Aspetti aziendalistici nelle partecipate pubbliche – parte terza

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( Parte terza)

 

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Leggi la seconda parte del contributo a questo link.

Leggi l’allegato al presente articolo: Analisi di alcune politiche pubbliche nel sistema federale svizzero.

 

La leadership quale delega

 

            In una leadership gli aspetti fondamentali sono quattro:

–         La capacità di adattamento:

–         La capacità di far convergere le persone verso un obiettivo comune, avente una forte caratterizzazione;

–         La necessità di dedicare tempo alla ricerca di se stessi;

–         La necessità di determinare i sistemi di valore.

Occorre che le persone sentano che saranno trattate con equità e lealtà e che è offerta loro un’opportunità di crescita personale e organizzativa.

I leader devono pertanto essere impegnati a creare un clima organizzativo che favorisca oltre che le performance anche un senso di orgoglio e determinazione; per fare questo devono essere forniti di un’intelligenza emotiva frutto dell’esperienza. L’intelligenza emotiva, che proprio perché frutto dell’esperienza può essere migliorata con uno sforzo protratto nel tempo, possiede alcune caratteristiche specifiche che sono l’autoconsapevolezza emotiva, l’empatia, la fiducia in se stessi, l’autocontrollo e la capacità di ascolto.

Oggi giorno la necessità di una forte flessibilità organizzativa porta a ridurre i livelli dirigenziali, ma al contempo crea la necessità dello sviluppo di capacità di leadership in gruppi di persone più ampie al fine di creare team adattabili a seconda dei processi di lavoro; la leadership deve diffondersi ai vari livelli ma gli interessati devono essere anche selezionati e preparati perché è estremamente pericoloso distribuire cariche senza adeguata preparazione, si realizzerebbe in altre parole un progressivo distacco tra posizione nei ruoli e leadership.

Se nella prima e seconda rivoluzione industriale vi era la convinzione che la realtà tecnologica era una macchina da costruire e comandare, dalla recente e ultima rivoluzione informatica è nata l’immagine della realtà come di una rete adattabile a piacimento grazie alle interconnessioni.

Tuttavia per rendere sostenibile il processo in un ambiente instabile occorre che i leader siano ancorati a una serie di valori e principi ben identificabili dai collaboratori, inoltre, deve esplicarsi la capacità di distinguere tra l’urgenza del quotidiano e le situazioni emergenti, lavorando sulla qualità dell’attenzione; infatti in questi tempi vi è una esplosione di informazioni da cui nasce la necessità di filtrare ed ordinare le stesse per poterle convertire in azioni con la conseguente necessità di impegnare tempo e risorse, ma vi è anche l’opportunità di distribuirle interconnettendo le varie unità al fine di facilitare l’accesso all’intelligenza, valorizzando il fattore umano.

E’ stato osservato che gran parte della complessità sul lavoro nasce dalla mancanza di attenzione verso le persone con cui si lavora e dalla perdita di significato delle azioni compiute rispetto ai valori dell’organizzazione (D. Chattrjee); fondamentale pertanto è la creazione di un “ciclo virtuoso” in cui il leader comunichi i propri scopi e la propria visione, limitando le voci incontrollate e motivando ma contemporaneamente ascolti i collaboratori sia come suggerimenti che come paure.

Da quanto finora detto emerge chiaramente la stretta connessione tra leadership propositiva ed etica in quanto, se i singoli possono avere comportamenti scorretti per se stessi, è il “pensiero di gruppo” (groupthink), con la conseguente pressione verso il conformismo (J. Janis), e la “cultura aziendale” più in generale a favorire decisamente i comportamenti distruttivi sui team.

