L’applicazione dei contratti collettivi nei contesti aziendali multisettoriali

Analisi della Cassazione sull’applicazione coerente dei CCNL nelle imprese multisettoriali, tra art. 36 Cost., criteri associativi e tutela retributiva.

Matteo Pace 18/11/25
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A cura di Matteo Pace, avvocato DLA Piper
Il tema dell’applicazione del contratto collettivo di lavoro nei casi in cui un’impresa svolga più attività economiche e sia affiliata a diverse associazioni datoriali stipulanti contratti differenti, rappresenta un tema complesso che vede coinvolti diversi profili giuslavoristici.
In particolare, la questione tocca direttamente il principio di certezza nella disciplina del rapporto di lavoro, la tutela della parità di trattamento e, non da ultimo, l’effettività del precetto costituzionale dell’art. 36 Cost. sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
L’ordinanza n. 27719 del 17.10.2025 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, contiene un importante chiarimento, riaffermando – in coerenza con l’orientamento delle Sezioni Unite n. 2665/1997 – che il datore di lavoro non può applicare arbitrariamente un contratto collettivo di settore non coerente con l’attività effettivamente svolta dai lavoratori, pur se iscritto a più organizzazioni datoriali.
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Corte di Cassazione -sez. L- ordinanza n. 27719 del 17-10-2025

SENTENZA-Cass.-Sez.-Lav.-17.10.2025-n.-27719.pdf 200 KB

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Indice

1. Il caso concreto e le decisioni di merito


La vicenda trae origine dal contenzioso tra alcuni dipendenti e una società multiservizi operante nei settori gas-acqua e ambiente, iscritta contemporaneamente alle associazioni datoriali firmatarie di entrambi i CCNL di riferimento (Federgas acqua e Federambiente/Utilitalia).
I ricorrenti, addetti ai servizi di igiene urbana, chiedevano l’applicazione del CCNL Federambiente, coerente con le mansioni effettivamente svolte, in luogo del CCNL Gas-Acqua, applicato sin dall’assunzione.
Il Tribunale di Vicenza e la Corte d’appello di Venezia avevano rigettato la domanda, ritenendo prevalente la libertà negoziale manifestata dalle parti all’atto dell’assunzione e nell’ambito della quale avevano concordemente individuato il contratto collettivo da applicare al rapporto di lavoro.
Secondo la Corte territoriale, l’appartenenza datoriale all’associazione firmataria del CCNL “coerente” avrebbe rilievo solo nei rapporti intersindacali, non già nei confronti dei dipendenti, e l’art. 2070 c.c. non imporrebbe l’applicazione del contratto più vicino all’attività effettiva.

2. Efficacia soggettiva e perimetrazione dell’ambito di applicazione del CCNL


Il tema centrale affrontato dalla Suprema Corte riguarda l’efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune e la corretta individuazione del CCNL applicabile all’interno di imprese multisettoriali.
Come noto, in assenza di attuazione dell’articolo 39 Costituzione, la giurisprudenza ha da tempo ricondotto la vincolatività del contratto collettivo alle regole civilistiche della rappresentanza e dell’adesione associativa.
La storica sentenza delle Sezioni Unite n. 2665 del 1997 ha infatti sancito che il contratto collettivo vincola tanto i datori di lavoro iscritti all’associazione stipulante, quanto i lavoratori aderenti al sindacato firmatario, nonché coloro che, pur non iscritti, abbiano aderito esplicitamente o implicitamente al contratto.
Ne consegue che il datore di lavoro, iscritto all’associazione che ha sottoscritto un determinato CCNL, è obbligato ad applicarlo ai rapporti di lavoro coerenti con l’attività di riferimento, salvo che vi sia un diverso titolo giuridico di adesione ad altro contratto collettivo.

3. La prevalenza del principio della coerenza tra attività svolta e contratto collettivo applicato


Con la pronuncia in esame viene ribadito che non è consentito al datore di lavoro, iscritto a più associazioni di categoria, applicare ai lavoratori un contratto collettivo difforme e meno favorevole, se non coerente con il settore di attività effettivamente svolta.
Secondo la Corte, infatti, “il datore di lavoro che svolga attività economiche diverse e sia iscritto alle associazioni datoriali stipulanti i rispettivi contratti collettivi è tenuto ad applicare nella propria azienda il contratto collettivo coerente con ciascun settore di attività”.
Questo principio di diritto, di grande rilievo sistematico, pone un limite alla libertà contrattuale datoriale, affermando la prevalenza del principio della coerenza dell’ambito oggettivo di applicazione del CCNL rispetto alla libertà negoziale, limitatamente al caso in cui il datore di lavoro, iscritto a più associazioni datoriali, si trovi nella possibilità di “scegliere” quale contratto collettivo applicare.
Sul punto, la pronuncia in esame chiarisce espressamente il rapporto tra la libertà di scelta del contratto collettivo (espressione dell’autonomia privata ex art. 39 Cost.) e il vincolo derivante dall’iscrizione all’associazione stipulante.
La Corte, infatti, afferma che l’affiliazione volontaria ad un’associazione datoriale comporta l’assunzione di un obbligo di applicare il contratto collettivo da essa stipulato, nell’ambito della categoria economica corrispondente.
Pertanto, se un’impresa è iscritta all’associazione firmataria del CCNL “Ambiente”, non può legittimamente applicare ai lavoratori del settore rifiuti il contratto “Gas-Acqua”, destinato ad attività diverse e potenzialmente meno favorevoli.
La volontà individuale manifestata nel contratto di lavoro non può derogare in peius a tale vincolo collettivo, poiché ciò determinerebbe una disapplicazione di fatto del sistema di contrattazione collettiva, svuotandone la funzione unificante e protettiva.
In altre parole, secondo la Cassazione il principio volontaristico non può tradursi in un potere discrezionale del datore di “scegliere” il CCNL più conveniente, pena la violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, proporzionalità retributiva e coerenza contrattuale.

