Applicazione dell’articolo 7 della Legge 241/90: in caso di procedura espropriativi vige l’obbligo di comunicare alle parti private l’avvio del procedimento.? Qual è stata la portata innovativa dell’entrata in vigore dell’art.. 7 della legge 7 agosto 199

Lazzini Sonia 07/02/08
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Poiché il procedimento è iniziato con l’approvazione di un progetto, avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 241/90, che ha introdotto l’obbligo di comunicare l’avvio di ogni procedimento amministrativo (art. 7) ( obbligo che non si potrebbe applicare ad una procedura già in corso), il principio tempus regit actum può essere invocato solo per gli atti antecedenti l’entrata in vigore della menzionata disposizione, mentre per ogni atto successivo lo stesso principio impone l’applicazione delle regole vigenti e, tra queste, dell’art. 7 della legge n. 241/90: solo quando vi è un meccanismo equivalente a quello previsto dagli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, non vi è necessità di ricorrere alla formale comunicazione di avvio del procedimento; la comunicazione di avvio del procedimento deve avvenire non al momento dell’adozione del decreto di occupazione di urgenza, ma in relazione ai precedenti atti di approvazione del progetto e di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera e che quando ciò non avviene, anche il decreto di occupazione di urgenza è viziato per illegittimità derivata, essendo necessario che la partecipazione degli interessati sia garantita già nell’ambito del pregresso procedimento autorizzatorio, in cui vengono assunte le determinazioni discrezionali in ordine all’approvazione del progetto dell’opera e alla localizzazione della stessa
 
Merita di essere segnalata la particolare fattispecie, discussa nella decisione numero 6183 del 5 dicembre 2007 emessa dal Consiglio di Stato, nella quale:
 
<In fatto, si rileva, inoltre, che dopo l’approvazione del progetto avvenuta nel 1986 vi è stata una lunga stasi del procedimento, che ha poi avuto nuovo impulso con gli atti istruttori del 1996 e con la nuova approvazione del progetto esecutivo (decreto 11 marzo 1997) e con la dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità dell’opera (decreto 5 agosto 1997).
 
E’, quindi, evidente come la procedura espropriativa, o quanto meno gli atti principali della stessa si siano svolti nella vigenza della legge n. 241/90, che doveva essere applicata a tali atti>
 
Ma ancor più importante è la seguente citazione:
 
< L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di valorizzare la portata innovativa dell’entrata in vigore dell’art.. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241; norma che ha innestato nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire. (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14).>
 
ma non solo
 
< la valorizzazione del principio della partecipazione del privato al procedimento amministrativo non consente che il suddetto principio possa venire eluso a seconda delle modalità con cui il procedimento viene condotto.
 
Anche nei casi, in cui alcune fasi vengono sostituite da diversi modelli di procedimento o di adozione delle decisioni (accordi di programma, conferenza di servizi), è onere delle amministrazioni procedenti di individuare tempi e modi per consentire la partecipazione del privato.
 
Ciò poteva anche avvenire prima della conclusione della conferenza di servizi, in quanto la mancata previsione delle modalità di partecipazione del privato nella menzionata norma speciale non esclude che tale partecipazione possa essere consentita già nel corso della conferenza di servizi.>
 
Ed infine:
 
< secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, anche in relazione al procedimento di proroga dei termini per l’espropriazione deve essere consentita la partecipazione degli eventuali interessati, potendo l’atto di proroga influire su diversi aspetti, tra cui quello del momento del pagamento dell’indennità>
 