Una leadership deve pertanto possedere le seguenti caratteristiche (Sir Peter de la Biliere):

–         Evitare di soffocare l’innovazione, generare conflitti e creare sudditanza (culto della personalità) per propria inadeguatezza;

–         Delegare, motivando ed ascoltando;

–         Avere chiari gli obiettivi, in modo tale da creare un processo dinamico basato sulla vision condivisa e la conseguente fiducia;

–         Capire la realtà attuale, senza confonderla con i propri desideri;

–       Fornire l’esempio per la squadra, trattando gli altri come si vorrebbe essere trattati;

–         Adattare il proprio stile di leadership alle esigenze della squadra.

Come può ben vedersi sono caratteristiche complesse che dovranno essere esercitate e professionalizzate senza improvvisazioni, considerando le personalità individuali profonde.

 

Stili di direzione

La dottrina elenca vari stili di direzione adatti alle varie tipologie di funzione, ne possiamo elencare ai nostri fini tre:

–         Burocratico – distaccato e preoccupato degli aspetti normativi e regolamentari, scarsamente coinvolto emotivamente nell’attività che svolge, adatto ad organizzazioni che agiscono in ambiente stabile e con funzioni ripetitive, es. attività amministrativa e contabile;

–         Collaborativo – preoccupato degli aspetti comunicativi e dei rapporti con i collaboratori, teso a coinvolgere gli stessi mediante deleghe, adatto ad organizzazioni che agiscono in ambienti instabili in cui necessitano decisioni adattive continue ai vari livelli, es. staff di studio o progettazione;

–         Partecipativo – mantenendo la propria centralità partecipa ai problemi operativi dei collaboratori, interessandosi delle difficoltà incontrate nell’attuazione delle direttive e nelle attività quotidiane, es. settore vendita e marketing.

Se questo da un punto di vista teorico nella pratica gli stili di direzione non sono così rigidamente distinti, dovendosi alternare nello stesso soggetto con ampie sfumature da uno all’altro, infatti il manager deve essere una persona capace di comprendere con intelligenza e affrontare con coraggio le contropartite, i costi e gli effetti circolari di qualsiasi attività.

Occorre evitare sia la catatonia stuporosa ossia esitare senza decidere e sia la catatonia agitata decidere senza esitare, ossia necessita valutare la complessità del problema non riducendo tutto a valori equiparabili solo economicamente quello che è fondamentale  la capacità di immaginare scenari impensati attraverso un dialogo creativo con gli Altri, si tratta quindi di passare da una visione deterministica ad una probabilistica, in altre parole evitare di passare da un manager esclusivamente pianificatore con piani quinquennali a un manager pompiere che corre solo dietro alle urgenze impreviste.

Se da una parte si deve evitare la nostalgia di come si lavorava bene una volta, non per questo si dovrà finire travolti dall’ansia della gestione della complessità senza comprenderla, la complessità se da una parte smonta la tipologia del manager tutto d’un pezzo, orgoglioso, sempre coerente fino alla morte professionale, chiuso nel suo bunker ufficio assediato dai problemi, dall’altra deve evitare il manager ondivago che non avendo propri scenari da perseguire insegue le mode e le idee degli altri, senza formarsene proprie.

Questa insicurezza determinata dall’instabilità può indurre ad una riduzione dell’attività al puro intervento a supporto di meccanismi e relazioni ben visibili e tangibili fino a  diventare un puro esecutore di decisioni altrui, ma può anche indurre ad una propria sovrastima che induce il manager alla supposizione di una propria capacità taumaturgica sui problemi aziendali, magari fornito di eccellenti doti velocistiche.

Abbiamo già detto che di fronte alla complessità ci si può rifugiare sulla tangibilità delle relazioni interne, operando esclusivamente sulla base di una conoscenza perfetta del sistema quale fosse una macchina, sognando modelli matematici antiansiogeni e puntando esclusivamente sulla tecnologia, ma perdendo di vista l’uomo e il suo capitale intellettuale ed emozionale con conseguenze spiacevoli da un punto di vista funzionale.

La stessa attività lavorativa può ridursi ad una auto schiavizzazione se non viene dato spazio ai rapporti creativi e alla capacità di delegare, nella delega occorre distinguere tra obiettivi, cosa si vuol ottenere, e mezzi, come si può realizzare.

