Comunicazione e opposizione ai decreti di liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice

Redazione 08/01/03
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di Patrizia Palermo
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LA DISCIPLINA PREVISTA DALLA LEGGE 319/80
-La comunicazione e l’ avviso di deposito del decreto di liquidazione
-L’ opposizione: i soggetti legittimati
IL NUOVO TESTO UNICO 115/2002 IN MATERIA DI SPESE DI GIUSTIZIA
-La definizione di ausiliare, la relativa modalità di liquidazione e comunicazione
-L’ applicabilità alle spese straordinarie
-L’ opposizione

LA DISCIPLINA PREVISTA DALLA LEGGE 319/80

La comunicazione e l’ avviso di deposito del decreto di liquidazione

Il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, testo unico in materia di spese di giustizia, ha modificato parte della normativa relativa alla liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice.
La precedente disciplina era stabilita dalla legge n. 319 del 1980, che riguardava espressamente solo i compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’ autorità giudiziaria.
L’ art. 11 della legge del 1980 disciplinava la liquidazione dei compensi e l’ opposizione ai decreti emessi dal giudice e dal pubblico ministero.
Secondo il dettato normativo del secondo comma il decreto motivato emesso dall’ autorità giudiziaria, che lo aveva nominato, doveva essere comunicato al beneficiario del medesimo, ed alle parti, al fine di permettere l’ esercizio dell’ eventuale opposizione.
Nel procedimento penale la comunicazione avveniva mediante avviso di deposito in cancelleria, e trasmesso in copia al Procuratore della Repubblica.
La comunicazione era, ed è, dunque un mezzo per portare a conoscenza dell’ interessato il decreto, e per permettere al provvedimento di diventare esecutivo (1).
Ad avviso della giurisprudenza (2) e della dottrina (3) questo tipo di comunicazione “non ammette equipollenti, in quanto l’ osservanza di tale formalità condiziona l’ esercizio della facoltà di opposizione”.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte nel 1991 era stata esclusa la configurabilità della comunicazione mediante l’ utilizzo di mezzi diversi, quali ad esempio il ricevimento di una raccomandata con cui il c.t.u. sollecitava il pagamento del compenso liquidato, o la comunicazione della sentenza conclusiva del giudizio, in cui era stata disposta la consulenza, che faceva espresso riferimento alla liquidazione del compenso.
E’ per mezzo della comunicazione, il cui obbligo di esecuzione è a carico della cancelleria, che il beneficiario è messo in condizione di conoscere il concreto ammontare della liquidazione e dei criteri adottati dal giudice nel disporla.
Il momento dal quale inizia a decorrere il termine per l’ impugnazione del provvedimento di liquidazione è di venti giorni dall’ avvenuta comunicazione, le cui formalità, sempre secondo la giurisprudenza, sono disciplinate dall’ art. 136 c.p.c.
Ad avviso della Cassazione il termine di venti giorni è perentorio (4), ancorchè la legge non lo dichiari espressamente tale, in quanto si tratta di un termine di impugnazione che espleta anche la funzione di eliminare le situazioni di incertezza.
Inoltre, la questione della tempestività del gravame è rilevabile dal giudice, considerato il carattere pregiudiziale, relativo all’ esistenza di un presupposto processuale (5), pertanto la decadenza dal diritto all’ opposizione è ravvisabile nel solo fatto del trascorrere del tempo, salve eccezioni di legge previste tassativamente.
Circa l’ individuazione del momento della decorrenza del termine per la presentazione dell’ opposizione, esso si identifica con quello della comunicazione del decreto (6).
