega alcuni componenti del consiglio comunale e alcuni dipendenti dell’Amministrazione con esponenti di locali consorterie criminali.
In questo quadro, particolare rilievo assume la figura del Vice Sindaco, già presidente dei revisori dei conti nella disciolta amministrazione e depositario delle scritture contabili di una ditta di cui era socio un soggetto contiguo ad un noto clan. Per parte sua, il Sindaco risulta legato da rapporti di affinità con soggetti sospettati di collegamenti con la criminalità organizzata.
Numerosi consiglieri, secondo l’Amministrazione, esibiscono come si è detto rapporti di parentela o, quanto meno, di frequentazione con soggetti sospettati di gravitare in ambienti malavitosi.
Tanto premesso sul piano soggettivo, la relazione individua poi sotto il profilo oggettivo vari episodi ritenuti espressivi di una costante tendenza degli amministratori del disciolto organo ad indirizzare l’attività amministrativa dell’ente in senso favorevole agli interessi e alle aspettative di soggetti e gruppi di pressione in qualche modo legati alla criminalità organizzata, e ciò sia nel settore del governo del territorio, sia in quello della disciplina dell’attività commerciale, sia infine per quanto attiene la gestione dei rapporti finanziari e soprattutto tributari dell’ente locale.
Il provvedimento di scioglimento adottato sulla scorta della motivazione ora compendiata è stato annullato dalla sentenza oggetto del presente appello, all’esito di un percorso argomentativo che fa perno per un verso sulla carente dimostrazione in fase motivazionale della esistenza di significativi momenti di collegamento tra i componenti della disciolta compagine ed il mondo della criminalità organizzata; dall’altro sulla mancata individuazione in sede istruttoria di episodi effettivamente atti a dimostrare un inquinamento o sviamento dell’attività istituzionale dell’ente riconducibili in chiave causale a pressioni promananti dalla criminalità organizzata o da centri di interesse ad essa contigui.
Queste statuizioni sono avversate dall’Amministrazione appellante la quale, premessa una amplissima ricostruzione dei fatti materiali a suo avviso definitivamente acclarati in sede istruttoria, deduce in via principale l’errore di giudizio in cui è incorso il Tribunale non avvedendosi del fatto che la carente funzionalità dell’Ente in settori istituzionali che rivestono estremo interesse per la criminalità organizzata costituisce – ove rapportata ad un contesto caratterizzato dalla notoria e pervasiva diffusione della stessa – presupposto sufficiente per l’applicazione delle misure di reazione e di difesa che l’ordinamento appresta.
A ciò deve aggiungersi, secondo l’appellante, che il Tribunale è incorso in una palese violazione del limite esterno della sua giurisdizione allorchè – intromettendosi in valutazioni di merito che l’ordinamento riserva all’Amministrazione centrale – ha finito per vagliare la generale significatività e il complessivo peso indiziante dei vari episodi ed elementi disfunzionali acclarati in sede di accesso.
Così ricostruiti e sintetizzati, i profili di doglianza che supportano l’appello non risultano – a giudizio del Collegio – meritevoli di favorevole apprezzamento.
Come è noto l’art. 143 del T.U. n. 267 del 2000 prevede lo scioglimento dei consigli comunali quando emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
Come chiarito dalla Corte costituzionale (in relazione all’art.15 bis della legge n. 55 del 1990 ora appunto trasfuso nell’art. 143 T.U.E.L.) l’applicazione della misura straordinaria di cui si discute non può che correlarsi, specialmente sul piano motivazionale, con riferimento a risultanze obiettive circa la sussistenza dei "collegamenti" o delle "forme di condizionamento" e sulle conseguenze che da esse siano derivate o possano derivare sul piano delle funzionalità e della imparzialità degli organi o su quello della sicurezza pubblica (Corte cost. n. 103 del 1993).
Quanto sopra tenendo ovviamente presente che la norma considera sufficiente, per quanto concerne il rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata, circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza inferiore a quelle che legittimano l’avvio dell’azione penale o l’adozione delle misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analoghe.
Lo scioglimento del Consiglio comunale per condizionamento mafioso rappresenta, in definitiva, la risultante di una valutazione complessiva fondata, da un lato, sulla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, sulla esistenza, nell’Ente, di uno o più settori sensibili alla stessa criminalità, ovvero su una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.
Sul piano processuale, ciò comporta che la relativa valutazione – fondando sull’apprezzamento latamente discrezionale degli organi di vertice dell’autorità amministrativa – resta soggetta al sindacato di legittimità entro gli stretti limiti dell’accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto e alla ragionevolezza, sotto il profilo logico, della valenza attribuita ai predetti elementi di fatto e delle conclusioni che se ne fanno derivare.
In termini piani, il Giudice amministrativo deve vagliare da un lato se lo straordinario potere di scioglimento sia stato esercitato in presenza di risultanze non travisate per quanto afferisce ai collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata ovvero a forme di condizionamento da questa spiegate; dall’altro se l’Amministrazione procedente, allorchè ritiene verificatasi la compromissione della libera determinazione degli organi elettivi comunali, non incorra in vizi logici immediatamente percepibili.
Applicando le coordinate ermeneutiche ora tracciate al caso all’esame, deve innanzi tutto escludersi che, come invece dedotto dagli appellanti, il Tribunale abbia travalicato il limite esterno della giurisdizione di legittimità, ingerendosi in valutazioni di merito naturalmente riservate all’Amministrazione.
