Appello e Cassazione: come evitare gli errori dopo le Sezioni Unite

Redazione 11/01/18
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Le condizioni delle impugnazioni

L’esercizio del mezzo impugnatorio avverso la pronuncia prestata dal giudicante,  secondo  l’insegnamento  formato  in  seno  alla  dottrina,  rimane  condizionato  dalla  insistenza  di  due  distinti  presupposti.  Il  primo  dei  quali  riguarda  la sussistenza della necessaria legittimazione; l’altro, espresso, invece, dalla stessa insistenza di un atto, il quale resti caratterizzato da adeguata idoneità, per essere sottoponibile all’attività impugnatoria della quale si ha cura in questo studio.

Il legislatore del codice di rito ha mancato, in effetti, di prevedere e di regolare l’ipotesi  delle  conseguenze  per  le  impugnazioni  prestate  in  difetto  dei  predetti presupposti. Si deve, invero, all’insegnamento dottrinale e del diritto vivente, la conclusione che sposa la tesi dell’inammissibilità delle impugnazioni rese in difetto dei presupposti ai quali si è dinanzi operato rinvio. Il che si ha anche in relazione all’eventualità in cui a mancare sia uno solamente dei requisiti dei quali si è detto.

La  legittimazione  all’esperimento  del  mezzo  impugnatorio,  pertanto,  deve annettersi alle parti le quali abbiano prestato partecipazione al giudizio, la cui conclusione abbia partorito la decisione controversa. Analoga  legittimazione  rimane  fissata  in  capo  alle  parti  rimaste  contumaci, essendo mancata la partecipazione di queste stesse al giudizio del quale in ultimo si è fatto richiamo.

Discorso parzialmente diverso deve, invece, articolarsi rispetto ai soggetti che siano rimasti estranei al giudizio medesimo. Per costoro, in effetti, manca la necessaria legittimazione all’esperimento dell’impugnazione, la quale ove proposta rimarrebbe viziata per inammissibilità. Tuttavia, il tema di cui in ultimo è stato concluso dal legislatore processuale con la disciplina dell’ipotesi – la quale è da intendersi in chiave di eccezione – rappresentata dall’opposizione di terzo di cui all’art. 404 c.p.c.

Integrazione del  giudizio e rinnovazione della notificazione dell’atto di appello

Il giudice dell’appello, in ragione della norma di riferimento contemplata  dall’art.  350  c.p.c.,  ove  ne  ricorra  la  necessità,  dispone  l’integrazione  del giudizio. Altro aspetto del quale avere poi cura è quello che impegna la sfera della rinnovazione della notificazione dell’atto di appello. Al riguardo deve aversi per separato l’aspetto che involge il giudizio prestato in seconde cure, rispetto all’altro di prima lettura.

In relazione a questa seconda categoria di fattispecie, il giudice dispone la rinnovazione della notificazione della citazione, riuscendo fornito del necessario potere, allorché quegli rilevi la sussistenza di un vizio, il quale abbia come conseguenza quello della nullità nella notificazione medesima ex art. 291 c.p.c. Invece,  sotto  il  profilo  involgente  la  procedura  dinanzi  al  giudicante  di seconde cure, in ragione della previsione contemplata dal comma 2 dell’art. 350 c.p.c., il giudice attende alla rinnovazione della notificazione dell’atto di appello, allorché tanto occorra.

In altro ambito, poi, segnatamente in relazione al procedimento per con- valida  di  sfratto,  la  rinnovazione  della  notificazione  resta  data,  anche  ove risulti  oppure  appaia  probabile  che  l’intimato  non  abbia  avuto  conoscenza della citazione medesima, ex art. 663, comma 1, stesso codice di rito.

I motivi di ricorso per Cassazione

Vale preliminarmente rammentare come i provvedimenti che si prestino a sottoposizione all’esercizio dell’azione rimediale dinanzi alla Corte di legitti- mità si raccolgano essenzialmente nelle tre distinte categorie rappresentate: dalle sentenze la cui pronuncia sia occorsa per opera della Corte di merito;  dalle pronunce rese dal tribunale, quale giudice del gravame rispetto alle sentenze prestate dal GdP;  dalle sentenze pronunciate in unico grado di giudizio; dai provvedimenti, infine, i quali, nonostante manchino di avere forma propria  di  sentenza,  possiedono,  nondimeno,  contenuto  decisorio,  restando  altresì  definitivi,  in  quanto  tali  non  soggetti  a  diversa  forma  di controllo e neppure sottoponibili ad altro processo in sede civile ex art. 111 Cost.

Atteso  ciò,  deve  rilevarsi  come  il  ricorso  proposto  in  sede  di  legittimità costituisca esperimento di mezzo, il quale è definito articolato secondo una rigida veste. Una tale conclusione si trae essenzialmente dalla peculiare mo- dalità  con  cui  esso  può  essere  offerto.  In  particolare,  si  sottolinea  come  la proposizione del ricorso dinanzi alla Corte suprema possa rendersi, in ragione dei soli motivi che la norma di riferimento, l’art. 360 del codice di rito – di cui già si è avuto modo di delineare i relativi contenuti in altra parte di questo volume –, ha la relativa cura della loro puntuale definizione.

I presenti contributi sono tratti da

La nuova procedibilità a querela

Il commento sistematico, articolo per articolo, del decreto legislativo n. 36/2018 con cui è stato ampliato il novero dei reati, previsti dal c.p., procedibili a querela di parte in questa nuova Opera che, partendo dall’analisi dei tratti essenziali dell’istituto, continua con l’approfondimento delle ricadute di carattere sostanziale e procedurale che si sono venute a determinare, anche attraverso utilissime tabelle di raffronto tra la vecchia e la nuova disciplina.  Completo di formule che esemplificano la novità normativa sotto un profilo prettamente pratico, il testo fornisce altresì una breve disamina dei lavori svolti dalle Camere, al fine di far comprendere al meglio la ratio e la portata innovativa della riforma in commento.Antonio Di Tullio D’Elisiis, Avvocato in Larino, autore di pubblicazioni cartacee e numerosi articoli su riviste giuridiche telematiche.

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