Alcuni principi e ipotesi in tema di nullità della consulenza tecnica d’ufficio

Redazione 04/05/20
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di Vincenzo Ansanelli

Sommario

1. Regime della nullità in materia di CTU

2. Nomina del consulente

3. Giuramento e accettazione dell’incarico

4. Inizio e prosecuzione delle operazioni peritali

5. Attività del consulente tecnico di parte

6. Attività del consulente tecnico d’ufficio e relevatio ab oneri probandi

7. Deposito della relazione peritale

1. Regime della nullità in materia di CTU

Con riferimento al regime delle nullità della CTU occorre in primo luogo fare riferimento alle regole generali in tema di nullità[1]. Proprio in ragione dell’applicazione dei principi contenuti nell’art. 156, 2°-3° co., c.p.c., in giurisprudenza si ritiene che la nullità della consulenza tecnica non possa essere dichiarata qualora l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo. Pertanto, quale esempio paradigmatico di applicazione di tale principio alla consulenza tecnica d’ufficio, reiterate e risalenti pronunce hanno da tempo fissato la regola secondo la quale l’omessa comunicazione della data di inizio delle attività peritali non si tradurrà in causa di nullità dell’intera consulenza, ove si dimostri che la parte non abbia subito un effettivo pregiudizio al proprio diritto di difesa[2], avendo ad esempio avuto aliunde notizia dell’inizio delle attività o comunque avendovi partecipato[3].

Altro insegnamento giurisprudenziale talmente consolidato da essere ritenuto per lungo tempo alla stregua di ius receputm, è quello secondo il quale ogni nullità concernente l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio si configura come nullità relativa[4]. Con la conseguenza che, ex art. 157 c.p.c., ne resta precluso il rilievo e l’invalidità rimane sanata se la relativa eccezione non viene sollevata nella prima istanza[5] o difesa successiva al verificarsi della nullità[6].

Tale principio è stato tuttavia oggetto di profondo ripensamento e parziale superamento in una recente pronuncia della Suprema Corte[7].

Ed in effetti, nel suo iter argomentativo la Suprema Corte rileva innanzitutto come il principio della generalizzata relatività delle nullità della consulenza tecnica d’ufficio (con conseguente loro automatica sanatoria in caso di mancata tempestiva eccezione nel primo momento o atto utile successivo al loro verificarsi) sia stato enunciato avendo riguardo a un’unica e specifica ipotesi: ossia quella cagionata, appunto, dall’omissione dell’avviso a una delle parti della data di inizio delle operazioni peritali. Principio che, applicato con riguardo esclusivo a tale ipotesi, risultava invero del tutto coerente con i principi generali in tema di nullità, posto che l’omissione in discorso, riflettendosi sul diritto di difesa, avrebbe potuto e dovuto esser fatta valere esclusivamente dalla parte lesa e secondo le modalità e le tempistiche proprie delle nullità relative. Tuttavia, con la sentenza in questione la Cassazione correttamente rileva come nel successivo stream giurisprudenziale tale principio sia stato pressochè automaticamente esteso – ossia senza particolari verifiche o soverchie incertezze – anche ad altre ipotesi di nullità della consulenza. Così, ad esempio, per le ipotesi di svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al thema decidendum o, più frequentemente, di acquisizione da parte dell’esperto, di documenti non ritualmente prodotti dalle parti e comunque non ancora acquisiti al giudizio[8].

Tale impostazione cagionò il prodursi di massime talmente tralatizie e stereotipate che non se ne indagò la coerenza con il nuovo sistema preclusivo introdotto con la L. n. 353 del 1990. In tale sistema, come noto, la violazione dei termini preclusivi è considerata – in quanto integrante una condotta contrastante con un interesse generale e pubblicistico al corretto ed efficiente svolgimento del processo – causa di nullità assoluta sempre rilevabile d’ufficio, anche in presenza di acquiescienza della parte legittimata ad eccepirne la violazione[9]. Sulla scorta di tale argomentazione, la Cassazione giunge dunque a ritenere che le violazione al principio dispositivo derivante dall’accertamento a opera del consulente tecnico di fatti non allegati dalle parti o dall’acquisizione di documenti o informazioni in precedenza non acquisite al processo su iniziativa delle parti stesse o a opera del giudice, integrando la violazione di norme dettate a tutela di interessi generali (quali quelle contenute negli artt. 112, 115 e 183 c.p.c.) comporti il verificarsi di nullità assolute sempre rilevabili d’ufficio.

Pertanto, in tali ipotesi – così come nei casi in cui la nullità sia stata tempestivamente eccepita essa si traduce in un vizio della relazione peritale; vizio che, a sua volta, inficia la validità della sentenza tutte le volte in cui il giudice abbia posto a fondamento della propria decisone le risultanze della stessa[10].

A tale riguardo va tuttavia osservato il permanere, nella giurisprudenza di riferimento, di un atteggiamento volto a privilegiare la salvaguardia dei risultati peritali comunque acquisiti. In questa prospettiva si ritiene, infatti, che la nullità della relazione peritale per omessa comunicazione di inizio delle attività non si estenda alla sentenza nella quale risulti che i dati o gli elementi acquisiti dal consulente tecnico siano stati comunque accertati dal giudice in base ad ulteriori elementi probatori; ovvero, ancora, ove risulti che le operazioni alle quali la parte non ha partecipato per omessa comunicazione non abbiano avuto rilievo alcuno sulla formazione delle conclusioni del consulente[11].

Va infine segnalato che dalla nullità della relazione discende, ove questa sia da addebitarsi all’operato del consulente, che l’eventuale pagamento del compenso, già avvenuto, sia da considerarsi sine causa; e, pertanto, costituisca indebito oggettivo che il consulente è tenuto a restituire unitamente agli interessi legali maturati dalla data della solutio[12].

