Accesso agli atti amministrativi: il rapporto tra l’accesso documentale e l’accesso civico generalizzato

Redazione 02/05/18
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Di Paolo Canaparo

Il d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 ha introdotto l’istituto dell’accesso civico generalizzato. Il legislatore nazionale è, poi, intervenuto, per un verso, affiancando il c.d. accesso civico generalizzato a quello originariamente introdotto dal Codice della trasparenza e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla legge n. 241/1990.

L’introduzione dell’accesso civico generalizzato e la permanenza dell’accesso agli atti

L’introduzione dell’istituto dell’accesso civico generalizzato – entrato in vigore nel nostro ordinamento il 23 dicembre 2016 – ha rappresentato, senz’altro, la novità principale apportata dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, quale “importante strumento chiaramente indirizzato a realizzare la trasparenza amministrativa e cioè la comprensibilità e la conoscibilità, dall’esterno, dell’attività amministrativa, in particolare da parte dei cittadini; comprensibilità e conoscibilità finalizzate, in particolare, a realizzare imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa e a far comprendere le scelte rivolte alla cura dell’interesse pubblico”. La legge 7 agosto 1990, n. 241, per anni è stata considerata come la “fonte” unica della regola generale della trasparenza amministrativa: sia perché consentiva di conoscere i documenti e gli atti adottati nell’esercizio dell’attività amministrativa mediante il riconoscimento del diritto all’accesso documentale, sia perché introduceva norme improntate alla trasparenza (in tema di partecipazione procedimentale dei privati e di obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi). Sulla scia dei concetti introdotti dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in materia di trasparenza e in attuazione della delega recata dall’art. 1, commi 35 e 36 della legge 28 novembre 2012, n. 190, in tema di “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, è stato adottato il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. Codice sulla trasparenza), come modificato dal decreto legislativo 97/2016, che ha operato una importante estensione dei confini della trasparenza intesa oggi come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. Lo strumento dell’accesso civico generalizzato consente, per la prima volta, nel nostro ordinamento, l’accesso alla documentazione in possesso delle amministrazioni, senza la necessità di un manifesto interesse da parte dell’accedente, naturalmente senza travalicare i limiti previsti dal legislatore (art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. 33/2013), posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati che potrebbero confliggere con la volontà di conoscere, espressa dal cittadino. L’ampio diritto all’informazione e alla trasparenza dell’attività delle amministrazioni e degli altri soggetti indicati nel neo-introdotto articolo 2-bis del Codice della trasparenza resta temperato solo dalla necessità di garantire le esigenze di riservatezza, di segretezza e di tutela di determinati interessi pubblici e privati (come elencati nell’art. 5-bis del d.lgs. 33/2013) che diventano l’eccezione alla regola, alla stregua degli ordinamenti caratterizzati dal sistema FOIA, (l’acronimo deriva dal Freedom of Information Act, e cioè la legge sulla libertà di informazione adottata negli Stati Uniti il 4 luglio 1966).

Tale controllo è, quindi, funzionale a consentire la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico e finalizzato ad assicurare un diritto a conoscere in piena libertà, anche dati “ulteriori” e cioè diversi da quelli pubblicati, naturalmente senza travalicare i limiti previsti dal legislatore e posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati. Fino a prima, la legge 7 agosto 1990, n. 241, riservava la possibilità di accedere ai documenti della p.a. solo a chi avesse «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (art. 22, comma 1, lett. b, come sostituito dall’articolo 15 della legge 11 febbraio 2005 n. 15). Questa restrizione era la differenza più vistosa tra la normativa italiana e quella in vigore in quasi tutti i Paesi della UE e in moltissimi altri (USA, Canada, Messico, Brasile, Sudafrica, India, ecc.). Uno dei cardini delle leggi sul diritto d’accesso ai documenti della p.a. vigenti all’estero – in genere noti come FOIA, ovverosia leggi sul diritto all’informazione (sottinteso, detenuta dalla p.a.) – è proprio che il richiedente non deve essere obbligato a motivare la richiesta. Il Consiglio d’Europa aveva ripetutamente raccomandato ai Paesi membri di dotarsi di leggi sull’accesso che non prevedessero l’obbligo di motivare la richiesta (Recommandation No. R(81) 19 e Recommandation (2002) 2).

Sulla base anche di queste sollecitazioni, il legislatore ha aggiunto nel nostro ordinamento la disciplina dell’accesso civico generalizzato (art. 5, co. 2, del d.lgs. n. 33/2013), quale appunto ulteriore strumento di trasparenza dell’azione amministrativa, a quella che prevede gli obblighi di pubblicazione (articoli da 12 e ss. del d.lgs. n. 33/2013) e alla più risalente disciplina di cui agli articoli 22 e ss. della legge n. 241/1990 in tema di accesso ai documenti. Con l’originario testo del decreto legislativo n. 33 del 2013, infatti, viene assicurata ai cittadini la possibilità di conoscere l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni anche attraverso l’obbligo a queste imposto di pubblicare sui siti istituzionali, nella sezione denominata “Amministrazione trasparente”, i documenti, i dati e le informazioni concernenti le scelte amministrative operate, ad esclusione dei documenti per i quali è esclusa la pubblicazione, in base a norme specifiche ovvero per ragioni di segretezza, secondo quanto indicato nello stesso decreto.

Il legislatore nazionale è, quindi, intervenuto, per un verso, affiancando il c.d. accesso civico generalizzato a quello originariamente introdotto dal Codice della trasparenza e, per altro verso, mantenendo in vita l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi e la propria disciplina speciale dettata dalla legge n. 241/1990, evitando accuratamente di novellare la benché minima previsione contenuta nelle disposizioni da essa recate, anche con riferimento ai rigorosi presupposti dell’ostensione, sia sotto il versante della dimostrazione della legittimazione e dell’interesse in capo al richiedente, sia sotto il versante dell’inammissibilità delle richieste volte ad ottenere un accesso diffuso. In pratica, sono stati istituiti due canali paralleli per l’accesso ai documenti della p.a., uno libero dall’obbligo di motivare la richiesta e senza lacuna legittimazione specifica, l’altro riservato a chi abbia necessità dei documenti per tutelare una situazione giuridicamente rilevante.

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