Analisi dell’art. 572 c.p. -parte I- l’elemento psicologico

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      Indice

  1. L’elemento soggettivo
  2. Le cause di giustificazione

1. L’elemento soggettivo

Nei maltrattamenti in famiglia, in ordine all’elemento psicologico non si registrano rilevanti divergenze in dottrina e in giurisprudenza, poiché è prevalente l’indirizzo che ritiene non necessario un dolo specifico ma solo un dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, tale da lederne la personalità. Il dolo specifico  non è stato ritenuto aderente al dettame normativo poiché si osserva come lo scopo ulteriore dell’agente di arrecare sofferenze fisiche e morali alla vittima e quello di sfogare le proprie malvagità non connotino l’elemento psicologico in quanto tale poiché costituiscono i contenuti offensivi della fattispecie per modo che, se non si realizzassero, neppure potrebbero dirsi integrato il reato.

Si può affermare, dunque, che si è passato da un piano dell’arricchimento dell’elemento soggettivo in termini di specificità del dolo a quello di una connotazione peculiarmente offensiva delle condotte.

Il dolo prescritto dall’art. 572 c.p. risulta sostanzialmente consistere nella inclinazione della volontà di compiere una condotta oppressiva che nella reiterazione dei maltrattamenti si vada progressivamente realizzando e confermando: è unitario e programmatico “ nel senso che esso finge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte.”

Tuttavia, il suddetto dolo graduale non deve spingere l’interprete a ritenere necessaria una rappresentazione mentale di tutti i singoli episodi di maltrattamenti: è sufficiente che l’agente sia animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo[1].

È opinione dominate in giurisprudenza, infatti che “l’elemento soggettivo non richiede la programmazione di una pluralità di atti: basta la coscienza e la volontà di persistere in una attività vessatoria, già attuata in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima; in altri termini, la sussistenza del dolo unitario non richiede l’intenzione di sottoporre la persona offesa, in modo continuo e abituale, a una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria.”

Per tali ragioni vediamo la differenza con il reato continuato che, come noto necessita di uno specifico disegno criminoso anticipatamente delineato.

Perciò si può concludere che non si può parlare di un dolus subsequens, ma si deve intendere il dolo nel senso che è sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in una attività vessatoria, già attuata in precedenza idonea a ledere la personalità della vittima. Ciò significa che la caratteristica saliente del dolo nel delitto in commento è che nello sviluppo di queste azioni coscientemente e volontariamente ripetute il soggetto agente, raffigurandosi la reiterazione di cui è artefice, ne colga il disvalore legato appunto alla loro ripetizione, se ne rappresenti l’incidenza sulla personalità della vittima, ciononostante, compie nuove azioni, volendo ormai, o comunque accettando la verificazione dell’evento nel suo puntale e tipico disvalore.[2]

In ultimo, quanto ai motivi idonei ad escludere l’esaminato elemento soggettivo, si è affermato come il nervosismo, la gelosia, anche più se morbosa, o il risentimento, non solo non lo escludono, ma anzi lo possono costituire uno dei più pericolosi moventi ai fini dell’art. 572 c.p.

Sul punto, infatti si è ritenuto che un siffatto movente non elimini il dolo ma anzi lo evidenzi, costituendo un solido indice di rivelazione della comunanza del nesso psicologico in estensione ai ripetuti e numerosi atti lesivi.

Analogamente, anche lo stato di malattia, fisica o psichico, del soggetto passivo non è idoneo ed elidere il dolo, rischiando, invero, di oggettivamente accentuare la gravita del fatto.

Infine, la commissione dei fatti in stato di ubriachezza così come la deduzione di un’eventuale condotta provocatoria sono pur essi rilevanti, non ponendo di per sé nel nulla l’elemento soggettivo.


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2. Le cause di giustificazione

Negli ultimi anni l’interprete italiano è stato chiamato a confrontarsi con l’incidenza delle culture internazionali nell’ordinamento interno.

Succede spesso, infatti, la cultura nazionale e le culture immigrate risultino astrattamente incompatibili e comportano uno sforzo ermeneutico maggiore, poiché c’è bisogno di un bilanciamento tra diversi principi di rango costituzionale, ossia tra i valori offesi posti in essere da una condotta e le tradizioni culturali, religiose e sociali del soggetto agente.[3]

Generalmente si definisce un reato culturalmente orientato, qualificabile come penalmente rilevabile secondo l’ordinamento interno, tenuto da un soggetto appartenete ad un gruppo culturale di minoranza, che nel paese di provenienza è valutato con minore rigore.[4]

Non assumono perciò nessuna incidenza né scriminati né scusanti eventuali pretese di rivendicazioni legate all’esercizio di particolari potestà in ordine al proprio nucleo familiare, ovvero specifiche usanze, abitudini e connotazioni di dinamiche interne a gruppi familiari, in quanto si tratta di concezioni che pongono in assoluto contrasto con le norme che stanno alla base dell’ordinamento giudico italiano.

