Autotutela tributaria in corso di giudizio e regime delle spese processuali.

Redazione 28/05/02
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di Stefano Compagno

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La recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro n. 16 del 28/2/2002[1] conferma l’attualità della problematica concernente il regime delle spese processuali in caso di abbandono della pretesa erariale da parte degli Uffici fiscali. I giudici di Catanzaro -in sintesi- hanno ritenuto che qualora l’Ufficio sia ricorrente in appello e chieda dichiararsi la cessazione della materia del contendere per avere annullato in autotutela l’atto in vertenza, la richiesta deve interpretarsi quale rinuncia all’appello. Poiché, poi, nel processo in trattazione sono mancati i presupposti per la rinuncia (è mancata l’accettazione della parte privata-resistente, come si desume dall’esposizione dello svolgimento del processo), l’appello è stato deciso nel merito, rigettandolo con condanna alla spese del giudizio.

Invero, i riferimenti normativi in ordine al regime delle spese nel processo tributario sono sufficientemente chiari:

ai sensi dell’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992[2], in caso di estinzione del processo per rinuncia al ricorso, il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo. La rinuncia al ricorso, che va manifestata con apposito atto scritto, non produce effetto se non è accetta dalle altre parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del giudizio; peraltro, termine ultimo per la rinuncia è la data di udienza di trattazione, mentre non è ammessa una rinuncia verbale fatta nell’udienza[3].

ai sensi dell’art. 46 del medesimo D.Lgs. n. 546/1992[4], invece, in ogni caso di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, le spese processuali restano a carico della parte che le ha anticipate. In tale ipotesi, l’effetto estintivo del processo opera automaticamente.

Ora, è espressamente previsto dalla legge che l’Ufficio possa procedere all’annullamento totale o parziale dei propri atti impositivi “anche in pendenza di giudizio”[5]. Ed anzi, come rilevato da autorevole dottrina[6], nell’autotutela in pendenza di giudizio, diversamente da quella su atti definitivi, poiché la pretesa impositiva non si è cristallizzata, la decisione dell’Ufficio risponde, altresì, ad un principio utilitaristico e ad una logica di economicità, cioè di “valutazione comparativa tra a) la probabilità della soccombenza (dipendente in particolare dall’evidenza e dalla gravità dei vizi dell’atto) e della conseguente condanna dell’amministrazione al rimborso delle spese di giudizio, e b) l’entità della pretesa in rapporto ai costi amministrativi connessi alla sua difesa”. Le valutazioni dell’Ufficio, dunque, sono più ampie rispetto all’autotutela su atti definitivi poiché l’apprezzamento non si limita alla fondatezza della pretesa erariale (o, specularmente, alla manifesta non debenza del tributo) ma deve contemplare, altresì, -tenendo conto, peraltro, del “diritto vivente”-, la sostenibilità in giudizio della pretesa erariale come consacrata nell’atto in vertenza, considerando, pertanto, anche aspetti di illegittimità dell’atto impositivo che nell’autotutela su atti definitivi non possono avere ingresso (es. mere irregolarità formali o procedimentali[7]).

Sull’argomento, però, occorre distinguere a seconda del grado di giurisdizione e della posizione processuale assunta dall’Ufficio[8]. Infatti, sebbene a fondamento della rinuncia alla prosecuzione di una controversia stia il potere-dovere dell’Ufficio di riesaminare il proprio operato (autotutela), sul piano processuale la rinuncia alla pretesa impositiva si configura diversamente, con adempimenti processuali ed effetti diversi sotto il profilo della sopportazione delle spese, a seconda della posizione assunta dall’Ufficio:

1. Controversie pendenti dinanzi le Commissioni Tributarie Provinciali.

Nel primo grado di giudizio l’Ufficio è sempre e solo parte resistente, avendo già azionato la pretesa erariale con l’atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni tributarie). Il provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto impugnato va comunicato al contribuente ed al giudice, e determina la automatica estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere ai sensi del summenzionato art. 46. Le spese del giudizio, pertanto, restano a carico di ciascuna parte. Al riguardo, si annota che è ormai consolidato l’orientamento della Corte Costituzionale[9] che ha riconosciuto la legittimità costituzionale dell’art. 46 laddove prevede la compensazione delle spese processuali nell’ipotesi di cessazione della materia del contendere anche a seguito di annullamento in autotutela dell’atto impugnato.