[1] Per alcuni riferimenti di base in tema di consulenza tecnica d’ufficio, acquisizione di documenti e poteri del CTU sia consentito il rinvio ad Ansanelli, La consulenza tecnica d’ufficio (spec. commento sub art. 194 – 195), in Taruffo (a cura di), Istruzione probatoria, Comentario del codice di procedura civile diretto da S. Chiarloni, Bologna 2014, p, 9 ss.; Andrioli, La scientificità della prova con particolare riferimento alla perizia e al libero convincimento del giudice, in Dir. e Giur. 1971, pp. 798 ss.; Ansanelli, La consulenza tecnica nel processo civile – Problemi e funzionalità, Milano 2011; Auletta, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova 2002; Balasso, Berton, Zen, La perizia e la consulenza d’ufficio e di parte, Sant’Arcangelo di Romagna 2012;Barone, Consulente tecnico: 1) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Vol. III, Roma 1988, §§ 1-10; Bove, Il sapere tecnico nel processo civile, in Riv. dir. proc. 2011, pp. 1431 ss.; Denti, Scientificità della prova e libera valutazione del giudice, in Riv. dir. proc. 1972, pp. 430 ss.;Dondi, Utilizzazione delle conoscenze esperte nel processo civile – Alcune ipotesi di carattere generale, in Studi di diritto processuale – In onore di Giuseppe Tarzia, Milano 2005, I, pp. 843 ss.; Dones, Struttura e funzione della consulenza tecnica, Milano 1962; Franchi, La perizia civile, Padova 1959;Giudiceandrea, voce Consulente tecnico, in Enc. dir., Vol. IX, Milano 1961, pp. 531 ss.; Membriani, Appunti in tema di consulenza tecnica nel processo civile. Il ruolo del consulente tecnico d’ufficio, in Riv. dottori comm. 2013, pp. 559 ss.;Nicotina, p>, in Studi in memoria di Salvatore Satta, II, Padova 1982, pp. 1059 ss.; Protetti, Novità e vecchie questioni in tema di consulenza tecnica d’ufficio nel processo civile, in Giur. merito 2010, pp. 24-44;Redenti, Del consulente tecnico, del custode e degli altri ausiliari del giudice, Torino 1973;Rossetti, Il C.T.U. (“l’occhiale del giudice”), Milano 2005; Simonetti, La consulenza tecnica d’ufficio e di parte, Roma 2011;Taruffo, La prova scientifica nel processo civile, in Scritti per Federico Stella, Napoli 2007, II, pp. 1375 ss.; Id., Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, pp. 221 ss.; Vianello, Consulenza tecnica d’ufficio, Milano 2015; M. Vellani, voce Consulente tecnico (diritto processuale civile), in Noviss. digesto italiano, IV, Torino, 1959, 341; Bellumat, Il rapporto fra consulenza tecnica e attività di giudizio nella motivazione della sentenza, in Riv. it. dir. lav. 2007, p. 980; De Tilla, Il consulente tecnico nell’elaborazione giurisprudenziale, in Giust. civ. 1993, pp. 61 ss.; Salomone, Sulla motivazione con riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio, op. cit., pp. 1017 ss.

[2] Cfr. Cass. Civ., 8 giugno 2007, n. 13428

[3] Tale principio risulta ampiamente consolidato in giurisprudenza; v., ex plurimis, Cass. Civ., 7 aprile 2006, n. 8227

[4] Cfr. Cass. Civ., 23 marzo 1991, n. 3155

[5] Compresa quella diretta ad ottenere il provvedimento di rinvio dell’udienza istruttoria successiva al deposito; cfr. Cass. Civ., 9 febbraio 1995, n. 1457; secondo Cass. Civ., 9 giugno 1992, n. 7088 “l a nullità della consulenza tecnica di ufficio per non essere stata data alle parti ed ai loro difensori la comunicazione della data di inizio delle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non opposta nella prima udienza successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza di mero rinvio”

[6] V. Cass. Civ., 11 giugno 2014, n. 13230. E, nel senso che può realizzarsi acquiescenza anche in forza di dichiarazioni o comportamenti anteriori al deposito della consulenza, purché inequivocabilmente riferibili al procuratore e diretti a manifestare una rinunzia a far valere la nullità, Cass. Civ., 18 aprile 1997, n. 3340. L’eccezione di nullità va sollevata dalla parte interessata nella prima udienza successiva al deposito della relazione, sia stata quest’ultima depositata in termini ovvero tardivamente (Cass. Civ., 25 ottobre 2006, n. 22843)

[7] Cass. Civ. Sez, III, n. 31886 del 6 dicembre 2019

[8] Così Cass. Civ., Sez. II, 11 settembre 1965, n. 1985

[9] Nell’ambito di un consolidato orientamento giurisprudenziale v., da ultimo de ex plurimis, Cass. Civ., Sez. III (ord.), 26 giugno 2018, n. 16800

[10] Cass. Civ., 8 agosto 1989, n. 3647

[11] Cass. Civ., 5 aprile 2001, n. 5093

[12] Cass. Civ., 21 ottobre 1992, n. 11474

2. Nomina del consulente

Con riferimento al profilo della scelta del consulente tecnico si tratta innanzitutto di verificare se le parti possano vantare de iure condito un vero e proprio diritto alla nomina di un soggetto che sia, come prevedono gli articoli 61 e 191 c.p.c., dotato di speciale competenza tecnica in relazione alla materia oggetto della controversia. Ovvero, sotto altro profilo se la mancanza di detto requisito in capo al soggetto prescelto possa tramutarsi in una causa di nullità della consulenza tecnica[13].

In assonanza con quanto accade in ordine alla fase di ammissione, anche per quanto concerne il profilo della selezione soggettiva dell’esperto il legislatore del ’42 attribuisce al giudice un potere ampiamente discrezionale. A questi è infatti assegnato, in via esclusiva, il compito di individuare il soggetto al quale affidare l’incarico di consulente tecnico. Un potere che nella prassi giudiziaria appare privo di vincoli e sostanzialmente incensurabile[14].

Dal combinato disposto degli articoli 61 c. 2° c.p.c. e 22 c. 2°, disp. att. c.p.c., si desume che la scelta del giudice possa ricadere, senza alcun rischio su professionisti non iscritti nell’apposito albo[15].

La stessa disposizione di attuazione da ultimo richiamata prevede, tuttavia, che in caso di scelta del consulente operata al di fuori degli albi, il giudice debba procedere all’espletamento di due incombenti: “sentire“il Presidente del Tribunale e indicare nel provvedimento di nomina i “motivi della scelta“avvenuta al di fuori degli albi. Il mancato svolgimento di queste due attività non inficia tuttavia la validità e la regolarità delle successive attività di consulenza. Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente monolitica nel ritenere che le norme relative alla scelta del consulente tecnico non abbiano carattere cogente e vincolante per il giudice: non essendo presidiate da sanzioni, esse sono ritenute del tutto inidonee a frappone limiti imperativi o condizioni di legittimità al potere del giudice di scegliere il consulente tecnico. Un potere in sé discrezionale e – come tale – pacificamente ritenuto incensurabile in Cassazione[16].

Proprio in una recente sentenza, la Suprema Corte ha ribadito il potere del giudice di nominare come consulente tecnico “qualsiasi persona”, sia essa iscritta o non iscritta nell’albo dei consulenti, ovvero iscritta nell’una piuttosto che nell’altra categoria di riferimento. Essendo, in definitiva, la scelta del giudice un’apodittica garanzia di possesso da parte del consulente tecnico delle competenze specialistiche necessarie per risolvere correttamente le questioni tecniche coinvolte nella specifica controversia[17].

