Carcere e depressione: la Cassazione riconosce l’incompatibilità

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Chi è affetto da una grave depressione non può scontare il carcere neanche se ha commesso reati molto gravi, come ad esempio un omicidio.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 05/03/2024 n. 9432, riconosce la depressione come una patologia che impedisce di vivere dignitosamente.
Secondo la prima sezione penale, ai fini del differimento facoltativo della pena, a norma dell’articolo 147 comma 1 n. 2) del codice penale, o della detenzione domiciliare a norma dell’articolo 47 ter, comma 1 ter della Legge dell’Ordinamento Penitenziario
(L. 26/07/1975 n. 354), la malattia della quale il detenuto è affetto deve essere grave da mettere in pericolo la sua vita, da provocargli conseguenze dannose di rilievo, e deve esigere un trattamento sanitario non attuabile in regime di carcerazione, dovendosi compiere un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività.
Per approfondimenti sugli aspetti sociali del carcere si consiglia il volume: Carcere e Scienze sociali

Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 9432 del 5-3-2024

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Indice

1. Carcerazione: panoramica e temi


La carcerazione o reclusione è la privazione della libertà personale attraverso
l’imprigionamento.
Si distingue dall’arresto per le motivazioni ma non negli effetti, consistendo entrambe nella privazione della libertà di movimento di un individuo.
La reclusione è di solito imposta dalle istituzioni in ordinamenti giuridici, ma si ha anche al di fuori di questo contesto, come nel caso dei sequestri di persona, nei quali un individuo viene imprigionato da rapitori.
Le carceri furono utilizzate sino al XVIII secolo principalmente per la reclusione di debitori, criminali in attesa di un processo e detenuti in attesa dell’esecuzione della condanna (di solito pena capitale o deportazione).
Quando l’utilizzo della pena capitale iniziò a diminuire alla fine del XVIII secolo, la prigione fu sempre più utilizzata come luogo di detenzione, diventando alla fine il mezzo principale per punire i criminali.
L’utilizzo della detenzione si è successivamente diffuso nel mondo, spesso attraverso il colonialismo.
All’inizio del XXI secolo la pena di morte, de iure o de facto, fu abolita in gran parte del mondo e la detenzione divenne di conseguenza la forma più severa di punizione che i Tribunali potevano imporre.
La reclusione è la pena prevista dall’articolo 23 del codice penale e consiste nella limitazione della libertà personale, che si deve eseguire in carcere o in altro istituto a questo deputato in regime di detenzione, quando una sentenza di condanna a pena detentiva per un delitto sia passata in giudicato e non sia stato possibile ottenere l’applicazione di misure alternative.
Il recluso ha l’obbligo del lavoro con l’isolamento notturno.
Nonostante questo, il condannato che ha scontato almeno un anno della pena può essere ammesso al lavoro all’aperto.
La reclusione può, a determinate condizioni, tra le quali la disponibilità di un domicilio ritenuto idoneo, e su autorizzazione del Tribunale di sorveglianza, essere scontata anche in regime di detenzione domiciliare per condanne inferiori a due anni o in casi particolari a quattro anni, periodo che può essere anche la parte finale di una pena più lunga.
La reclusione può durare da un minimo di 15 giorni a 24 anni (art. 23, c. 1 c.p.) salvo quando previsto diversamente dalla legge. Per approfondimenti sugli aspetti sociali del carcere si consiglia il volume: Carcere e Scienze sociali