Questa interpretazione è quella che è stata accolta anche dalla Corte di Cassazione che ha superato anche il vaglio dell’art. 51 c.p. [5]. La suprema in particolare, ha rilevato che il reato di maltrattamenti non può essere scriminato dal consenso dell’avente diritto,[6] sia pure affermato sulla base di opzioni sub -culturali relativo ad ordinamenti diversi da quello italiano. Queste sub-culture, infatti si pongono in contrasto con i principi che stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo sanciti dall’art. 2 della Costituzione, i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia agli artt. 29 e 31 della Costituzione. Si è così delineato il concetto di sbarramento invalicabile, quale insieme di garanzie dei diritti inviolabili dell’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali, cui sono certamente da ascrivere la famiglia, l’uguaglianza e la pari dignità sociale, di cui gli artt. 2,3,29 della Costituzione.

Nel 2009 è stata l’introdotta una circostanza aggravante speciale ad effetto speciale, nel caso in cui i delitti di omicidio doloso o preterintenzionale, lesioni personali dolose, mutilazione e lesione degli organi genitali femminili siano commessi «in occasione» del reato di maltrattamenti ex art. 576, co. 1, n. 5, c.p., ampliando la sfera di operatività di tale norma, precedentemente limitata ai reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo.

Le lesioni e le mutilazioni genitali femminili integrano infatti reati culturalmente motivati, caratterizzati dall’esecuzione di pratiche in adesione a valori del gruppo etnico di appartenenza.[7]

L’Antolisei, afferma che, nei reati contro la famiglia, il consenso sarebbe inefficace poiché “la tutela giuridica non è diretta a soddisfare i bisogni dell’individuo, ma quelli del nucleo familiare, attraverso cui lo Stato tende a proteggere l’interesse della collettività”[8].

Non acquisisce efficacia scriminante nemmeno l’esercizio, ancorché putativo, da parte dell’agente, di un preteso diritto. Si deve osservare perciò, che viene applicata la regola dello sbarramento secondo la quale non è possibile formare “arcipelaghi culturali confliggenti” a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese. Opinare diversamente, consentendo che giustificazioni dedotte in nome di presunti limiti e diversità culturali nella concezione del rapporto coniugale elidano l’antigiuridicità obiettiva del fatto di reato, significherebbe legittimare il sovvertimento del principio dell’obbligatorietà della legge penale e l’affievolimento della tutela di diritti assoluti e inviolabili dell’uomo.

Nel panorama giurisprudenziale, in una recente pronuncia in tema di abusi sessuali compiuti da un padre di origine albanese nei confronti del figlio minore emergono delle importanti affermazioni di principio.

La Corte di Cassazione, infatti, censurando la decisione del giudice di prime cure che era giunto ad assolvere l’imputato perché il fatto non costituiva reato, espone gli snodi fondamentali per comprendere al meglio la valutazione dei reati culturalmente orientati. Occorre, innanzitutto un’accurata ponderazione del bene giuridico violato o nel concreto grado di gravità dell’offesa al fine di capire se sia applicabile o meno al caso di specie il limite dello sbarramento invalicabile. In secondo luogo, l’interprete deve verificare la natura della norma culturale, in applicazione della quale è stata attenuata dalla condotta, e la cogenza, o la vincolatività della stessa. Infine, è necessario valutare il grado di inserimento dell’immigrato nella cultura nazionale in rapporto al suo grado di adesione alla cultura d’origine [9].

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Note

[1] FIANDACA G, MUSCO E, Delitti contro la persona, p.390, Zanichelli,2020.

[2] COPPI F., Maltrattamenti in famiglia, Perugia,1979.

[3] FIDELBO G., Diritto penale della famiglia, Giappichelli,2021.

[4] BASILE F., Immigrazione e reati culturalmente motivati. Il diritto penale nelle società multiculturali, Milano,2010. DE MAGLIE C., I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa ,2010. Entrambi gli studiosi ritengono opportuno delimitare la nozione di cultura “alle sole appartenenze culturali in gradi di incidere a “tutto tondo “sull’esistenza dei rispettivi membri e non già sui singoli, per quanto importanti, aspetti del vissuto quotidiano.

BERNARDI A., Il “fattore culturale “nel sistema penale, Torino,2010. Lo studioso diversamente, con una nozione più ampia considera reati culturali anche quelli in cui” la matrice genericamente cultuale della condotta discende non dalla diversità etica o culturale dell’autore, bensì dall’adesione di quest’ultimo a religioni, sette, tradizione, concezioni del mondo caratterizzate da norme cultuali in conflitto più o meno evidente con le norme giuridiche positive”.

