Atto di pignoramento: il contenuto

Redazione 16/10/18
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Su espressa indicazione dell’art. 543, comma 2, c.p.c. l’atto di pignoramento deve contenere, oltre all’ingiunzione al debitore di cui all’art. 492 c.p.c.: 1) l’indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto;
2) l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’intimazione al terzo di non disporne senza ordine di giudice; 3) la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente nonché l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente; 4) la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente, con l’invito al terzo a comunicare la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l’avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un’apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell’ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento in corso o dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione. Con le modifiche apportate all’art. 492 c.p.c. dal d.l. n. 59/2016, convertito in l. 119/2016, «il pignoramento deve contenere l’avvertimento che, a norma dell’articolo 615, secondo comma, terzo periodo, l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile». Nell’indicare l’udienza di comparizione si deve rispettare il termine previsto dall’art. 501 c.p.c.

Atto di pignoramento presso terzi: atto complesso

L’atto de quo è, quindi, un atto complesso costituito da due parti distinte. Una prima parte redatta dal creditore, contenente la citazione del debitore a comparire davanti al giudice dell’esecuzione territorialmente competente e con invito al terzo a rendere la dichiarazione di cui all’art. 547 a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata da inviare al creditore procedente. Pertanto, con la riforma del 2014, il legislatore ha portato a termine la modifica iniziata con l’intervento legislativo del 2005-2006 che prevedeva, invece, la partecipazione del creditore all’udienza in tutti i casi in cui il pignoramento riguardasse i crediti di cui all’art. 545, commi 3 e 4, c.p.c. La seconda parte redatta dall’ufficiale giudiziario contenente: la dichiarazione di pignoramento e l’intimazione, di cui all’art. 492 c.p.c., al debitore di astenersi dal porre in essere atti volti a sottrarre alla garanzia del credito i beni assoggettati alla espropriazione (1).

Ingiunzione ex art. 492 c.p.c.

Secondo l’orientamento prevalente, l’ingiunzione, di cui all’art. 492 c.p.c., è un elemento costitutivo del pignoramento, per cui ha natura essenziale ai fini della esistenza giuridica dello stesso. La Suprema Corte, infatti, nella sentenza n. 6941/1988 ed in altre successive pronunce (n. 4621 e n. 7019 del 1995), ha affermato che nell’atto di pignoramento presso terzi l’ingiunzione al debitore esecutato ex art. 492 c.p.c. costituisce un requisito essenziale per la realizzazione della funzione dell’atto medesimo, giacché soltanto attraverso tale ingiunzione rivolta, pur senza l’adozione di formule sacramentali, direttamente e specificamente dall’ufficiale giudiziario al debitore esecutato, acquista inequivoca certezza e piena rilevanza giuridica l’obbligo di astenersi da ogni atto pregiudizievole, sancito dallo stesso art. 492 c.p.c. (Cass. civ., 17 luglio 1997, n. 6580), per cui essendo elemento strutturale essenziale per l’attuazione della funzione dell’atto, la sua mancanza comporta la giuridica inesistenza dell’atto di pignoramento presso terzi . Il vizio dell’atto di pignoramento, consistente nella mancanza dell’intimazione del debitore, indicata dall’art. 492 c.p.c., deve essere fatto valere con l’opposizione agli atti esecutivi non oltre il termine di cinque giorni (ora venti) dall’udienza fissata, a norma dell’art. 547 c.p.c., per la citazione del terzo e del debitore (Cass. civ., 1° febbraio 2002, n. 1308). Tale termine, però, è soltanto quello posto in funzione preclusiva per la proponibilità del ricorso in opposizione agli atti esecutivi, ma ciò non esclude – proprio per le considerazioni riportate in ordine alla natura del pignoramento presso terzi ed al momento in cui, ai sensi dell’art. 481 c.p.c., ha inizio l’esecuzione, che è quello della notifica dell’atto di cui all’art. 543 c.p.c. (Cass. civ., 3 ottobre 1997, n. 9673; Cass. civ., 16 ottobre 1997, n. 10157) – che da tale momento decorra anche il termine per l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) da parte del debitore, per l’interesse riconosciutogli a far dichiarare il vizio da cui è affetta la procedura, ancor prima che il terzo renda la dichiarazione positiva di quantità (Cass. civ., 12 febbraio 2008, n.3276) (2).

Avvertimento del diritto alla conversione del pignoramento

In relazione all’ingiunzione, la Suprema Corte ha anche chiarito che, in tema di espropriazione forzata, l’avvertimento al debitore esecutato, previsto dall’art. 492, comma 3, c.p.c., volto a renderlo edotto delle modalità e dei termini per poter sostituire ai crediti pignorati una somma di danaro, è elemento essenziale di ogni atto di pignoramento, a prescindere dalla forma particolare che rivesta in ragione della natura del bene pignorato, con la conseguenza che esso deve essere contenuto anche nell’atto notificato personalmente al debitore, ai sensi dell’art. 543 c.p.c (3).

L’omissione di tale avvertimento non costituisce causa di nullità, in difetto di siffatta espressa sanzione e, tuttavia, trattandosi di elemento previsto nell’interesse del debitore ad attivarsi prontamente per la conversione del pignoramento, produce la diversa conseguenza di precludere l’assegnazione, ai sensi dell’art. 552 c.p.c., che, se egualmente disposta, è opponibile ex art. 617 c.p.c., a meno che l’interesse in questione del debitore, non garantito all’atto del pignoramento, sia comunque soddisfatto in corso di procedura, con atto del creditore – come nella specie – o con provvedimento del giudice, tempestivamente idonei a soddisfare la predetta esigenza informativa (Cass. civ., 23 marzo 2011, n. 6662). Oltre all’ingiunzione ex art. 492 c.p.c., l’atto redatto dal creditore deve avere come contenuti richiesti dalla legge quelli elencati nel secondo comma dell’art. 543 c.p.c. (4). Il creditore deve, quindi, indicare il credito per cui si procede, il titolo esecutivo e il precetto (5).

