Art. 495 cod. proc. pen: interventi riforma Cartabia

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La riforma Cartabia è intervenuta su molte disposizioni legislative concernenti l’istruzione dibattimentale.
Orbene, tra queste, vi è anche l’art. 495 cod. proc. pen. che, come è noto, disciplina i provvedimenti del giudice in ordine alla prova.
Scopo del presente scritto, dunque, è quello di vedere come siffatta disposizione legislativa è stata modificata dal d.lgs. n. 150/2022.

Indice

Il “nuovo” comma 4-ter


L’art. 30, co. 1, lett. f), d.lgs., 10/10/2022, n. 150 stabilisce quanto segue: “all’articolo 495, dopo il comma 4-bis, è aggiunto il seguente: «4-ter. Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze.»;”.
Tale nuovo comma, quindi, prevede che, “in caso di mutamento di almeno uno dei componenti del collegio (e, quindi, in caso di rito monocratico, dell’unico giudice), a richiesta della parte che vi ha interesse, debba sempre essere disposta la riassunzione della prova dichiarativa già assunta” (così:la relazione illustrativa).
Si esclude però “la necessità di tale rinnovazione laddove “il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva” (C.S.M., Sesta Commissione, Parere del 21/09/2022, p. 44), fermo restando che “la novella prevede che il giudice possa comunque (“in ogni caso”) disporre la rinnovazione allorquando “la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze”” (C.S.M., Sesta Commissione, op. cit., p. 44), venendo in tal modo “estesa – ma non invece generalizzata, come nella proposta di riforma Bonafede del 2013 – la portata di un filtro valutativo che già era previsto dall’art. 190-bis cod. proc. pen. ma limitatamente a peculiari ipotesi di reato, al fine di scongiurare l’”usura” della fonte dichiarativa ed i rischi di intimidazione correlati, appunto, alla sua nuova escussione” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, Rel. n. 2/2013 del 5 gennaio del 2023, p. 129).
Orbene, come rilevato dall’Ufficio del Massimario della Cassazione, il “dato che connota la riscrittura dell’art. 495 cod. proc. pen. è, dunque, la discontinuità con gli approdi nomofilattici delle Sez. U n. 41736 del 30/05/2019 (…) le quali, dirimendo contrasti vecchi e nuovi stratificatisi nella giurisprudenza di legittimità su come dovessero essere declinate le garanzie difensive rispetto al principio di immutabilità, e sulla possibilità di recuperare il già fatto attraverso il meccanismo delle letture ex art. 511 cod. proc. pen., avevano dato un assetto compiuto, sul piano ermeneutico, alle questioni che da sempre si agitavano sul tema” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 129).
In particolare, secondo questo Ufficio, a fronte del quadro ermeneutico delineato in questa pronuncia, “la disciplina riformata condivide l’idea di fondo per cui la partecipazione alla fase di ‘gestazione’ processuale della prova protegge la qualità dell’accertamento, in termini di affidabilità; e ciò perché il contatto diretto con la fonte dichiarativa meglio garantisce “l’autenticità del giudizio inteso nel significato proprio del termine, ossia di decisione, la quale impegna un’attività percettiva ed un atteggiamento valutativo, condizionato anche da un aspetto intuitivo-emozionale, i quali interagiscono tra loro, in una trama di relazioni e implicazioni tra giudizi di conoscenza e giudizi di valore; e, tuttavia, recepisce anche un’altra importante indicazione di metodo proveniente dalla Consulta che, con la sentenza n. 132 del 2019, cit., ha auspicato l’adozione di moduli legislativi di efficientamento del sistema processuale, invitando a “ripensare” i principi di immediatezza–oralità, i quali non sono congeniali ad un modello dibattimentale non concentrato, bensì diluito nel tempo; e ha evidenziato come l’allungamento dei tempi processuali abbia finito col rendere il principio di immediatezza un “mero simulacro” svuotato di senso ed abbia imposto di ricercare rimedi strutturali includenti “ragionevoli deroghe” proprio alla necessaria identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide, nella consapevolezza che il diritto al riascolto delle fonti di prova è suscettibile di modulazione (in linea con quanto la stessa Corte aveva affermato nella ordinanza n. 205 del 2010, cit.)” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131) e di “qui l’incentivo a valorizzare “meccanismi compensativi” – come appunto la fonoregistrazione, strumento le cui potenzialità si apprezzano nei dibattimenti più articolati, in cui la reiterazione dell’ascolto raramente è in grado di produrre un beneficio addizionale, quando intervenga in un momento così lontano dai fatti da rendere i ricordi del dichiarante assai meno vividi rispetto al momento in cui aveva in precedenza deposto” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131) e “ciò a condizione che persista la possibilità per il giudice (assicurata dall’art. 507 cod. proc. pen.) di disporre, su istanza di parte o d’ufficio, la riconvocazione del testimone avanti a sé per la richiesta di ulteriori chiarimenti o l’indicazione di nuovi temi di prova, ai sensi dell’art. 506 cod. proc. pen.” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131).
Per l’Ufficio del Massimario, pertanto, la disposizione modificata coglie “il monito indirizzato dal Giudice delle leggi e se ne fa carico” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131), “proponendo una soluzione che supera la rigidità” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131) delle Sezioni unite, nella decisione succitata, “senza rinnegare l’ispirazione efficientista della “riforma Cartabia”: una soluzione che individua nella videoregistrazione il contrappeso idoneo a bilanciare il deficit di immediatezza” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131).
Invece, sempre a detta dell’Ufficio del Massimario, l’“aspetto differenziale sta tuttavia nel fatto che, ove la videoregistrazione non sia possibile, la lesione dei principi di oralità-immediatezza parrebbe essere in re ipsa e il diritto alla riassunzione della prova non dovrebbe richiedere alcun requisito ulteriore, né la dimostrazione di peculiari esigenze; né sembra essere richiesto, alla stregua della mutata disciplina, alcun vaglio di rilevanza o utilità della rinnovazione, nel senso proposto dalla sentenza” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 131) n. 41736 del 30/05/2019.
Non resta dunque che “verificare come si orienterà la prassi giurisprudenziale e se vi siano ancora margini interpretativi per ritenere che, in una tale evenienza, un vaglio giudiziale sia pur sempre necessario e che la parte abbia l’onere di dimostrare di avere alla rinnovazione un effettivo “interesse”; se insomma, sia possibile non disperdere le indicazioni anche operative elaborate dal massimo organo di nomofilachia su come la rinnovazione debba avvenire, alla luce della acquisita consapevolezza che il diritto al contraddittorio può avere differenti declinazioni e che “solide garanzie procedurali” ben possono bilanciare l’impossibilità di riascolto della fonte dichiarativa”” (Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione Rel., op. cit., p. 132).

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