Clausole vessatorie e danni alla persona del consumatore: codice civile, del consumo ed esame della giurisprudenza

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A) Ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., «Non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità . . .».
È noto che quest’ultima norma sia interpretata nel senso che la cd. clausola vessatoria, per dirsi valida, debba ricevere autonoma e separata collocazione nel contesto delle condizioni generali del contratto, sì da suscitare l’attenzione particolare del sottoscrittore (ex plurr., Cass. 20 giugno 1997 n. 5533, id., 11 ottobre 1990 n. 9998; Arb. Roma 26 novembre 1998).
Piu’ in dettaglio, si legga la recente disposizione di forma – sostanza dell’art. 35, comma 1, del d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (cd. codice del consumo), che così recita:
«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatte in modo chiaro e comprensibile».
In modo più stringente che l’art. 1341, comma 2, c.c., la disposizione in esame codifica il cd. principio della trasparenza, che esige la conformità della clausola ai due seguenti requisiti:.
a) chiarezza, che postula la necessità che la proposta sia formulata dal professionista mediante caratteri semplici e leggibili, tali da consentire il comodo accesso del consumatore al testi contrattuale;
b) comprensibilità, che postula un linguaggio ed una terminologia accessibili (ex plurr., Chinè, Consumatore (contratti del), Enc. giur., [agg.], IV, 423).
A presidio del consumatore, di una nullità – inefficacia della clausola/contratto intercorso tra professionista e consumatore potra’ parlarsi anche in riferimento alla violazione dell’art. 1229 c.c., che così recita:
«È nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave.
È nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico».
Com’è stato autorevolmente sostenuto, «. . . Le parti possono escludere in radice il rapporto obbligatorio, ma se l’obbligazione sussiste non possono privare il creditore di un minimo di tutela . . .» (Bianca, La responsabilità, Milano, 1994, 68).
Come detto, il secondo comma del citato art. 1229 c.c., vieta l’esonero preventivo quando il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.
In proposito, superfluo è il dire, con autorevole dottrina, che tra siffatti obblighi si annoverano quelli:
«. . . volti a soddisfare interessi la cui garanzia giuridica risponde ad esigenze fondamentali della società civile. Tali sono, anzitutto, gli obblighi che attengono alla salvaguardia del creditore nella sua integrità fisica e morale e nei suoi rapporti familiari. Radicalmente nulle devono pertanto considerarsi, tra le altre, le clausole di esonero da responsabilità per danni alla persona. Assolutamente inderogabili devono ancora considerarsi gli obblighi che attengono all’esercizio di uffici pubblici o privati e gli obblighi sanzionati penalmente o derivanti dalla violazione di norme penali» (Bianca, op. ult. cit., 70 e ss.). 
In via ulteriore, ai sensi degli artt. 33 e ss. del citato codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206), che hanno espressamente qualificato quali nulle e/o vessatorie talune clausole nel contratto tra consumatore e professionista.
In particolare, di una nullita’ potra’ parlarsi tutte le volte che sia violato l’art. 36, comma 2, lett. a) del codice, che recita:
«Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista».
Costituisce quest’ultima, secondo la definizione del codice, una nullità cd. di protezione che dà luogo ad una vessatorietà in re ipsa (cfr. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, 270), operante solo a vantaggio del consumatore e rilevabile ex officio dal giudice (art. 36, comma 3).
Inoltre, il riferirsi essa ad interessi superindividuali quali vita e/o incolumità personale del consumatore ne impedisce la deroga dai privati neppure mediante trattativa.
A tale disposizione fa eco l’art. 1, comma 2, lett. b), del codice (già art. 1, comma 2, lett. b), l. 281/1998), che riconosce espressamente ai consumatori ed agli utenti «come fondamentali i diritti . . . alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti e dei servizi».
Conf. sul punto, in giurisprudenza, Trib. Rovereto 24 novembre 2003 (in Foro It., 2004, I, 2580), che in un caso di grave infortunio occorso ad un partecipante ad una scuola di windsurf, ha affermato che il professionista ha l’onere di provare di aver adottato tutte le misure idonee a garantire la qualità e la sicurezza del servizio:
