Concessione lavori e servizi: tra “vecchio” e “nuovo” Codice Appalti

Ilaria Baisi 29/06/23
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In linea con le aspettative, grazie anche alle opportunità offerte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, una fetta sempre più larga di infrastrutture e servizi pubblici viene ora fornita – in luogo dei classici contratti d’appalto – tramite il partenariato pubblico privato, quasi sempre declinato sotto forma di concessione[1] o, al massimo, di project financing. Quella della concessione, peraltro, è una disciplina di diretta derivazione comunitaria: invero, il documento di riferimento in materia è a tutt’oggi la Comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario[2] adottata dalla Commissione Europea in data 29 aprile 2000. È proprio in questa sede, infatti, che vengono delineati per la prima volta i caratteri tipici dell’istituto concessorio: il diritto di gestire l’opera o il servizio, con conseguente, ed implicito, trasferimento del rischio di gestione. Un’operazione quella intrapresa dalla Commissione volta, anzitutto, a stabilire una precisa linea di demarcazione tra concessioni e appalti, giacché l’affidamento di quest’ultimi era all’epoca regolamentato in maniera ben più restrittiva[3].
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Indice

1. La concessione nell’ordinamento eurounitario


Dopotutto, è solo con la dir. 2014/23/UE che le concessioni ricevono una disciplina organica, la quale conferisce, tra l’altro, dignità normativa proprio a quelle conclusioni cui la Commissione era giunta molti anni prima: un contratto  a  titolo  oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la gestione e fornitura di servizi ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo[4]. Un’enunciazione, dunque, che pone molta enfasi sul trasferimento al privato dell’alea relativa alla gestione, tanto che il prezzo eventualmente pagato non può comunque mai arrivare a neutralizzarla: si finirebbe, altrimenti, per trasformare la concessione in appalto pubblico, con tutto ciò che ne consegue. Il trasferimento di un’alea consistente «nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio di insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad una carenza del servizio»[5] che la giurisprudenza eurounitaria, in realtà, aveva già tentato di enucleare, individuandolo quale carattere irrinunciabile della concessione nonché principale elemento di peculiarità rispetto agli appalti: «In ogni caso, anche se il rischio nel quale incorre l’amministrazione aggiudicatrice è molto ridotto, per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca, integralmente o, almeno, in misura significativa, al concessionario il rischio di gestione nel quale essa incorre»[6].
Rischio che, ordunque, all’art. 5 della direttiva viene definito “operativo”, superando così il tradizionale rischio d’impresa. A ben vedere, è proprio in relazione al rischio operativo che la dir. 2014/23/UE ha avuto un altro grande merito: il suo inquadramento, di fatto, ha colmato una lacuna che negli anni precedenti aveva permesso ai concessionari di introdurre celatamente formule di attenuazione o eliminazione del fattore aleatorio. Un rischio operativo che, perciò, «dovrebbe derivare da fattori al di fuori  del  controllo  delle  parti»[7] e «dovrebbe  essere  inteso  come  rischio  di  esposizione  alle  fluttuazioni  del mercato, che possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta ovvero contestualmente da un rischio sul lato della domanda e sul lato dell’offerta»[8]. Pregio che si unisce, nondimeno, al superamento della bipartizione tra concessione di lavori e concessione di servizi – d’ora in poi sottoposte alle medesime regole – come pure della divisione tra concessioni c.dd. calde[9] e concessioni c.dd. fredde[10], fin lì di fatto avallata anche dalla decisione Eurostat 11 febbraio 2004, n. 18[11]. In effetti è proprio la direttiva in esame che, nel porre l’accento sull’allocazione del rischio – ben presente anche nelle “concessioni fredde” – finisce col porre nell’irrilevanza la tradizionale ripartizione giurisprudenziale fondata sulla struttura del rapporto giuridico – bilaterale o trilaterale – che si veniva a creare in seguito all’aggiudicazione di una concessione[12].

