Accesso agli atti nei procedimenti disciplinari dei dipendenti pubblici

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Il procedimento disciplinare attivato nei confronti di un dipendente si sviluppa attraverso un delicato percorso contraddistinto da varie fasi che si caratterizzano per le diverse azioni da compiere prevalentemente da parte del datore di lavoro, ma anche del lavoratore incolpato di  condotte non conformi ai doveri e agli obblighi contrattualmente o normativamente stabiliti.

Il cammino da percorrere è ben regolamentato e i vari momenti  più significativi sono cadenzati da termini precisi finalizzati a garantire la tempestività dell’azione disciplinare e ad evitare che la parte datoriale possa ritardare, a pena di decadenza, gli interventi sanzionatori. Gli stessi termini sono posti a tutela del lavoratore chiamato ad esercitare, in contraddittorio con l’Amministrazione, il proprio diritto di difesa e avere la certezza della conclusione del procedimento entro tempi brevi e definiti, al fine di evitare una lunga esposizione ad accuse e colpe che possono ledere la sua serenità.

Il momento che certamente assume maggiore rilevanza nell’intero procedimento disciplinare è quello della contestazione degli addebiti, allorquando il datore di lavoro  avvia formalmente l’iter sanzionatorio  attraverso un atto scritto nel quale riporta, in modo puntuale, i fatti e i comportamenti rilevati,  specificando con chiarezza quanto ritenuto sanzionabile e gli atti correlati.

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Il dipendente incolpato ha necessità di prendere visione degli atti per difendersi

Spesso il dipendente incolpato, per avviare una efficace linea difensiva, non ritiene sufficiente  quanto riportato nella contestazione e ha bisogno di prendere visione di atti o documenti che potrebbero risultare utili ad una maggiore cognizione delle accuse e delle specifiche responsabilità disciplinari contestate.

E’ possibile, pertanto, esercitare il diritto di accesso agli atti del procedimento riconosciuto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, dal d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (art. 55-bis, 4° comma), nonché dal d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33, novellato dal d. lgs. 25 maggio 2016, n.97, che ha introdotto – in un contesto normativo  di trasparenza e anticorruzione – il diritto di accesso civico ai dati e ai documenti.

Nel presente lavoro, finalizzato a trattare l’accesso documentale nell’ambito di un procedimento disciplinare, non si destinerà attenzione all’accesso civico che, nelle sue due tipologie (“accesso civico semplice” e “accesso civico generalizzato”), consente al cittadino di richiedere alla pubblica amministrazione la pubblicazione di dati e documenti da essa detenuti, allo scopo di favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo di risorse pubbliche.

L’accesso ai documenti amministrativi, che qui interessa,  risponde a un principio generale che si prefigge di garantire al singolo soggetto di prendere visione o estrarre copia di atti o documenti che lo riguardano direttamente.

Il riconoscimento di tale diritto, però, non è pienamente esercitabile, giacché vi sono degli atti la cui divulgazione è vietata, come nel caso di quelli indicati nell’art. 24 della legge 241/90 (documenti coperti da segreto di Stato; documenti relativi ai procedimenti tributari; documenti riguardanti le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico; documenti concernenti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, ecc.).

Per l’accesso agli atti occorre un interesse diretto, concreto e attuale

Per esercitare il diritto di accesso agli atti occorre, in capo al richiedente, un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l’accesso, così come espressamente previsto dall’art. 22, comma 1, lett b), della legge 241/90.

A di là dei casi di esclusione espressamente contemplati, sussiste, nei procedimenti disciplinari, l’obbligo del datore di lavoro di mettere a disposizione del dipendente incolpato la documentazione ritenuta  necessaria a garantire un’adeguata difesa, soprattutto qualora la contestazione non risulti  specifica, ovvero non contenga tutti gli elementi necessari ad avere contezza di comportamenti o fatti  ritenuti sanzionabili.

