Decorso del termine come causa di scioglimento della società

Redazione 27/02/01
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di Giuditta Lamorte

 

Fra le cause di scioglimento delle società di capitali, l’art. 2448 cc prevede al n. 1 il “decorso del termine”, causa di scioglimento che la giurisprudenza di Cassazione, concordemente, ritiene operi automaticamente, cioè senza bisogno che venga deliberata, più precisamente le cause di scioglimento operano tutte di diritto, la delibera dell’assemblea, in materia, ha natura dichiarativa e non costitutiva (Frè).

Lo scioglimento di per se stesso non determina l’estinzione della società, bensì la messa in stato di liquidazione (ex artt. 2457 e 2497 cc) della stessa, l’estinzione seguirà solo al momento della cancellazione dal Registro delle Imprese, salvo casi particolari; tutto ciò comporta che, a seguito dello scioglimento, si ha un cambiamento dello scopo sociale che non sarà più quello di esercitare un’attività economica al fine di conseguire un utile da dividere fra i soci, ma quello di “realizzare il guadagno già conseguito, ripartirlo fra i soci e rimborsare loro le azioni”.

A seguito dello scioglimento sorge, dunque, un diritto individuale del socio alla liquidazione della quota, ma la società in liquidazione non è estinta ed in quanto tale può essere “riattivata”, i soci cioè possono decidere di revocare lo stato di liquidazione, revoca consistente in una modifica del rapporto sociale, nella eliminazione della causa di scioglimento. Ovviamente questa eliminazione della causa di scioglimento durante la fase di liquidazione non potrà passare attraverso una delibera a maggioranza, ma necessariamente attraverso l’unanimità dei consensi di tutti i soci.

E’ sì vero che la società se può, può a maggioranza, ma nel caso di revoca della liquidazione ciò che viene preso in considerazione non è l’interesse della società, bensì l’interesse del singolo, la delibera all’unanimità, richiesta in questo caso, non è una delibera della società, ma è la manifestazione di consenso di ogni singolo socio che, avendo acquistato, a seguito dello scioglimento, il diritto alla liquidazione ed alla percezione di una quota del patrimonio netto, vi rinuncia ed acconsente alla “riattivazione” della società.

Non affrontiamo qui l’annoso ed ulteriore problema del dies ad quem entro il quale la revoca può essere adottata, ma ci limitiamo a dire che “le cause di scioglimento della società, una volta verificatesi, ben possono essere rimosse dalla concorde volontà dei soci. […] Le relative deliberazioni dei soci che, eliminando una causa di scioglimento o revocando la liquidazione, manifestano la volontà che la società debba continuare a vivere senza soluzione di continuità, non danno luogo alla costituzione di un nuovo ente separato e distinto dal precedente, ma importano la riviviscenza dell’ente disciolto ed il suo ritorno allo stato antecedente al verificarsi della causa di scioglimento” (Cass. 70/1968).

In tutto questo ci si chiede se sia applicabile alle società di capitali l’art. 2273 cc in materia di proroga tacita nelle società di persone.

E’ opportuno precisare che:

1) si ha proroga quando i soci decidono di continuare l’attività sociale oltre il termine stabilito contrattualmente;

2) si ha proroga tacita (ex 2273 cc) quando la volontà suddetta non viene espressa, ma attuata attraverso il comportamento dei soci, comportamento, secondo alcuni (Ferrara jr e Corsi, De Ferra) indipendente dalla consapevolezza degli effetti che lo stesso (comportamento) produce, secondo altri (Cottino e Ferri) inteso come vera e propria manifestazione di volontà anche se tacita;

3) la proroga tacita è a tempo indeterminato.

In considerazione di quella che è la natura della proroga e della proroga tacita in particolare, autorevole dottrina (Ferri) ha sostenuto che, laddove si estendesse il 2273 cc alle società di capitali, si rischierebbe di “confondere la manifestazione di volontà con gli elementi dai quali essa può in pratica essere desunta; i fatti dai quali si desume la proroga possono essere successivi, ma la volontà di prorogare deve sussistere al momento dello scioglimento” ergo una volta incorsi nello scioglimento per decorso del termine la società può solo revocare lo stato di liquidazione secondo i criteri sopra espressi (unanimità).

Si tenga inoltre presente che a voler applicare analogicamente l’art. 2273 cc si avrebbe, a seguito di una proroga tacita, una società a tempo indeterminato.

In conclusione la società di capitali può essere prorogata solo espressamente e solo prima della scadenza del termine, a sostegno di ciò la Cassazione (Sez. I, 4 giugno 1998, n. 5472) ritiene “contra legem la clausola statutaria di una societa’ di capitali che preveda la proroga tacita della societa’ se, entro un determinato termine prima della scadenza stabilita, un socio non abbia dato disdetta agli altri soci, in quanto nelle societa’ di capitali, a differenza delle societa’ personali, la durata è un elemento essenziale e deve essere certa, potendo subire variazioni soltanto mediante modifica dell’atto costitutivo adottata con delibera dell’assemblea straordinaria. Tuttavia la nullita’ di una siffatta clausola non travolge automaticamente la previsione statutaria del diritto di disdetta del singolo socio, poiche’ tale diritto e’ compreso nella categoria delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo al singolo socio, le quali, trovando la loro fonte nell’atto costitutivo o in norme imperative, costituiscono un limite all’operativita’ del principio maggioritario (e, quindi, al potere dispositivo della societa’) a tutela dell’interesse individuale, e come tali non sono modificabili se non con l’unanimita’ dei consensi.”

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