FORMATO CARTACEO

Carcere e Scienze sociali

Il volume si configura come luogo di confronto tra studiosi e operatori che, muovendo da diversi orientamenti disciplinari e da molteplici percorsi professionali, dedicano attenzione critica al carcere e alle dinamiche penitenziarie.  Attraverso il prisma delle scienze sociali, si suggeriscono percorsi teorici e indicazioni operative finalizzate a osservare, interpretare l’universo penitenziario e a ipotizzare strade per introdurre in tale mondo una nuova cultura della pena. I saperi sociali, infatti, si rivelano particolarmente preziosi nel munire i lettori di lenti in grado di aumentare il livello di consapevolezza pubblica delle profonde contraddizioni del carcere, e consentono di vedere il penitenziario sia come specchio della società, sia come anticipatore di processi che rischiano di investirla successivamente. Se vi è una nota comune alle voci che compongono il testo, è proprio il tentativo di fare del penitenziario un oggetto di ricerca sociale, in una prospettiva che si colloca sul limine tra il dentro e il fuori, e che si rivela l’unica possibile per reintegrare e legittimare l’oggetto carcere all’interno del contesto sociale, in un’epoca storica orientata invece a rimuovere ed escludere.   Andrea BorghiniDocente di Sociologia generale e di Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano le trasformazioni del potere dello Stato nell’era globale, la sociologia di Pierre Bourdieu e i mutamenti del controllo sociale. È stato Direttore del Master Universitario in Criminologia sociale e, dal 2007, è Delegato del Rettore per le attività universitarie rivolte ai detenuti. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo: The Role of the Nation-State in the Global Age, Brill (2015); The Relationship between Globality and Stateness: Some Sociological Reflections, Palgrave (2017); Carcere e disuguaglianze socio-economiche: una ricostruzione del dibattito sociologico, Pisa University Press (2018).Gerardo PastoreDocente di Sociologia della globalizzazione e Sociologia del controllo sociale e della devianza presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa. Le sue ricerche dedicano attenzione alla sociologia critica e dell’emancipazione; allo studio delle disuguaglianze sociali e dei processi di inclusione nella società della conoscenza; alle dinamiche sociali tra inclusione ed esclusione nelle istituzioni totali. Tra le sue recenti pubblicazioni sul tema oggetto del presente volume si segnalano: Carceral society, in Bryan S. Turner (editor), Encyclopedia of Social Theory, Wiley-Blackwell (2018); Inclusion and social ex-clusion issues in university education in prison: considerations based on the Italian and Spanish experiences, in International Journal of Inclusive Education (2018); Pratiche di conoscenza in carcere. Uno studio sui Poli Universitari Penitenziari, in The Lab’s Quarterly (2017).

Andrea Borghini, Gerardo Pastore | Maggioli Editore 2020

2. La carcerazione e i diritti umani


Nel caso in questione, i Supremi Giudici, hanno spiegato che ai fini del differimento della pena, rilevano anche le patologie di entità tale da fare sembrare l’espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità al quale si ispira l’articolo 27 della Costituzione, perché capaci di determinare una situazione esistenziale al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata anche nelle condizioni di restrizione carceraria.
La patologia psichica può costituire una causa di differimento della pena, quando abbia una gravità da provocare un’infermità fisica che non è possibile fronteggiare in ambiente carcerario, o da rendere l’espiazione della pena in questa forma non compatibile, per le eccessive sofferenze, con il senso di umanità. 

3. La depressione in carcere è una sofferenza aggiuntiva


Secondo la Suprema Corte di Cassazione, il lato centrale della questione è che la depressione è una patologia che, se molto grave, può risultare incompatibile con la prosecuzione della detenzione in carcere, rendendo la stessa una fonte di sofferenze aggiuntive, incompatibili con il concetto di rispetto della dignità umana e con la finalità rieducativa della pena, potendo causare il peggioramento delle condizioni psichiche del detenuto.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, il Tribunale di sorveglianza ha sbagliato a non esprimere nessuna valutazione in merito alle condizioni di salute psichica del detenuto e alla loro compatibilità con il carcere, e non risulta che la verifica sollecitata dal magistrato di sorveglianza sia stata effettuata.
Una valutazione da questo lato è necessaria, sulla base della giurisprudenza di legittimità, dovendo l’applicazione della più grave forma di esecuzione della pena rispettare sempre il diritto alla salute del detenuto e il senso di umanità.

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