Anatocismo: evoluzione storica ed applicazioni

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    Indice

  1. Evoluzione storica del divieto dell’anatocismo
  2. Contratto autonomo di garanzia ed anatocismo
  3. Illegittimità dell’anatocismo se il tasso nominale ed il tasso effettivo annuo creditore coincidono
  4. Mutuo fondiario ed anatocismo

1. Evoluzione storica del divieto dell’anatocismo

Già nel diritto romano era stata affrontata la problematica dell’anatocismo. Si deve a Giustiniano, con una costituzione del 529, CI. 4.32.28.pr-1, il divieto generale ed assoluto di tutte le forme di anatocismo, sia di quella degli interessi che decorrono su altri interessi, sia di quella della capitalizzazione degli interessi scaduti con successiva produzione di ulteriori interessi sull’intero capitale così risultante.

CI. 4.32.28.pr-1 (Imp. Iustinianus A. Demostheni pp.): Ut nullo modo usurae usurarum a debitoribus exigantur, et veteribus quidem legibus constitutum fuerat, sed non perfectissime cautum. Si enim usuras in sortem redigere fuerat concessum et totius summae usuras stipulari, quae differentia erat debitoribus, qui re vera usurarum usuras exigebantur? Hoc certe erat non rebus sed verbis tantummodo leges ponere. 1. Quapropter hac apertissima lege definimus nullo modo licere cuidam usuras praeteriti vel futuri temporis in sortem redigere et earum iterum usuras stipulari, sed, si hoc fuerit subsecutum, usuras quidem semper usuras manere et nullum aliarum usurarum incrementum sentire, sorti autem antiquae tantummodo incrementum usurarum accedere. [PP. k. Oct. Chalcedone Decio vc. cons.- a. 529].

Nel passo, l’imperatore richiamava antiche leggi che avrebbero già vietato le usurae usurarum, ma tale previsione era lacunosa in quanto avrebbe vietato il cd. anatocismus separatus, cioè quando gli interessi maturati producevano a loro volta altri interessi, ma non vietava il cd. anatocismus coniunctus, cioè quando gli interessi maturati si sommavano al capitale e su questo nuovo importo decorrevano ulteriori interessi, cioè la vera capitalizzazione degli interessi.

Giustiniano notava che, non essendoci un divieto di capitalizzazione degli interessi e di decorrenza di nuovi interessi sull’importo così ottenuto, di fatto, veniva vanificato il divieto delle usurae usurarum, quindi, con la sua costituzione vieta qualunque forma di anatocismo, precisando che gli interessi rimarranno sempre solo interessi e non potranno essere aumentati con altri interessi, mentre il capitale potrà essere aumentato solo degli interessi semplici.

Nel nostro codice civile, l’art. 1283 afferma che: “In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”.

La norma sembra tutelare sia il creditore che non sia stato puntualmente soddisfatto alla scadenza mediante la maggiore remunerazione per l’ulteriore tempo concesso al debitore per il capitale dato in prestito, sia il debitore che può ritardare il pagamento rispetto alla scadenza pattuita senza dover ricorrere ad ulteriori prestiti, ponendo a suo favore alcuni limiti alla produzione di interessi sugli interessi scaduti.

In ambito bancario, al fine di aggirare tale disciplina codicistica limitativa, si è sempre sostenuto che vigessero degli usi normativi che, proprio in virtù del richiamo nel testo dell’art. 1283 c.c., consentivano la capitalizzazione degli interessi ed anche la differente capitalizzazione, trimestrale a favore della banca ed annuale a favore del correntista.

Le sentenze della Cassazione n. 2374/99 e n. 3096/99 hanno chiarito che tali usi bancari in tema di capitalizzazione degli interessi non hanno carattere normativo, ma solo negoziale, pertanto, non possono derogare a norme primarie e non legittimano la capitalizzazione.

Per correre ai ripari, con l’art. 25 comma 3 del dlgs. n. 342/99, viene modificato il Testo Unico Bancario (dlgs. 385/1993 e succ. mod.) affermando che: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”.

