Il congedo parentale e per malattia del figlio

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Gli articoli 32 e seguenti del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, disciplinano il già vigente istituto dell’astensione facoltativa, adesso ridenominato congedo parentale. Esso legittima l’assenza dal servizio di uno o di entrambi i genitori lavoratori dipendenti, anche contemporaneamente ed indipendentemente dal fatto che uno dei due coniugi sia privo di occupazione, per un periodo complessivo non superiore a dieci mesi (o undici mesi in un caso particolare) e fino al compimento del dodicesimo anno di vita del figlio.

Nello specifico, la normativa riconosce alla madre lavoratrice la facoltà di astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a sei mesi decorrenti dalla data di cessazione del congedo di maternità post partum.

Parimenti, il padre lavoratore ha facoltà di assentarsi dal servizio dalla nascita del figlio per un periodo massimo di sei mesi, elevabile a sette qualora lo stesso si sia assentato dal servizio per un periodo, continuativo o frazionato, non interiore a tre mesi, nel qual caso l’ammontare complessivo di mesi in cui entrambi i genitori lavoratori possono essere collocati in congedo parentale è pari ad undici mesi, nei limiti massimi individuali di quattro mesi per la madre e di sette mesi per il padre.

Infine, nel caso in cui vi sia un solo genitore, questi ha facoltà di assentarsi dal servizio fino ad un limite massimo di dieci mesi, continuativi o frazionati.

Le condizioni di monogenitorialità sono determinate dalla morte di uno dei due genitori, dall’abbandono del figlio da parte dell’altro genitore, dall’affidamento esclusivo del figlio per pronuncia giudiziale a seguito di separazione o divorzio, ossia da mancato riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore. In ogni caso, detti periodi di moltiplicano, in termini di durata, per ogni figlio nato da parto gemellare o plurimo.

Il congedo parentale, inoltre, soggiace ad un peculiare regime in ordine al computo dei giorni inerenti un unico periodo ricomprendente anche giorni non lavorativi, o festivi. In tal caso, i giorni non lavorativi e/o festivi ricadenti all’interno di un unico periodo di congedo parentale, vanno ricompresi nel computo di quest’ultimo.

Nel caso in cui, invece, il dipendente ricorra frazionatamente e più periodi di congedo parentale retribuito, occorre, ai fini del verificarsi di tale forma di frazionamento, la ripresa dell’attività lavorativa di almeno un giorno tra un periodo e l’altro; in difetto, il congedo parentale si intenderà fruito tutto in un unico periodo.

Qualora invece insorga una malattia, propria o del figlio legittimante la fruizione dell’analogo congedo, durante il congedo parentale, la stessa sospende il congedo medesimo. Se al termine di detta malattia o di analoga assenza per ferie, il lavoratore rientra in servizio, i giorni non lavorativi e/o festivi intercorsi tra la fine del congedo parentale e l’inizio successivo periodo di ferie o di malattia non vanno conteggiati a titolo di congedo parentale.

Di contro, se al termine del periodo di malattia o ferie, seguente un periodo di congedo parentale intervallato da giorni non lavorativi e/o festivi, il lavoratore richiede un nuovo periodo di congedo parentale, detti giorni lavorativi e/o festivi sono computati nell’ambito del congedo parentale.

L’istanza di congedo parentale deve essere presentata, di norma, almeno cinque giorni prima della fruizione di detto periodo, salvo casi di impossibilità sopravvenuta.

Inoltre, il congedo parentale, oltre a poter essere fruito contemporaneamente da entrambi i genitori, può essere concesso anche quando l’altro genitore, per il medesimo periodo, fruisce del congedo per malattia del figlio ovvero dei permessi orari giornalieri o delle ferie o del c.d. congedo straordinario biennale retribuito ex art. 42, comma 5, del noto T.U., il quale consente alternativamente ai genitori di astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni (da intendersi come biennio per ciascun genitore ma nei limiti del biennio per singolo figlio) per assistere il figlio portatore di handicap con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992. Tale requisito prescinde dall’età del figlio, non implica la convivenza del genitore con il disabile e non rileva l’eventuale stato di disoccupazione o inoccupazione dell’altro genitore.

Parimenti, alternativamente i genitori di minori di età inferiore a dodici anni e portatori di handicap con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992, possono beneficiare del c.d. prolungamento del congedo parentale, ai sensi degli artt. 33, comma 2, e 42, comma 1, del D. Lgs. 151/2001 in combinato disposto con l’art. 33, comma 2, della legge n. 104/1992, per un periodo massimo non superiore a tre anni complessivi per entrambi i genitori, che include anche il periodo di congedo parentale spettante in via ordinaria ai sensi dell’art. 32 del citato T.U (sostanzialmente, il congedo parentale di dieci o undici mesi, viene elevato ex lege a tre anni).

