Colpa lieve, linee guida e determinazione del risarcimento: profili di incostituzionalità?

Ambrosio Alice 03/07/13
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A prescindere dalle spinose questioni attinenti il regime di responsabilità medica, il primo comma dell’articolo 3 della Legge Balduzzi è destinato ad essere foriero di numerosi dibattiti anche sotto un altro punto di vista.

La norma si offre di rivoluzionare il sistema sanitario, garantendo la giusta attenzione al professionista che sia adempiente e ligio alle linee guida1 e alle indicazioni della scienza. In questo caso, infatti, il medico non risponderà penalmente per colpa lieve, salvo l’obbligo di risarcire il danno in sede civile.

Le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità entrano quindi a pieno respiro fra i criteri che il giudice deve utilizzare per sindacare l’attività professionale svolta dal sanitario. Non solo. Nel giudizio civile, le stesse vengono erette a parametro cui il giudice deve attenersi “nella determinazione del risarcimento del danno”.

A ben vedere, si tratta del recepimento normativo di una consolidata prassi giurisprudenziale: i giudici le hanno sempre utilizzate, ove possibile, per decidere i casi responsabilità medica2. Ad una giurisprudenza incline a parametrare la legittimità del comportamento medico all’ortodosso rispetto delle linee guida,3 si è sostituita in questi anni una giurisprudenza sempre più attenta alle peculiarità dello specifico caso clinico, una giurisprudenza sempre più consapevole del fatto che le indicazioni terapeutiche contenute nei manuali della scienza medica non sempre sono idonee a decidere la multiformità delle fattispecie concrete.4

Con la riforma Balduzzi, il legislatore introduce le linee guida alla stregua di veri e propri criteri di valutazione della condotta medica; nel farlo, però, abbandona qualsiasi riferimento al caso concreto,5 dacchè interpretata letteralmente la norma sembra limitare il sindacato del giudice al mero controllo del rispetto o meno delle prassi mediche da parte del sanitario.

L’attenersi pedissequamente alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalle comunità scientifiche scrimina nel campo penale la colpa lieve, mantenendo nel civile solo l’obbligo risarcitorio, con l’indicazione, per il giudice, di tenerne debitamente conto “nella determinazione del risarcimento del danno”.

Letta in questo modo, la norma avrebbe pericolose ripercussioni di ordine pratico.

Innanzitutto perché il legislatore sembra non considerare affatto la varietà e multiformità del mondo delle linee guida e delle “buone pratiche” accreditate dalla comunità scientifica. Allo stato attuale non esiste alcun canale ufficiale di individuazione e di determinazione delle stesse, né si comprende quale sia l’organo deputato ad accreditarle. Le linee guida possono quindi promanare dai soggetti più diversi: pubblici o privati, di ricerca scientifica o di ricerca statistica, istituzionali o politicamente indipendenti. Possono avere valenza regionale, nazionale, europea o internazionale: basti pensare che per alcune specializzazioni mediche vi sono tre linee guida regionali, tredici linee guida nazionali ed alcune decine di linee guida a livello europeo.6 Queste pratiche, poi, come spesso accade, possono essere contrastanti tra loro, e non soltanto perché attinenti a scelte terapeutiche diverse, ma anche perché rispondenti a esigenze differenti: a linee guida attente unicamente alla primaria tutela della salute del paziente, si affiancano linee guida finalizzate al risparmio della spesa, al raggiungimento di un dato statistico, alla razionalizzazione dell’efficienza ospedaliera, etc…

In un universo così variegato, è difficile prima di tutto per il medico, oltre che per il giudice chiamato a sindacarne l’operato, stabilire quale sia la linea guida più apprezzata a livello scientifico. Ma soprattutto, anche ove individuata la più autorevole linea guida, questa potrebbe poi rilevarsi, sul piano pratico, non idonea allo specifico caso clinico.

La norma corre pertanto il rischio di irrigidire il sistema sanitario: onde evitare condanne, i medici saranno spinti a seguire ciecamente le strategie suggerite dal sapere scientifico, senza prestare la dovuta attenzione alle peculiarità del caso concreto, alle particolari esigenze del paziente. Con il pericolo, tra l’altro, di arrestare il progresso scientifico, creando una classe di medici inetta, che preferisce seguire le già preconfezionate “istruzioni per l’uso”, anziché innovarsi nell’interesse primario della salute del paziente.

Con l’intento di scongiurare simili conseguenze, la Corte di Cassazione (IV sezione penale 9 aprile 2013, n. 16237) ha recentemente offerto una interessante chiave di lettura della norma: cercando di chiarire i confini della colpa lieve, sino ad oggi sconosciuta in campo penale, i giudici di legittimità hanno evidenziato la contraddittorietà di un medico che seppur attento alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica incorre comunque in colpa (anche se lieve, e dunque, scriminata). L’incoerenza della norma è superabile, secondo la Corte, soltanto se si considera che “le linee guida non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti” e che “esse, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico”.