Indicazione del credito, del titolo esecutivo e del precetto

L’indicazione del credito deve essere specifica delineando l’estensione del vincolo determinato dal pignoramento. È opportuno, sul punto, ricordare che la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che a differenza che nel processo di cognizione, il creditore procedente o intervenuto ha l’onere di produrre il titolo esecutivo, ma non anche di provare l’esatto ammontare degli accessori cui ha diritto sulle somme per cui si procede, spettando, invece, al giudice dell’esecuzione, qualora rilevi errori del calcolo predisposto dalla parte, determinare, anche con l’ausilio di una consulenza tecnica, il corretto ammontare delle somme da assegnare al creditore a titolo di interessi e rivalutazione (Cass. n. 20658/2007). Per quanto riguarda l’indicazione del titolo esecutivo e del precetto, la Suprema Corte, con la sentenza n. 8239 del 24 maggio 2003, ha insegnato che, avendo l’atto di pignoramento presso terzi la funzione di imporre sul credito del debitore esecutato un vincolo di destinazione in favore del creditore procedente all’espropriazione, requisiti essenziali dell’atto sono solo gli elementi indicati nell’art. 543 c.p.c. la cui mancanza impedisce la costituzione del vincolo di destinazione; fuori da questa ipotesi, la mancanza di uno degli altri elementi indicati dall’art. 543 c.p.c. non dà luogo all’inesistenza giuridica del pignoramento, ma può dar luogo soltanto alla nullità del pignoramento, alla quale si applica la regola generale contenuta nell’art. 156 c.p.c., costituita dalla impronunciabilità di essa se l’atto ha comunque raggiunto il suo scopo. Nel caso di specie la Suprema Corte, quindi, ha ritenuto nullo e non inesistente l’atto di pignoramento presso terzi nel quale non erano indicati gli estremi del titolo esecutivo, nonché sanato, in quanto nullo, dal fatto che l’atto di pignoramento contenesse gli estremi del precetto, regolarmente notificato alla parte, all’interno del quale erano riportati gli estremi del titolo esecutivo (6).

Indicazione delle cose o delle somme dovute dal terzo

L’atto deve contenere l’indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute dal terzo, con l’intimazione a quest’ultimo di non disporne senza ordine del giudice. L’indicazione almeno generica si giustifica con la difficoltà che ha il creditore procedente di conoscere i dati esatti concernenti tali somme o cose, a cagione della sua estraneità ai rapporti tra debitore e terzo, con la conseguenza che il sistema così congegnato prevede che tale genericità venga eliminata mediante la dichiarazione che il terzo è chiamato a rendere a norma dell’art. 547 c.p.c. (7). Se, quindi, da un lato, la Suprema Corte ammette un’indicazione assolutamente generica delle cose o delle somme dovute dal terzo, dall’altro lato, l’assoluta mancanza di indicazione delle stesse si ritiene causa di nullità dell’atto di pignoramento, in quanto atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo.

Intimazione al terzo

L’intimazione rivolta al terzo, ex art. 543 c.p.c., di non disporre, senza ordine del giudice, delle somme o cose da lui dovute al debitore esecutato, costituisce, come l’ingiunzione al debitore esecutato di astenersi da ogni atto pregiudizievole, un elemento essenziale dell’atto; da ciò consegue che, anche se non sono necessarie formule sacramentali, la mancanza anche di uno solo di tali elementi implica l’inesistenza del pignoramento, non ammettendosi equipollenti (Cass. civ., 30 gennaio 2009, n. 2473). Il creditore deve, altresì, dichiarare la residenza o eleggere il domicilio nel comune dove ha sede il tribunale competente, nonché indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata. La violazione di tale obbligo comporta, come unica conseguenza, che le comunicazioni e le notificazioni al creditore procedente andranno fatte presso la cancelleria del giudice adito (art. 489, comma 2, c.p.c.).

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Note

(1) L’atto di pignoramento presso terzi consta di due parti: a) l’ingiunzione al debitore a norma dell’art. 492 c.p.c., che è opera dell’ufficiale giudiziario, il quale, di solito, la documenta nella relazione di notificazione dell’intero atto; b) l’atto sottoscritto dalla parte o dal suo difensore munito di procura, che contiene l’intimazione al terzo di non disporre, senza ordine del giudice, delle cose o delle somme da esso terzo dovute al debitore (Cass. civ., 9 aprile 1974, n. 980).

(2) Trib. Novara, 16 aprile 2007.

(3) Cass. civ., 30 gennaio 2009, n. 2473.

(4) A tal proposito, appare opportuno rammentare che, trattandosi di citazione a comparire davanti al giudice, l’atto in questione non può essere fatto dalla parte personalmente, ma deve essere redatto da un avvocato.

(5) L’indicazione del titolo esecutivo deve risultare con chiarezza, anche per relationem rispetto al contenuto dell’atto di precetto notificato.

(6) Il creditore non ha l’obbligo di consegnare materialmente all’ufficiale giudiziario il titolo esecutivo, essendo sufficiente la mera esibizione di esso. Ne consegue che il creditore, dopo avere proceduto ad un primo pignoramento presso terzi, può successivamente pignorare un ulteriore credito del proprio debitore esibendo all’ufficiale giudiziario il medesimo titolo esecutivo, e senza necessità di munirsi di una seconda copia in forma esecutiva di quest’ultimo (Cass. civ., 4 ottobre 2011, n. 20596).

(7) Trib. Monza, 11 marzo 2009.

Redazione

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