2. Controversie pendenti dinanzi le Commissioni Tributarie Regionali.

In tale grado di giurisdizione l’abbandono della pretesa erariale a seguito di riesame (autotutela) dell’atto impositivo nel quale essa è consacrata avverrà con modalità diverse, a seconda della fase nella quale interviene e della posizione processuale assunta dall’Ufficio:

in presenza di sentenza sfavorevole, per la quale pendono i termini per l’impugnazione dinanzi la CTR, l’Ufficio potrà limitarsi a prestare acquiescenza attraverso il mancato impulso processuale.

nel caso in cui, invece, l’atto impositivo sia stato già impugnato dinanzi i giudici di secondo grado, l’esercizio dell’autotutela si manifesterà diversamente a seconda della posizione processuale assunta dall’Ufficio:

-nel caso in cui l’Ufficio assuma la posizione processuale di mera parte resistente, potrà esercitare l’autotutela in pendenza di giudizio mediante ritiro dell’atto impugnato, con conseguente estinzione della controversia per cessata materia del contendere. In tal caso, infatti, non può configurasi una ipotesi di rinuncia al ricorso come disciplinata dal summenzionato art. 44 per l’ovvia constatazione che l’Ufficio non ha proposto alcuna impugnazione, essendo mera parte resistente.

-nel caso in cui, invece, l’Ufficio assuma la posizione processuale di appellante, l’annullamento in autotutela dell’atto in vertenza si manifesta, sul piano processuale, mediante la rinuncia al ricorso in appello ai sensi e secondo le modalità di cui al ripetuto art. 46. L’atto di rinuncia deve essere fatto per iscritto, entro la data di udienza di trattazione.

Al fine, poi, di conferire all’atto di rinuncia sicuri effetti estintivi della controversia e di evitare il rimborso delle spese di lite alla controparte, è necessario che l’Ufficio acquisisca preventivamente il consenso del ricorrente in ordine sia alla rinuncia[10] sia alla compensazione delle spese di lite. L’adesione del contribuente, titolare del rapporto controverso, può acquisirsi “in calce” all’atto di rinuncia dell’Ufficio e va sottoscritta anche dal difensore tecnico ove presente[11]. L’atto di rinuncia così formato va, infine, depositato nella segreteria della Commissione Tributaria Regionale, la quale provvederà a dichiarare (con provvedimento del Presidente di Sezione o della Commissione, a seconda della fase del giudizio) l’estinzione del giudizio per rinuncia all’appello.

3. Controversie pendenti dinanzi la Commissione Tributaria Centrale.

Com’è noto, la riforma del contenzioso tributario (in vigore dal 1/4/1996) ha comportato l’abolizione della Commissione Tributaria Centrale, che, però, continua ad operare fino ad esaurimento della controversie ivi pendenti. Per tale grado di giurisdizione è ancora vigente il rito previsto dalla vecchia legge sul contenzioso tributario (D.P.R. n. 636 del 1972). Ora, pur non prevedendo la citata disciplina espressamente l’istituto della rinuncia, si ritiene, tuttavia, che, in forza del principio dispositivo che domina il processo tributario, gli Uffici, che hanno assunto la posizione di ricorrenti in Centrale, possano seguire la procedura di rinuncia descritta al punto 2[12].

4. Controversie pendenti dinanzi la Corte di Appello o di Cassazione.

La riforma del contenzioso tributario ha comportato, altresì, l’abolizione dell’impugnazione dinanzi la Corte d’Appello delle sentenze di secondo grado dei giudici tributari; tuttavia, ai sensi dell’art. 74 del D.Lgs. n. 546/1992, le controversie ivi pendenti proseguono il loro iter fino alla decisione secondo il vecchio rito (D.P.R. n. 636 del 1972), che, a sua volta, espressamente rinvia per il relativo procedimento alle disposizioni del c.p.c., in quanto compatibili (art. 40 del D.P.R. n. 636 del 1972). Avverso le sentenze della Commissioni Tributarie Regionali, poi, può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360 c.p.c.; al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili[13].

Ne consegue che le controversie tributarie pendenti dinanzi ai predetti giudici possono essere abbandonate dagli Uffici, mediante rinuncia, secondo il combinato disposto degli art. 359 e 306 del c.p.c. (rinuncia all’appello) e dell’art. 390 c.p.c. (rinuncia al ricorso per cassazione), sia pure previa intesa e di concerto con le Avvocature Distrettuali o l’Avvocatura Generale dello Stato.