4. La funzione correttiva dell’art. 36 Cost. e il parametro di proporzionalità retributiva


La Cassazione, con l’ordinanza in commento, conferma e ribadisce con forza il ruolo dell’art. 36 Cost. come parametro di controllo giudiziale sulla congruità della retribuzione e, indirettamente, sulla correttezza della scelta del CCNL applicabile.
Sul punto, infatti, la Suprema Corte richiama la propria pronuncia n. 27711/2023, con cui ribadiva come il giudice debba verificare, anche ex officio, la conformità della retribuzione ai criteri di proporzionalità e sufficienza, potendo utilizzare come parametro anche contratti collettivi di settori affini e ciò sul presupposto che l’applicazione ai lavoratori di un contratto collettivo “innaturale”, inteso come non coerente con l’attività da loro svolta, rischia di determinare un trattamento economico inidoneo siccome lesivo dell’art. 36 Cost.
Tali considerazioni, a ben vedere, erano già state poste in luce dalla Corte Costituzionale (n. 103/1989) che aveva affermato come il principio di pari dignità del lavoratore (art. 41 Cost.) imponga di evitare differenziazioni di trattamento arbitrarie e non giustificate.
La Cassazione fa propri questi principi, osservando che la disparità di inquadramento e di trattamento retributivo all’interno della stessa impresa, a parità di attività, integra una violazione costituzionale e non può essere giustificata da mere scelte organizzative del datore di lavoro.

5. La residua operatività dell’art. 2070 c.c. e il criterio merceologico nei casi di pluralità di attività


Da ultimo, appare utile segnalare come la pronuncia della Cassazione riafferma il rilievo dell’art. 2070 c.c., disposizione spesso ritenuta superata.
Secondo la Corte, infatti, il criterio dell’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore conserva rilevanza nei casi in cui l’impresa svolga più attività economiche e sia iscritta alle rispettive associazioni di categoria.
In tali ipotesi, l’art. 2070 c.c. impone di selezionare il contratto collettivo coerente con il settore di appartenenza dei lavoratori, evitando applicazioni arbitrarie di CCNL non pertinenti.
Questa interpretazione “costituzionalmente orientata” consente di conciliare l’autonomia collettiva con la certezza giuridica e garantisce la funzione selettiva dell’inquadramento contrattuale rispetto alla tipologia di attività esercitata.
La Corte afferma espressamente che il criterio merceologico sopravvive proprio in tali contesti di pluralità di attività e di affiliazioni associative, costituendo uno strumento utile per prevenire disuguaglianze e garantire uniformità retributiva intra-aziendale.

6. Considerazioni sistemiche: unità del trattamento e limiti dell’autonomia individuale


L’ordinanza in commento conferma e rafforza un indirizzo volto a preservare la coerenza interna del sistema contrattuale collettivo e la tutela sostanziale del lavoratore, individuando tre punti sistemici di rilievo:

  • vincolatività dell’iscrizione datoriale – l’affiliazione all’associazione stipulante costituisce una manifestazione di volontà negoziale che obbliga il datore ad applicare il CCNL corrispondente all’attività esercitata;
  • uniformità di trattamento – l’applicazione di fatto di un CCNL all’interno dell’impresa produce efficacia generalizzata, vincolando il datore verso tutti i lavoratori addetti alle medesime mansioni;
  • inderogabilità in peius – la stipula individuale non può introdurre trattamenti peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo di settore coerente.

In tal modo, la Cassazione riafferma la funzione ordinante e protettiva del contratto collettivo, quale fonte di equilibrio tra libertà d’impresa e tutela del lavoro, anche in un quadro privo di efficacia erga omnes, mostrandosi insintonia con le recenti evoluzioni europee (Direttiva 2022/2041/UE sui salari minimi adeguati e Direttiva 2023/970/UE sulla parità retributiva), che valorizzano la trasparenza e la coerenza dei trattamenti economici come strumenti di giustizia contrattuale e parità sostanziale.

7. Conclusioni e prospettive applicative


L’ordinanza n. 27719/2025 offre un importante momento di riordino sistematico nella complessa materia dell’applicazione dei contratti collettivi in presenza di imprese multisettoriali ribadendo che:

  • la libertà contrattuale datoriale non è illimitata, ma deve esercitarsi entro i confini tracciati dai principi di coerenza, uguaglianza e proporzionalità retributiva;
  • l’affiliazione associativa e la coerenza tra attività e CCNL costituiscono elementi determinanti per individuare il contratto collettivo applicabile;
  • la disparità di trattamento retributivo e normativo tra lavoratori addetti alle stesse mansioni, fondata solo su differenti scelte contrattuali, è incompatibile con l’art. 36 Cost. e con l’art. 41 Cost. interpretato alla luce della dignità del lavoratore.

Dal punto di vista operativo, la pronuncia impone alle imprese di verificare attentamente la corrispondenza tra settore di attività e CCNL applicato, sia in sede di assunzione che di eventuale riorganizzazione, onde evitare contenziosi fondati su rivendicazioni di correttezza contrattuale e retributiva.
Sul piano giurisprudenziale, la decisione consolida un orientamento teso a rafforzare la vincolatività interna della contrattazione collettiva di diritto comune, colmando – almeno in parte – il vuoto derivante dall’inattuazione dell’art. 39 Cost. e garantendo un’applicazione coerente dei contratti collettivi come strumenti di attuazione dei principi costituzionali del lavoro.

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