Bisogna essere coscienti che in qualsiasi organizzazione è fondamentale indicare gli obiettivi con estrema precisione, ma non è altrettanto sempre opportuno indicare i mezzi per raggiungere tali obiettivi, una volta indicata la meta non è vincente limitare il margine di manovra dei collaboratori riducendoli a meri esecutori, il come deve essere delegato nel limite del possibile, questo comporta la liberazione di energie e pensieri inaspettati, naturalmente maggiore è la delega maggiore dovrà essere la qualità del capitale umano in una catena di obiettivi – mezzi.

Lavorare per team

Solitamente vi è una notevole distanza tra dichiarazione di principio e pratiche gestionali ricorrenti, non dobbiamo pertanto limitarci alla pura analisi di clima sulla qualità dell’ambiente di lavoro, ma dobbiamo riuscire a rappresentare il rapporto tra fattori organizzativi, variabili psicologiche e comportamenti organizzativi che ne derivano.

Le consulenze esterne non sempre portano ad un’analisi profonda del contesto, ma in molti casi si limitano a proporre schemi e interventi standard, d’altronde vi è una tendenza dei responsabili del personale a giustificare il proprio ruolo più che  affrontare i problemi, per giunta aggrovigliati e resi pericolosi dalla presenza di necessità ultronee alla pura organizzazione, né il top management molte volte orientato al breve periodo se ne interessa più di tanto.

La motivazione profonda ha più a che fare con l’identificazione che con le tecniche di persuasione e di leadership, dobbiamo considerare che gli individui non decidono solo sulla base dell’utilità attesa associata alle varie alternative disponibili, ma anche sulla base della propria identità in rapporto all’identificazione con l’organizzazione.

Attualmente vi è un aumento di domanda di identità da parte delle persone che riflettono nel lavoro la ricerca di qualcosa di superiore rispetto al puro incentivo economico, in particolare nelle maggiori professionalità, diventa più difficile controllare i comportamenti sulla base della standardizzazione dei processi e la definizione dei compiti secondo un modello tayloristico, dove attualmente i ruoli sono interdipendenti con forme organizzative mutevoli e vi è un ampio spazio di discrezionalità nei comportamenti degli individui tale da trasformarsi in molti casi in una vera e propria autonomia difficile da regolare e incentivare in maniera analitica.

 Tanto più il contesto è flessibile e destrutturato con un grosso contenuto culturale, tanto più interviene l’identità e pertanto l’identificazione sociale nell’organizzazione mediante l’orgoglio dell’appartenenza per qualità o prodotti al momento di prendere delle decisioni.

In definitiva il vero leader è colui che crea l’identificazione e pertanto l’appartenenza all’organizzazione ben oltre i confini rigidi delle gerarchie e delle funzioni, come è ben risaputo se le persone all’inizio scelgono l’azienda alla fine è il rapporto con il capo che le induce a lasciare, le esigenze di soddisfare i bisogni primari materiali non è scindibile dai bisogni secondari e in quest’ottica l’elemento economico acquista anche la valenza di riconoscimento professionale o di equità interna in termini di compensazione per le richieste insoddisfatte.

Appare pertanto fondamentale evitare l’applicazione acritica di norme altrui, occorre considerare che la velocità di un’organizzazione dipende dalla performance dei più lenti e su questo occorre valutare che incentivi poco equilibrati si ripercuotono su tutta la piramide inducendo a comportamenti opportunisti e non virtuosi, di fatto un boomerang.

Lo stesso outsourcing deve essere usato con prudenza in quanto a fronte dell’abbattimento immediato dei costi deve  scontare due problematiche: evitare la perdita del core administrative con conseguente impoverimento organizzativo e non indurre ad uno svilimento del personale, la forte identificazione con l’organizzazione può costituire inoltre un ottimo antidoto a comportamenti mobbizzanti, limitando i danni per eventuali patologie latenti, quanto detto sembra in contrasto con l’introduzione di un precariato permanente al puro fine di contenere i costi, si palesa chiaramente la possibilità di un quasi certo scollamento difficilmente recuperabile mediante corsi di formazione, incentivi economici e tecniche di persuasione.