Tale granitica interpretazione finisce per influenzare anche l’assetto degli indirizzi giurisprudenziali concernenti il diverso profilo del possesso da parte del consulente tecnico delle competenze e specializzazioni necessarie per il corretto svolgimento dell’incarico. A prescindere dalle modalità seguite per la sua scelta, la giurisprudenza è infatti unanime nel ritenere incensurabile nel merito la scelta del giudice sotto tale profilo; e ciò sino a legittimare l’operato del consulente che abbia svolto un incarico concernente l’espletamento di attività che gli sarebbero per converso precluse dalle norme che regolano l’esercizio della relativa attività professionale[18].

[13] Mocci, La scelta del consulente tecnico d’ufficio nella prospettiva del giusto processo, in Il giusto processo civile,2, 2012, p. 593

[14] Zaccaria, La professionalità del consulente: una scelta del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2015, p. 699

[15] In giurisprudenza è costante il rilievo per cui le norme di cui agli artt. 61 c.p.c. e 13 – 22, 2° co., disp. att. c.p.c. relative alla scelta del consulente tecnico hanno natura e finalità di mere direttive; con la conseguenza che la scelta dell’ausiliario è sempre rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice e tale scelta non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. Civ., 12 marzo 2010, n. 6050; Cass. Civ., 12 aprile 2001, n. 5473)

[16] Cass. Civ., 5 febbraio 2020 n. 2671; Cass. Civ., 30 marzo 2010, n. 7622

[17] Cfr. Cass. Civ., 5 febbraio 2020, n. 2671

[18] Cfr. Cass. Civ., 24 gennaio 1986, n. 481 che, sulla scorta del principio giurisprudenziale della natura non cogente delle norme che disciplinano la nomina dell’esperto, ritiene che”la scelta del consulente, anche con riferimento alla categoria professionale di appartenenza ed alla sua competenza qualificata, è riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito e l’inosservanza di dette norme non produce alcuna nullità, non avendo esse carattere conseguente“; in senso parzialmente difforme si segnala Cass. Civ., 12 novembre 2007, n. 23504, secondo la quale “la nullità della consulenza tecnica d’ufficio derivante dall’inosservanza della norma della legge professionale che vieta al geometra o al perito di occuparsi di determinate costruzioni è di carattere relativo, non essendo la nullità espressamente prevista dalla legge; essa è pertanto sanata se non tempestivamente eccepita“. In dottrina v. Ansanelli, Recenti riforme in tema di consulenza tecnica d’ufficio. Le modifiche degli articoli 191, 195 c.p.c. e 23 disp att. c.p.c., op. cit., p. 684

3. Giuramento e accettazione dell’incarico

All’udienza fissata per l’assunzione dell’incarico il consulente tecnico viene avvertito dal giudice dell’importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere. Si tratta di un giuramento promissorio che, evidenziando i doveri di diligenza e veridicità ai quali è tenuto il consulente, mira ad assicurare l’obiettività del suo operato, specie sotto il profilo dell’estraneità dell’esperto rispetto agli interessi delle parti in causa[19].

Quanto al momento in cui deve essere prestato il giuramento, la giurisprudenza di riferimento ammette che lo stesso possa essere validamente prestato in un momento successivo al conferimento dell’incarico e finanche al momento del deposito della relazione scritta[20]. Inoltre, diversamente dalla dottrina[21], la giurisprudenza di legittimità ritiene che, in virtù del principio di tassatività (art. 156, 1° co., c.p.c.) e della più generale esigenza di conservazione delle risultanze peritali comunque acquisite al processo, la mancata prestazione del giuramento non comporti alcuna nullità od inutilizzabilità della consulenza[22]. Analogamente, non viene considerata causa di nullità, bensì mera irregolarità, la mancata apposizione della sottoscrizione del consulente in calce al verbale dell’udienza nella quale ha prestato giuramento[23].

[19] Vellani, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino 1988, p. 531. La formulazione dell’art. 193 c.p.c. è rimasta immutata, a differenza di quanto previsto per il giuramento del testimone, la cui formula è stata invece modificata adeguandola a quella utilizzata per l’assunzione della testimonianza nel processo penale. V. Fabiani, Commento sub art. 193 c.p.c., in Consolo (a cura di), Commentario al codice di procedura civile, 5° ed., Milano 2016, p. 2387. In via incidentale pare interessante segnalare come, in tema di invalidità pensionale, l’obbligo del consulente tecnico d’ufficio di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli implichi anche quello di “visitare fuori dal proprio studio l’assicurato soltanto qualora questo comprovi, anche mediante l’invio di certificazione medica, l’assoluta impossibilità di recarsi presso l’ausiliare per sottoporsi a visita e tale impedimento non sia superabile con un rinvio delle indagini entro ragionevoli limiti temporali“(Cass. Civ., 30 marzo 2004, n. 6338).

[20] Cfr., per tutte, Cass. Civ., Sez. Un., 29 novembre 1974, n. 3907, la cui massima per la sua pregnanza si riporta: “Il conferimento dell’incarico al consulente tecnico disposto non all’udienza all’uopo fissata ma in altra successiva, e non comunicata alle parti e l’omesso avviso a queste ultime della data di inizio delle operazioni peritali importano la nullità relativa della consulenza tecnica, da eccepirsi nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione. La relativa eccezione deve essere, inoltre, riprodotta nelle conclusioni definitive, intendendosi altrimenti rinunziata“. In dottrina v. E. Protettì – M.T. Protettì, La consulenza tecnica nel processo civile, 2° ed., Milano 1994, p. 39. Contra Giudiceandrea, voce Consulente tecnico (diritto processuale civile), in Enc. Dir., IX, Milano 1961, 535, il quale ritiene che il giuramento debba avvenire prima dell’inizio delle attività, con la conseguenza che un giuramento prestato in un momento successivo non servirebbe a render valida l’attività in precedenza svolta

[21] Nel senso che la mancata prestazione del giuramento da parte del consulente infirmi di nullità la relazione peritale v. Verde – Vaccarella, Codice di procedura civile commentato , Torino, 1996, pagg. 146; Carpi – Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2009, pagg. 460

[22] Cfr., da ultimo, Cass. Civ., 6 luglio 2011, n. 14906 che fissa il principio di diritto secondo il quale “la mancata prestazione del giuramento da parte del consulente tecnico costituisce una mera irregolarità formale, inidonea a determinare l’invalidità del verbale e del relativo conferimento dell’incarico, ostando a tale conclusione il principio di tassatività delle nullità

[23] In questi termini, Cass. Civ., 23 novembre 1996, n. 10386 secondo la quale “la mancata apposizione, da parte del consulente tecnico d’ufficio, della propria firma nel verbale dell’udienza nella quale lo stesso abbia prestato giuramento costituisce una mera irregolarità, non suscettibile di incidere sulla validità dell’attività processuale cui il detto verbale si riferisce né su quella degli atti successivi“. In dottrina, in precedenza v. De Tilla, Il consulente tecnico nell’elaborazione giurisprudenziale, in Giust. civ. 1993, II, p. 6

4. Inizio e prosecuzione delle operazioni peritali

Con evidenti finalità garantistiche il legislatore detta un’articolata disciplina per le ipotesi – costituenti nella prassi la regola – in cui il consulente tecnico compia le attività necessarie all’espletamento dell’incarico senza la presenza del giudice[24]. Più in dettaglio, ai sensi dell’art. 90, c. 1° disp. att. c.p.c., il consulente tecnico deve dare comunicazione alle parti del giorno, dell’ora e del luogo di inizio delle operazioni peritali; e, a mente dello speculare disposto dell’art. 91, c. 2° disp. att. c.p.c., analogo avviso deve essere dato dal cancelliere ai consulenti tecnici di parte[25].