Sempre secondo la Suprema Corte “l’ individuazione della data di notificazione o comunicazione di un atto processuale, per quanto riguarda gli effetti a carico del destinatario ( nel caso di specie, decorso del termine d’ impugnazione, a norma dell’ art. 11 della l. 8 luglio 1980 n. 319, avverso il decreto di liquidazione di compenso peritale), resta regolata, ove vi sia contrasto fra più documenti, dal principio della prevalenza delle risultanze fornite dall’ atto consegnato” (6).
In caso di discordanza dunque il termine decorre dal giorno indicato nella relata sulla copia del decreto notificato per mezzo di biglietto di cancelleria, e non dal giorno indicato nella relata sulla copia tornata al notificante.
Nel processo civile non è rilevante la certificazione del deposito del decreto in cancelleria, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’ opposizione, in quanto considerata solo come elemento probante dell’ avvenuta liquidazione da parte del giudice (7).
L’ unica situazione in cui il deposito in cancelleria ha importanza, è invece nel caso di ricorso proposto dal p.m. avverso il decreto del giudice che liquida i compensi agli ausiliari, che hanno operato nel processo penale.(8)
Detta eccezione si fondava sul disposto normativo dell’ art. 11 comma 3, che prevedeva solo nel processo penale una forma diversa rispetto al processo civile.
La comunicazione del decreto agli interessati era infatti sostituita, come già accennato all’ inizio, dall’ avviso di deposito del decreto in cancelleria.
In merito alle forme da utilizzare per la comunicazione la giurisprudenza indica l’ osservanza dell’ art. 136 c.p.c.(9).
Detto riferimento però non costituisce un elemento inderogabile, infatti, anche se la comunicazione “non ammette equipollenti”, come sostenuto dalla Cassazione, non così è previsto relativamente ai formalismi a cui ricorrere per la sua realizzazione e trasmissione (10).
Pertanto la comunicazione può avvenire anche in forme diverse da quelle legalmente previste.
La Suprema Corte, nella decisione n. 3025 del 1995 ha infatti affermato che: “ le comunicazioni prescritte dalla legge non debbono essere fatte necessariamente a pena di nullità in una delle due forme previste dall’ art. 136 coma 2 c.p.c. semprechè risulti raggiunto lo scopo di portare a conoscenza della parte interessata l’ esistenza ed il contenuto del provvedimento del giudice, ponendola in tal modo in condizione di esaminare l’ opportunità o meno dell’ impugnazione”.
Detta interpretazione, oltre che soddisfare esigenze di economia processuale, è stato confermato anche da autorevole dottrina (11) che cita il c.d. principio di “strumentalità delle forme”.
La comunicazione dunque, avendo carattere di semplice avviso è eseguita dal cancelliere, in forma abbreviata senza particolari rigorismi formali, in quanto esplica la sola funzione di dare notizia di un provvedimento del giudice o di una particolare situazione processuale.(12)
Come precisato dalla dottrina, è compito del cancelliere scegliere il sistema meno dispendioso, anche in merito al mezzo da utilizzare nella trasmissione della comunicazione, ricorrendo ai Collaboratori Unep soltanto nei casi di effettiva necessità.
Anche il Ministero della Giustizia ha confermato questo orientamento (13), rilevando che “la natura della comunicazione è ontologicamente diversa da quella della notificazione”.
Nella comunicazione le forme sono meno rigide e possono essere realizzate anche senza il tramite dell’ Ufficiale Giudiziario, ricorrendo in alternativa a modi più semplici e veloci, secondo le valutazioni dell’ Ufficio mittente (es. mediante la trasmissione via fax).
Le formalità alternative del deposito o della notificazione del biglietto di cancelleria, citate dall’ art. 11 della legge 319 del 1980, non sono indispensabili dunque per la validità della comunicazione, essendo solo necessario conseguire l’ obiettivo di portare a conoscenza l’ interessato, anche in modo sommario, del contenuto dell’ atto.
Pertanto solo nel caso in cui ciò non si verifichi ricorre un caso di nullità della comunicazione.