2. La concessione nel Codice dei Contratti Pubblici vigente


Di talché, il Legislatore del 2016 – impegnato nel varare il Codice dei Contratti Pubblici tutt’ora vigente, proprio in attuazione della Direttiva eurounitaria richiamata poc’anzi – finisce per disegnare un contratto di concessione basato sul concetto di rischio operativo: un rischio, tra le altre cose, di notevole ampiezza, al quale poi si aggiungono il rischio di costruzione e il rischio di disponibilità. Del resto, alla concessione viene dedicata l’intera Parte III del d.lgs. 50/2016 (artt. 164-178), oltre a numerose definizioni ex art. 3. Tuttavia, se è vero che la controprestazione per il privato risiede nel diritto di gestione, è altrettanto vero che pure questo Codice, in molte ipotesi, permette al soggetto pubblico il conferimento di un bene immobile, un diritto reale o – più spesso – di una somma di denaro in favore del privato, viste le difficoltà che, suo malgrado, potrebbero presentarsi nel lungo periodo; in fondo, il rapporto concessorio si contraddistingue altresì per la sua durata.
Un conferimento pubblico, quindi, al quale tuttavia il Codice stesso applica un limite pari al 49% del valore complessivo dell’opera. Un contributo superiore, a conti fatti, finirebbe per annullare del tutto il rischio operativo in capo al soggetto privato, trasformando di fatto la formula concessoria in appalto. Un dato, dopotutto, non di poco conto, se si considera come le fattispecie di partenariato pubblico privato – soprattutto se sotto forma di concessione – siano le uniche a riservare in favore del concessionario un diritto di gestione dell’opera, rendendo costui, a sua volta, responsabile della disponibilità del servizio corrispondente. Un’ipotesi, peraltro, che vede caricare la Pubblica Amministrazione di una responsabilità residua circa l’espletamento delle attività di controllo e monitoraggio, per quanto sempre in stretta collaborazione con il soggetto privato.
Orbene, il Codice dei Contratti Pubblici vigente ha un carattere eminentemente pedagogico, e le innumerevoli disposizioni di natura esplicativa che contiene ne sono la dimostrazione. Anzi, molto spesso gli istituti presentano sia una definizione formale sia una definizione sostanziale: rispetto all’istituto concessorio, basti pensare a quanto previsto dall’art. 3 uu) e vv), nonché dall’art. 165 c. 1. Ciò nonostante, sulla scorta della direttiva 23/2014/EU, il Codice del 2016 riserva altresì una definizione precisa delle diverse incognite che effettivamente compongono il rischio operativo stesso: rischio di costruzione ex art. 3 aaa); rischio di disponibilità ex art. 3 bbb); rischio di domanda ex art. 3 ccc).
Venendo agli aspetti procedurali, riguardo al contratto di concessione non deve essere poi trascurata l’assoluta libertà che – in linea con quanto disposto dalla direttiva eurounitaria[13] – caratterizza la strutturazione della gara, la quale, tra l’altro, viene già meno quando si tratta invece di partenariato pubblico privato[14]: invero, ai sensi dell’art. 166, «le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzare la procedura per la scelta del concessionario, fatto salvo il rispetto delle norme di cui alla presente Parte»[15]. Sicché nel catalogo di possibilità finiscono per rientrarvi pure tutte le procedure predefinite, dall’aperta alla negoziata senza bando, dalla ristretta al dialogo competitivo[16]. Principio di libera amministrazione che, d’altra parte, resta a tutti gli effetti valido finanche nel corso della fase esecutiva: «essi sono liberi di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici»[17].


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3. Il rapporto con il Partenariato Pubblico Privato