La Cassazione afferma pertanto che, anche successivamente alla novella legislativa, le guidelines devono continuare a costituire per il giudice soltanto un criterio di valutazione concorrente, ma è il caso concreto a definire i comportamenti correttamente attivabili e non viceversa. Secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, il medico ha il dovere di anteporre la salute del malato ad altre esigenze, anche contravvenendo a quanto stabilito dalle direttive delle linee guida se in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente colpa ove se ne lasci condizionare, senza adottare le decisioni più opportune a tutela del malato.

Potrà pertanto accadere che il professionista si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, affidandosi alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico, inquadri correttamente il caso nelle sue linee guida generali e, tuttavia, sbagli, commetta un errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive alle evenienze ed alle peculiarità dello specifico paziente. O potrà invece accadere che proprio le evocate peculiarità del caso clinico portino fin da subito il medico a discostarsi dalle strategie consigliate dalle linee guida e a scegliere un’altra strada, una strada più idonea a particolari e concomitanti patologie del paziente.

In entrambi i casi, secondo la Corte, il comportamento del medico sarà censurabile soltanto ove lo stesso abbia commesso un errore grave nell’adeguare le linee guida alle peculiarità caso concreto. Il giudizio non deve fermarsi al pedissequo e acritico rispetto delle linee guida, ma deve spingersi a verificare l’adeguamento delle fredde e virtuose pratiche mediche alle reali e concrete esigenze del paziente.

La Corte delimitata poi la “nuova” colpa lieve degli esercenti la professione sanitaria al canone dell’imperizia, cosicché almeno sotto il profilo della valutazione della condotta, giudizio civile e giudizio penale potranno facilmente convergere. Ciò è importante, perché la stessa colpa lieve che scrimina la condotta del medico in campo penale, entra nel giudizio civile come criterio di determinazione del quantum del risarcimento.

Ed è su questo punto che si vogliono concentrare le considerazioni personali del presente lavoro.

Per la prima volta, in campo civilistico, si assiste ad un vero e proprio ancoraggio dell’entità del risarcimento ad una valutazione dell’elemento soggettivo del danneggiante. Il Giudice, “nella determinazione del risarcimento del danno” tiene in debito conto se il medico ha seguito le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e se, dunque, secondo il giudizio penale, versa in colpa lieve.

Tale assunto è del tutto contrastante con la natura del risarcimento civile e risponde ad istanze più simili a quelle fronteggiate dal diritto penale. Il grado della colpa è infatti uno degli indici adottati dal legislatore penale quale parametro di commisurazione della pena, ex art. 133, 1 comma, n. 3 c.p. In tale sede, l’accertamento del fatto reato è incentrato sul disvalore della condotta dell’agente e stabilire il grado della colpa è utile a determinare la durata e la durevolezza della sanzione, avendo la legge penale primaria finalità sanzionatoria.

Il risarcimento del danno mira invece alla riparazione del torto e non alla punizione del colpevole, tende a compensare una perdita subita, a ricostituire uno status quo ante. Poco od ormai nulla rileva l’elemento soggettivo del danneggiante, perché ciò che l’ordinamento si prefigge di garantire è prima di tutto il riequilibrio patrimoniale o il risarcimento della sofferenza psico-fisica del soggetto che ha subito il danno. Pertanto, dalla lettera della norma, non è dato comprende come potrebbe essere diversamente risarcito uno stesso danno biologico – quantomeno nella sua componente statica – una invalidità permanente dello stesso punto percentuale, sulla base di una diversa valutazione dell’elemento soggettivo del medico. Gli unici aspetti del danno eventualmente suscettibili di essere graduati in funzione del grado della colpa potrebbero essere le c.d. componenti dinamiche del danno biologico (i danni esistenziali e il danno morale) in quanto si potrebbe plausibilmente affermare che le sofferenze soggettive subite dalla vittima dell’illecito siano maggiormente patite se chi le ha inferte ha agito con colpa grave o addirittura con dolo, piuttosto che con colpa lieve.

Stesso discorso per il danno patrimoniale: consistendo questo nella riparazione di una perdita subita ed in un eventuale mancato guadagno, non si capisce come tale danno potrebbe essere graduato in relazione alla colpa dell’autore. La perdita (o futura perdita) subita dal paziente è infatti pur sempre uguale, sia che il medico abbia causato il danno versando in colpa lieve, sia che il medico abbia causato il danno versando il colpa grave (secondo i criteri dettati dall’ultima Cassazione penale citata).

Questo a voler essere “positivi” e a voler considerare che il richiamo all’art. 2043 c.c. non limiti il risarcimento del danno ai soli danni patrimoniali, escludendo l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. A partire dalle note sentenze gemelle della Corte di Cassazione, infatti, il sistema risarcitorio ha assunto un assetto bipolare, all’interno del quale l’articolo 2043 c.c. si riferisce soltanto al danno patrimoniale, mentre è l’articolo 2059 c.c. che si riferisce al danno non patrimoniale. In dottrina, qualcuno avrebbe anche avanzato l’ipotesi (assurda, ritengo) che d’ora in poi il Giudice civile non potrà più liquidare alcuna sorta di danno non patrimoniale (alla salute, morale, esistenziale) al danneggiato, perché la norma della Legge Balduzzi fa salvo soltanto l’articolo 2043 c.c. e dunque il solo danno patrimoniale.7

Credo, dunque, siano forti i dubbi di legittimità costituzionale della norma. Ad essere leso, questa volta, è il principio di uguaglianza dei pazienti danneggiati, le cui istanze di tutela rispetto a quelle della classe medica sono sicuramente più sentite dalla società civile e dalla giurisprudenza in generale.