L’ opposizione: i soggetti legittimati

L’ opposizione è stata definita dalla dottrina come un “secondo grado” del giudizio di liquidazione, nel senso che il primo grado è costituito dall’ adozione del decreto di liquidazione, mentre l’ opposizione è quello successivo ed eventuale (14).
Circa la natura giuridica dell’ opposizione, alquanto controversa, sembra essere prevalso l’ orientamento che l’ inquadra giuridicamente tra i mezzi di impugnazione.
Non è dunque un semplice mezzo di opposizione, e si conclude con un’ordinanza non impugnabile, il cui procedimento era espressamente regolato dall’ art. 29 della l. 13 giugno 1942, n. 794.
I soggetti legittimati a ricorrere, entro venti giorni dalla comunicazione, erano, secondo il quinto comma dell’ art. 11, i beneficiari (periti, consulenti tecnici, periti e traduttori), il pubblico ministero e le parti private interessate.
Ad avviso della dottrina il riferimento alle parti interessate deve essere interpretato in senso quanto più possibile restrittivo (15).
L’ interesse a ricorrere è il presupposto fondamentale a cui è subordinata l’ azione e si identifica soprattutto nella contestazione dell’ ammontare del compenso riconosciuto all’ ausiliario, ma anche nella scelta operata dall’ autorità di addebitare nel processo civile l’ obbligo della sua liquidazione ad una parte del giudizio piuttosto che ad un’ altra.
Nel processo penale la parte interessata è invece l’ imputato.
La dottrina ha dunque ricondotto l’ interesse a ricorrere all’ interesse dei soggetti privati che sopportano l’ onere economico della liquidazione dei compensi dovuti agli ausiliari, o alla contestazione del beneficiario in merito all’ ammontare liquidato.
E’ stata evidenziata una natura di tipo quasi prevalentemente economico (onere di pagamento della somma liquidata, o contestazione dell’ ammontare), di suddetto interesse.
Detta costruzione però potrebbe non trovare un riscontro nel caso del processo minorile, dove ai sensi dell’ art. 29 D.L.vo 28 luglio 1989, n. 272 la sentenza di condanna nei confronti di persona minore degli anni diciotto nel momento in cui ha commesso il fatto, non comporta l’ obbligo del pagamento delle spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere.
Pertanto nei riguardi dell’ imputato minorenne non si recuperano le spese anticipate dall’ erario per le liquidazioni dei periti, consulenti, traduttori, interpreti.
Nella sopradetta situazione pertanto potrebbe non sussistere, in capo all’ imputato minorenne, un interesse individuabile nel solo “interesse da onere di esborso economico per il pagamento”, visto che si recuperano solo gli onorari e le spese di difesa (16).
La giurisprudenza non ha approfondito la tematica dell’ interesse a ricorrere delle parti private, essendosi concentrata maggiormente sulla possibilità del difensore di proporre opposizione.
La Cassazione ha dichiarato che il difensore non necessita di apposita procura per proporre opposizione, in quanto detto procedimento ha natura incidentale rispetto a quello nel quale l’ ausiliario ha prestato la sua opera (17).
Appare pacifico inoltre il potere del Pubblico Ministero di proporre opposizione, potere questo che esclude in compenso qualunque legittimazione in capo al Ministero della Giustizia (18).
Molti dubbi si sono espressi relativamente alla possibilità di applicare estensivamente la procedura prevista dall’ art. 11 ai custodi nominati dall’ autorità giudiziaria.
Su tale materia la giurisprudenza della Cassazione ha espresso orientamenti contrastanti.
Un primo indirizzo prevede che i “decreti di liquidazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati o sequestrati sono suscettibili di opposizione ai sensi dell’ art. 11 l. n. 319 del 1980, dovendo tale norma essere interpretata in maniera estensiva, e cioè includendo fra gli ausiliari del giudice anche i custodi” (19).
In detto caso dunque è prevalso un orientamento estensivo del termine “ausiliario”, confermato anche dalla dottrina (20), che non ha ritenuta tassativa l’ elencazione prevista dall’ art. 11 della l. 319/80.
Una posizione di indirizzo opposto è quella espressa in altre decisioni, che hanno attribuito alle procedure disciplinata dall’ art. 11 della l. 319 del 1980 e dalla Legge 794 del 1942 un carattere di specialità che non può essere estesa fuori dei casi in esse previsti e non è quindi applicabile ai custodi (21).
Detto orientamento, confermato dalle Sezioni Unite, aveva attribuito all’ elencazione ex art. 11 carattere tassativo.
Ricorrendo ad un’interpretazione restrittiva del termine “ausiliario” pertanto, non vi si era stato ricompresso il custode.