Come in più riprese chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, con il termine parti devono intendersi i difensori costituiti ai sensi dell’art. 82, c. 2° c.p.c. e non le parti personalmente: si ritiene, infatti, che la comunicazione resa alla sola parte personalmente dia luogo alla nullità dell’intera consulenza (e, quindi, anche della relazione peritale). Ciò in quanto è in relazione al difensore costituito che deve essere valutata l’effettiva possibilità, nonostante l’omissione dei prescritti avvisi, di assistere alle indagini; mentre alle comunicazioni o notificazioni dovute al medesimo non può essere equiparata la conoscenza che la parte personalmente abbia dell’atto o dell’operazione di cui avrebbe dovuto essere informato il difensore, atteso che proprio il difetto delle necessarie cognizioni tecniche può impedire alla parte di valutare il significato o la rilevanza processuale dell’atto o dell’operazione, ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, e la stessa necessità di renderne edotto il proprio difensore[26]. La comunicazione di inizio delle operazioni peritali non deve invece essere inoltrata al contumace, atteso che essa non rientra fra gli atti che l’art. 292 c.p.c., con elencazione tassativa, prevede debbano essergli notificati[27].

Sotto altro profilo la giurisprudenza esclude che l’obbligo di comunicazione imposto dall’art. 90 c 1° disp. att. c.p.c. si estenda alle ipotesi in cui il prosieguo delle operazioni peritali sia di volta in volta fissato nel verbale delle stesse operazioni[28]. A tale riguardo si ritiene, infatti, che sia onere delle parti informarsi sulla prosecuzione delle attività peritali[29]. Pertanto, soltanto laddove il consulente rinvii le operazioni “a data da destinarsi” la giurisprudenza configura l’obbligo di una nuova comunicazione che preceda la ripresa delle attività, pena la nullità della consulenza[30]. Per converso, il consulente non è tenuto a dare alle parti alcun avviso del compimento di attività che non costituiscano vere e proprie indagini tecniche quali, ad esempio: attività meramente acquisitive di elementi emergenti da pubblici registri, accessibili a chiunque[31]; attività di semplice valutazione di dati in precedenza accertati nel contraddittorio delle parti[32]; attività volte a fornire al giudice i chiarimenti da questi richiesti, a fronte dei rilievi critici formulati dal consulente di parte, ove tale attività non implichi l’acquisizione di ulteriori e nuovi dati[33].

Va infine segnalata la presenza di indirizzi giurisprudenziali improntati da un maggiore rigore garantista. Nel contesto di un simile approccio si ritiene che l’omissione degli avvisi di cui agli artt. 90 e 91 disp. att. c.p.c., nella misura in cui impedisca alle parti o ad alcuna di esse di esercitare il diritto di difesa nel corso delle operazioni peritali, in forza del generale principio di cui all’art. 156, 2° co., c.p.c. si traduce in una causa di nullità, con conseguente inutilizzabilità della relazione[34].

[24] Cataldi, Rapporti tra giudice e consulente tecnico nel processo civile: esecuzione dell’incarico, in Giur. Mer. 2007, 12, p. 3087; Auletta, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico d’ufficio, op. cit., p. 302.

[25] In dottrina v. Montanari, Tutela del contraddittorio in sede di consulenza tecnica e comunicazione d’inizio attività del perito, in G iusto proc. civ.,2011, pagg. 679. Per un esempio di applicazione giurisprudenziale di tale norma in tema di procedimento arbitrale v. Cass. Civ., 28 febbraio 2014, n. 4808

[26] Cass. Civ, 26 settembre 2012, n. 16413

[27] Cass. Civ., 27 novembre 2003, n. 18154

[28] V., ex plurimis, Cass. Civ., 18 marzo 2014

[29] V., ex plurimis, Cass. Civ., 11 giugno 2014, n. 13230

[30] Cass. Civ., 3 gennaio 2003, n. 15

[31] Cass. Civ., 11 dicembre 1992, n. 13109

[32] Cass. Civ., 17 marzo 2005, n. 5762

[33] Cass. Civ., 17 settembre 1991, n. 9672

[34] Cass., 15 gennaio 1994, n. 343 secondo la quale “una consulenza tecnica di ufficio nulla per violazione del principio del contraddittorio non è utilizzabile né nel giudizio nel quale è stata esperita né in un giudizio diverso (avente ad oggetto un analogo accertamento), restando priva di qualsiasi effetto probatorio, anche solo indiziario

5. Attività del consulente tecnico di parte

L’art. 87 c.p.c. espressamente riconosce alle parti la facoltà di farsi assistere da propri consulenti nei casi e con i modi stabiliti dalla legge. La stessa disposizione è poi ripresa dall’art. 201 c.p.c., in forza del quale il giudice, nell’ordinanza di nomina del CTU, deve assegnare alle parti un termine[35] entro cui, per mezzo di una dichiarazione ricevuta dal cancelliere e contenente l’indicazione del domicilio o del recapito della persona prescelta (arg. ex art. 91, c. 1°, disp. att. c.p.c.), ciascuna di esse ha la facoltà[36] di nominare un proprio consulente tecnico di parte[37]. L’omessa indicazione nell’ordinanza del predetto termine non determina nullità dell’ordinanza né della stessa consulenza[38], essendo in tale circostanza applicabile l’art. 289 c.p.c. che consente l’integrazione dell’ordinanza istruttoria allorché non sia fissato il “termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali“.

La comunicazione dell’avvio delle operazioni peritali, come anticipato, è ovviamente diretta a consentire alle parti, in persona e a mezzo dei propri consulenti tecnici e difensori, di presenziare all’espletamento delle indagini, nonché di rivolgere allo stesso ausiliare del giudice, in forma orale o per iscritto, osservazioni ed istanze (ex art. 194, 2° co., c.p.c.), che a cura di quest’ultimo saranno trasmesse in copia a controparte (art. 90 c. 2 c.p.c.) e poi inserite nella relazione (art. 195 c. 2° cpc).

