Consulta: svolta sull’art. 131-bis c.p., conseguenze per i reati contro P.U.

La Consulta apre alla particolare tenuità anche per i reati ex artt. 336 e 337 c.p. Cambia l’equilibrio tra tutela del P.U. e principi costituzionali.

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La Consulta apre alla particolare tenuità anche per i reati ex artt. 336 e 337 c.p. Cambia l’equilibrio tra tutela del P.U. e principi costituzionali. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon

Corte costituzionale – sentenza n. 172 del 20-10-2025

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Indice

1. La vicenda processuale e la riqualificazione del fatto


Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, era chiamato a giudicare dell’imputazione di resistenza aggravata a un pubblico ufficiale, ascritta all’imputato, ai sensi degli artt. 337 e 339 cod. pen..
Orbene, riqualificato il fatto come violenza a un pubblico ufficiale, ai sensi dell’art. 336, primo comma, cod. pen., il Tribunale fiorentino assumeva la sussistenza di elementi idonei all’applicazione dell’esimente della particolare tenuità. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025“, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

2. La questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Firenze


Il Tribunale di Firenze, in occasione della vicenda giudiziaria appena richiamata, sollevava, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui stabilisce che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per i delitti previsti dagli artt. 336 e 337 dello stesso codice se il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni fermo restando che, con la medesima ordinanza, in via subordinata, siffatto giudice a quo sollevava altresì, in riferimento agli artt. 3, 17 e 21 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 339 cod. pen., nella parte in cui non esclude, per i reati di cui agli artt. 336, 337 e 338 dello stesso codice, l’aggravante della commissione nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico «ove si tratti di manifestazioni di natura politica».
In particolare, per il giudice rimettente, l’escludere in modo assoluto l’applicazione della causa di non punibilità quando si procede per i delitti previsti dagli artt. 336 e 337 cod. pen. commessi nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, l’art. 131-bis, terzo comma, cod. pen., violerebbe il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost., sotto il profilo della comparazione con altri titoli di reato, osservandosi a tal proposito che, riferendosi alla valutazione di non omogeneità dei tertia comparationis espressa dalla Consulta nella sentenza n. 30 del 2021 – che aveva respinto un’analoga censura –, dichiarava di «sottoporre nuovamente alla Corte la questione indicando diversi tertia» stante il fatto che, come fattispecie di gravità pari o maggiore rispetto a quella oggetto del giudizio principale, e tuttavia ammesse all’esimente ex art. 131-bis cod. pen., la violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, prevista dall’art. 338, primo comma, cod. pen.; la resistenza alla forza armata, prevista dall’art. 143 del codice penale militare di pace; la violenza o minaccia nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale della scuola, ovvero in danno degli esercenti le professioni sanitarie e attività ausiliarie, prevista dagli artt. 336, secondo comma, 337, 61, primo comma, numeri 11-octies) e 11-novies), cod. pen.
Ciò posto, riguardo alla questione subordinata, il Tribunale di Firenze rammentava che l’aggravante della commissione del reato «nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico» è stata aggiunta nel primo comma dell’art. 339 cod. pen. dall’art. 7, comma 1, lettera a), del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53 (Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2019, n. 77.
Per il rimettente, in effetti, tale aumento di pena, «correlato al compimento del reato nel corso della manifestazione, si traduce in una punizione della stessa manifestazione – in violazione degli artt. 17 e 21 della Costituzione, ai sensi dei quali la libertà di riunione e la libertà di manifestazione del pensiero costituiscono diritti fondamentali – nella misura in cui la realizzazione del reato nel corso della manifestazione non comporta di per sé una maggior offesa al bene giuridico tutelato»; con specifico riferimento ai delitti ex artt. 336 e 337 cod. pen., «il normale funzionamento della pubblica amministrazione non pare leso maggiormente per il fatto che le condotte incriminate ai citati articoli siano tenute nel corso di manifestazioni pubbliche».
Non escludendo dal campo di applicazione dell’aggravante le «manifestazioni di natura politica», la norma censurata violerebbe dunque, per il giudice a quo, gli evocati parametri – artt. 3, 17 e 21 Cost. – per ragioni analoghe a quelle evidenziate dalla sentenza n. 119 del 1970, con la quale questa Corte dichiarò costituzionalmente illegittima l’aggravante del reato di danneggiamento per commissione da parte di lavoratori in sciopero o datori di lavoro in serrata.