«L’allievo di una lezione di disciplina sportiva va qualificato, alla stregua dell’art. 2 della l. 281/98 (oggi abrogata perché confluita interamente nel codice del consumo, n.d.r.), come «consumatore», perché si tratta di «persona fisica che acquista ed utilizza un servizio per scopo non riferibile alla sua attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta». Tale consumatore vanta, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b), stessa legge il «fondamentale diritto» alla «sicurezza del servizio».
Nel caso di danno alla persona subito al consumatore nel rapporto con un professionista, spetta a quest’ultimo provare di avere adempiuto l’obbligo ex art. 1, comma 2, lett. b), l. 281/98» (oggi, art. 1, comma 2, lett. b) del codice del consumo, n.d.r.).
Così, in motivazione, la sentenza:
«La scuola di windsurf non assume soltanto l’obbligo d’insegnare la pratica sportiva ma assume anche l’obbligo di svolgere l’attività d’insegnamento in condizioni, dal punto di vista ambientale e tecnico, di sicurezza per l’apprendista. È infatti la scuola a scegliere il luogo ed il tempo della lezione; è la stessa scuola a mettere a disposizione dell’allievo il materiale, in particolare tavola e vela, necessario per lo svolgimento dell’attività pratica. Pertanto l’allievo, quando stipula il contratto, si affida alla scuola per tutto ciò che riguarda la propria sicurezza, confidando che la scuola sceglierà condizioni ambientali e di materiali idonee allo svolgimento della lezione.
 Si deve osservare che, all’atto della stipula del contratto, l’allievo e la scuola si trovano in una posizione «asimmetrica» dal punto di vista del potere contrattuale: l’allievo, infatti, è soggetto debole perché può solo scegliere se iscriversi o meno al corso alle condizioni economiche e di sicurezza stabilite dalla scuola ma non può influire sull’organizzazione, anche in termini di sicurezza, della prestazione resa dall’istruttore, organizzazione che deve invece «subire»; la scuola è invece soggetto forte, trattandosi di un imprenditore che può decidere come organizzare la propria attività — svolta per fine di lucro — investendo, in maggiore o minore misura, in qualità e sicurezza del servizio.
 Il contenuto contrattuale non può quindi essere ridotto, per ciò che concerne la scuola, all’obbligazione di mezzi dell’insegnamento della disciplina sportiva ma va esteso all’obbligo di garantire la sicurezza all’allievo. Il contratto stipulato dalle parti non è quindi un tipico contratto d’opera intellettuale ma è un più complesso contratto socialmente tipico e meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, non ascrivibile alle categorie contrattuali regolate dal codice civile.
 Il diritto contrattuale dell’allievo alla sicurezza ha un chiaro riconoscimento legale. Esso va ravvisato nella l. 30 luglio 1998 n. 281 (si ripete, oggi confluita nel codice del consumo, n.d.r.), intitolata «disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti» e varata dal parlamento italiano «in conformità ai principî contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità europee e nel trattato sull’Unione europea nonché nella normativa comunitaria derivata» (art. 1).
Si deve dunque concludere che le parti hanno dedotto nel contratto anche il diritto alla sicurezza dell’utente e l’obbligo della scuola di garantire tale sicurezza. Ebbene l’allievo ha dimostrato che la sua sicurezza non è stata assicurata, essendosi egli infortunato nel corso dell’esecuzione del servizio da parte della scuola. Spettava, dunque, alla scuola, secondo le regole generali in materia di onere della prova nel contratto, dimostrare di avere adempiuto al proprio obbligo di garantire la sicurezza e di avere quindi organizzato la propria prestazione in modo idoneo a prevenire il pericolo di danno per l’allievo».
 
B) Da ultimo, si legga pure l’art. 33, comma 1, del codice:
«Nel contratto tra professionista e consumatore si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto
Del pari, il comma 2, lett. a) e b) del medesimo articolo del codice, che presume la vessatorietà delle clausole aventi per oggetto o effetto di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista.
b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista.
 
 
Avvocato in Napoli

Vanacore Giorgio

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