Per un bilanciamento dell’interesse del lavoratore all’esercizio di una necessaria difesa rispetto alle chiusure frapposte dall’amministrazione, preoccupata della riservatezza degli atti in suo possesso, si è reso più volte necessario far ricorso al giudice amministrativo, al fine di  dirimere controversie tra datore di lavoro e dipendente, spesso – come meglio si dirà più avanti – caratterizzate da varie fattispecie di non facile soluzione.

Nel presente scritto  si sta esaminando il diritto di acceso agli atti nel lavoro pubblico, ma è inevitabile un richiamo al lavoro privato facendo rilevare – così come affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7581 del 27 marzo 2018 – che, sebbene l’art. 7 della legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) non preveda, nell’ambito del procedimento disciplinare, “un obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione disciplinare, la documentazione su cui essa si basa, il datore di lavoro è tenuto ad offrire in consultazione all’incolpato i documenti aziendali laddove l’esame degli stessi sia necessario  al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto”.

 

Il lavoratore deve poter esercitare pienamente il diritto di difesa

Il soggetto destinatario di un procedimento disciplinare – sia esso un lavoratore privato o un dipendente pubblico – deve essere messo nelle condizioni di poter esercitare pienamente il diritto di difesa e avere  cognizione dei fatti (e della relativa documentazione) che hanno determinato elementi di colpevolezza nei suoi riguardi. Così come affermato nella sentenza n. 282 del Consiglio di Stato, sez. IV, emessa il 13 gennaio 2020,il diritto di accesso trova fondamento nell’esigenza di tutelare un interesse giuridicamente rilevante, intendendosi per tale un interesse serio, effettivo, concreto e, in definitiva, ricollegabile all’istante da un preciso e ben identificabile nesso funzionale alla realizzazione di esigenza di giustizia […]. L’interesse all’accesso e la sua rilevanza ai fini della difesa nelle varie e distinte fasi del procedimento disciplinare vanno intesi in senso ampio, essendo sufficiente che la documentazione richiesta costituisca, genericamente, mezzo utile per la difesa.”

Come detto innanzi, la contestazione di addebito deve essere il più possibile specifica e contenere le notizie necessarie  ad accertare le condotte che integrano le infrazioni punibili con sanzioni e, pertanto, qualora in essa  si faccia riferimento ad atti, questi devono essere già a conoscenza dell’incolpato, affinché possa comprendere i fatti in relazione ai quali l’iniziativa disciplinare è stata intrapresa.

Da ciò deriva, secondo la sentenza della Corte di Cassazione – sez. lavoro – n. 23771 del 1° ottobre 2018, che “la genericità della incolpazione non può essere superata facendo leva sul fatto che l’accesso agli atti avrebbe consentito al dipendente di conoscere tutti i dati necessari a circostanziare l’addebito disciplinare”.

Con questa decisione la Corte, nell’accogliere il ricorso di un dipendente, ha consolidato, con un ulteriore pronunciamento, il principio della specificità della contestazione, escludendone la genericità, e ha ribadito che il richiamo a documenti esterni è possibile solo a condizione che la comunicazione faccia espresso riferimento alla fonte ed i documenti in questione siano già nella disponibilità del lavoratore, sicché non è sufficiente che sia stato messo in condizioni di accedere agli atti del procedimento in epoca successiva all’avvio dell’azione disciplinare.

Richiesta di accesso a esposti, denunce e relazioni ispettive

Una tipologia di accesso agli atti caratterizzata da significative peculiarità si potrà avere allorquando il lavoratore chiede di ricevere copia o prendere visione della documentazione in possesso del datore di lavoro costituita da esposti, denunce o relazioni ispettive, che hanno determinato l’avvio del procedimento disciplinare a suo carico. Si pone in tal caso una forte  contrapposizione tra diritto alla riservatezza dei soggetti che hanno formulato esposti, denunce, ecc. e il lavoratore, che, per esercitare il suo diritto di difesa, ha necessità di conoscere gli atti e la documentazione utilizzata per la sua incolpazione.

