Il congedo parentale, disciplinato dal d.lgs. n. 151/2001, costituisce uno strumento essenziale per conciliare esigenze lavorative e cura della prole. La sua funzione è quella di garantire al genitore la possibilità di dedicarsi allo sviluppo affettivo, relazionale e personale del figlio nei primi anni di vita.
Tuttavia, l’utilizzo improprio di tale istituto può sfociare in conseguenze gravi, come dimostra l’ordinanza n. 24922 del 9 settembre 2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso avanzato di diritto del lavoro -Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni.
Indice
- 1. Il contesto normativo e il caso concreto
- 2. Il vaglio della Cassazione: i limiti del giudizio di legittimità
- 3. L’abuso del congedo parentale: principi e analogie
- 4. La valutazione in concreto dell’abuso e le conseguenze
- 5. Considerazioni conclusive
- Formazione in materia per professionisti
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1. Il contesto normativo e il caso concreto
Il caso riguardava un dipendente licenziato per giusta causa dopo che il datore di lavoro aveva documentato, tramite investigatori privati, la sua presenza nello stabilimento balneare della moglie durante i giorni di congedo. Per cinque giornate, il lavoratore non si era dedicato alla cura del figlio di tre anni, ma a mansioni estranee alla finalità del congedo, tanto che la famiglia aveva dovuto ricorrere a un aiuto esterno.
Il Tribunale aveva inizialmente accolto la tesi difensiva del dipendente, ma la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva ribaltato la decisione, ritenendo sussistente l’abuso e legittimo il licenziamento. Contro questa sentenza il lavoratore aveva proposto ricorso in Cassazione.
2. Il vaglio della Cassazione: i limiti del giudizio di legittimità
Il primo motivo di ricorso verteva sulla presunta insufficienza della motivazione, lamentando l’omessa ammissione di prove testimoniali e l’uso di mere illazioni. La Cassazione ha dichiarato inammissibile tale doglianza, ribadendo i limiti del sindacato di legittimità: la Corte non può sostituirsi al giudice di merito nella valutazione delle prove, se questa è stata condotta in maniera logica e coerente.
Il vizio di motivazione può rilevare solo quando riguarda un punto decisivo e quando la prova non ammessa sia idonea a invalidare con certezza le altre risultanze istruttorie. Nel caso in esame, le prove raccolte e l’articolata motivazione della sentenza d’appello rendevano inoppugnabile la decisione.
La Corte ha inoltre richiamato il consolidato orientamento sul ragionamento presuntivo: spetta al giudice di merito selezionare i fatti da cui desumere l’inferenza logica, e la sua valutazione resta insindacabile in sede di legittimità, salvo l’omesso esame di un fatto realmente decisivo.
3. L’abuso del congedo parentale: principi e analogie
Con il secondo motivo, il lavoratore contestava l’accertamento dell’abuso. La Suprema Corte ha respinto anche questa censura, ribadendo un principio di fondo: il congedo parentale è un diritto potestativo che trova la propria ragion d’essere nella cura diretta del figlio.
Non è sufficiente invocare genericamente esigenze familiari: l’assenza dal lavoro deve essere giustificata dall’effettiva necessità di assistere il bambino. Qualunque condotta che si traduca nello sviamento della finalità assistenziale costituisce abuso del diritto.
Significativa è l’analogia con i permessi ex legge 104/1992. Come nel caso dell’assistenza a un disabile, anche il congedo parentale impone al datore di lavoro un sacrificio organizzativo, giustificabile solo se l’assenza è utilizzata per la finalità specifica tutelata dalla legge. L’utilizzo per fini diversi integra una violazione che può giustificare il licenziamento per giusta causa.
4. La valutazione in concreto dell’abuso e le conseguenze
Un profilo centrale affrontato dalla Cassazione riguarda l’intensità della condotta abusiva. Il lavoratore sosteneva che l’abuso potesse configurarsi solo in caso di attività sistematica e continuativa. La Corte ha smentito tale impostazione, affermando che l’accertamento spetta al giudice di merito e va condotto caso per caso, senza richiedere necessariamente una reiterazione prolungata della condotta.
Anche poche giornate di attività estranee alla cura del figlio, come accaduto nel caso concreto, possono integrare abuso del diritto e giustificare la sanzione espulsiva.
Le conseguenze sono molteplici. Sul piano lavoristico, il dipendente viola il dovere di correttezza e buona fede, tradendo la fiducia del datore di lavoro e determinando un’assenza ingiustificata dal servizio. Sul piano patrimoniale, si configura l’indebita percezione dell’indennità di congedo, con potenziali profili di responsabilità anche nei confronti dell’ente previdenziale che eroga il trattamento economico.
La Cassazione, rigettando il ricorso, ha dunque confermato la piena legittimità del licenziamento per giusta causa.
5. Considerazioni conclusive
L’ordinanza n. 24922/2025 offre spunti di rilievo per la prassi lavoristica e sindacale. La Corte riafferma che l’esercizio dei diritti del lavoratore incontra il limite della loro finalizzazione agli interessi tutelati dall’ordinamento. Laddove venga meno il nesso causale tra l’assenza e la cura del figlio, il congedo parentale perde la propria giustificazione e si trasforma in abuso.
La pronuncia consolida un orientamento severo ma coerente con la ratio legis, volto a evitare che istituti di particolare rilevanza sociale siano distorti a fini personali. Per i datori di lavoro, rappresenta una conferma della possibilità di reagire con fermezza a condotte elusive; per i lavoratori, un monito sull’uso corretto di benefici che, se piegati a interessi diversi, possono tradursi in un’immediata risoluzione del rapporto.
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