Allorché una delle parti presenti al CTU taluno degli scritti defensionali concessi dalla legge, una copia degli stessi deve essere comunicata alle parti avversarie (ex art. 90, c. 3° c.p.c.). Tale onere non incombe sull’ausiliario del giudice, ma sulla parte stessa[39], sicché, in linea di principio, la relazione peritale non può essere considerata nulla per il solo fatto che il CTU abbia omesso di inoltrare ad una delle parti gli atti ricevuti dall’altra. Tuttavia, qualora l’obbligo di comunicazione alla parte avversaria delle osservazioni inviate al consulente non sia stato adempiuto, e conseguentemente sia stata a quest’ultima preclusa la possibile replica, il CTU non dovrà tenere conto delle suddette osservazioni[40]. In ipotesi di questo genere, nonostante la giurisprudenza sia unanime nel sostenere che l’omessa trascrizione delle osservazioni avanzate dalle parti non dia luogo ad alcuna nullità, è pur sempre necessario che dal contesto della relazione risulti che il CTU abbia preso in considerazione le istanze delle parti, ovvero, altrettanto chiaramente, possa desumersi l’infondatezza di queste ultime.

Diversamente, se nonostante l’irritualità della produzione il CTU tiene ne tiene conto e la relazione viene condivisa dal giudice, la mera irregolarità della relazione si converte in nullità della sentenza[41].

[35] Il termine assegnato alle parti dal giudice per la nomina di un CTP ha natura ordinatoria. Tuttavia, la sua scadenza infruttuosa, senza che la parte abbia proposto una tempestiva istanza di proroga (ex art. 154 c.p.c.), “ha gli stessi effetti preclusivi della scadenza del termine perentorio“, impedendo la concessione di un nuovo termine per lo svolgimento della medesima attività; cfr. Cass. Civ., 4 dicembre 2014, n. 25662; Cass. Civ., 17 novembre 2010, n. 23227

[36] La nomina del CTP costituisce una mera facoltà. Conseguentemente, la sua mancata nomina o la mancata partecipazione alle indagini peritali (come l’omessa presentazione delle sue osservazioni all’elaborato peritale) non precludono allo stesso difensore il potere di contestare motivatamente e direttamente le conclusioni peritali anche sul versante prettamente tecnico-scientifico; così Cass. Civ., 23 febbraio 1994, n. 1811. Nel procedimento volto all’accertamento dello stato di adattabilità di un minore sono affette da nullità le operazioni peritali svoltesi anteriormente alla nomina del difensore dei genitori; in questi termini cfr. Cass. Civ., 25 agosto 2009, n. 20625

[37] Nel senso che non è causa di nullità delle operazioni peritali la presenza di un consulente tecnico di parte irritualmente nominato cfr., ad esempio, Cass., 7 luglio 2001, n. 9231; in dottrina v. Rossetti, Il c.t.u. (“l’occhiale del giudice”), Milano 2006, p. 139.

[38] V Cass. Civ., 4 dicembre 2014, n. 25662; Cass. Civ., 17 novembre 2010, n. 23227

[39] Cass. Civ., 16 dicembre 1971, n. 3691; Bronzini, L’attività del consulente tecnico d’ufficio, in Nuovo dir. 1988, p. 848

[40] V. nuovamente Cass. Civ., 16 dicembre 1971, n. 3691 e App. Roma, 29 gennaio 1991, in Giust. Civ., 1991, I, pagg. 728

[41] Cfr. Cass. Civ., 21 novembre 2001, n. 14735

6. Attività del consulente tecnico d’ufficio e relevatio ab oneri probandi

Ai sensi dell’art. 194 c.p.c., nell’adempimento dell’incarico ricevuto il CTU: a) compie “le indagini che gli sono commesse dal giudice“; b) fornisce, in udienza o in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede; c) assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; d) compie, anche al di fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini che gli sono affidate, “da sé solo o insieme col giudice” a secondo delle istruzioni che questi abbia impartito al momento del conferimento dell’incarico; d) può essere autorizzato dal giudice a domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi, eseguire piante, calchi o rilievi; e) nelle cause di competenza del collegio, il consulente può essere invitato dal presidente “ad assistere alla discussione davanti al collegio” e “ad esprimere il suo parere in camera di consiglio in presenza delle parti[42].

Secondo il dettato normativo nell’espletamento dell’incarico il consulente tecnico dovrebbe innanzitutto limitarsi al compimento di quelle attività che gli sono “commesse“, ossia espressamente affidate mediante la formulazione del quesito giudiziale. L’utilizzazione del termine “indagini” non deve far pensare all’attribuzione al consulente tecnico di una generica funzione inquirente. quanto l’attività del consulente risulta comunque circoscritta dal giudice per il tramite della formulazione dei quesiti nonché, più in generale, dall’oggetto della controversia.

A fronte di questo assetto disciplinare, gli orientamenti giurisprudenziali formatisi riguardo allo spettro, all’ampiezza e alla concreta configurazione dei poteri-doveri del consulente tecnico nello svolgimento delle indagini, risultano alquanto articolati. Con riferimento alla delimitazione dell’ambito delle indagini assegnate al consulente per il tramite della formulazione dei quesiti, l’orientamento giurisprudenziale assolutamente predominante ritiene che il consulente possa acquisire “anche di sua iniziativa ogni elemento necessario all’espletamento del mandato, anche desumendolo da elementi non prodotti in causa dalle parti”[43]. Ciò alla minimale condizione che il materiale probatorio autonomamente introdotto nel processo dall’esperto rientri “nell’ambito strettamente tecnico della consulenza“,e con il solo limite che l’autonoma attività acquisitiva del consulente non abbia ad oggetto “fatti e situazioni che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti, debbono essere provati soltanto da queste[44]. In tale ultima ipotesi, la giurisprudenza prevalente tende infatti a considerare la consulenza tecnica d’ufficio integralmente nulla per palese violazione del principio del contraddittorio. Per converso, nel rispetto di questi limiti e condizioni, si ritiene che sia consentito al giudice utilizzare per la risoluzione della controversia tutti gli elementi probatori acquisiti autonomamente dal consulente tecnico che “non esulino sostanzialmente dall’oggetto dell’indagine per la quale è stata disposta la consulenza[45]. Quest’ultima formula, tuttavia, appare pericolosamente generica e, conseguentemente, sembra rendere eccessivamente incerta l’individuazione dei confini oltre i quali al consulente non è consentito procedere, in assenza di un’espressa autorizzazione del giudice, all’acquisizione di materiale probatorio che non sia già acquisito al processo ad iniziativa delle parti o ex officio dal giudice. Ed è proprio allo scopo di ricondurre l’attività del CTU nel pieno rispetto del principio dispositivo e del principio del contraddittorio, che si sono formati indirizzi giurisprudenziali in forza dei quali si ritiene cheil potere del CTU di assumere informazioni da terzi ed accertare ogni circostanza necessaria per rispondere ai quesiti del giudice, è tuttavia circoscritto ai soli elementi accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, non già quei “fatti o situazioni che, essendo posti a fondamento delle domande o delle eccezioni delle parti, debbono essere da queste provati[46]. Coerentemente, è affetta da nullità la consulenza tecnica la quale, in palese violazione dei precetti desumibili dall’art. 194 c.p.c., sia diretta ad accertare fatti, principali od accessori, che non siano stati provati dalle parti, gravate ex art. 2697 c.c., del relativo onere[47]; e, allorquando la ratio decidendi adottata per la risoluzione della controversia sia stata desunta dai suddetti accertamenti, il vizio si trasmette alla sentenza di merito pregiudicandone la stabilità[48].