IL NUOVO TESTO UNICO 115/2002 IN MATERIA DI SPESE DI GIUSTIZIA

La definizione di ausiliare, la relativa modalità di liquidazione e comunicazione

Il Testo Unico in materia di Spese di Giustizia 115/2002, entrato in vigore il primo luglio 2002, ha “ristrutturato” la materia delle liquidazione agli ausiliari del giudice, apportando anche alcune modifiche.
E’ stata data una definizione generale di ausiliario, e precisamente: “ “ausiliario del magistrato” è il perito, il consulente tecnico, l’interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare a norma di legge”.
Il Legislatore dunque non si è limitato a riprendere l’ elencazione ex art. 11 ma ha altresì ampliato la sfera dei possibili ausiliari inserendo la previsione di “qualunque altro soggetto competente” idoneo al compimento di attività.
Il dettato normativo ha dunque smentito le ricostruzioni giuridiche in termini restrittivi e tassativi dell’ elencazione contenuta nella legge 319 del 1980, ammettendo la possibilità di ricondurre, nella definizione di ausiliario, molti altri soggetti individuabili caso per caso.
Nonostante detta possibilità di interpretazione estensiva del termine “ausiliario” il custode sembra comunque mantenere una sua autonomia.
Riproponendo la distinzione tra ausiliari e custodi direttamente nel dettato normativo (artt. 168 e ss.), riconferma in questo senso, l’ orientamento della Suprema Corte che escludeva la riconducibilità dei custodi nella categoria degli ausiliari.
Nonostante ciò, la disciplina della liquidazione, della comunicazione e dell’ opposizione, sono state unificate, eliminando in tal modo ogni possibile dubbio circa la procedura di pagamento e soprattutto di opposizione.
La normativa della liquidazione è applicabile unitariamente a tutti i processi, eccettuati alcuni profili che sono precisati e previsti solo per il processo penale (es. segreto istruttorio).
Circa le modalità della comunicazione che, nella norma originaria erano precisate solo per il processo penale, con il formalismo del deposito in cancelleria, il Legislatore non ha ritenuto di doverle specificare, poiché valgono le regole ordinarie.
Nel Testo Unico, come già evidenziato, è stato eliminato il deposito in cancelleria del decreto di liquidazione in materia penale, si parla infatti, genericamente, di “comunicazione del decreto”, senza la distinzione presente nella Legge 319 del 1980.
Il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ha perseguito l’obiettivo di risolvere il problema di come contemperare il segreto investigativo con l’esigenza di liquidare l’ausiliario all’esito dell’espletamento dell’incarico.
Nella formulazione dell’ art.11 questo contemperamento non era possibile.
Infatti, come già evidenziato in precedenza, solo nel processo civile il decreto era provvisoriamente esecutivo nei riguardi della parte a carico della quale era posto il pagamento, nel processo penale il decreto diveniva esecutivo (e poteva essere emesso l’ordine di pagamento), invece, solo all’esito della scadenza dei termini per l’opposizione e, quindi, solo quando tutte le parti, oltre il beneficiario, ne erano venuti a conoscenza ai fini dell’opposizione.
Nella nuova norma del Testo Unico (art. 168) è prevista la provvisoria esecutività nel processo penale solo in caso di segreto istruttorio, con decorrenza dei termini per l’opposizione per tutti, dalla cessazione del segreto.
Così, in assenza di segreto, il decreto diventa esecutivo solo alla scadenza dei termini per l’opposizione.
Se c’è il segreto il decreto è esecutivo per consentire il pagamento all’ausiliario ed è portato a conoscenza dei possibili opponenti solo dopo, proprio per consentire l’opposizione.
Come sottolineato nella relazione al Testo Unico per quanto riguarda l’indennità di custodia, l’uso del decreto emesso da parte del magistrato che procede emerge dai principi generali ed è confermato dalla prassi; invece, nella norma originaria era il capo dell’ufficio giudiziario competente ad emettere il decreto.
Infatti, come già evidenziato, l’ art. 168 e ss. del T.U. disciplina il decreto di pagamento delle spettanze agli ausiliari del magistrato e le indennità al custode.
In base all’ art.171 T.U. il decreto di pagamento emesso dal magistrato costituisce titolo di pagamento della spesa in tutte le fattispecie previste dal Testo Unico.
