Le Sezioni Unite negano la possibilità di estendere i principi della sentenza della Corte Edu nel caso Contrada ai “fratelli minori”

Redazione 09/03/20
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Il concorso esterno nei reati associativi è una figura di creazione giurisprudenziale che non trova riscontro esplicito nel codice penale. A lungo dottrina e giurisprudenza hanno discusso in merito alla configurabilità del concorso esterno nel reato associativo, ritenendo che il soggetto estraneo al vincolo associativo potesse rispondere ex art.110 c.p. esclusivamente per i singoli reati fine, o, al più, a titolo di concorso morale nel reato associativo (secondo il noto caso di scuola del padre che istiga il figlio ad aderire ad un’associazione criminale).

Una tesi risalente, ma ancora seguita in dottrina, affermava infatti che non è possibile tenere condotte che materialmente e concretamente agevolino la vita e il funzionamento dell’associazione senza per ciò stesso rivestire la qualifica di “partecipe” all’associazione.

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Sentenza Demitry e la nascita del concorso esterno

L’elaborazione giurisprudenziale relativa al concorso esterno nel reato di associazione a delinquere di stampo mafioso fungeva da paradigma anche in relazione alle ipotesi associative rilevanti nel caso in esame. La prima sentenza ad ammettere la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa è stata la nota sentenza Demitry (Cass. Pen., Sez. Un., 05 ottobre 1994, n. 16). Tale pronuncia, per la prima volta, distingueva nettamente l’associato dal concorrente esterno, in quanto il primo era stabilmente incardinato nell’associazione, intendeva farne parte ed era accettato come tale dagli affiliati, mentre il concorrente non intendeva far parte dell’associazione e non era riconosciuto come tale dagli affiliati, ma forniva un contributo atipico e occasionale all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione criminale. Il contributo del concorrente esterno, sottolineava la sentenza Demitry, interveniva in un momento di crisi, Di “fibrillazione” dell’associazione e cessava nel momento in cui la vita dell’associazione tornava alla normalità.

Il dolo era ritenuto generico, e veniva ricondotto alla consapevolezza e volontà dell’efficienza causale del contributo apportato rispetto al conseguimento degli scopi dell’organizzazione. L’indirizzo esposto veniva tuttavia successivamente contrastato dalla pronuncia Villecco (Cass. pen., sez VI, 23 gennaio 2001, n. 3299), riproponendo un contrasto giurisprudenziale in merito. In particolare, tale pronunciamento escludeva la configurabilità dell’istituto in esame affermando che il combinato disposto dell’art. 110 e 115 c.p. precludeva la configurabilità di un concorso esterno o eventuale, poiché la condotta dell’aiuto all’organizzazione
in momenti di crisi o fibrillazione, integrava di per sé, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello 4 soggettivo, l’appartenenza al sodalizio criminoso (la condotta del “far parte”). Tale contrasto veniva allora superato grazie ad un nuovo intervento della Cassazione a Sezioni Unite (Cass. pen., SS.UU. n. 22327 del 2003, Carnevale) che ammetteva la configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa qualificando il concorrente esterno come colui che, privo dell’affectio societatis sceleris, non essendo inserito nella struttura del sodalizio, forniva un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere occasionale o continuativo, dotato di effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, si richiedeva al concorrente eventuale una rappresentazione nella forma del dolo diretto: in particolare l’agente, sosteneva la Corte, doveva agire per la realizzazione, anche parziale, del programma criminoso. L’indirizzo ermeneutico da ultimo richiamato trovava conferma nella successiva pronuncia Mannino (SS.UU. 12 luglio 2005, n.33748, Mannino), secondo la quale il concorrente esterno era colui che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e dunque privo dell’affectio societatis, forniva tuttavia un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, dotato di effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o di un suo particolare settore o attività o articolazione territoriale, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”) diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso dell’organizzazione stessa. La condotta doveva fornire un contributo causale effettivo sul piano materiale, essendo insufficiente una causalità psichica c.d. “da rafforzamento” dell’organizzazione criminale.