In queste situazioni deve essere riconosciuto al dipendente un interesse giuridicamente rilevante ad esercitare l’accesso, che non può essere ricondotto ad una mera curiosità, ovvero al desiderio di  conoscere chi lo accusa o chi potrebbe avere antipatie nei suoi riguardi, ma esiste una valida esigenza di tutelare la propria persona e promuovere il diritto di difesa. Il soggetto che subisce un procedimento disciplinare vanta, così come affermato anche dal TAR Campania con la sentenza n. 653 del 4 febbraio 2016, “un interesse qualificato a conoscere i documenti utilizzati per l’esercizio del potere – inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità – suscettibili, per il loro particolare contenuto probatorio, di concorrere all’accertamento di fatti potenzialmente pregiudizievoli. Ciò in quanto l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale e di conseguenza il denunciante perde il controllo sulla propria segnalazione la quale diventa un elemento nella disponibilità dell’amministrazione.”

La possibilità che il soggetto incolpato acceda agli atti sui quali si può fondare un procedimento disciplinare è stata riconosciuta anche dal Consiglio di Stato  con la sentenza n. 28 del 2 gennaio 2020, che consente al lavoratore di avere copia della relazione ispettiva inerente alle condotte attribuitegli.

 

Dipendenti pubblici che segnalano condotte illecite (whistleblowing)

Restando nell’ambito degli esposti, è necessario destinare attenzione ai casi in cui l’amministrazione riceva delle segnalazioni  rientranti nella tipologia di quelle previste dall’art. 54-bis del d. lgs. 165/2001, che disciplina l’istituto del whistleblowing, introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190 (successivamente modificata e integrata con le leggi 114/2014 e 179/2017), la quale  tutela i dipendenti pubblici che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnalano condotte illecite di cui sono venuti a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, e dispone, altresì, che  le loro segnalazioni siano sottratte all’accesso agli atti di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 241/90.

Qualora, a seguito di tali segnalazioni, l’amministrazione attivi un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, l’identità del segnalante non può essere  rivelata ove la contestazione dell’addebito sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Se, però, come stabilito dal comma 3 dell’art. 54-bis del d. lgs. 165/2001, “la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità”.

Siffatte comunicazioni di condotte illecite devono, però, rientrare pienamente tra quelle  volute dal legislatore per fare emergere fatti di corruzione o degenerazione e possederne i requisiti di cui al 1° comma dell’art. 54-bis del  d. lgs. 165/2001 (esserne venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro;  invio al Responsabile Prevenzione e Corruzione, all’ANAC o all’Autorità giudiziaria ordinaria e contabile), cosicché non devono essere confuse con quelle che il segnalante invia non per tutelare l’integrità dell’amministrazione, bensì per interessi prettamente personali.

Al riguardo il giudice amministrativo (vedi, tra le altre, la sentenza TAR Campania –  n. 3880 dell’8 giugno 2018)  è stato più volte chiamato a pronunciarsi sul diritto di accesso agli atti stabilendo che, se “ogni denuncia di violazione dei diritti dei lavoratori […] fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti al diritto di accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce principio generale dell’attività amministrativa”.

Ulteriore e più recente conferma di tale pronunciamento si è avuta  con la  sentenza del Consiglio di Stato n. 28, del 2 gennaio 2020, per la quale la segnalazione, non indirizzata ai soggetti istituzionali (ANAC, ecc.) e non motivata “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione” – come avviene quando vi confluiscano scopi essenzialmente di carattere personale -, non è sottratta all’accesso previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge 241/90.

Possibilità di accesso anche dopo la conclusione del procedimento disciplinare

Per quanto concerne lo spazio temporale per esercitare l’accesso agli atti, si è posto il problema se, dopo la conclusione dell’intero percorso del procedimento disciplinare, definito, ad esempio, con l’irrogazione di una sanzione disciplinare non più impugnabile per lo spirare dei termini di presentazione del ricorso giurisdizionale, possa ancora il lavoratore interessato prendere visione o estrarre copia degli atti del suo procedimento  concluso da tempo.