Pertanto, il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) con delibera del 9.2.2000 stabiliva che le clausole di capitalizzazione degli interessi, previste nei contratti di conto corrente di futura stipulazione, fossero valide a condizione che: a) prevedessero la stessa periodicità per il conteggio degli interessi creditori e debitori; b) fossero specificamente approvate per iscritto dal cliente (con doppia sottoscrizione ai sensi dell’art. 1241 c.c.).

Per quanto attiene ai contratti già in corso al momento di pubblicazione della delibera, quest’ultima prevedeva che essi dovessero essere adeguati alle nuove disposizioni normative entro il 30 giugno 2000, cosa che le banche hanno fatto, rendendo, quindi, legittima la capitalizzazione degli interessi a partire dal giugno 2000.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 17.10.2000 ha, però, dichiarato l’illegittimità dell’art. 25 del dlgs. n. 342/99 nella parte in cui ha previsto la sanatoria delle clausole anatocistiche apposte a contratti bancari antecedenti al 9 febbraio 2000.

Con la sentenza n. 21095 del 04.11.2004, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito la nullità delle clausole anatocistiche dei contratti bancari stipulati prima del dlgs. n. 342/99 perché si tratta di meri usi negoziali che, pertanto, non possono derogare a norme di legge.

Con la sentenza n. 24418/2010, le Sezioni Unite della Cassazione hanno sancito l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi, riconoscendo ai correntisti il diritto di chiedere il rimborso delle somme addebitate sul conto corrente, diritto il cui termine di prescrizione decorre dalla data di pagamento del saldo di chiusura del conto corrente e non dal momento in cui gli interessi anatocistici siano stati addebitati sul conto corrente. Precisamente, la Corte di Cassazione ha affermato che “se dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che preveda la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a tale titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui sia stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.

Al fine di andare incontro alle banche che sarebbero state esposte a numerose e gravose richieste, il legislatore, con il dl. n. 225/2010, il cd. decreto “milleproroghe”, ha emanato una norma che, di fatto, ha posto nel nulla quanto statuito dalla giurisprudenza, stabilendo che i termini di prescrizione “relativi ai diritti nascenti dalle annotazioni in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge” (art. 2, comma 61, dl. 225/2010, come modificato dalla legge di conversione n. 10/2011). Di conseguenza, il diritto dei correntisti di chiedere la ripetizione di quanto illegittimamente ottenuto dalle banche a titolo di interessi anatocistici viene pregiudicato considerato che, in virtù di tale norma, le azioni dei correntisti per la restituzione degli interessi anatocistici conteggiati dalle banche sino al giugno 2000 devono considerarsi già prescritte a decorrere dal giugno 2010.

Con la sentenza n. 78/2012 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima tale normativa in quanto, prevedendo una sua efficacia retroattiva, è contraria ai principi generali di uguaglianza, peraltro tutelato espressamente dalla Costituzione all’art. 3, e di ragionevolezza.

La Corte di Cassazione, nel corso dell’anno 2020, è intervenuta, in particolare con la sentenza n. 9140/2020, modificando radicalmente i termini della questione, specificamente sancendo l’illegittimità dell’anatocismo bancario nonostante l’adeguamento delle banche alla delibera CICR del 2000. La Corte di Cassazione, infatti, ha evidenziato che, poco dopo la citata delibera CICR, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 425/2000 – già citata – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del dlgs. n. 342/99 nella parte in cui ha previsto la sanatoria automatica delle clausole anatocistiche apposte a contratti bancari conclusi antecedentemente alla delibera, di conseguenza, l’illegittimità dell’anatocismo rimane fino a che le parti non abbiano eventualmente concordato un’apposita clausola.

L’evoluzione storica sopra delineata dimostra che, in tema di anatocismo, ogni situazione deve essere singolarmente e specificamente analizzata alla luce dei numerosi, ed anche talvolta contradditori, interventi legislativi e giurisprudenziali.