L’identificazione con l’organizzazione facilita la cooperazione la quale crea una cultura idonea al successo organizzativo, dobbiamo considerare che un eccesso di competizione non regolato e pertanto subito, ma non accettato dai membri, porta alla lunga alla non accettazione pacifica dei leader emergenti con allontanamento di una parte del personale e chiusura organizzativa all’esterno per permanenti lotte interne con conseguente diseconomia, come d’altronde è da rifuggire da una identificazione tale da scoraggiare aspetti critici ed una bassa conflittualità tale anch’essa da fare emergere nuovi punti di vista.

Dobbiamo al riguardo ricordare la lezione di Philip Selzenik in “Leadership in Administration”, laddove sottolinea la differenza tra organizzazione e istruzione, ricordando che mentre a livello organizzativo prevale una logica di pura efficienza amministrativa a livello di istituzione vi è una “missione” da perseguire con conseguente incorporazione di valori e programmi che danno alla struttura una forte identità e integrazione.

Vi sono pertanto due leadership una prevalentemente gerarchica e direttiva con funzioni di adattamento e stabilizzazione (routine leadership), l’altra essenzialmente creativa che oltre a perseguire l’efficienza dell’organizzazione lavora per trasformare in istituzione attraverso l’individuazione della missione, la difesa dei valori e la composizione dei conflitti con la creazione di un consenso interno sulla “missione” attraverso modi di agire e di pensare (creative leadership).

Sorge naturale l’osservazione che una tale leadership nasce solo da una profonda condivisione dei valori di cui lei per prima deve essere intrisa.

La necessità di procedere mediante gruppi di lavoro fa sì che vi debba essere un dibattito interno in cui possano emergere contrasti personali tali da sfociare in veri e propri tentativi di sabotaggio se non vi è una forte identificazione con l’organizzazione, pertanto un individualismo esasperato porta all’incapacità di poter operare in gruppo con forti risentimenti e conseguente frammentazione operativa.

Il lavoro di gruppo se da una parte si fonda su personalità equilibrate che traggono beneficio da uno scambio reciproco, dall’altro permette al capo di estrinsecare non l’autorità ma la competenza, le capacità e le doti morali necessarie per essere riconosciuto leader ed avere anziché dei semplici dipendenti dei preziosi collaboratori.

Da un punto di vista metodologico andrebbe analizzato lo scenario in cui agisce l’organizzazione e le linee di sviluppo possibili, la situazione interna, la storia precedente e il trend, si evidenziano quindi le aree di criticità, si organizza la raccolta dei dati e si riattivano le tecniche di stimolazione della creatività, giungendo a definire il problema e a organizzare la soluzione.

Deve comunque, sempre tenersi presente che la visione dell’organizzazione e le soluzioni possibili sono condizionate dal sistema di rappresentazioni mentali dell’attore sociale inteso come soggetto dotato di razionalità limitata, in questo la risoluzione dei problemi è da considerarsi come fonte principale di apprendimento, in quanto la creazione di nuove pratiche di lavoro viene successivamente concettualizzata sia sotto il profilo gestionale che tecnico. Un’effettiva elaborazione delle informazioni è possibile solo quando i problemi complessi sono stati semplificati, partendo per l’assunto che la capacità umana di elaborazione della conoscenza è limitata.

Particolarmente rilevanti sono i gruppi che formalmente o informalmente si costituiscono all’interno dell’azienda, essi possono essere classificati in gruppi di base, primari e secondari, di lavoro; importante è evitare il formarsi di gruppi informali con i propri leader che si contrappongono alla struttura ed ai leader formali, si deve tendere perciò a fare coincidere leader formali e informali. Più la struttura è dirigistica più facile è la formazione di gruppi informali nei quali i singoli possono ottenere protezione e conseguire qualche ruolo gratificante.