Ed infatti, come si è detto sopra, la sentenza impugnata fonda proprio per un verso sul riscontro del travisamento in cui è ripetutamente incorsa l’Amministrazione allorchè, a causa di una inadeguata istruttoria, ha ritenuto significativi ai fini di causa fatti o episodi materiali che in realtà non risultano di per sè espressivi di un effettivo collegamento tra i componenti della disciolta compagine consiliare ed il mondo della criminalità organizzata; per altro verso sul rilievo della mancata individuazione di elementi ragionevolmente atti a dimostrare che il deteriore livello dell’attività istituzionale dell’ente sia effettivamente riconducibile sul piano causale a pressioni o interessi promananti dalla criminalità organizzata.
Tanto premesso sul piano metodologico, si osserva poi che effettivamente i fatti e gli episodi materiali richiamati nei provvedimenti impugnati non sembrano idonei a supportare il giudizio in ordine all’esistenza di collegamenti tra la compagine disciolta e la criminalità organizzata o centri di potere ad essa collegati.
Ed infatti, in primo luogo, la rielezione di due consiglieri già appartenenti all’organo disciolto in precedenza non consente di intravedere elementi di effettiva continuità di quello con la nuova amministrazione, poi a sua volta sanzionata.
Per quanto concerne poi la regolarità delle consultazioni elettorali svolte nel 2004, l’addebito riguardante il congiunto del soggetto che presentò la lista stessa vittoriosa concerne fatti assai risalenti e non assume quindi valenza patologica ove si tenga presente il ruolo effettivamente ricoperto da tale soggetto nell’ambito di una delle formazioni politiche che appoggiavano la lista stessa.
Per quanto riguarda il criticato contesto parentale, deve osservarsi che i relativi legami non sembrano in alcun modo di per sè significativi, sia perchè si controverte di un comune di modeste dimensioni demografiche e nel quale quindi è naturalmente fitto l’intreccio dei legami familiari; sia perchè la gran parte dei precedenti penali evocati a carico risultano remoti o non più attuali a seguito di sopravvenuti provvedimenti dell’Autorità giudiziaria.
Infine, non sono addotti nel provvedimento impugnato elementi atti a collegare in modo significativo le dimissioni presentate da alcuni amministratori a fatti o episodi in qualche modo connessi alle pressioni promananti dal mondo camorristico.
Tanto chiarito per quanto concerne le problematiche relative all’esistenza di forme di collegamento fra l’ente locale e la criminalità organizzata, si deve quindi per completezza valutare se sia effettivamente riscontrabile quella avvenuta compromissione della libera determinazione degli organi elettivi che l’Amministrazione procedente rileva.
In tale ottica, a giudizio del Collegio, le motivazioni addotte a sostegno del provvedimento dissolutorio non risultano logiche e congrue, in quanto si limitano a comprovare lo scadente livello dell’attività amministrativa dell’Ente, senza addurre elementi dai quali possa inferirsi che le ( pur molteplici) carenze riscontrate siano ragionevolmente riconducibili in chiave causale all’esistenza di pressioni esterne o alla volontà di beneficiare determinati centri di interesse.
Per quanto riguarda il profilo di maggiore rilievo e cioè la materia urbanistica, è decisivo osservare da un lato che la disciolta amministrazione non risulta aver apportato modifiche al documento adottato in precedenza dalla Commissione straordinaria; dall’altro che, nonostante le diverse argomentazioni ribadite dall’Avvocatura in questa sede d’appello, l’Amministrazione centrale non ha offerto elementi dai quali possa inferirsi che il favorevole mutamento di destinazione impresso in sede provinciale ad aree in titolarità di soggetti sospettati di contiguità al mondo criminale risale a pressioni di componenti del disciolto consiglio comunale.
Per il resto – e cioè per quanto concerne l’esclusione di alcune aree dalla reiterata variante al piano di edilizia economica e popolare, la mancata repressione di alcuni abusi edilizi, l’affidamento a trattativa privata di piccoli lavori asseritamente urgenti nonchè le procedure per la realizzazione del nuovo cimitero – gli elementi addotti dall’Amministrazione testimoniano come si è detto il livello spesso obiettivamente scadente dell’attività espletata dagli uffici comunali ma non lasciano emergere profili di indebite pressioni da parte dei componenti dell’organo elettivo.
In sostanza, non emergendo dal provvedimento impugnato alcun episodio significativo di un effettivo condizionamento o inquinamento a causa della pressione di interessi esterni, il giudizio formulato dall’Amministrazione appare non improntato a canoni di ragionevolezza anche sotto il profilo obiettivo ora in rassegna.
Nè, come evidenziato dal Tribunale, le cennate carenze motivazionali ed istruttorie che affliggono il provvedimento impugnato possono essere sanate dai nuovi e spesso sopravvenuti elementi di conoscenza offerti dall’Amministrazione in questa sede processuale, atteso il divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento amministrativo
Sulla scorta delle motivazioni che precedono l’appello va pertanto respinto.
Le spese del grado possono essere compensate vista la complessità di alcune delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 6 novembre 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei Signori:
**********************
*****************************, est.
Vito POLI Consigliere
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L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
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IL SEGRETARIO
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Depositata in Segreteria
Il 08/02/2008
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Dirigente
Sig.ra Nusca

sentenza

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