[5] Elemento costitutivo dell’esercizio del diritto è la sussistenza di un potere giuridico di agire (diritto soggettivo, potestativo, facoltà giuridica), la cui titolarità scrimina esclusivamente condotte che costituiscono esplicitazione delle facoltà connesse al diritto e legalmente riconosciute. Sono fonte del diritto la legge, il regolamento, l’atto amministrativo, il provvedimento giurisdizionale. (FIORELLA A., Le strutture del diritto penale, questioni fondamentali di parte generale, Giappichelli,2018.)

[6] Il consenso scriminate deve avere ad oggetto un diritto disponibile. Sono disponibili, ed es. i diritti patrimoniali, taluni diritti di libertà come la libertà sessuale e la libertà di domicilio purché la loro violazione non sia contraria a norme di legge, di ordine pubblico o buon costume; sono indisponibili, ad es. il diritto alla vita della singola personale gli interessi che fanno capo allo Stato – comunità come l’ordine pubblico e incolumità pubblica. Inoltre, deve essere prestato dal soggetto titolare del delitto, che sia capace di prestarlo e lo presti validamente: il consenso è atto volontario e come tale, deve sere espresso in modo libero, non viziato, cioè da errore, violenza o dolo. Inoltre, questo deve essere lecito e cioè, non deve essere contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Il consenso infine deve essere attuale, e cioè deve esistere al momento del fatto per cui, se è stato prestato anteriormente, è necessario che non si revocato nel frattempo. Il consenso è per sua natura revocabile (FIORELLA A., Le strutture del diritto penale, questioni fondamentali di parte generale, Giappichelli,2018.)

[7] CARLOTTA C., La nuova disciplina dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. Spunti di riflessione, in Archivio penale.

[8] ANTOLISEI, F., Manuale di diritto penale-Parte generale, pagg. 288-298.

[9] Al fine di compiere tale giudizio, in particolare, è utile l’esatta qualificazione della natura della norma culturale in adesione alla quale è stato commesso il reato, se di matrice religiosa o anche giuridica (come accade laddove la norma culturale trova un riscontro anche in una corrispondente norma di diritto positivo vigente nell’ordinamento giuridico del Paese di provenienza dell’immigrato, dovendosi ritenere tale circostanza rilevante quanto alla consapevolezza della antigiuridicità della condotta e, quindi, alla colpevolezza del fatto commesso), e del suo effettivo carattere vincolante. Occorre anche accertare se la regola culturale è rispettata in modo omogeneo da tutti i membri del gruppo culturale di appartenenza dell’immigrato o sia piuttosto desueta ovvero poco diffusa anche in quel contesto. Assume rilievo, infine, il grado d’inserimento dell’immigrato nella cultura e nel tessuto sociale del Paese d’arrivo o il suo grado di perdurante adesione alla cultura d’origine, aspetto, quest’ultimo, relativamente indipendente dal tempo di permanenza nel nuovo Paese. Sulla base di queste coordinate interpretative, la Corte di cassazione ha reputato carente la motivazione della sentenza di appello nella parte in cui ha affermato il fondamento culturale della condotta dell’imputato e il rilievo nel caso di specie del supposto rispetto di una tradizione rispetto alla consapevolezza dell’illiceità penale della condotta. L’insufficienza motivazionale, in particolare, riguarda il mancato esame delle deduzioni della pubblica accusa circa l’assenza di prova della sussistenza della tradizione culturale. La sua esistenza, nella sentenza impugnata, è stata desunta dalle dichiarazioni degli imputati, dei loro familiari e da una nota apparentemente rilasciata dalla prefettura della provincia di Vlore, in Albania, priva, peraltro, di elementi da cui desumerne l’ufficialità. Questo documento, tuttavia, attesta soltanto l’esistenza di un uso locale per cui il padre manifesta affetto per il proprio figlio, accarezzandolo nelle parti intime al fine di esprimere un auspicio di prosperità e di continuità della generazione. L’esistenza di tale tradizione, però, non solo è stata esclusa dal consulente del pubblico ministero, sia pure sulla base di mere indagini sommarie in letteratura ma è stata anche ridimensionata dal fatto che, nel caso di specie, non si trattava di mere occasionali carezze, ma di rapporti orali. Secondo la Corte, poi, il vizio della motivazione riguarda anche l’affermazione dell’ignoranza da parte degli imputati e della loro famiglia dell’offensività della condotta posta in essere ai danni del figlio minore, così come quella relativa all’ignoranza dell’esistenza della norma penale incriminatrice di essa. Doveva essere considerato, infatti, che gli imputati «oltre a risultare ben integrati nel tessuto sociale ove vivevano e lavoravano da anni (tanto che i fatti emergono nel contesto scolastico ove il proprio figlio era collocato), allegano a propria discolpa un’ignoranza che non assumerebbe rilevanza anche nel paese di origine, ove i medesimi fatti risultano sanzionati penalmente».(Cass.pen., sez. III,29 gennaio 2018, n.29613 in Cass. Pen ,2019, fasc. 7 n.2618 con nota D’AGOSTINO V.P)

 

 

Giulia Cenciarelli

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