Per tali casi vi sono stati dinieghi di accesso da parte dell’amministrazione perché il procedimento era già deciso e il relativo provvedimento di definizione non era stato neanche impugnato.

Queste determinazioni di parte datoriale non sono state condivise dal giudice amministrativo, che, con alcuni pronunciamenti (si veda sentenza TAR Lombardia n. 1405 del 12 luglio 2016),  ha stabilito che “ è del tutto irrilevante che il procedimento disciplinare si sia chiuso da tempo e il relativo provvedimento non sia stato impugnato. L’interesse all’ostensione degli atti non coincide con l’interesse processuale, ma ha una più ampia portata e una valenza autonoma, da intendersi come interesse ad un bene della vita, distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto”.

In buona sostanza si può verificare, ad esempio, che il dipendente, pur non avendo  compiuto alcuna attività nel corso del procedimento disciplinare conclusosi da tempo, può avere ancora interesse ad esercitare un’azione risarcitoria ovvero una denuncia penale, ecc.

Riguardo all’accesso a documenti che possano eventualmente  contenere dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale di persone, si deve tener conto di quanto espressamente disposto dal legislatore con l’art. 60  del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, per il quale l’accesso ”è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale”.

Al di là di quanto analiticamente normato, si può anche valutare, in presenza di dati sensibili, di fare ricorso agli omissis o schermature, qualora  tali notizie non fossero indispensabili per soddisfare la richiesta di accesso.

Meritevole di una riflessione è anche la possibilità che soggetti terzi al procedimento disciplinare, che di norma si realizza tra datore di lavoro e lavoratore, facciano richiesta di accesso agli atti inerenti a un percorso sanzionatorio già definito o ancora in atto.

Richiesta da parte di genitori di alunni di accedere agli atti di un procedimento disciplinare nei confronti di un dirigente scolastico e un docente

 

Si vuole  richiamare, a tal riguardo, quanto posto in essere da alcuni genitori di alunni che hanno richiesto di accedere agli atti di un procedimento disciplinare – avviato a seguito di un loro esposto e conclusosi con l’archiviazione – riguardante un dirigente scolastico e un insegnante. Tale istanza è stata rigettata perché  ritenuta  finalizzata  a un controllo generalizzato sull’attività amministrativa e anche perché l’interesse alla riservatezza dei soggetti sottoposti a procedimento disciplinare deve essere prevalente rispetto a quello di coloro che, non avendovi partecipato, sono considerati alla stregua di terzi.

Avverso tale diniego dell’Amministrazione i genitori si sono rivolti al TAR sostenendo che la domanda di accesso agli atti ha avuto impulso da un loro esposto, con cui lamentavano l’irregolarità nella formazione delle classi alle quali i loro figli avrebbero dovuto accedere e non avrebbe avuto alcuna finalità di controllo generalizzato sull’attività amministrativa, ma il solo fine di tutelare i loro interessi specificamente rilevanti e prevalenti rispetto alla riservatezza dei soggetti coinvolti nel procedimento disciplinare, conclusosi con l’archiviazione.

Il ricorso è stato ritenuto fondato dal TAR  Lombardia  (vedi sentenza n. 1721 del 28 settembre 2020) che, in perfetta simbiosi con quanto già deciso in altre occasioni dal Consiglio di Stato (ad. plen. del 20 aprile 2006, n. 7), ha affermato che “ la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare  nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’art. 22 della legge 241/90, legittima l’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare  che da quell’esposto ha tratto origine, a ciò non ostando l’estraneità dell’autore dell’esposto stesso al procedimento disciplinare e la sua conseguente qualità di terzo rispetto al medesimo”.

E’ stato anche fatto rilevare dal collegio del TAR che, nella fattispecie di cui si sono occupati, la richiesta di accesso non interessava dati sensibili, né tanto meno i dati che attengono allo stato di salute o alla vita sessuale, cosicché deve riconoscersi un interesse giuridicamente rilevante dei genitori ad accedere agli atti, escludendo che la richiesta abbia mera finalità di controllo generalizzato sull’azione amministrativa.