E viene da credere che, se la giurisprudenza dovrà pronunciarsi a riguardo, lo farà senza tenere conto della ratio di riforma del legislatore,8 senza tenere presente le finalità con cui il decreto Balduzzi era stato varato: la giurisprudenza è molto più sensibile alla tutela del diritto costituzionale alla Salute e al diritto di essere curati, piuttosto che a fredde e insensibili esigenze di spending review.

Ebbene. Con la novella in commento il legislatore ha tentato di difendere la classe medica e, più che altro, le povere casse dello Stato.

Il problema è che sembra averlo fatto senza tecnicismo, senza quel minimo di cultura giuridica che ci si aspetterebbe soprattutto dinanzi ad un Governo di tecnici. Sembra un legislatore assolutamente inconsapevole del diritto vivente nelle odierne aule di Giustizia, di un diritto che si è evoluto, anno dopo anno, a fronte delle sempre più sentite esigenze di tutela dei pazienti.

Se la giurisprudenza di questi ultimi vent’anni è stata così attenta al paziente danneggiato, chiamata ad interpretare una norma così criptica, difficilmente cambierà orizzonti.

Troppe le lacune e troppi i dubbi di legittimità costituzionale che, a parere di chi scrive, con molta probabilità rileveranno del tutto inutile lo sforzo innovativo della riforma.

Dott.ssa Alice Ambrosio

1 Secondo la definizione più ricorrente dell’Institute of Medicine, le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate attraverso un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche. Secondo l’Istituto della Sanità italiana le stesse devono descrivere le alternative disponibili e le relative possibilità di successo in modo che il medico possa orientarsi nella gran quantità di informazione scientifica in circolazione, il paziente abbia modo di esprimere consapevolmente le proprie preferenze e l’amministratore possa compiere scelte razionali in rapporto agli obiettivi e alle priorità locali.

2 Erano inizialmente qualificate come “suggerimenti atti a orientare i sanitari nei comportamenti che devono porre in essere in relazione ai casi concreti” Così, Cass. pen. 14 giugno 2006, n. 24400.

3Allorquando il medico (o la struttura ospedaliera) ha provato di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, e cioè di aver rispettato tutte le norme di prudenza, diligenza e perizia, i protocolli e le linee-guida più accreditate nel proprio settore di competenza, il paziente non può invocare l’art. 1218 c.c., neppure in presenza di un acclarato peggioramento delle proprie condizioni di salute in rapporto di causalità con la prestazione sanitaria. L’art. 1218 c.c. infatti presuppone l’inadempimento dell’obbligazione assunta, inadempimento che non sussiste quando vi è in concreto la prova positiva dell’adoperata diligenza” Trib. Milano, 22 aprile 2008, n. 5305.

4 Sul punto, la Suprema Corte di legittimità ha espresso il seguente principio: “Non vi potrà essere esenzione da responsabilità per il fatto che siano state seguite linee guida o siano stati seguiti protocolli ove il medico non abbia compiuto colposamente la scelta che in concreto si rendeva necessaria. Ciò, soprattutto, allorquando le linee guida seguite siano obiettivamente ispirate a soddisfare solo esigenze di “economia gestionale” ovvero allorquando queste si palesino obiettivamente vetuste, inattuali, finanche controverse. Le linee guida non possono fornire, infatti, indicazioni di valore assoluto ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale responsabilità del sanitario, sia per la libertà di cura, che caratterizza l’attività del medico, in nome della quale deve prevalere l’attenzione al caso clinico particolare e non si può pregiudizialmente escludere la scelta consapevole del medico che ritenga causa cognita di coltivare una soluzione terapeutica non contemplata nelle linee guida, sia perché, come già evidenziato in altri precedenti in taluni casi, le linee guida possono essere indubbiamente influenzate da preoccupazioni legate al contenimento dei costi sanitari oppure si palesano obiettivamente controverse, non unanimemente condivise oppure non più rispondenti ai progressi nelle more verificatisi nella cura della patologia” .

5 La versione originale del Decreto legge recitava: “Il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalle comunità scientifiche nazionale ed internazionale”.

6 Così, Cass. pen. 9 aprile 2013, n. 16237

7R. RIVERSO, Colpa medica: danni e legislatore da bocciare, altalex.it

8 Si legge infatti nella motivazione del decreto legge Balduzzi che lo stesso è stato adottato:“ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di procedere al riassetto dell’organizzazione sanitaria, tenuto conto della contrazione delle risorse finanziare destinate al servizio sanitario nazionale, a seguito delle varie manovre di contenimento della spesa pubblica”.

Ambrosio Alice

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