Come deve essere calcolato il superamento della soglia di punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 316-ter cod. pen.

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    Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 316-ter)

1. Il fatto

La Corte di Appello di Bari confermava una sentenza emessa dal Tribunale di Bari con la quale l’imputata era stata condannata alla pena di mesi cinque di reclusione per il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., così riqualificata l’originaria contestazione di cui agli artt. 81 e 640 cod. pen., perché, nella qualità di legale rappresentante di una società, dichiarando falsamente all’I.N.P.S. di avere corrisposto ad una lavoratrice l’indennità di maternità relativa al periodo dal maggio 2013 ad agosto 2014, per complessivi euro 8000,00, conseguiva indebitamente il conguaglio di detto importo con i contributi dovuti periodicamente all’Istituto previdenziale. 

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponevano ricorso per Cassazione i difensori dell’imputata, deducendo violazione dell’art. 316-ter cod. pen. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si riteneva superata la soglia di punibilità prevista dall’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen., considerando l’importo complessivo dell’indennità di maternità anziché i singoli importi mensili, relativi a somme comprese tra i 500,00 ed i 700,00 euro, portati a conguaglio dei contributi previdenziali dovuti attraverso il modulo DM10, rilevandosi al contempo che, sempre secondo i legali, la sentenza impugnata, pur aderendo alla tesi che considera la soglia di punibilità quale elemento costitutivo del reato, aveva sommato i sedici illeciti amministrativi commessi attraverso l’invio dei DM10 mensili considerando superata detta soglia, in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che ritiene configurato il reato con l’invio del singolo modello DM10 mensile.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione 

Il ricorso era ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto in via preliminare che, nella giurisprudenza di legittimità, sono emersi diversi orientamenti ermeneutici in merito alla qualificazione giuridica della condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni, qualificandosi tale condotta ora come appropriazione indebita (Sez. 2, n. 5486 del 5/11/2015), ora come truffa, ponendosi l’accento sull’artificio costituito dalla fittizia esposizione delle somme corrisposte al lavoratore e sulla successiva induzione in errore dell’istituto previdenziale (Sez. 2, n. 42937 del 3/10/2012), ora, infine, come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ai sensi dell’art. 316-ter cod. pen. (tra le tante, Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019; Sez. 2, n. 51334 del 23/11/2016).

Orbene, nella pronuncia qui in commento, la Corte di legittimità riteneva di aderire all’ultimo orientamento nomofilattico citato, qualificando quindi il fatto nell’alveo della norma incriminatrice di cui all’art. 316-ter cod. pen. posto che si escludeva la ravvisabilità degli elementi costitutivi sia del delitto di truffa che di quello di appropriazione indebita in considerazione del seguente ordine di ragioni: a) la mancanza di artifici e raggiri e, soprattutto, la considerazione che la difforme rappresentazione della situazione all’ente previdenziale non è idonea a determinare alcun danno dell’ente cui il lavoratore non potrà richiedere quanto spettantegli, dovendo questo rivolgersi esclusivamente al proprio datore di lavoro; b) la mancanza del presupposto del possesso delle somme indebitamente percepite dal datore di lavoro.

Oltre a ciò, si faceva inoltre presente che tale soluzione ermeneutica, oggi prevalente nella giurisprudenza di legittimità, tra l’altro, risultava maggiormente coerente con la giurisprudenza della Corte costituzionale (ord. n. 95 del 2004) e con i principi affermati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 7537 del 16/10/2010; Sez. U, n. 16568 del 19704/2007) che hanno evidenziando il carattere residuale della fattispecie di cui all’art. 316-ter cod. pen. rispetto a quella prevista dall’art. 640-bis cod. pen., alla luce sia del dato normativo che della ratio legis, essendo l’art. 316-ter cod. pen. volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e «complementare» rispetto a quella già offerta dall’art. 640-bis cod. pen., coprendo gli eventuali margini di scostamento – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode (così, Corte cost., ord. n. 95 del 2004) poiché,

alla luce dei principi espressi dalle Sezioni Unite, ciò che rileva ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. è l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere (ovvero l’omissione di informazioni dovute) da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, tenuto conto altresì del fatto che tali erogazioni non devono necessariamente consistere nell’ottenimento di una somma di denaro, ma possono consistere indifferentemente o nell’ottenimento di una somma di danaro, oppure nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta; in definitiva, per la Suprema Corte, il reato previsto dall’art. 316-ter cod. pen., punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate (oltre che dal silenzio antidoveroso) da false dichiarazioni o dall’uso di documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente.

Premesso ciò, gli Ermellini osservavano, a questo punto della disamina, come il ricorso in questione ponesse all’attenzione del Collegio la problematica inerente il criterio di computo della soglia di punibilità stabilita dall’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen. allorché il reo consegua in momenti diversi delle somme o un’esenzione di pagamento.