Condizione per la fruizione di tale beneficio, che spetta anche se uno dei due genitori non espleta alcuna attività lavorativa, è, oltre allo status di minore disabile grave, il non ricovero dello stesso a tempo pieno in istituti specializzati, a meno che non sia richiesta, da parte del personale sanitario dell’istituto, la presenza di almeno uno dei genitori nella struttura medesima per l’assistenza al bambino.

Quanto, infine, al trattamento economico spettante al genitore lavoratore assente dal servizio per fruizione di congedo parentale, per i lavoratori del settore privato è previsto un emolumento mensile pari al 30% della retribuzione per un massimo di sei mesi cumulativamente per entrambi i genitori e fino al raggiungimento del sesto anno di vita del figlio.

Per i lavoratori del settore pubblico, invece, la contrattazione collettiva di comparto ed un relativo parere interpretativo dell’ARAN, prevedono la retribuibilità per intero dei primi trenta giorni di assenza da parte di uno o di entrambi i genitori (purché non si eccedano i trenta giorni cumulativamente per entrambi) fino al sesto anno di vita del figlio, mentre i successivi cinque mesi, cumulativi per entrambi i genitori e fruiti però entro il compimento del sesto anno di vita del figlio, andranno retribuiti al 30% dello stipendio fisso mensile.

Per i periodi di congedo parentale superiori ai sei mesi per i minori di età inferiore a sei anni, nonché per i periodi fruiti dal sesto all’ottavo anno di vita del figlio, non andrà riconosciuta alcuna retribuzione dell’assenza dal servizio a titolo di congedo parentale, salvo il caso in cui il genitore possiede un reddito personale non superiore a due volte e mezzo l’importo del trattamento minimo di pensione INPS, nel qual caso detti periodi di congedo parentale andranno indennizzati al trenta per cento della retribuzione. Parimenti, i periodi di congedo parentale fruiti dall’ottavo al dodicesimo anno non saranno oggetto di retribuzione alcuna.

Si rappresenta, infine, che il giorno del compleanno può essere fruito a titolo di congedo parentale, come specificato dalle circolari di settore.

L’istituto del congedo per malattia del figlio previsto dall’art. 47 del Decreto Legislativo n. 151/2001, contempla il diritto, riconosciuto alternativamente ad entrambi i genitori lavoratori, di astenersi dal lavoro per ogni giorno di malattia del figlio, fino a tre anni di età dello stesso.

Qualora il figlio abbia un’età compresa tra i tre e gli otto anni, tale diritto di astensione dal lavoro si riduce sensibilmente, in quanto consente l’assenza legittima dal lavoro per cinque giorni l’anno, nei quali il bambino abbia sofferto di infermità patologica. Nel caso in cui la madre sia stata interessata da parto plurimo, il congedo per malattia spetta per ciascun figlio.

Detta tipologia di congedo si caratterizza, quindi, per il requisito dell’alternatività, ossia non consente ad entrambi i genitori di assentarsi a tal titolo dal lavoro, nello stesso giorno e per la stessa malattia del figlio, mentre è cumulabile, nella stessa giornata, con la fruizione del congedo parentale da parte dell’altro genitore.

All’istanza del lavoratore, con la quale richiede detto congedo, deve essere allegato il certificato di malattia, rilasciato da un medico appartenente al Servizio Sanitario Nazionale, o con esso convenzionato, recante la prognosi (non necessita la diagnosi). In ogni caso, non è prevista la c.d. visita fiscale ai fini del controllo dello stato patologico del minore.

Qualora la malattia del bambino abbia dato luogo a ricovero ospedaliero, è riconosciuto al genitore lavoratore la facoltà di chiedere l’interruzione delle ferie che il genitore stesso stava fruendo, affinché quest’ultimo possa optare per il collocamento in congedo per malattia del figlio.

Analogamente, qualora la malattia del figlio, a prescindere da un ricovero ospedaliero, insorga durante la fruizione di congedo parentale da parte del genitore, questi ha facoltà di optare per la commutazione dei giorni di congedo parentale ancora da fruire, in congedo per malattia del bambino, posticipando eventualmente il congedo parentale al termine della malattia del figlio.

Per quanto concerne l’aspetto economico, è significativa la disparità di trattamento tra i dipendenti del settore privato e quelli pubblici: difatti, per i primi non è prevista alcuna retribuzione per le assenze a titolo di congedo per malattia del figlio, indipendentemente dall’età del bambino fino a otto anni.

Per i dipendenti del settore pubblico, invece, è prevista la retribuibilità per intero dei primi trenta giorni di congedo per malattia del figlio per ciascun anno dal primo al terzo anno di vita del figlio, mentre non è prevista alcuna retribuzione per i periodi successivi.

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