a cura di Sonia LAzzini
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.6183/07
Reg.Dec.
N. 8008 Reg.Ric.
ANNO   2004
Disp.vo 484/2007
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8008/2004,proposto da FERROVIE NORD MILANO ESERCIZIO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ezio Antonini e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto in Roma viale Giulio Cesare n.14,presso lo studio del secondo;
contro
PREFETTURA DI MILANO, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, REGIONE LOMBARDIA, A.N.A.S.-AZIENDA AUTONOMA DELLE STRADE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituiti;
ALFA LUCIANO, ALFA BIS EGIDIO, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Annarosa Corselli e Carlo Luigi Scrosati con domicilio eletto in Roma Lungotevere Flaminio 46 pal. IV, presso il dott. Gian Marco Grez;
SOC. ALFA & ALFA BIS & C. S.A.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Annarosa Corselli e Carlo Luigi Scrosati con domicilio eletto in Roma Lungotevere Flaminio 46 pal. IV, presso il dott. Gian Marco Grez;
COMUNE DI MAGNAGO, non costituitosi;
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 16-10-2007 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
Uditi l’avv. Antonini, l’avv. Marone per delega dell’avv. Scrosati e l’avv. dello Stato Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O    E    D I R I T T O
1. Con l’impugnata sentenza il Tar per la Lombardia ha accolto il ricorso proposto da ALFA Luciano e ALFA & ALFA BIS & C. s.a.s. avverso gli atti della procedura espropriativa e di occupazione di urgenza, che aveva avuto ad oggetto alcuni beni immobili di proprietà dei ricorrenti siti nel comune di Magnano.
Il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente il vizio della violazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della legge n. 241/90.
Le Ferrovie Nord Milano Esercizio s.p.a. hanno proposto ricorso in appello avverso tale decisione, deducendo, sotto vari profili, l’inapplicabilità alla procedura in questione del citato art. 7 della legge n. 241/90.
ALFA Luciano, ALFA BIS Egidio e ALFA & ALFA BIS & C. s.a.s. si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione dell’appello e proponendo ricorso in appello incidentale.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. La società appellante contesta l’applicabilità alla procedura espropriativa in questione dell’obbligo di comunicare alle parti private l’avvio del procedimento.
Viene in primo luogo dedotto che il procedimento è iniziato con l’approvazione del progetto, avvenuta con decreto 13 settembre 1986, prima dell’entrata in vigore della legge n. 241/90, che ha introdotto l’obbligo di comunicare l’avvio di ogni procedimento amministrativo (art. 7); obbligo che non si potrebbe applicare ad una procedura già in corso.
Il motivo è fondato in relazione ai soli atti adottati prima dell’entrata in vigore della legge n. 241/90 e, particolare, con riguardo al citato decreto del 13.9.1986.
Infatti, il principio tempus regit actum può essere invocato solo per gli atti antecedenti l’entrata in vigore della menzionata disposizione, mentre per ogni atto successivo lo stesso principio impone l’applicazione delle regole vigenti e, tra queste, dell’art. 7 della legge n. 241/90.
Del resto, la stessa società appellante con i successivi motivi di ricorso ha invocato l’applicabilità dell’art. 7 della legge n. 385/1990; norma in base alla quale è stata effettivamente svolta la procedura espropriativa.
Essendo la legge n. 385/1990 successiva alla legge n. 241/90, non si comprende la ragione perché il mero dato dell’inizio della procedura espropriativa nel 1986 consentirebbe di non applicare la legge n. 241/90, mentre consentirebbe di far applicazione di una legge successiva.
In fatto, si rileva, inoltre, che dopo l’approvazione del progetto avvenuta nel 1986 vi è stata una lunga stasi del procedimento, che ha poi avuto nuovo impulso con gli atti istruttori del 1996 e con la nuova approvazione del progetto esecutivo (decreto 11 marzo 1997) e con la dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità dell’opera (decreto 5 agosto 1997).
E’, quindi, evidente come la procedura espropriativa, o quanto meno gli atti principali della stessa si siano svolti nella vigenza della legge n. 241/90, che doveva essere applicata a tali atti.
La censura è quindi fondata limitatamente al decreto del 13 settembre 1986, che figura tra gli atti impugnati in primo grado ed è compreso nella generica formula di annullamento degli atti impugnati, presente nel dispositivo dell’impugnata sentenza.