[29/4/2002]

Note:
[1] Il testo integrale è pubblicato in “Diritto & Diritti” di aprile 2002, nella pagina: www.diritto.it/sentenze/commtribut/sent16_2002.html. In senso conforme si segnalano: Comm. Trib. Regionale – Toscana n. 64 del 27/3/1997: “qualora l’Ufficio chieda dichiararsi la cessazione della materia del contendere, ma ne difettino i presupposti, l’atto deve interpretarsi quale rinuncia all’appello”; Comm. Trib. Regionale – Toscana n. 4 del 19/02/1998: “non può essere dichiarata l’estinzione del giudizio per rinuncia all’appello quando la rinuncia non risulti previamente accettata dalla controparte”. Ambedue le massime sono consultabili on line all’indirizzo: www.finanze.it

[2] Decreto Legislativo 31/12/1992 n. 546, in vigore dal 1/4/1996: “Disposizioni sul (nuovo) processo tributario”.

[3] In tal senso, Circolare Ministeriale 23/4/1996 n. 98; consultabile on line nella Banca Dati del sito ufficiale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’indirizzo: www.finanze.it.

[4] Per completezza si annota che il processo può estinguersi, altresì, per inattività delle parti. Anche in tal caso, ai sensi dell’art. 45 del D.Lgs. n. 546/1992, le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate.

[5] Vedi: art. 2-quater del D.L. 30/9/1994 n. 564 convertito nella L. 30/11/1994 n. 656, e ss.mm.; art. 2 del D.M. 11/2/1997 n. 37; Circolare Ministeriale 5/8/1998 n. 198/S. Tutte consultabili on line all’indirizzo: www.finanze.it.

[6] D. Stevanato, voce: Autotutela (diritto tributario); in: Enciclopedia del Diritto, aggiornamento 1999; Giuffrè, Vol. III. In questo senso vedi anche la Relazione accompagnatoria del Consiglio superiore delle finanze allo schema di decreto ministeriale sull’autotutela dell’amministrazione finanziaria (approvato il 10/5/1996), in Tributi, 1996, pag. 759, dove si fa riferimento al “costo della mancata autotutela”: “e cioè costo della difesa dell’amministrazione in tutti i possibili gradi di giudizio, … , costo delle eventuali spese legali che col nuovo contenzioso possono seguire la soccombenza, costo politico dato dalla perdita di immagine che consegue a tutti i casi di indebita persecuzione del cittadino, …”.

[7] Non determina l’annullamento in autotutela di un atto definitivo la presenza di “meri vizi procedurali a fronte di una situazione di fatto che legittima l’operato dell’Ufficio”; in tal senso espressamente: A. Gentile, L’autotutela nei tributi locali; in: Il Fisco n. 16/2001; con richiamo alla nota della Direzione Regionale Sicilia – Ufficio Fiscalità, prot. n. 13584 del 15/2/2001 (inedita).

[8] Vedi: Circolare Ministeriale 15/5/1997 n. 138, la quale (apparentemente circoscritta, per la sua intitolazione, alle sole ipotesi di abbandono delle controversie relative all’ILOR dovuta dagli agenti e rappresentanti di commercio) ha rilevanza generale per tutte le ipotesi di rinuncia da parte dell’Ufficio alla prosecuzione delle controversie. Si segnala, altresì, con particolare riguardo alla problematica: A. Gentile, op. cit.

[9] Corte Costituzionale: sentenza 12/3/1998 n. 53; ordinanze n. 368 del 1998; n. 77 e 265 del 1999; n. 465 del 2000. Tutte consultabili on line all’indirizzo: www.finanze.it.

[10] Si segnala, però, Comm. Trib. Regionale – Sicilia n. 52 del 16/7/1997: “ancorché il contribuente non abbia prodotto esplicita accettazione alla rinuncia della parte appellante, ai sensi dell’art. 44 del D.Lgs. n. 546/1992, il procedimento deve essere dichiarato, comunque, estinto se non sussista un effettivo interesse alla prosecuzione del giudizio”. La massima è consultabile on line all’indirizzo: www.finanze.it.

[11] In tal senso espressamente Circolare Ministeriale 15/5/1997 n. 138, op. cit. In senso conforme, anche: Circolare Ministeriale 23/4/1996 n. 98, op. cit.

[12] In tal senso espressamente Circolare Ministeriale 15/5/1997 n. 138, op. cit.

[13] Così espressamente, art. 62 del D.Lgs. 31/12/1992 n. 546.

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