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2. Contratto autonomo di garanzia ed anatocismo

La fattispecie in esame è quella di un soggetto, il garante, che, con un contratto autonomo di garanzia, garantisce il pagamento di un debito di un altro soggetto, il debitore, nei confronti di una banca, il creditore, che ha applicato all’originario debito interessi anatocistici.

In base al principio generale, proprio del contratto autonomo di garanzia, solo il debitore principale, e non anche il garante, può opporre al creditore eccezioni riguardanti il rapporto principale, a meno che non si configuri la contrarietà a norme imperative. Poiché non vi è un divieto assoluto alla capitalizzazione di interessi, potendo esserci a determinate condizioni (vd. artt. 1283 e 1284 c.c. e art. 120 T.U.B.), la fattispecie presa in esame non sarebbe contraria a norme imperative, di conseguenza, la relativa eccezione potrebbe essere fatta valore solo dal debitore principale e non anche dal garante.

La sentenza della Cassazione n. 24011/2021 ha, invece, ribadito che “nel contratto autonomo di garanzia il garante è legittimato a proporre eccezioni fondate sulla nullità anche parziale del contratto base per contrarietà a norme imperative, con la conseguenza che può essere sollevata anche da costui, nei confronti della banca, l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, atteso che la soluzione contraria consentirebbe al creditore di ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l’ordinamento vieta” (in senso conforme, Cass. n. 371 del 10/01/2018; Cass. S.U. 3947/2010).

La sentenza, in particolare, chiarisce che “il garante è legittimato a sollevare nei confronti della banca l’eccezione di nullità della clausola anatocistica atteso che, ove non ricorrano le particolari condizioni legittimanti previste dall’art. 1283 c.c. (Cass. S.U. n. 21095/2004), la capitalizzazione, fondandosi su un uso negoziale, anziché normativo (il solo che ammette la deroga dell’art. 1283 c.c.), deve ritenersi vietata per violazione di una norma cogente, dettata a tutela di un interesse pubblico”.

La sentenza, inoltre, afferma che “non è affatto sufficiente, per ritenere che l’applicazione di interessi anatocistici non sia contraria a norme imperative, il rilievo, in astratto, che nel nostro ordinamento il divieto di anatocismo non sia assoluto, per essere quest’ultimo ammesso sia alle particolari condizioni previste dall’art. 1283 c.c., sia, per gli esercenti l’attività bancaria dall’art. 120 T.U.B., alle condizioni previste dal delibera CICR 9 febbraio 2000, art. 2, comma 2 (medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi debitori e creditori). Occorre, infatti, esaminare, in concreto, nel testo contrattuale, se siano stati o meno pattuiti dalle parti interessi anatocistici in violazione di quanto previsto dall’art. 1283 c.c. e art. 120 T.U.B., essendo indubitabile, in caso affermativo, la contrarietà di tale clausola ad una norma imperativa. Ne consegue che ove il correntista alleghi l’applicazione di interessi anatocistici in virtù di clausole inserite nel contratto di conto corrente in violazione dell’art. 1283 c.c. (o dell’art. 120 T.U.B.), venendo in considerazione fattispecie di applicazione di interessi in contrasto con norme imperative, la nullità si comunica al rapporto di garanzia autonoma e la relativa eccezione può essere fatta valere quindi anche dal garante”.

Il principio che ne deriva è che, anche quando si è in presenza di un contratto autonomo di garanzia, considerata la proponibilità delle eccezioni per violazione di norme imperative, il garante può opporre al creditore l’eccezione di nullità della clausola anatocistica; d’altronde, se così non fosse, il creditore potrebbe ottenere, grazie al garante autonomo, l’applicazione di interessi anatocistici, aggirando, in tal modo, un divieto di legge.

Tale conclusione conferma che l’autonomia del contratto autonomo di garanzia non è assoluta, come dimostrato anche dal sistema di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso le azioni di rivalsa e dalla rilevanza delle altre ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante, come nel caso del venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causale, quando le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia; quando esse ineriscano al rapporto tra garante e beneficiario; quando il garante faccia valere l’inesistenza del rapporto garantito; quando la nullità del contratto sottostante dipenda da contrarietà a norme imperative ovvero dalla illiceità della causa (Cfr. Cass. S.U. 3947/2010).