Ebbene, per quanto autonomamente disciplinati nella Parte III, nel Codice attualmente in vigore il Legislatore ha inserito pure la concessione di costruzione e gestione[18] e la concessione di servizi come ipotesi tipiche di contratti di partenariato pubblico privato. A ben vedere, questo non è altro che il frutto di un processo di assimilazione, che negli anni è andato via via intensificandosi: esempi di partenariato contrattuale in base all’indirizzo comunitario, eppure degni di una regolamentazione distinta per il diritto interno, di fatto, nel sistema amministrativo italiano, queste due fattispecie contrattuali figurano, fin dal 2008[19], quali manifestazioni paradigmatiche – per non dire prevalenti, come si è ricordato all’inizio – del ben più ampio fenomeno partenariale. Di talché, è possibile constatare come la natura di “archetipo  generale” da attribuirsi ora alla regolamentazione di cui agli artt. 180 e ss., rispecchi la scelta di definire, come pure disciplinare, partenariato pubblico privato e concessioni in modo sostanzialmente autonomo; tuttavia «se partenariato e concessione stanno in rapporto di genere e specie, oppure se, diversamente, le due nozioni siano più distanti tra loro, ciò è irrilevante ai fini della nuova disciplina sostanziale dei contratti pubblici»[20]. Dopotutto, se la dottrina è divisa circa le ragioni sottese alla decisione del Legislatore di discostarsi da quanto previsto dalla direttiva medesima[21], è pur vero che il partenariato pubblico privato, alla fin fine, si basa sul concetto di “concessione europea”, sicché per istaurare un rapporto partenariale tra Pubblica Amministrazione e soggetto privato il contratto di concessione deve necessariamente prevedere un trasferimento del rischio effettivo in capo a quest’ultimo.
Conseguentemente, appare più che condivisibile l’opinione per cui la causa della bipartizione in parola sia da rintracciare, innanzitutto, nella trasposizione italiana del concetto di rischio operativo: contemplando questo diverse tipologie di incognite – tra cui, specificatamente, il rischio di domanda e il rischio di disponibilità – diventa inevitabile la previsione di due figure contrattuali distinte. Cosicché si ha da un lato il contratto di concessione, caratterizzato dalla sussistenza del rischio dal lato della domanda, regolamentato in un certo modo dalle norme contenute nella Parte III; e si ha dall’altro lato il contratto di partenariato pubblico privato, caratterizzato dal rischio sul lato dell’offerta – a cui talvolta si aggiunge però finanche quello sul lato della domanda –, disciplinato in un altro modo dalle disposizioni contenute nella Parte IV[22]. Nel complesso, insomma, un dualismo sistematico che tuttavia, negli anni, non ha mancato di creare difficoltà prima ermeneutiche e poi, inevitabilmente, operative.

4. Le innovazioni previste dal nuovo Codice dei Contratti Pubblici


Sulla base di quanto previsto dalla legge delega[23], il nuovo Codice dei Contratti Pubblici – pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 31 marzo e ufficialmente in vigore dal 1 aprile – benché le norme del d.lgs. 36/2023 acquisteranno efficacia solo a partire dal 1 luglio 2023, con la precisazione che agli avvisi o bandi pubblicati prima di tale data si continueranno ad applicare le disposizioni del d.lgs. 50/2016[24] – mira a rendere il partenariato pubblico privato «più attrattivo per amministrazioni, operatori economici ed investitori istituzionali»[25], sbloccando definitivamente tutte le potenzialità dello strumento in parola, grazie anche alla previsione di ulteriori garanzie a favore dei finanziatori. Nello specifico, il nuovo Codice opera un netto cambio di paradigma, a partire da un unico Libro IV rubricato Delle concessioni e del partenariato pubblico-privato. Nondimeno, il partenariato pubblico privato – da contratto tipico qual era nel d.lgs. 50/2016 – viene ora classificato come “operazione economica”; del resto, è la stessa legge delega che – nel reclamare una contrattualistica pubblica interna più in linea con quanto previsto dalla direttiva 23/2014/UE, rifugge qualsiasi tentativo di gold plating[26]. Nel predisporre una legislazione più coerente con l’impostazione sovranazionale, che fissa l’obiettivo senza tipizzare i mezzi, la Commissione Speciale del Consiglio di Stato[27] attribuisce quindi una nuova veste giuridica al partenariato pubblico privato, instaurando di fatto un rapporto di genere a specie con le altre figure contrattuali, tra cui la concessione. Tutto questo, però, privando il fenomeno partenariale di un proprio articolo di riferimento così come il rischio di disponibilità di una definizione precisa. Eppure, a ben vedere, all’interno del nuovo Codice i riferimenti normativi continuano ad esservi, con la precisazione che ora bisogna tuttavia saperli interpretare: invero, il d.lgs. 50/2016 richiede una conoscenza approfondita della materia, imponendo altresì l’ausilio di figure d’estrazione non giuridica. Si passa insomma da un codice pedagogico – che aveva la virtù di rendere accessibili a tutti anche i concetti più difficili – a un codice più snello, ma assolutamente privo di intellegibilità. Basti pensare che su tredici definizioni dedicate al contratto di concessione (equilibrio economico-finanziario, rischio di costruzione, rischio di disponibilità, rischio operativo, rischio di domanda, contratto di PPP, concessione di lavori, concessione di servizi etc.), ne restano soltanto due (contratto di concessione e contratto di disponibilità).
Difatti, nonostante un rinnovato istituto concessorio che ora include tanto il classico contratto basato sul rischio di domanda quanto quello basato sul rischio di disponibilità[28], è comunque sbagliato dire che il partenariato pubblico privato scompare dal Codice dei Contratti Pubblici; è vero semmai che il PPP non viene più iper-regolamentato da una fattispecie contrattuale ad hoc, al punto che tutte le garanzie previste dal Codice del 2016 devono essere d’ora in poi estese anche al contratto di concessione tout court, come peraltro nella prassi già spesso accadeva. Dal punto di vista normativo, sempre nell’ambito della disciplina dedicata alle concessioni, un esplicito riferimento al partenariato pubblico privato lo si rinviene nell’art. 174 c. 4[29]. Posto ciò, risulta più chiaro come la bipartizione tra domanda e disponibilità – che contraddistingue il Codice del 2016 ancora vigente – nel nuovo impianto venga sostituita dalla bipartizione tra domanda e offerta, causando così l’assorbimento del partenariato pubblico privato nella concessione.