Con più specifico riferimento alle singole facoltà concesse al CTU, l’art. 194 c.p.c. prevede che qualora questi, per l’assolvimento dell’incarico, avverta la necessità di “domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi o eseguire piante, calchi e rilievi“, debba a tal fine richiedere l’espressa autorizzazione del giudice. Sulla scorta di tale impianto disciplinare, la giurisprudenza ha ad esempio ritenuto che le informazioni acquisite dai terzi in assenza di una espressa autorizzazione del giudice debbano considerarsi inutilizzabili, tanto da provocare, se utilizzate, la nullità della relazione peritale[49]. Con riferimento, invece, alle dichiarazioni rese dalle parti si registra l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale. Secondo un indirizzo più risalente, le dichiarazioni rese dalle parti in sede di consulenza tecnica andrebbero equiparate, per quanto concerne la loro efficacia probatoria, alle dichiarazioni rese dalle stesse in sede di interrogatorio libero; e, quindi, pur se consistenti nell’ammissione di circostanze favorevoli alla controparte, le stesse andrebbero considerate alla stregua di meri argomenti di prova[50]. Per converso, nelle più recenti evoluzioni giurisprudenziali le dichiarazioni di fatti contra se resi dalla parte al consulente tecnico si ritengono valutabili alla stregua di confessioni stragiudiziali. Talché, ai sensi dell’art. 2733 c.c., queste dichiarazioni costituirebbero mezzi di prova liberamente valutabili dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento[51].

Altrettanto dibattuto appare il tema della possibile acquisizione, ad opera del consulente tecnico, di documentazione che non sia stata già in precedenza prodotta dalle parti. A tale riguardo la dottrina è unanime nel ritenere che le valutazioni del consulente debbano fondarsi sullo stesso materiale istruttorio a disposizione dell’organo giudicante e, quindi, soltanto su documenti ritualmente prodotti dalle parti o acquisiti ex art. 210 e 213 c.p.c.[52]. In giurisprudenza gli orientamenti più risalenti escludono radicalmente la possibilità di acquisire documentazione ulteriore a quella già presente nel fascicolo d’ufficio[53]. Più di recente si ammette invece la possibilità per l’esperto di acquisire nuova documentazione[54], se del caso previo consenso delle parti[55]. Precisando, infine, che esulano dal tema le informazioni contenute in pubblici registri, sempre autonomamente acquisibili[56].

Vanno a riguardo segnalate due recenti pronunce mediante le quali – con diverse sfumature e una diversa portata delle conseguenti precipitazioni pratiche – la Corte di Cassazione reinterpreta il contenuto e la finalità della disposizione contenuta nell’art. 194 c.p.c.; e ciò al fine di individuare i limiti delle attività consentite al consulente tecnico dalla disposizione in commento e, in particolare, la possibilità per lo stesso, al fine di rispondere ai quesiti formulati dal giudice, di acquisire ed esaminare documenti non previamente acquisiti al giudizio per iniziativa delle parti o per ordine del giudice.

Nella prima di queste, la Suprema Corte affronta due distinte questioni di diritto, ossia:

a) quali siano i poteri istruttori del consulente tecnico d’ufficio, e quali i loro limiti;

b) se, ed in quali casi, a quei limiti possa derogarsi per volontà della legge, per ordine del giudice o per consenso delle parti.

1 – a… Limiti dei poteri istruttori del consulente tecnico d’ufficio

Con riferimento al primo dei citati profili, nella sentenza in esame aderendo ad un precedente orientamento il Supremo Collegio ritiene che l’attività del consulente tecnico non possa supplire all’onere probatorio gravante sulle parti. Di conseguenza, l’esperto potrà valutare scientificamente o tecnicamente i fatti già provati, oppure acquisire gli elementi necessari ad accertare la veridicità dei fatti documentati dalle parti, ma non potrà introdurre nel processo fatti nuovi, o ricercare di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni dedotte dalle parti[57].

Pertanto, secondo tale orientamento anche qualora ci si trovi di fronte ad una consulenza cosiddetta “percipiente”, il consulente tecnico d’ufficio potrà compiere indagini esplorative ed accertare di sua iniziativa fatti materiali esclusivamente in due ipotesi: 1) quando si tratti di “fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza“, con esclusione quindi dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni[58]; 2) qualora l’attività di indagine officiosa del c.t.u. “sia necessaria per riscontrare la veridicità dei fatti allegati dalle parti e l’attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti“. Per converso, dovrà sempre escludersi la possibilità per il consulente tecnico d’ufficio di acquisire documenti non ritualmente prodotti in causa, in quanto in tale ipotesi “non si tratta di utilizzare dei semplici elementi di fatto, ma di valutare una prova documentale, la quale può essere utilizzata in giudizio solo nel caso in cui il giudice, su espressa richiesta delle parti, ne abbia ordinato l’esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c.[59].

In definitiva, secondo tale orientamento l’art. 194 c.p.c. deve essere sistematicamente interpretato, per un verso, alla luce delle norme che disciplinano i poteri delle parti ed il principio dispositivo (artt. 112 e 115 c.p.c.) e, per altro verso, in coerenza con le norme che disciplinano l’istruttoria e l’assunzione dei mezzi di prova da parte del giudice (artt. 202 e ss. c.p.c.). E, pertanto, l’interpretazione sistematica della disposizione contenuta nell’art. 194 c.p.c. deve portare a ritenere che le attività consentite al consulente tecnico dalla norma testè citata incontrino due limiti insormontabili, che si sostanziano rispettivamente: i) nel divieto di svolgere indagini su questioni che non siano state prospettate dalle parti nei rispettivi scritti difensivi ed entro i termini preclusivi dettati dal codice; ii) nel divieto di compiere attività istruttoria ormai preclusa alle parti (come, appunto, procedere all’acquisizione di documenti in un momento successivo al decorso dei termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c.).