Dal punto di vista del dolo, si rilevava come questo dovesse ricomprendere la consapevolezza delle modalità ed i fini dell’associazione, così come la portata del contributo causale della propria attività svolta in favore dell’organizzazione stessa. I principi elaborati dalle Sezioni Unite nel 2005 venivano ribaditi dalla giurisprudenza successiva, la quale chiariva che, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il concorrente esterno è colui che, pur privo dell’affectio societatis, è tuttavia consapevole dei metodi e dei fini dell’associazione – a prescindere dalla condivisione, avversione, disinteresse o indifferenza per siffatti metodi e fini, che lo muovono nel foro interno – e si rende compiutamente conto dell’efficienza causale della sua attività di sostegno, vantaggiosa per la conservazione o il rafforzamento della associazione. Tale apporto doveva rispondere ad un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e doveva essere diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.

Si legga anche:”Principio di tassatività, concorso esterno ed erosione del giudicato”

La sentenza dell’Utri

Infine,va dato conto di due significative pronunce di legittimità in merito alla fattispecie oggetto dei presenti brevi cenni (Cass. Pen., Sez. V, n. 15727/2012, Dell’Utri; Cass. pen. sez. I, 1 luglio 2014, n. 28225, Dell’Utri bis), che hanno avuto il merito di porre l’accento su di un’ulteriore connotazione del concorso esterno in associazione mafiosa: il suo carattere permanente. Secondo l’indirizzo citato, confermato dalla giurisprudenza successiva, il concorso esterno in 416bis c.p. deve essere ricondotto alla categoria dei reati di durata. In particolare, l’extraneus all’organismo mafioso deve offrire una disponibilità protratta nel tempo (Cass. pen., sez. V, 14 giugno 2018, n. 45840). Ferma l’inesigibilità di un dolo specifico in capo al concorrente esterno, il combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p. richiederebbe il dolo diretto, da intendersi congiunto alla volontà che il proprio apporto sia rivolto alla realizzazione anche parziale del programma criminoso del sodalizio. La lettura così fornita porta ad escludere la sufficienza del dolo eventuale ai fini della configurabilità del concorso esterno, da intendersi quale mera accettazione da parte del presunto concorrente esterno del rischio di verificazione dell’evento rappresentato, appunto, dal rafforzamento del sodalizio tramite la realizzazione anche solo parziale del programma criminale (Cass. pen., sez. V, 11 giugno 2018, n. 35845).

Parimenti, la Suprema Corte di Cassazione esclude che l’elemento soggettivo del concorso esterno sia integrato dal dolo intenzionale, forma di dolo per cui l’evento del reato risulta conseguenza diretta e immediata della rappresentazione e volizione che spinge l’agente a porre in essere la condotta tipica. Tale grado di intensità dolosa risulterebbe, per vero, incompatibile con quel “doppio coefficiente psicologico” individuato dalla giurisprudenza come cardine del concorso esterno e rappresentato da un moto egoistico del soggetto agente, spinto ad agire per fini personali con la consapevolezza, tuttavia, di 5 fornire, tramite il proprio attivarsi, un contributo duraturo al sodalizio mafioso; inteso quest’ultimo quale mezzo necessario al soddisfacimento di quel fine personale. Ecco, appunto, il dolo diretto.

La rimessione alle Sezioni Unite sull’estensibilità della fattispecie anche ai fratelli minori di Contrada

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla portata e alla estensione erga alios della sentenza del 2015 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Contrada contro Italia.

Come è noto, con la sentenza citata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che la fattispecie di concorso esterno in associazione di tipo mafioso deve considerarsi “il risultato di una evoluzione giurisprudenziale iniziata verso la fine degli anni ottanta e consolidatasi nel 1994 con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 5/10/94, ‘Demitry’ […]» e che all’epoca in cui erano stati commessi «i fatti ascritti al ricorrente (1979-1988), il reato in questione non era sufficientemente chiaro e prevedibile per quest’ultimo […]“.

La Corte di Cassazione, nell’affrontare il tema principale relativo alla portata della sentenza Contrada, si sofferma sugli aspetti relativi alla applicabilità erga alios della revisione europea e all’individuazione dello strumento azionabile da parte dei cd. “fratelli minori” per giovarsi di sentenze della Corte EDU che accertino violazioni di diritto sostanziale.

