Condizioni di recesso ex art. 1385 co. 2 c.c. Nota esplicativa a Corte Costituzionale, Ordinanza n. 77/2014.

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Con ordinanza n. 77/2014 decisa il 26.03.2014 e depositata in data 02.04.2014 (Pres. Silvestri, Red. Morelli), la Corte Costituzionale è tornata nuovamente ad affrontare il tema della caparra confirmatoria con riferimento alla legittimità costituzionale dell’art. 1385 co. 2 c.p.c.

Il giudizio è stato promosso dal Tribunale ordinario di Tivoli con ordinanza del 3 aprile 2013, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 2013 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2013).

Precisamente, con detta ordinanza, il Tribunale ordinario di Tivoli ha sollevato, sotto il profilo della irragionevolezza, intesa come “intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità”, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1385, secondo comma, del codice civile, “nella parte in cui non dispone che – nelle ipotesi in cui la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in cui, se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra – il giudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il doppio da restituire, in ipotesi di manifesta sproporzione o ove sussistano giustificati motivi, tenendo conto della natura dell’affare e delle prassi commerciali”.

In altri termini, secondo il rimettente, l’automatismo della disciplina recata dalla disposizione denunciata non lascerebbe spazio al giudice per alcun rimedio ripristinatorio dell’equità oggettiva e del complessivo equilibrio contrattuale in fattispecie in cui sussista una “evidente sproporzione che porterebbe ad una restituzione complessiva di somme, addirittura superiori al valore stesso dell’affare”.

Nel caso di specie, già oggetto di questione di legittimità costituzionale sollevata dal medesimo Tribunale e ritenuta manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 248 del 2013 (richimata nell’ordinanza in esame per specularità di motivi e identità di questione) viene prospettata una “esigenza di bilanciata tutela del diritto della parte non inadempiente (cioè del venditore), a percepire la caparra, e dell’opposto interesse di quella inadempiente (cioè del promissario acquirente) a non perdere un capitale notevole, ed eccessivo nella sua quantificazione, a fronte di un (proprio) inadempimento” ogniqualvolta tale inadempimento, seppur colposo, non trovi la propria giustificazione in punto di volontà dell’inadempiente il quale si adoperi nella ricerca (anche aliunde) di soluzioni.

La Corte Costituzionale, nel ritenere manifestamente infondata la questione sollevata per difetto di motivazione, spiega:

–  in primo luogo, “nel presupporre un oggettivo ed insuperabile automatismo tra l’inadempimento dell’accipiens o del tradens, e, rispettivamente, la restituzione del doppio, ovvero la ritenzione, della caparra confirmatoria – il rimettente aveva omesso di considerare, al fine del decidere, che ciò che viene in rilievo, anche nel contesto della disciplina del recesso recata dall’art. 1385 del codice civile, è comunque un inadempimento “gravemente colpevole” […], cioè imputabile (ex artt. 1218 e 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex art. 1456 c.c.)” come ben posto in evidenza nella sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 533 del 2009

–  in secondo luogo e sotto al profilo della rilevanza, che il Tribunale rimettente “non aveva tenuto conto dei possibili margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta (come da sua prospettazione) un regolamento degli opposti interessi non equo e gravemente sbilanciato in danno di una parte. E ciò in ragione della rilevabilità ex officio della nullità (totale o parziale), ex art. 1418 cod. civ., della clausola stessa, per contrasto con il precetto dell’art. 2 Cost. (per il profilo dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà), che entra direttamente nel contratto, in combinato contesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis normativa, “funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale nella misura in cui non collida con l’interesse proprio dell’obbligato” (Corte di cassazione n. 10511 del 1999; ma già n. 3775 del 1994 e, in prosieguo, a Sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009)”.

La motivazione sopra riportate, permette di chiarire (ancora una volta) ruolo, funzione, operatività (ed eventuali rimedi) dell’istituto previsto dall’art. 1385 c.c., Sez. II, Capo V (degli effetti del contratto), Titolo II del Libro IV dedicato alle obbligazioni, il quale, come noto, statuisce:

Se al momento della conclusione del contratto [1326 ss.] una parte dà all’altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.

Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali”.

La caparra confirmatoria, istituto già previsto nel codice civile del 1865, viene comunemente definita come negozio giuridico accessorio che le parti perfezionano versando l’una (il tradens) all’altra (l’accipiens) una somma di denaro o una determinata quantità di cose fungibili al momento della stipula del contratto principale al fine di perseguire gli scopi di cui all’art. 1385 c.c.

Come chiarito e sintetizzato con la nota Sentenza a Sez. Unite n. 533/2009 (cfr. anche Cassazione Civ. Sez. III, n. 11356/2006) , l’istituto in esame:

–  sotto il profilo strutturale e morfologico, consiste in un contratto autonomo, accessorio a quello principale, di natura reale, in quanto si perfeziona con la consegna della somma di denaro o della cosa fungibile;

–  sotto il profilo operativo, costituisce “fattispecie cangiante e versatile che assume, diacronicamente, a seconda, cioè, del momento del rapporto negoziale in cui si colloca, forme e funzioni assai diversificate”.

Su tale ultimo aspetto, bene è stato evidenziato (ibidem) come la caparra confirmatoria possa alternamente assumere una funzione

i)    di anticipata esecuzione parziale della prestazione dedotta in contratto,

ii)   di garanzia dell’esecuzione del contratto (venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte);

iii)  di autotutela (consentendo il recesso senza la necessità di adire il giudice);

iv)  di garanzia per il risarcimento dei danni (eventualmente liquidati in via giudiziale), ovvero, in alternativa, di liquidazione preventiva, forfetaria e convenzionale del danno stesso (automaticamente connessa al recesso cui la parte si sia determinata in conseguenza dell’inadempimento della controparte).

Ma altri sono gli aspetti salienti evidenziati dalla Corte Costituzionale, tra cui, in primo luogo la disciplina del recesso di cui all’art. 1385 co. 2 c.c.

Conferma il Giudice delle Leggi quanto già affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 533/2009), ovvero che il recesso costituisca una “differente modalità” di risoluzione, rappresentandone una specifica ipotesi di diritto operante in base ad una semplice comunicazione della volontà caducatoria.

In altri termini, il diritto di recesso di cui all’art. 1385 c.c. costituisce una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto caratterizzata dagli stessi elementi e dalle medesime conseguenze previsti per la risoluzione giudiziale: inadempimento e caducazione ex tunc degli effetti del contratto.

In tal senso si afferma che, anche nel caso del rimedio di cui al co. 2 dell’articolo in esame, il requisito essenziale si sostanzi in un adempimento definibile, secondo gli art. 1218, 1256 e 1456 c.c., imputabile e di non scarsa importanza; in sintesi: “gravemente colpevole”.

In secondo luogo, il Giudice delle Leggi ricorda, ancora una volta, come nei casi di sproporzione contrattuale sussista il dovere-potere di rilevare, anche d’ufficio, la nullità ex art. 1418 c.c. della clausola fonte di tale sproporzione, richiamando, in tal senso:

–  quanto stabilito e consolidato in tema di riduzione ad equità della penale di cui all’art. 1384 (Cassazione civile Sez. I, 24.09.1999 n. 10511, Cassazione Sez. Un. N. 18128/2005);

–  il principio di correttezza ex art. 1175 c.c. costituente limite interno di qualunque posizione giuridica di origine contrattuale posto a tutela della giustizia sostanziale del rapporto (Cassazione civile Sez. I, 20.04.1994 n. 3775);

–  il doveroso e riconosciuto potere del Giudice di sottoporre a controllo ogni atto di autonomia privata in funzione del contemperamento degli interessi delle parti mediante giudizio di ragionevolezza condotto in base al principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione del generale principio di solidarietà, consentendo al medesimo “un intervento giudiziale anche modificativo o integrativo del regolamento pattuito, a garanzia del giusto equilibrio degli interessi” (Cassazione civile Sez. III, 18.09.2009 n. 20106).

 

Alessandro Olivari

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