Sottolinea la relazione che la sopraccitata disposizione è una norma finale di raccordo per evitare che nelle ipotesi non espressamente disciplinate, in cui è l’autorità giudiziaria ad emettere il decreto di liquidazione della spesa, torni a rivivere la vecchia duplicazione del titolo (superata nel testo unico sulla base dell’articolo 10 del d. lgs. n.237/1997) e, oltre al decreto del magistrato, si ritenga necessario un ordine del funzionario addetto all’ufficio.
“In materia di titoli di pagamento delle spese anticipate dallo Stato, il testo unico supera le diversificazioni oggi esistenti. La sola distinzione è quella tra ordine di pagamento (emesso dal funzionario) e decreto di pagamento (emesso dal magistrato), riferita a voci di spesa diverse e fondata sull’indispensabilità dell’attribuzione al magistrato della competenza a provvedere alla quantificazione, quando vengono in questione profili valutativi. In tal modo è eliminata la precedente coesistenza del decreto del magistrato e dell’ordine del funzionario per le stesse spese, che si sostanziava nella duplicazione del titolo di pagamento” (22)
Evitare le duplicazioni e semplificare le procedure è stato dunque lo scopo fondamentale del Testo Unico, come confermato dalla circolare del Ministero della Giustizia, in base alla quale: “Per ciò che concerne il pagamento delle spese per conto dell’erario, si rappresenta che, in passato, per tutte le spese diverse da quelle a favore dei magistrati e dei testimoni, il magistrato con decreto quantificava l’importo ed il funzionario emetteva l’ordine di pagamento.
Con il Testo Unico, invece, è stata superata la coesistenza del decreto del magistrato e dell’ordine del funzionario per le stesse spese, che si sostanziava nella duplicazione del titolo di pagamento.
La sola distinzione rimasta è quella tra ordine di pagamento emesso dal funzionario allorché la quantificazione dell’importo da liquidare non presenta alcun elemento di discrezionalità (così, ad esempio, per le indennità ai giudici onorari e agli esperti) e decreto di pagamento emesso dal magistrato, necessario allorché la quantificazione comporta questioni valutative (così, ad esempio, per le spettanze agli ausiliari del magistrato e dell’indennità di custodia).
Pertanto, in base alla nuova disciplina, se la quantificazione è effettuata dal funzionario è questi ad emettere l’ordine di pagamento. Se la quantificazione è effettuata dal magistrato, è questi ad emettere il decreto di pagamento, che costituisce di per sé titolo di pagamento della spesa (cfr. art. 171)” (23).
Detta impostazione sembra però essere stata “rivisitata” dalle successive circolari del Ministero della Giustizia, (24) che hanno previsto la non menzione, nel decreto di pagamento emesso dal Magistrato e negli ordini di pagamento, delle ritenute fiscali, compito assolto invece dal modello previsto dal successivo art.177 del Testo Unico, compilato dal Funzionario al momento della trasmissione del decreto alle poste o al concessionario.
In tal modo, il decreto emesso dal magistrato è un titolo di pagamento privo del relativo trattamento fiscale, come espresso dal Ministero della Giustizia:“Relativamente alle ritenute fiscali, è stato chiesto di conoscere se nell’ordine o nel decreto di pagamento di cui all’art. 165 T.U. debbano essere indicate le sole spettanze o anche tutte le voci accessorie (IRPEF ed altro, I.V.A.ecc.).Con riferimento a tale problematica, si ritiene che il decreto o l’ordine di pagamento debba contenere soltanto le spettanze, mentre per ciò che concerne le relative ritenute, queste debbano essere indicate, a cura dell’ufficio, al momento della compilazione del modello di pagamento di cui all’art. 177 T.U.”(25)
Detta ricostruzione pone dei problemi sulla natura giuridica del modello di trasmissione alle poste e al concessionario previsto dall’ art.177.
E’ controverso nella prassi se si tratti di un semplice modello di trasmissione, o se costituisca invece un atto, firmato dal funzionario, che completa ed integra, soprattutto relativamente al trattamento fiscale, il decreto emesso dal giudice.
Non trascurabili sono inoltre gli aspetti che sono conseguentemente coinvolti, e riguardanti le responsabilità per errori nei pagamenti, come precisato dall’ art. 172, il cui dettato letterale stabilisce che : “I magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa”.