Tra gli altri atti impugnati non risultano altri provvedimenti antecedenti all’entrata in vigore della legge n. 241/90 (l’indicazione nell’impugnata sentenza della nota dell’11 marzo 1987 deve ritenersi un errore in quanto in alcuna parte del ricorso di primo grado è citata tale nota, mentre è stata impugnata la nota dell’11 marzo 1997).
3. L’appellante ha contestato l’applicabilità del citato art. 7 della legge n. 241/90 anche sotto il profilo dello svolgimento della procedura ai sensi di una norma speciale (art. 7 della legge n. 385/90), che prevede lo svolgimento di una conferenza di servizi e non contempla alcuna forma di partecipazione del privato al procedimento.
Il motivo è privo di fondamento.
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di valorizzare la portata innovativa dell’entrata in vigore dell’art.. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241; norma che ha innestato nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire. (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 1999, n. 14).
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 241/90 le disposizioni relative alla partecipazione del privato devono essere applicate anche con riferimento ai procedimenti, disciplinati da normative anteriori.
Come rilevato dalla stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria, citata in precedenza, la disposizione sull’avviso di procedimento ha un duplice contenuto precettivo: diretto o indiretto, come criterio orientativo, a seconda del tipo di lacuna che i singoli procedimenti presentano circa la disciplina della partecipazione.
In quel caso venne ritenuto che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità non è del tutto carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della l. n. 865/71 ne regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito atti – notifica agli espropriandi dell’avvenuto deposito – osservazioni – decisione sulle stesse.
Ciò significa che, solo quando vi è un meccanismo equivalente a quello previsto dagli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, non vi è necessità di ricorrere alla formale comunicazione di avvio del procedimento.
Tale principio vale ovviamente non solo per i procedimenti disciplinati da leggi anteriori all’entrata in vigore della legge n. 241/90, ma anche per quelli regolati da norme entrate in vigore successivamente, come è il caso dell’art. 7 della legge n. 385/1990.
Tale norma, peraltro, si limita a prevedere lo svolgimento di una conferenza di servizi, stabilendo il normale effetto della conferenza (sostituzione di atti di concerto o di intesa, di pareri, di autorizzazioni, di nulla osta, delle approvazioni e delle concessioni), senza nulla aggiungere con riferimento alla partecipazione del privato al procedimento.
Non è quindi vero che il citato art. 7 della legge n. 385/90 esclude l’applicabilità delle norme sulla partecipazione del privato al procedimento, trattandosi invece di una norma, che si limita a regolare i rapporti tra amministrazioni, consentendo il ricorso alla conferenza di servizi.
Da ciò consegue che la invocata norma speciale deroga alle ordinarie regole del procedimento espropriativo solo con riferimento alla possibilità di convocare una speciale conferenza di servizi, ma non anche sotto il profilo, non disciplinato dalla norma, della partecipazione dei privati al procedimento.
Era, quindi, onere delle amministrazioni procedenti consentire tale partecipazione prima dell’approvazione definitiva del progetto esecutivo e della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
La società appellante ha invocato un precedente giurisprudenziale (Con. Stato, IV, n. 4813/2003), riportando la seguente massima: “la l. 7 agosto 1990 n. 241, essendo legge generale "sul procedimento" e non "del procedimento", non trova applicazione per i procedimenti speciali o già disciplinati in precedenza”.
Tuttavia, la società appellante ha omesso di rappresentare che tale massima era completata dall’affermazione secondo cui la legge n. 241/90 non trova applicazione per i procedimenti speciali “laddove la specifica normativa di settore già prevede forme sufficienti di garanzie di partecipazione” (in quel caso, quelle previste dagli artt. 10 e 11 l. 22 ottobre 1971 n. 865).
Non essendo tali minime garanzie di partecipazione previste dall’art. 7 della legge n. 385/90, il precedente invocato conferma la necessità di applicare l’art. 7 della legge n. 241/90.