 

Modalità di esercizio di accesso agli atti e tutele avverso diniego

 

Per quanto concerne le modalità di esercizio dell’accesso agli atti è necessario attenersi a quanto analiticamente disposto dal d.p.r. 12 aprile 2006, n.184; pertanto occorre preliminarmente una specifica istanza in carta semplice rivolta all’amministrazione che ha  formato il documento o che lo detiene stabilmente, precisando i documenti che si vogliono avere in visione o in copia, nonché le motivazioni che giustificano l’istanza, facendo anche rilevare l’esistenza di un interesse concreto, diretto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso.

Decorsi inutilmente trenta giorni dall’istanza senza alcun riscontro, essa si intende respinta (silenzio-rigetto). Avverso il silenzio o la decisione espressa di diniego, ovvero il differimento dell’accesso, è possibile  produrre, entro 30 giorni, ricorso al TAR.

In alternativa al ricorso al TAR è consentito, secondo quanto stabilito dal comma 4 dell’art. 25 della legge 241/90, nello stesso termine di 30 giorni, produrre ricorso alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinché venga riesaminata la determinazione adottata dall’amministrazione resistente.

La Commissione si deve pronunciare entro 30 giorni dall’istanza e, in mancanza, il ricorso si intende respinto. Viceversa, qualora il ricorso sia accolto,  la Commissione ne dà notizia  all’amministrazione e all’interessato. Se l’amministrazione non emana, entro  i successivi 30 giorni, un motivato provvedimento confermativo della sua precedente decisione, l’accesso sarà consentito.

Il richiedente l’ostensione degli atti, che, in prima battuta, ha optato per il ricorso alla commissione può, qualora questo percorso non approdi ai risultati sperati, produrre ricorso al TAR e i termini (30 giorni) per la sua  proposizione  decorrono dalla data di ricevimento della decisione della Commissione.

Da ultimo va fatto rilevare che questo giudizio segue un rito speciale e accelerato  perché il TAR decide in Camera di Consiglio entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso e non esiste neanche l’obbligo della difesa tecnica, cosicché l’interessato può agire personalmente senza l’assistenza del difensore.

Avverso la sentenza del TAR è possibile, nel termine di 30 giorni dalla notificazione, produrre appello al Consiglio di Stato, dinanzi al quale viene seguito lo stesso procedimento speciale del giudizio di primo grado (eccezion fatta per la possibilità di agire personalmente) e anche la  decisione viene  emessa entro i successivi 30 giorni.

 

Per una sintesi di quanto contenuto nel presente scritto si riporta, di seguito, un prospetto di immediata lettura.

 

 

 

 

ACCESSO AGLI ATTI PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Al lavoratore destinatario di un procedimento disciplinare  deve essere garantita un’efficace linea difensiva e consentito di accedere agli atti per i quali ha un interesse concreto, diretto e attuale.
 

 

 

 

 

 

PRECLUSIONE ALL’ACCESSO

 

 

Vi possono essere documenti la cui divulgazione è vietata, come  quelli indicati nell’art. 24 della legge 241/90.

Il comma 7 dello stesso art. 24 stabilisce, però, che debba comunque essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici.

Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti strettamente indispensabili e nei termini previsti dall’art. 60 d. lgs. 196/2003.

 

 

CONTESTAZIONE DI ADDEBITO NON SUFFICIENTEMENTE SPECIFICA

 

 

Il datore di lavoro deve mettere a disposizione dell’incolpato la documentazione necessaria a garantire un’adeguata difesa, soprattutto se la contestazione di addebito non risulti sufficientemente specifica.

 

 

 

 

RICHIESTA DI ACCESSO A ESPOSTI, DENUNCE, RELAZIONI ISPETTIVE, ECC.