L’ applicabilità alle spese straordinarie

In base alla nuova normativa sono spese straordinarie quelle non previste nel testo unico e ritenute indispensabili dal magistrato che procede, il quale applicherà, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 61, 62 e 63 e dell’articolo 277 e per l’importo utilizzerà prezzari analoghi.
Il titolo emesso è il decreto di pagamento, disciplinato dagli articoli 168, 169, 170 e 171.
La normativa da applicare alla procedura di liquidazione è dunque quella prevista per le liquidazione dei compensi ai periti, ai consulenti tecnici, agli interpreti e ai traduttori, in quanto compatibile.
Nella categoria delle spese straordinarie, con circolare, il Ministero della Giustizia, vi ha fatto rientrare anche le spese per le intercettazioni telefoniche, che non erano state menzionate nel Testo Unico.
“Per ciò che concerne, invece, il decreto di pagamento, si osserva che, come già precisato nella circolare n. 4/2002, esso deve essere emesso – a cura del magistrato – tutte le volte in cui la quantificazione dell’importo richiede un qualche elemento di discrezionalità. L’adozione del decreto stesso è certamente necessario, dunque, per le spese straordinarie di cui all’art. 70 del T.U., nelle quali vanno comprese le spese relative alle intercettazioni telefoniche.” (26)
In sede di prima applicazione si proponeva di liquidare le spese di intercettazione facendo rientrare le società che gestiscono il traffico telefonico nell’ ampia definizione di ausiliari del giudice, e dunque sempre liquidabili con decreto del giudice .
Alcuni dubbi sono comunque rimasti, in quanto la circolare ministeriale parla genericamente di spese relative alle intercettazioni telefoniche, senza menzionare però quelle riguardanti l’ acquisizione di tabulati del traffico telefonico, o altre forme di intercettazioni (es. ambientali).
Un’ interpretazione possibile potrebbe essere quella di attribuire estensivamente all’ espressione “spese relative alle intercettazioni telefoniche” un significato onnicomprensivo.
In definitiva la procedura menzionata negli artt. 168 e ss. non costituisce più un’ ipotesi tassativa, bensì un modello da applicare estensivamente quando ciò sia possibile.