Non può assumere rilievo l’osservazione circa l’inutilità della partecipazione del privato successivamente allo svolgimento della conferenza di servizi; momento nel quale vengono assunte le decisioni incidenti sulla posizione del privato.
Infatti, la valorizzazione del principio della partecipazione del privato al procedimento amministrativo non consente che il suddetto principio possa venire eluso a seconda delle modalità con cui il procedimento viene condotto.
Anche nei casi, in cui alcune fasi vengono sostituite da diversi modelli di procedimento o di adozione delle decisioni (accordi di programma, conferenza di servizi), è onere delle amministrazioni procedenti di individuare tempi e modi per consentire la partecipazione del privato.
Ciò poteva anche avvenire prima della conclusione della conferenza di servizi, in quanto la mancata previsione delle modalità di partecipazione del privato nella menzionata norma speciale non esclude che tale partecipazione possa essere consentita già nel corso della conferenza di servizi.
Quando ciò non avviene, l’amministrazione è comunque tenuta a consentire la partecipazione dei privati prima dei provvedimenti di approvazione definitiva del progetto esecutivo e di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera e non può limitarsi, come avvenuto nel caso di specie, a portare i privati interessati a conoscenza del procedimento solo nel momento dell’occupazione dei loro fondi.
E’ pacifico in giurisprudenza che la comunicazione di avvio del procedimento debba avvenire non al momento dell’adozione del decreto di occupazione di urgenza, ma in relazione ai precedenti atti di approvazione del progetto e di dichiarazione della pubblica utilità dell’opera e che quando ciò non avviene, anche il decreto di occupazione di urgenza è viziato per illegittimità derivata, essendo necessario che la partecipazione degli interessati sia garantita già nell’ambito del pregresso procedimento autorizzatorio, in cui vengono assunte le determinazioni discrezionali in ordine all’approvazione del progetto dell’opera e alla localizzazione della stessa (Cons. Stato, IV, n. 5723/2001; VI, n. 4307/2006).
Infine, si osserva che non possono assumere rilevanza i fatti successivi alla proposizione del ricorso di primo grado, che secondo l’appellante dimostrerebbero che successivamente all’adozione degli atti impugnati le parti private interessate avrebbero accettato modifiche alla realizzazione dell’opera.
Infatti, si tratta di fatti contestati dalle parti appellate (v. memoria dd. 8.10.2007, in cui gli appellati hanno anche dichiarato di non accettare il contraddittorio sul punto), privi di idonea prova, non emergendo dai documenti n. 13 e 14 prodotti dall’appellante che i ricorrenti abbiano effettivamente accettato le modifiche e che tale accettazione abbia comportato una rinuncia alle azioni giudiziali già intraprese.
Peraltro, tale circostanza avrebbe comunque dovuto essere oggetto di specifica censura nel ricorso in appello, che invece non contiene alcun espresso motivo sulla questione.
In definitiva, non essendo stata consentita la partecipazione dei privati al procedimento, correttamente il giudice di primo grado ha annullato gli atti della procedura per la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90.
L’infondatezza della censura proposta in appello comporta che non deve essere esaminato il motivo dell’appello incidentale, relativo all’inapplicabilità dell’art. 7 della legge n. 385/90, per la dedotta cessazione di efficacia della norma, (originariamente prevista fino al 31 dicembre 1992, e poi prorogata fino al 1996).
4. E’ infondata anche l’ulteriore censura, secondo cui l’applicabilità dell’art. 7 della legge n. 241/90 andrebbe comunque esclusa con riferimento al procedimento di proroga dei termini della procedura espropriativa.
Si osserva che il travolgimento degli atti iniziali della procedura, adottati nel corso del 1997, non può che travolgere anche gli atti successivi e che la censura poteva avere una autonoma rilevanza (anche sotto il profilo dell’interesse del privato a dedurla) solo nel caso di rispetto della garanzia partecipative prima dell’approvazione del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e di successiva omissione della fase partecipativa solo con riferimento alla proroga dei termini.