 

 

Il lavoratore incolpato ha una valida esigenza di tutelare la propria persona e promuovere il diritto di difesa; pertanto può esercitare l’accesso anche a esposti, denunce, relazioni ispettive. Ciò perché trattasi di documentazione che, una volta pervenuta nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale.

 

 

 

 

 

SEGNALAZIONE DI CONDOTTE ILLECITE DA PARTE DI DIPENDENTI PUBBLICI DI CUI ALL’ART. 54-BIS D. LGS. 165/2001 ( WHISTLEBLOWING)

 

 

Le segnalazioni di condotte illecite prodotte da dipendenti pubblici, che ne sono venuti a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, sono sottratte all’accesso agli atti, sempreché rientrino tra quelle disciplinate dall’art. 54-bis del d. lgs. 165/2001 (whistleblowing).

Qualora, a seguito di tali segnalazioni, l’Amministrazione attivi un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio dipendente, l’identità del segnalante non può essere rivelata. Se, però, la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e l’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità.

 

 

 

POSSIBILITÀ DI ACCESSO AGLI ATTI DOPO LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

 

 

Anche se il procedimento disciplinare si è concluso da tempo il lavoratore interessato può ancora accedere agli atti. Tale possibilità viene riconosciuta perché il dipendente potrebbe avere, ad esempio, interesse ad esercitare un’azione risarcitoria, una denuncia penale, ecc., pur non avendo compiuto alcuna attività nel corso del procedimento disciplinare.

 

 

 

ANCHE L’AUTORE DI UN ESPOSTO CHE ABBIA DATO LUOGO A UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PUO’ ACCEDERE AGLI ATTI

 

 

All’autore di un esposto, cui consegue un procedimento disciplinare, può essere riconosciuta una situazione giuridicamente rilevante che giustifica l’accesso agli atti.

Il fatto che sia terzo rispetto al procedimento disciplinare non deve necessariamente risultare un impedimento all’ostensione degli atti.

 

 

 

MODALITA’ ESERCIZIO ACCESSO AGLI ATTI

 

Per accedere agli atti occorre preliminarmente una specifica istanza in carta semplice rivolta all’Amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente, precisando i documenti che si vogliono avere in visione o in copia e le motivazioni che giustificano l’istanza.

 

 

 

 

TUTELA IN CASO DI DINIEGO DELL’ACCESSO

 

 

Se dopo 30 giorni dall’istanza di accesso non si abbia alcun riscontro (silenzio-rigetto), oppure vi sia una decisione di diniego o differimento, è possibile produrre, entro 30 giorni, ricorso al TAR o, in alternativa, chiedere alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di riesaminare la determinazione dell’Amministrazione resistente.

 

 

 

DECISIONE DELLA COMMISSIONE PER L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

 

 

La Commissione si deve pronunciare entro 30 giorni dall’istanza e in mancanza il ricorso si intende respinto. Viceversa, qualora il ricorso venga accolto, la Commissione ne dà notizia all’Amministrazione e all’interessato.

Se l’Amministrazione non emana, nei successivi 30 giorni, un motivato provvedimento confermativo della sua precedente decisione, l’accesso sarà consentito.

 

 

 

 

 

 

 

RICORSO AL TAR

Qualora non vada a buon fine il ricorso alla Commissione, l’interessato può produrre ricorso al TAR e i termini (30 giorni) per la sua proposizione decorrono dalla data di ricevimento della decisione della Commissione.

Il giudizio dinanzi al TAR segue un rito speciale e accelerato, perché il TAR decide in Camera di Consiglio entro 30 giorni e l’interessato può agire personalmente senza l’assistenza del difensore.

Avverso la decisione del TAR è possibile, nel termine di 30 giorni dalla notificazione, produrre appello al Consiglio di Stato, dinanzi al quale viene seguito lo stesso  rito speciale del giudizio di primo grado (ad eccezione della possibilità di agire senza l’assistenza del difensore) e anche la decisione viene emessa nei successivi 30 giorni.

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Dott. Silvestro Pezzuto

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