L’ opposizione

Il Testo Unico, come espresso nella relazione, “ha apportato delle innovazioni rispetto alle previsione della norma originaria.
In linea con il mutamento del sistema, a seguito dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 51/1998 (che ha sostituito l’art. 48 dell’ordinamento giudiziario), la norma prevede la competenza monocratica, peraltro già attuata dal legislatore con l’art. 50, lett. c) del d. lgs. n. 274/2000.
In mancanza di previsione espressa, la competenza sarebbe collegiale.
Il Presidente del tribunale è competente anche per i decreti emessi dal giudice di pace, trattandosi dell’unica figura di vertice, non potendo tale funzione giurisdizionale essere attribuita al coordinatore del giudice di pace che ha solo funzioni amministrative.
Per maggiore elasticità, è stato eliminato il rinvio diretto all’art. 29, legge n. 794/1942, che disciplina il procedimento speciale, alternativo al codice di procedura civile.
Inoltre, è stata disposta l’estensione alle spese per la custodia e alle spese per la demolizione e riduzione in pristino dei luoghi affidata a imprese private della procedura prevista dalla norma originaria solo per le spese di consulenza.
Come espresso nella relazione al Testo Unico la ratio dell’estensione, con finalità di riordino, è di prevedere una disciplina uguale di fattispecie analoghe, al fine di superare i contrasti giurisprudenziali, già espressi in precedenza, in relazione alle indennità di custodia.
La misura del compenso per la custodia e la liquidazione dello stesso erano disciplinati nel campione penale, dove nulla era detto relativamente all’impugnazione; pertanto, sullo strumento di impugnazione era sorto il già citato contrasto giurisprudenziale, anche con riferimento all’applicabilità dell’art. 11.
Il magistrato può, su istanza del beneficiario e delle parti processuali, compreso il pubblico ministero, e quando ricorrono gravi motivi, sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto con ordinanza non impugnabile e può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione.
Circa i termini per la proposizione dell’ opposizione sono rimasti i medesimi della precedente disciplina, e precisamente venti giorni dalla comunicazione del decreto.
Il decorso di suddetto termine per l’ esecutività del decreto, rende difficile però il rispetto di un altro termine stabilito dal Testo Unico, e precisamente quello ex art. 177 che prevede: “Entro un mese dall’emissione dell’ordine o decreto di pagamento, il modello è trasmesso al competente concessionario in duplice copia, ovvero al competente ufficio postale in unico esemplare, nonché al beneficiario, per il quale, solo in caso di pagamento in contanti, assume valore di avviso di pagamento. Entro lo stesso termine l’ufficio trasmette copia della documentazione relativa ai singoli modelli di pagamento al funzionario delegato”.
Sono emersi dei dubbi in sede di applicazione circa la natura giuridica di detto termine, che, se perentorio, risulterebbe di difficile osservanza considerati i tempi necessari per le comunicazioni ( anche nel caso di ricorso, ove possibile, a mezzi veloci quali il fax).
Ammirevole dunque l’ intento del Legislatore di rendere più celere la procedura di liquidazione, come espresso nella relazione, ove si sottolinea “la trasmissione del modello di pagamento – con tempi certi – al competente concessionario ovvero al competente ufficio postale, nonché al beneficiario”, ma, in concreto, in linea generale, di difficile attuazione.

