Avvocato dona un cesto natalizio al giudice, è corruzione in atti giudiziari

Redazione 30/04/18
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E’ corruzione in atti giudiziari per l’avvocato che dona al giudice di pace, competente per le sue cause, un cesto natalizio contenente cibi di ingente valore.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con sentenza n. 17987 del 20 aprile 2018, respingendo il ricorso di un avvocato condannato in secondo grado – nella qualità di difensore di plurimi soggetti sorvegliati speciali di P.S. – per corruzione in atti giudiziari, in quanto aveva corrisposto utilità non dovute al giudice di pace, affinché questi ponesse in essere atti contrari ai suoi doveri d’ufficio.

Secondo l’ipotesi d’accusa, in particolare, il giudice di pace si era messo a disposizione dell’avvocato, riservando alle cause di quest’ultimo una corsia preferenziale, attraverso l’alterazione del meccanismo di assegnazione del contenzioso. Per detti favori, il giudice in questione – sempre secondo l’accusa – aveva ricevuto utilità non dovute dall’avvocato, in occasione delle festività natalizie, consistenti in una confezione di cibi di alto valore, quali aragoste, caviale e champagne.

Avverso la propria condanna, ricorreva l’avvocato, lamentando come le congetture dell’accusa non trovassero fondamento in alcuna evidenza probatoria; né tantomeno le intercettazioni telefoniche avevano disvelato alcun patto corruttivo tra l’avvocato ed il giudice, ma solo contatti connotati da una certa familiarità. Si era pertanto in presenza di un travisamento delle prove.

La sentenza impugnata, tra l’altro – a detta del ricorrente – non dimostrava alcun collegamento causale, né tanto meno dolo, tra il dono ed i precedenti e susseguenti atti posti in essere dal giudice. Il cesto in questione era infatti un regalo isolato nell’ambito di una relazione di amicizia, oltretutto recapitato in occasione del Natale e non al momento delle decisioni da adottare.

Da parte del giudice, atti contrari ai suoi doveri d’ufficio

Censure tutte respinte dalla Corte di Cassazione, la quale chiarisce innanzitutto come in sede di legittimità sia preclusa una rilettura dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata. La Corte d’appello, oltretutto, aveva congruamente rilevato, a fondamento del reato di corruzione, come fossero stati posti in essere, da parte del giudice de quo, atti contrari ai propri doveri d’ufficio. Quest’ultimo aveva difatti riservato a sé e ad alcuni colleghi “compiacenti” la trattazione di diversi ricorsi proposti dall’avvocato ricorrente, in violazione della disciplina tabellare che regola le assegnazioni degli affari. Era inoltre emerso dalle risultanze probatorie che in tutti i ricorsi proposti dal legale in questione e decisi dal giudice ricevente il dono, era stata ottenuta in tempi celeri la sospensione di provvedimenti sanzionatori (a carico dei soggetti difesi) e la trattazione dei processi era stata ingiustificatamente dilatata mediante rinvii, al punto da vanificare l’irrogazione delle stesse misure sanzionatorie.

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