All’esito di un percorso argomentativo particolarmente articolato, valorizzante una lettura al tempo stesso esegetica, sistematica e finalistica dell’art. 194 c.p.c., la Corte di Cassazione conclude ritenendo che, ai sensi della suddetta disposizione: 1) le indagini che il giudice può affidare al consulente tecnico d’ufficio si sostanziano esclusivamente in quelle aventi ad oggetto la valutazione (c.d. di consulenza deducente) o l’accertamento (c.d. consulenza percipiente) dei fatti che hanno già trovato ingresso nel processo per il tramite delle tempestive deduzioni delle parti; 2) la formulazione di quesiti che comportino l’affidamento al consulente tecnico del compito di accertare fatti mai dedotti dalle parti qualificherebbe come processualmente nullo il suddetto quesito (e, qualora lo stesso fosse finalizzato ad ottenere valutazioni giuridiche, si porrebbe come fonte di responsabilità disciplinare per il magistrato); 2) i “chiarimenti” che il consulente tecnico può richiedere alle parti sono soltanto quelli “idonei ad illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, e non possono comportare l’introduzione nel giudizio di nuovi temi di indagine“; 3) le “informazioni” che il consulente tecnico può domandare a terzi non possono trasformarsi in prove testimoniali, nè avere ad oggetto documenti che era onere delle parti depositare.

1 – b… Possibili deroghe ai limiti dei poteri d’indagine del consulente tecnico d’ufficio

Il principio secondo il quale il consulente tecnico d’ufficio non può supplire alle carenze probatorie delle parti (ossia non può funzionare alla stregua di uno strumento di relevatio ab oneri probandi) incontra due deroghe):

1) la prima di queste ricorre, secondo sedimentata giurisprudenza, in tutte quelle ipotesi nelle quali la consulenza tecnica d’ufficio si pone come extrema ratio probatoria, ossia quando il ricorso a metodi d’indagine e cognizioni tecnico-scientifiche che trascendono il sapere dell’uomo medio rappresenta l’unico strumento a disposizione della parte per fornire la prova dei fatti costitutivi delle proprie domande ed eccezioni. In tal caso è consentito al c.t.u. derogare con le sue indagini al principio dell’onere della prova, indagando su fatti che sarebbe stato teoricamente onere della parte interessata dimostrare[60]

2) la seconda concerne invece i cosiddetti fatti “accessori” o “secondari”, di rilievo puramente tecnico, il cui accertamento è necessario per una esauriente risposta al quesito o per dare riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti[61].

Ai limiti imposti all’attività del c.t.u. dal principio dispositivo e dalle preclusioni istruttorie non è invece possibile derogare nè per ordine del giudice, nè per volontà delle parti.

In conclusione del suo iter argomentativo la Corte di cassazione enuncia i seguenti principi di diritto:

(a) il consulente tecnico non può indagare d’ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti;

(b) non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni, nè acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali;

(c) può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti;

(d) i principi che precedono non sono derogabili per ordine del giudice, nè per acquiescenza delle parti;

(e) la nullità della consulenza, derivante dall’avere il c.t.u. violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall’acquiescenza delle parti ed è rilevabile d’ufficio.

Nonostante la chiara enunciazione di specifici principi di diritto espressi attraverso un’apprezzabile approccio sistematico dalla Cassazione con la sentenza n. 31886 del dicembre 2019, con la successiva sentenza n. 2671 del 5 febbraio 2020 la Suprema Corte torna ad intervenire sulla delicata questione concernente i limiti delle attività istruttorie consentite al consulente tecnico; e ciò con un approccio decisamente differente e che conduce, come si è anticipato, anche a precipitazioni pratiche in totale distonia con l’orientamento espresso soltanto due mesi prima dalla Suprema Corte. Il che, sia consentito l’inciso, non può che sollevare interrogativi anche sull’attuale funzione effettivamente nomofilattica del nostro organo giurisdizionale apicale.

Ed in effetti, in tale ultima decisione la Corte di Cassazione inizia col fondare il proprio percorso argomentativo su quegli insegnamenti giurisprudenziali più “salvifici” dei risultati in ogni modo acquisiti al processo per il tramite dell’esperto, ossia tendenzialmente favorevoli a consentire al consulente tecnico “di attingere aliunde notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali quando ciò sia indispensabile per espletare convenientemente il compito affidatogli[62]; e ciò con l’unico limite che tale autonoma attività d’indagine non concerna “fatti costituenti materia di onere di allegazione e di prova delle parti“. In tale ultima ipotesi, infatti, l’attività ispettiva dell’esperto si tramuterebbe in un’indebita relavatio ab oneri probandi, ponendosi in netto contrasto con il disposto dell’art. 2697 c.c.[63].

Tuttavia, la Suprema Corte ritiene di individuare una sorta di generale derogabilità anche a tale ultimo argine all’estensione di quelli che potremmo veramente chiamare i poteri istruttori ufficiosi del consulente tecnico. Una deroga che, a prescindere da quanto possa risultare condivisibile nella sua applicazione al caso di specie, appare in qualche misura pericolosa ove assunta a regola generale; e ciò sia per la sua portata troppo generica e astratta sia per la labilità dei suoi confini, che la rendono in definitiva sostanzialmente e oggettivamente non controllabile.

Gli ermellini ritengono, infatti, che il consulente tecnico d’ufficio possa esaminare documenti non acquisiti al giudizio, purchè tali documenti risultino “integri ed affidabilissimi[64].

A tale riguardo, appare in primo luogo evidente che tale prognosi concernente l’integrità e l’affidabilità dei documenti sia soltanto successiva alla loro disamina; circostanza che già di per sé sostanzia una pericolosa apertura all’acquisizione processuale di coumentazione non prodotta dalle parti. In secondo luogo, non si comprende appieno se le caratteristiche che dovrebbero consentire l’acquiszione di tali documenti in violazione del princiio dell’onere dela prova e del sistema delle preclusioni, riguardino elementi per così dire estrinseci ed intrinseci degli stessi. Se, cioè, le caratteristiche di integrità e affidabilità siano riferite alla loro provenienza oppore costituiscoano una valutazione del relativo contenuo. Ma, soprattutto, pur prescindendo da tali interrogativi resta pur sempre un fatto che la caratterizzazione di tali documenti in termini di integrità e affidabilità non può in ogni caso sanare la violazione dei summenzionati principi (artt. 115 c.p.c., principio preclusivo e onere della prova) che deriverebbe dalla loro acquisizione “ufficiosa” a opera del consulente tecnico d’ufficio. Una simile conclusione finirebbe infatti per relativizzare la portata di principi di ordine generale concernenti la modalità di formazione del materiale utilizzabile dal giudice ai fini della decisione, producendo un’incertezza nelle dinamiche processuali e una possibile disparità di trattamento fra le varie posizioni processuali che appare davvero inaccettabile sinanco sotto il profilo costituzionale.