Note:
(1) Cass. 17 gennaio 1997, n. 448, in CED, Cass.; n. 501816, secondo la Suprema Corte in tema di compensi agli ausiliari del giudice, dal disposto dell’ art. 11 l. 319 del 1980 e dall’ art. 29 l. 794/41 si desume che il provvedimento di liquidazione del compenso, come anche l’ ordinanza emessa in sede di opposizione, ha carattere giudiziale, suscettibile di acquisire valore di giudicato in caso di mancata opposizione. Pertanto una volta acquisito tale forza è preclusa all’ausiliare ogni altra possibilità di ottenere un altro titolo giudiziale.In base all’ art. 11 c.4 L. 319/1980 solo nei procedimenti civili il decreto costituiva titolo provvisoriamente esecutivo nei confronti della parte a carico della quale era posto il pagamento.
(2) Cass. 23 agosto 1991, n. 9053, in Foro It. 1992, I, 772.
(3)Mendoza, I compensi a periti e consulenti tecnici, Milano, ed. Giuffrè 1997, pag. 154 e ss.
(4) Cass, 27 luglio 1988, n. 4777, in Mass., 1988;
(5) Cass. 21 aprile 1994, n. 3812; Mendoza, cit. pag. 168 e ss.
(6)Cass. 17 novembre 1983 n. 6857
(7)Cass. 15 marzo 1995, n. 3025, ha espresso che “la certificazione del cancelliere del deposito del provvedimento che liquida il compenso all’ esperto giudiziale integra soltanto un elemento probatorio e non un requisito di validità o di efficacia di esso, sicché l’omissione di detta formalità è irrilevante ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del reclamo a norma dell’ art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319”.
(8) Mendoza, cit. pag. 170 e Cass, 4 febbraio 1992, n. 1220, secondo cui “ con riguardo al ricorso al tribunale proposto dal p.m. contro il decreto del giudice istruttore di liquidazione del compenso al perito, la tempestività del ricorso stesso va riscontrata con riferimento alla data del suo deposito in cancelleria”.
(9) cit. Cass. 23 agosto 1991, n. 9053
(10) Mendoza, cit. pag. 171
(11)Mendoza, cit. pag. 172; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile,I, Torino, nona edizione 1995, pag. 367.
(12)Cutolo, Ferrarsi, Sciuto, Compendio di servizi di cancelleria, II ed. 1997, ed. Simone, pag. 297 e ss.
(13) Nota n. 5/144/03-1/RG del 20 febbraio 2001, citato in Rivista delle Cancellerie 2001, pag. 486.
(14) Mendoza, cit. pag. 160.
(15) Mendoza, cit. pag. 175; secondo Cardillo, “Spese di Giustizia” ed. Bucalo pag. 29, “gli Interessati sono i medesimi che sono legittimati a proporre il reclamo”, vedi Nota Min. G.G. Aff. Civ., Uff. IV, n. 4/3476/50 Ques. 80 del 9 agosto 1980.
(16)Sulle spese nel processo minorile vedi la nota del Min. Giust. Aff. Pen. Uff. I, N. 128.24.1911/90, del 14 giugno 1991, in Rivista delle Cancellerie, 1991 pag. 470; Nota del Min. Giust. Aff. Pen. 11 dicembre 1990, in Rivista delle Cancellerie, 1991 pag. 277.
(17)Mendoza, cit. pag. 177 e giurisprudenza citata in nota.
(18) Mendoza, cit. pag 179
(19) Cass. 4 agosto 1988 n. 4840. Nello stesso senso si è espressa anche nelle decisioni n. 4090 del 17 aprile 1991, in CED Cass. 471706 e Cass. 12 dicembre 1994.
(20) Cardillo Spese di Giustizia ed. Bucalo pag. 29, Riv. delle Cancellerie, 1989, 100
(21)Cass. 23 marzo 1989, n. 1471, in CED Cass n. 462276,e Sez. Un. Civ., n. 1952 del 1996 che ha affermato che “la disciplina dettata dal combinato disposto degli artt. 11 della legge 11 luglio 1980, n. 319 e 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, in tema di liquidazione del compenso spettante a periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori nominati dall’ autorità giudiziaria, ha carattere di specialità; essa pertanto può essere applicata soltanto agli ausiliari del giudice elencati nelle menzionate norme”.
(22) Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia del 28/6/2002
(23)Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia del 28/6/2002
(24) Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia dell’ 8/10/2002 e circolare del 14/11/2002.
(25)Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia dell’ 8/10/2002
(26) Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia dell’ 8/10/2002; vedi anche F..Del Giudice, La Cancelleria Giudiziaria, 1997, ed. Simone pag. 259, e nota del Min. G.G. – Uff. Civ. Uff. VIII- n. 8/41, ques. 84 del 6/11/1989, ivi citata

Redazione

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