Orbene, a fronte di tale quesito, i giudici di piazza Cavour evidenziavano prima di tutto che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, in tema di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, il superamento della soglia di punibilità indicata dall’art. 316-ter, comma 2, cod. pen. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità, sicché è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva (Sez. 6, n. 31223 del 24/06/2021) visto che, con riferimento proprio all’indebito conguaglio effettuato dal datore di lavoro tra le somme dovute a titolo di contribuzione e quelle relative ad erogazioni anticipate al lavoratore, la legge 24 novembre 2003, n. 326, ha previsto che i datori di lavoro debbano comunicare mensilmente all’I.N.P.S. i dati retributivi e le informazioni utili al calcolo dei contributi e, fra queste, anche le erogazioni anticipate al lavoratore per conto dell’I.N.P.S. (come le indennità di malattia o maternità); in particolare, i datori di lavoro sono tenuti ad inoltrare tali informazioni, ivi compresi eventuali conguagli, entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di competenza, utilizzando il modulo mensile DM10 (oggi UNIEMENS) e, quindi, sulla base di tale comunicazione, devono provvedere, entro il giorno 16 del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione da parte del lavoratore dipendente, al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Da ciò se ne faceva conseguire che, in caso di indebita compensazione con somme non erogate al lavoratore, il datore di lavoro realizza la condotta tipica prevista dall’art. 316-ter cod. pen. nel momento in cui ottiene l’indebita erogazione da parte dell’ente pubblico, sotto forma di “risparmio di spesa” rispetto al quantum che avrebbe invece dovuto versare all’ente previdenziale se non avesse compilato detto flusso in termini non veritieri (in tal senso, si veda anche, Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019; Sez. 6, n. 24890 del 20/02/2019; Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015).

Pertanto, per il Supremo Consesso, il superamento della soglia di punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 316-ter cod. pen., espressamente collegata all’entità della «somma indebitamente percepita», non può che essere calcolato considerando il risultato economico derivato da ciascuna delle condotte produttive dell’indebita erogazione (così, Sez. 6, n. 31223 del 24/06/2021; nello stesso senso anche Sez. 2, n. 4404 del 13/1/2016).

Tale conclusione, d’altronde, rilevava la Corte nella decisione in esame, sebbene potesse apparire incompatibile con altro principio di diritto affermato sempre dalla Cassazione secondo cui, in tema di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato, nella valutazione del superamento o meno della soglia di punibilità, prevista dall’art. 316-ter, comma secondo, cod. pen., occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica, ove le erogazioni conseguano ad una iniziale ed unitaria condotta (Sez. 6, n. 45917 del 23/09/2021; Sez. 6, n. 11145 del 02/03/2010), non si pone in effettivo contrasto con tale approdo ermeneutico perché, in realtà, il diverso principio relativo alla rilevanza della somma complessivamente erogata è stato affermato in fattispecie in cui le indebite erogazioni conseguivano ad una singola e unitaria condotta tipica dalla quale erano derivate delle erogazioni “dilatate” nel tempo.

Ebbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come la sentenza impugnata avesse erroneamente calcolato l’intero ammontare delle somme indebitamente compensate ai fini della determinazione del superamento o meno della soglia di punibilità dato che, tenuto conto delle modalità della condotta ascritta alla ricorrente, effettuata sulla base delle comunicazioni mensili all’istituto previdenziale, e dell’ammontare delle somme mensilmente comunicate, per la Corte di legittimità, doveva, dunque, ritenersi che, in relazione alle singole mensilità contributive ed al conseguente risparmio di spesa ottenuto dalla ricorrente, non era stata superata la soglia di punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 316-ter cod. pen..

Da ciò se ne faceva discendere che, difettando un elemento costitutivo del reato, tale condotta integrava l’illecito amministrativo previsto dal secondo comma.

Tenuto conto di quanto sopra esposto, pertanto, era disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, e la conseguente trasmissione degli atti alla Direzione Territoriale del Lavoro competente per l’irrogazione delle relative sanzioni amministrative.

4. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come deve essere calcolato il superamento della soglia di punibilità prevista dal secondo comma dell’art. 316-ter cod. pen. che, a sua volta, come è noto, dispone al primo periodo che, in materia di indebita percezione di erogazioni pubbliche, quando “la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822”.

Difatti, in tale pronuncia, si precisa che il superamento di codesta soglia di punibilità deve essere calcolato considerando il risultato economico derivato da ciascuna delle condotte produttive dell’indebita erogazione salvo il caso in cui le indebite erogazioni conseguono ad una singola e unitaria condotta tipica dalla quale erano derivate delle erogazioni “dilatate” nel tempo atteso che, in tale ipotesi, occorre tener conto della complessiva somma indebitamente percepita dal beneficiario e non di quella allo stesso corrisposta con cadenza periodica.

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se sia configurabile l’illecito amministrativo di cui all’art. 316-ter, co. 2, cod. pen., al posto del reato preveduto dal comma primo (sempre) di questo articolo.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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