5. La nuova disciplina della concessione


Tra le tante modifiche intervenute rispetto alla disciplina delle concessioni, spicca senza dubbio la modifica in materia di contributo pubblico finalizzato al raggiungimento e al mantenimento dell’equilibrio economico finanziario: eliminato il tetto massimo del 49% sul valore complessivo dell’opera[30], l’art. 177 c. 7 del nuovo Codice fa ora diretto riferimento ai contenuti delle decisioni Eurostat (peraltro in conformità con la recente Delibera ANAC n. 432/2022), in tema di prestiti onerosi e risorse a fondo perduto[31]. Peraltro, è lo stesso art. 177 c. 6 a ricordare che «non si applicano le disposizioni sulla concessione, ma quelle sugli appalti, se l’ente concedente attraverso clausole contrattuali o altri atti di regolazione settoriale sollevi l’operatore economico da qualsiasi perdita potenziale, garantendogli un ricavo minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che l’operatore economico deve sostenere in relazione all’esecuzione del contratto», con la compatibilità, purtuttavia, del contratto di concessione con le ipotesi di risoluzione anticipata per cause imputabili all’ente concedente o di forza maggiore, a fronte del riconoscimento di un indennizzo a favore del concessionario[32]. Quanto alla fase esecutiva della concessione, si segnala invece il divieto generale di proroga – salvo eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili che incidano sull’equilibrio economico finanziario del contratto – di cui all’art. 178 c. 5; in questo caso è concesso alle parti di addivenire ad una revisione del piano economico finanziario, compresa la proroga del rapporto concessorio nella misura necessaria a ricondurre il PEF in equilibrio[33]. Infine, rispetto alle ipotesi di revisione, l’art. 192 c. 1 del nuovo Codice dei Contratti Pubblici contempla soltanto gli eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili nonché il mutamento della normativa di riferimento richiedendo altresì la preventiva valutazione del DIPE quando si tratta di opere di interesse statale o finanziate con un contributo a carico dello Stato[34].

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  1. [1]

    La concessione rappresenta infatti la forma per eccellenza di partenariato pubblico privato: benché preceduta da una fase di scelta propriamente amministrativa, essa prevede una sostanziale pariteticità tra le parti, al punto da richiedere una costante collaborazione tra di esse. Sul punto, v. M. P. Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, in G. Cartei, M. Ricchi (a cura di), Finanza di progetto e Partenariato pubblico-privato. Temi europei, istituti nazionali e operatività, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015.

  2. [2]

    Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione 2000/C 121/02.

  3. [3]

    Cfr. dir. 92/50/CEE e dir. 93/37/CEE.

  4. [4]

    Cfr. Direttiva 24/2014/UE, cons. 11.

  5. [5]

    Corte di Giustizia, 10 marzo 2011, C-274/09, Stadler.

  6. [6]

    Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, C-206/08, Eurawasser.

  7. [7]

    Direttiva 24/2014/UE, cons. 20.

  8. [8]

    Ibid.

  9. [9]

    Concessioni in grado di generare flussi di cassa e, di conseguenza, ricavi di gestione.

  10. [10]

    Concessioni caratterizzate dall’impossibilità di conseguire ricavi attraverso la vendita all’utenza del servizio oggetto di gestione, poiché proprie di settori nei quali mancano apprezzabili flussi di cassa (ospedali, scuole, carceri…); non a caso, ne è quasi sempre la Pubblica Amministrazione l’unica utilizzatrice diretta, dietro la corresponsione al concessionario di un canone di disponibilità.