Si aggiunge che, peraltro, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, anche in relazione al procedimento di proroga dei termini per l’espropriazione deve essere consentita la partecipazione degli eventuali interessati, potendo l’atto di proroga influire su diversi aspetti, tra cui quello del momento del pagamento dell’indennità (Cons. Stato, VI, n. 5443/2002; n. 1768/2003; VI, n. 6192/2006).
5. E’ infine priva di fondamento l’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti, proposti in primo grado avverso il provvedimento di proroga dei termini della procedura espropriativa, per la dedotta tardività del deposito dei motivi aggiunti, derivante dal dimezzamento del termine trattandosi di controversia rientrante tra quelle di cui all’art. 23–bis della L. Tar.
Secondo la giurisprudenza prevalente, i motivi aggiunti non devono essere depositati nel termine previsto per il deposito del ricorso introduttivo, essendo il rapporto processuale già sorto ed essendo l’onere del contraddittorio assolto con la sola notificazione dei motivi aggiunti (Cons. Stato, VI, n. 979/92; IV, n. 1985/2002).
Peraltro, anche volendo seguire un diverso orientamento, il cambio di giurisprudenza avrebbe imposto la concessione dell’errore scusabile.
6. L’infondatezza delle principali censure proposte con l’appello principale e il limitato accoglimento dello stesso con riferimento al decreto del 13 settembre 1986 rende non necessario l’esame dei motivi assorbiti in primo grado e riproposti dalle parti appellate e delle censure oggetto del ricorso in appello incidentale.
Infatti, detti motivi riguardavano solo gli atti successivi al 1990 e nessuno degli stessi concerneva l’atto del 13 settembre 1986, il cui annullamento è stato escluso in sede di appello.
Va che aggiunto che non deve essere esaminata la questione dell’eventuale applicabilità dell’art. 21-octies, comma II, seconda parte, della legge n. 241/90, che prevede che, anche in caso di l’attività discrezionale della p.a., il provvedimento non sia annullabile per la mancata comunicazione di avvio del procedimento “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
L’appellante non ha invocato l’applicazione di tale norma e, comunque, non ha assolto l’onere probatorio della dimostrazione che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato anche in caso di partecipazione del privato al procedimento.
Anzi, i ricorrenti in primo grado, senza essere contraddetti sul punto, hanno prodotto una relazione tecnica a supporto dell’asserito pregiudizio subito a seguito delle scelte adottate nella procedura espropriativa.
7. In conclusione, l’appello deve essere accolto limitatamente al decreto del 13.9.1986 e, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado proposto avverso tale decreto.
Il ricorso in appello deve, invece, essere respinto nel resto, con la conseguente conferma dell’annullamento di tutti gli altri atti della procedura espropriativa, impugnati in primo grado e con la conseguente declaratoria di improcedibilità, per carenza di interesse, del ricorso in appello incidentale.
Tenuto conto della parziale reciproca soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte il ricorso in appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado proposto avverso il decreto ministeriale del 13.9.1986.
Respinge nel resto il ricorso in appello.
Dichiara improcedibile il ricorso in appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 16-10-2007 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Gaetano Trotta                                                          Presidente
Carmine Volpe                                                          Consigliere
Giuseppe Romeo                                                       Consigliere
Luciano Barra Caracciolo                                          Consigliere
Roberto Chieppa                                                       Consigliere Est.
 
Presidente
Gaetano Trotta
Consigliere                                                                           Segretario
Roberto Chieppa                                                                Glauco Simonini
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 5/12/2007
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
 
 
 
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa
 
al Ministero………………………………………………………………………………….
 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
 
                                                                                              Il Direttore della Segreteria
 

Lazzini Sonia

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