La questione relativa all’estensione erga alios degli effetti della sentenza sul caso Contrada – si legge nella decisione –  si snoda necessariamente, da un lato, attraverso i principi affermati dalla giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità sul tema della dell’efficacia espansiva delle sentenze della Corte EDU (ovvero della sorte dei cosiddetti “figli di un dio minore”, come autorevolmente definiti dalla dottrina), e dall’altro, sulla singolarità della pronuncia stessa, quanto ai deficit sistemici riscontrati dalla Corte di Strasburgo». La questione «ruota sulla esatta individuazione dei principi in essa contenuti, che presenta divergenti letture offerte dalla Suprema Corte: si tratta di stabilire se, al di là del caso esaminato (la Corte europea è invero “il giudice del caso concreto”), nella struttura della sentenza siano rinvenibili principi generali di diritto, che ne abbiamo costituito la ratio decidendi, potenzialmente estensibili ed applicabili erga omnes“.

Sul tema specifico della estensibilità del dictum della sentenza della Corte EDU sul caso Contrada “si fronteggiano due diverse soluzioni esegetiche all’interno della giurisprudenza di legittimità: per l’orientamento inaugurato dalla sentenza Esti, la Corte EDU avrebbe stigmatizzato (sulla base peraltro di un’erronea prospettazione), ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, la tipologia della “fonte” del precetto penale (e quindi della sanzione); per quello fatto proprio dalla sentenza Dell’Utri, il vulnus dell’art. 7 riscontrato dalla Corte EDU riguarderebbe piuttosto la “qualità” della base legale». Si prospetta, inoltre, una «terza opzione interpretativa secondo cui la sentenza sul caso Contrada avrebbe inteso censurare tout court la qualità della base legale della norma incriminatrice e della pena”. Accedendo a tale ultima interpretazione – prosegue l’ordinanza – “ai cosiddetti “fratelli minori” di Contrada, sempre che si ritenga non necessario investire della questione la Corte costituzionale, si dovrebbe estendere il principio, secondo cui la fattispecie di concorso esterno delineata dagli artt. 110 e 416-bis cod. pen. non potrebbe più trovare applicazione per i fatti commessi prima del cristallizzarsi dell’interpretazione consolidata delle Sezioni Unite in materia, risalente al 1994“.

Non essendo allo stato ancora disponibile lo strumento di “dialogo” istituzionale tra le Corti fornito dal Protocollo n. 16 – si legge nell’ordinanza – “occorre chiedersi se la sentenza sul caso Contrada lasci al giudice nazionale un margine di apprezzamento per valutare come applicare erga alios la nozione di prevedibilità della legge penale in presenza di contrasti giurisprudenziali, legittimando il ricorso a soluzioni individuali, caso per caso, senza quindi aggredire le reali cause del deficit riscontrato, bensì facendo uso dei test di prevedibilità modellati su un giudizio di prevedibilità/colpevolezza, e quindi personale, secondo i criteri della sentenza n. 364 del 1988 della Corte costituzionale“.

In conclusione, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite affinché stabiliscano “se la sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015 sul caso Contrada abbia una portata generale, estensibile nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione, quanto alla prevedibilità della condanna; e, conseguentemente, laddove sia necessario conformarsi alla predetta sentenza nei confronti di questi ultimi, quale sia il rimedio applicabile“.

Le Sezioni Unite negano la possibilità di estendere i principi della sentenza della Corte Edu nel caso Contrada ai “fratelli minori”

Le Sezioni Unite hanno cosi deciso che:”In tema di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, le Sezioni Unite hanno affermato che i principi enunciati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, Contrada contro Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, condannati per comportamenti tenuti in epoca antecedente alla sentenza delle Sezioni Unite Demitry del 1994, siano rimasti estranei al giudizio promosso innanzi alla Corte Europea, ma si trovino nella medesima posizione quanto a prevedibilità della condanna in relazione a detto reato, in quanto la richiamata decisione del giudice sovranazionale non costituisce sentenza pilota e neppure può ritenersi espressiva di un orientamento consolidato della giurisprudenza europea”.

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