  11. [11]

    Nel ritenere fuori dal bilancio delle pubbliche amministrazioni soltanto le “concessioni calde” e, viceversa, assimilando l’aspetto contabile delle “concessioni fredde” a quello degli appalti pubblici.

  12. [12]

    Cfr. G. Greco, La direttiva in materia di “concessioni”, op. cit., 1100: «È dunque nel trasferimento del rischio, che va ben al di là e differenziato qualitativamente da quello sopportato da un normale appaltatore, che sta la caratteristica precipua delle concessioni idonea a differenziarle dagli appalti, e non dalla struttura del rapporto trilatero che può, come non può, non venirsi a costituire».

  13. [13]

    Cfr. Direttiva 24/2014/UE, art. 30 c. 1.

  14. [14]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 181 c. 1 e c. 3.

  15. [15]

    Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 166.

  16. [16]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, artt. 60-65.

  17. [17]

    Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 50/2016, art. 166.

  18. [18]

    Più che pacifico che si tratti di un lapsus calami: è da intendersi “concessione di lavori”.

  19. [19]

    Il riferimento è anzitutto al Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 163/2006, art. 3 comma 15-ter.

  20. [20]

    F. Di Cristina, Il nuovo codice dei contratti pubblici – il partenariato pubblico privato quale “archetipo generale”, in Giorn. dir. amm, 2016, 4, 483. Così peraltro anche Commissione Speciale del Consiglio di Stato, 2016, parere n. 855.

  21. [21]

    «La distinzione tra Parte III (Concessioni) e Parte IV (PPP) rivela una forte presa di posizione del Legislatore in termini di commitment pubblico nella materia, distaccandosi dalla nomenclatura indicata dalla direttiva sulle concessioni 2014/23/UE, che non contempla i contratti di PPP come fattispecie autonoma dai contratti di concessione»: M. Ricchi, Le scelte del Legislatore per rilanciare i PPP nel decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, in Riv. trim. app., 2017, 3, 749. Tra l’altro, secondo M.P. Chiti, Il Partenariato Pubblico Privato e la nuova direttiva concessioni, cit., 122 questo ridimensionamento tutto nostrano della sfera applicativa del partenariato è da imputarsi alle numerose critiche rivolte alla categoria onnicomprensiva del PPP contrattuale subito dopo la pubblicazione del Libro Verde.

  22. [22]

    «La ragione della differenziazione tra concessioni e contratti di partenariato pubblico privato risiede proprio nell’esigenza di regolare le operazioni di PPP, dove la PA è il principale soggetto pagatore, con specifiche prescrizioni per garantire che abbia intrapreso il procedimento più conveniente in termine di costi, tempi e livelli di performance»: M. Ricchi, L’architettura dei contratti di concessione e di partenariato nel nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs.50/2016), in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 2016, 3, 820.

  23. [23]

    Cfr. l. 21 giugno 2022 n. 78.

  24. [24]

    Viene inoltre stabilito un periodo transitorio – fino al 31 dicembre 2023 – con la vigenza di alcune disposizioni del d.lgs. 50/2016 nonché del decreto semplificazioni 76/2020 e, soprattutto per i contratti PNRR e PNC, del decreto semplificazioni bis 77/2021.

  25. [25]

    L. 21 giugno 2022 n. 78.

  26. [26]

    Tecnica per cui, in sede di recepimento delle direttive, si va oltre quanto richiesto dalla normativa europea; è vista come una cattiva pratica in quanto impone limiti e costi che avrebbero potuto essere assolutamente evitati.

  27. [27]

    Commissione di composizione mista – presieduta dal defunto Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini e coordinata dal Presidente della prima sezione “normativa” Luigi Carbone – a sua volta articolata in sei sottocommissioni, ognuna delle quali presieduta da un presidente di sezione. Cfr. art. 14 n. 2° r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato); decreto del Presidente del Consiglio di Stato 4 luglio 2022.

  28. [28]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 4.

  29. [29]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 174 c. 4.

  30. [30]

    Un limite che, tra l’altro, non viene previsto nemmeno dalla dir. 23/2014/UE.

  31. [31]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 7.

  32. [32]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 177 c. 6.

  33. [33]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 178 c. 5.

  34. [34]

    Cfr. Codice dei Contratti Pubblici d.lgs. 36/2023, art. 192 c. 3.

Ilaria Baisi

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