I gruppi di lavoro hanno una importanza fondamentale nella creazione della conoscenza, in quanto si ha la possibilità di condividere e comunicare quanto appreso singolarmente oltre al fatto che vi è uno scambio di informazioni al’interno del gruppo. I caratteri fondamentali del gruppo sono l’interazione, ciascuno dei membri del gruppo stimola gli altri e ne risponde ossia vi è un sistema di individui interagenti (Homans), l’interdipendenza, vi è una totalità dinamica per cui il cambiamento di un solo elemento modifica gli altri (Levin), la percezione, la coscienza di essere un gruppo e di agire in modo unitario verso l’ambiente (Smith), la motivazione, un insieme che soddisfa anche bisogni individuali (Bass).

Affinché il gruppo possa essere fonte di conoscenza occorre preliminarmente costruire la fiducia reciproca tra i componenti e l’unica maniera per costruire tale fiducia consiste nel condividere le esperienze di ciascuno, che costituiscono la fonte primaria della conoscenza implicita.

Il lavoro di gruppo deve sviluppare:

–         L’integrazione degli obiettivi del gruppo e dell’organizzazione;

–         La gestione delle differenti competenze.

Elemento chiave nel gruppo è comunque sempre la comunicazione che deve garantire lo scambio di informazioni ed il clima aziendale, infatti le persone che operano nel gruppo devono sapere quando immettere, ricevere ed utilizzare le informazioni, inoltre il gruppo non dovrà avere superspecialisti ma solo esperti generici questo per evitare la frantumazione dello stesso e permettere di responsabilizzare il personale con il decentramento di ampi poteri decisionali, si deve evitare al contempo che si crei un conformismo di gruppo appiattito sulle personalità forti, di fatto annichilendo la creatività.

 

Conclusioni

Mentre nelle grandi e medie dimensioni si manifestano problemi manageriali tipici dei fattori quantitativi (collaboratori, numero di prodotti e di unità produttive, dispersione sul territorio) con soluzioni standardizzate, nelle dimensioni minori le soluzioni dovranno essere valutate volta per volta si che possono affiancarsi a soluzioni organizzative elementari soluzioni più complesse quali risposte alla complessità contingente, non vi è, pertanto, alcun rapporto diretto tra semplicità organizzativa e dimensioni dell’impresa.

Anche l’innovazione non è patrimonio esclusivo delle grandi organizzazioni aziendali e di costosi progetti di ricerca prolungati nel tempo, ma può essere patrimonio anche di realtà minori che sappiano apprendere per osmosi dell’ambiente circostante mediante incontri casuali, scambi di informazioni non programmati, visite di routine, osservazioni ambientali o altre circostanze anche del tutto fortuite.

L’innovazione si concretizzerà in miglioramenti qualitativi del prodotto e in politiche di marchio che, nel modificare nominalmente la combinazione strategica aziendale, ne propongano una visione originale, si dovrà tuttavia evitare una perenne agitazione alla ricerca del nuovo che allontanando collaboratori fidati sfaldi la continuità dell’impresa e un suo consolidamento, in altre parole si dovrà evitare l’innovazione fine a se stessa e non rientrante in una visione strategica tesa a soddisfare la richiesta di produzioni complesse fondate su variabilità, personalizzazione e creatività.

 

(Master in Management consulting, FOR.COM – ROMA)

 

 

Bibliografia

 

–         AA.VV., L’azienda globale, Baroli ed., 2006;

–         F. Nuti, La Valutazione economica delle decisioni pubbliche, Giappichelli, 2001;

–         A. L. Tosi – M. Pilati, Il Comportamento organizzativo, Egea 2008.

 

Rielaborazione di un ciclo di seminari dell’autore su qualità, sicurezza e sviluppo organizzativo

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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