3. Illegittimità dell’anatocismo se il tasso nominale ed il tasso effettivo annuo creditore coincidono

La sentenza della Cassazione n. 24011/2021, fa riferimento alle condizioni previste dall’art. 120 T.U.B. e dall’art. 2 della delibera del CICR del 9 febbraio 2000 e cioè alla medesima periodicità nella capitalizzazione degli interessi debitori e creditori ed all’indicazione nel contratto del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione stessa, in caso di capitalizzazione infrannuale.

A tal proposito, una recente ordinanza della Cassazione del 10 febbraio 2022 n. 4321, occupandosi di un contratto di conto corrente concluso sotto la vigenza della delibera del CICR del 9 febbraio 2000, ha stabilito che un tasso creditore nominale coincidente con il tasso effettivo – ossia un tasso annuo dell’interesse non capitalizzato coincidente con quello capitalizzato – non rispetta la previsione di cui sopra, poiché “non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dall’art. 3 della delibera, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione”.

In altre parole, la clausola che prevede la pari periodicità di capitalizzazione per il creditore e per il debitore non legittima l’anatocismo se, nella sostanza, è resa inutile dall’indicazione di un tasso creditore effettivo – per il correntista – uguale a quello nominale, e cioè di un tasso annuo dell’interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato. La Suprema Corte, nella citata pronunzia del 10 febbraio 2022, ha, di conseguenza, affermato che “la previsione di un tasso di interesse effettivo corrispondente a quello nominale equivale alla mancata indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione”.

Invero, spesso, nei contratti di conto corrente era formalmente prevista la clausola della pari periodicità della capitalizzazione per il creditore (il correntista) e per il debitore (la banca), ma questa clausola era poi di fatto svuotata dalla previsione, a favore della banca, di un tasso di interesse debitore effettivo annuo, in conseguenza della capitalizzazione, maggiore di quello nominale, mentre, a favore del correntista era previsto un tasso di interesse creditore effettivo annuo identico a quello nominale (di regola, pari allo zero). Di conseguenza, mentre la banca otteneva un vantaggio dalla capitalizzazione (il tasso effettivo maggiore di quello nominale), il correntista non aveva praticamente alcun vantaggio (il tasso effettivo identico a quello nominale). Per potersi soddisfare effettivamente la prescrizione legislativa, oltre alla pari periodicità, è necessario prevedere nel contratto anche che la rispettiva capitalizzazione, a favore della banca ed a favore del correntista, sia con le medesime modalità.

4. Mutuo fondiario ed anatocismo

In tema di mutuo fondiario, di recente, con la sentenza n. 4078/2022, la Cassazione ha affermato due principi di diritto.

Con il primo ha stabilito che, nell’ipotesi della conclusione di mutui fondiari, in cui è contrattualmente previsto che il mancato pagamento di una rata comporta l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata (inclusa la parte costituita dagli interessi di ammortamento), si configura – per effetto della previsione di cui all’art. 14 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7 – “una speciale ipotesi di anatocismo legale che si sottrae al divieto generale contemplato dall’art. 1283 c.c., con la conseguenza che gli interessi corrispettivi, compresi nella rata di mutuo scaduta, possono essere capitalizzati se il contratto lo prevede e producono interessi moratori fino alla data del pagamento”.

Con il secondo, ha stabilito che “nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, e ciò, in particolare, alla stregua della norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 1, del dl n. 394 del 2000 (conv. con modif., dalla L. n. 24 del 2001), della quale la Corte costituzionale ha – con sicura incidenza sulla questione – escluso la sospetta illegittimità, per violazione degli artt. 3, 24, 47 e 77 Cost., mediante la sentenza n. 29 del 2002. Pertanto, è da ritenersi esclusa la illiceità della pretesa del pagamento di interessi a un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione (con il contratto o con patti successivi), alla soglia dell’usura definita con il procedimento previsto dalla citata legge n. 108/1996, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi”.

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