La sentenza della suprema Corte da ultimo richiamata interviene infine anche sulla possibilità per il consulente tecnico di avvalersi dell’opera di altri esperti o collaboratori, confermando un precedente orientamento ritenente non necessaria in questo caso la preventiva autorizzazione del giudice[65].

Anzi, afferma il Supremo Collegio, non costituisce motivo di nullità della consulenza neppure il fatto che l’ausiliario abbia attinto elementi di giudizio anche dalle cognizioni e dalle percezioni di un proprio collaboratore[66].

Tuttavia, in assenza di un’espressa autorizzazione in tal senso si è ritenuto che le spese sostenute dai collaboratori non siano rimborsabili, rimanendo pertanto a carico del CTU[67].

[42] V. Ansanelli, La consulenza tecnica d’ufficio, in Taruffo (a cura di), Istruzione probatoria, cit., p. 72

[43] Cfr. Cass. 6 novembre 2001, n. 13686, secondo cui il consulente può attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli.

[44] Cfr. Cass. Civ., 10 maggio 2001, n. 6502

[45] Cass. Civ., 17 febbraio 2004, n. 3105

[46] Cass. Civ., 10 marzo 2015, n. 4729, secondo cui il consulente tecnico d’ufficio può assumere anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori necessari per rispondere ai quesiti, ma non anche accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, sicché gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario“.

[47] Cfr. ex plurimis, Cass. Civ., 5 ottobre 2006, n. 21412; Izzo, Commento sub art. 195 c.p.c. , in Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, 3 ed.,Torino 2016, 571.

[48] Cfr., ex multis, Cass. Civ., 12 giugno 2014, n. 13418. Si ritiene invece che il vizio della c.t.u. non si trasmetta alla sentenza di merito laddove il giudice non abbia valutato ai fini della decisione gli elementi irritualmente assunti; cfr. Cass., 22 luglio 1993, n. 8206

[49] Cass. Civ., 26 ottobre 1995, n. 11133

[50] Cass. Civ., 8 maggio 1979 n. 2615

[51] Cass. Civ., 11 dicembre 2003 n. 18987

[52] V. Ansanelli, La consulenza tecnica d’ufficio. Problemi e finalità, Milano, 2011, pagg. 53

[53] Cass. Civ., 26 ottobre 1973, n. 2770

[54] Cass. Civ., 15/10/2003, n. 15448

[55] Cass. Civ., 14/8/1999, n. 8659

[56] Cass. Civ., 11/12/1992, n. 13109

[57] Cass. Civ. Sez, III, n. 31886 del 6 dicembre 2019, n. 31886 che, a tale riguardo, richiama l’orientamento precedentemente espresso da Cass. Civ., 23 giugno 2015, n. 12921

[58] In questo senso la citata Cass. 31886/2019 richiama il precedente orientamento espresso da Cass. Civ., 15 giugno 2018, n. 15774

[59] Cfr. Cass. Civ., Sez, III, n. 31886 del 6 dicembre 2019, n. 31886. In precedenza Cass. Civ., 2 dicembre 2010, n. 24549; Cass. Civ., 26 ottobre 1995, n. 11133

[60] In questo senso in dottrina già in precedenza v. L:P: COMOGLIO; Le prove civili, 3° ed. Torino 2010, p. 423; in giurisprudenza precedenti conformi, specie con riferimento alla c.d. consulenza percipiente v. ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 08 febbraio 2019, n. 3717 rv. 652736.

[61] Cass. Civ., Sez. I, 15 giugno 2018, n. 15774 rv. 649471 – 01

[62] Cfr., ex multis, Cass. Civ. 28 gennaio 2010, n. 1910

[63] Cass. Civ., 14 novembre 2017, n. 26893; Cass. Civ., 23 giugno 2015 n. 12921

[64] Nel caso di specie, il consulente tecnico d’ufficio aveva esaminato nel primo grado di giudizio ha esaminato alla presenza dei due consulenti tecnici di parte 843 alamari contenuti in una scatola integra e pertanto ritenuta affidabilissima.

[65] Cass., 15 luglio 2009, n. 16471

[66] Cass. Civ., 5 febbraio 2020, n. 2671

[67] Cass. 30 marzo 2006, n. 7499

7. Deposito della relazione peritale

L’elaborato peritale deve essere depositato in cancelleria entro il termine fissato dal giudice con ordinanza emessa al momento del conferimento dell’incarico (ex art. 195, 3° co., c.p.c.).

Il suddetto termine, in difetto di espressa disposizione di legge, ha carattere ordinatorio[68], sicché il tardivo deposito non infirma di nullità la relazione[69], fermo restando che, se non sorretto da adeguata giustificazione e dunque ascrivibile a colpa dell’ausiliario, il giudice possa disporre, exart. 52 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, la riduzione del compenso spettante al CTU nella misura di un quarto[70], ovvero provvedere alla sua sostituzione ex art. 196 c.p.c., nonché segnalare l’accaduto al presidente del tribunale, ai sensi dell’art. 19 disp. att. c.p.c., per l’avvio del procedimento disciplinare.

In mancanza di una espressa declaratoria di perentorietà, sembra dunque doversi ritenere che tutti e tre i termini previsti dal riformato comma 3 dell’art. 195 c.p.c. siano da considerarsi ordinatori. Essendo peraltro oggi la concessione dei suddetti termini finalizzata anche a consentire alle parti il compiuto esercizio del contraddittorio sulle risultanze peritali, la mancata concessione del termine per formulare osservazioni dovrebbe comportare una ipotesi di nullità o inutilizzabilità della relazione peritale. Del resto, la norma sembrerebbe porre a carico dell’esperto un vero e proprio obbligo di replicare -seppur in maniera sintetica- alle osservazioni formulate dalle parti (rectius dai loro consulenti). A riguardo, pare possibile ritenere che il mancato svolgimento di tale attività contraddittoriale da parte dell’esperto dovrebbe giustificare la richiesta delle parti di ordinare allo stesso esperto di svolgere indagini suppletive o, comunque, di fornire i necessari chiarimenti.

[68] Cfr. Trib. Genova, 12 marzo 2015 “In materia processuale civile è infondata l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, per deposito tardivo della stessa, ovvero per violazione dei termini per chiedere la proroga, in ragione del carattere ordinatorio del termine per il deposito dell’elaborato peritale“.

[69] Cfr., tra le tante, Cass., 18 marzo 2014, n. 6195; Cass., 8 novembre 2010, n. 22708. Diversamente, nel rito del lavoro, ove il consulente non depositi la propria relazione almeno dieci giorni prima della data della nuova udienza di discussione, ha luogo una ipotesi di nullità relativa; in questi termini v Cass., 8 novembre 2010, n. 22708,

[70] Cfr. Trib. Mondovì, 4 maggio 2010, in Redazione Giuffrè, 2010.

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