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3. La risposta della Consulta: criteri di comparazione e irragionevolezza della norma


La Corte costituzionale – dopo avere illustrato le argomentazioni sostenute a fondamento di codesta questione e reputata non condivisibile l’eccezione formulata dall’Avvocatura dello Stato – considerava la questione suesposta, ossia quella sollevata in via principale, fondata.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità costituzionale, dopo avere compiuto un excursus normativo di questo articolo 131-bis cod. pen. alla luce delle modifiche ivi apportate nel corso del tempo – ritenevano come la comparazione tra le fattispecie ex artt. 336 e 337 cod. pen., da un lato, e quella ex art. 338 cod. pen., dall’altro, evidenziava, a loro avviso, un profilo di manifesta irragionevolezza, quanto all’applicabilità della causa di non punibilità, rappresentandolo nei seguenti termini: “I reati di cui agli artt. 336, primo comma, e 337, primo comma, cod. pen., puniti con la reclusione da sei mesi a cinque anni, hanno quali elementi costitutivi l’uso della violenza o minaccia in danno del pubblico ufficiale e la finalità di alterazione dell’azione amministrativa. I medesimi elementi sono propri della figura delittuosa di cui all’art. 338 cod. pen., con la specificità che la violenza o minaccia è qui rivolta ai danni di un’autorità pubblica costituita in collegio, il che giustifica una forbice edittale più severa, così nel minimo (un anno di reclusione), come nel massimo (sette anni). Per effetto dell’art. 1, comma 1, della legge 3 luglio 2017, n. 105 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti), questo trattamento sanzionatorio riguarda anche l’ipotesi in cui la condotta ex art. 338 cod. pen. sia tenuta contro singoli componenti del corpo politico, amministrativo o giudiziario, ma sempre in quanto il singolo è proiezione del collegio, quindi ancora in un contesto di maggiore gravità rispetto alla fattispecie individuale di cui agli artt. 336 e 337 cod. pen. La giurisprudenza di legittimità, infatti, collega la maggiore severità della pena di cui all’art. 338 cod. pen. alla direzione della violenza o minaccia contro l’unità dell’organo pubblico collettivo (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 22 febbraio-24 settembre 2018, n. 40981; poi, in senso analogo, sesta sezione penale, sentenza 27 aprile-10 novembre 2023, n. 45506). (…) È manifestamente irragionevole che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto sia ammessa per il reato più grave, in danno dell’agente pubblico collegiale, e viceversa esclusa per il reato meno grave, in danno dell’agente pubblico individuale. Il legislatore stesso, attraverso la ricordata diversificazione degli estremi edittali, ha definito nei predetti termini comparativi la relazione tra le fattispecie considerate, e non può quindi, senza cadere in una manifesta incongruenza, disconoscerla agli effetti della particolare tenuità del fatto. Tale rilievo non muta ove pure si consideri la sopravvenienza dell’art. 19, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario), convertito nella legge 9 giugno 2025, n. 80, che ha inserito negli artt. 336 e 337 cod. pen. un comma finale laddove è previsto l’aumento della pena «fino alla metà» qualora il fatto di violenza o minaccia sia commesso nei confronti di – o per opporsi a – un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Trattandosi di un’aggravante a effetto speciale, essa rileva ai fini della determinazione del minimo edittale per l’esimente di particolare tenuità (art. 131-bis, quinto comma, cod. pen.), e tuttavia la stessa non è in grado di elevare il minimo di sei mesi, stabilito per i reati di cui agli artt. 336 e 337 cod. pen., oltre quello di un anno, stabilito per il reato di cui all’art. 338 dello stesso codice. Perdura quindi la manifesta irragionevolezza della non operatività dell’esimente per il reato meno grave a fronte della sua applicabilità al reato più grave. La nuova aggravante di cui all’ultimo comma degli artt. 336 e 337 cod. pen. (ferma l’inapplicabilità al caso di specie per il canone del favor rei) può astrattamente incidere sulla comparazione con alcuni ulteriori tertia dedotti dal Tribunale di Firenze: da un lato, la resistenza alla forza armata militare, che nella forma semplice ha tuttora il minimo edittale di sei mesi e non è stata interessata dall’introduzione di un’aggravante a effetto speciale; dall’altro lato, i delitti commessi con violenza o minaccia in danno del personale sanitario e scolastico, essendo quella di cui ai numeri 11-octies) e 11-novies) dell’art. 61, primo comma, cod. pen. un’aggravante a effetto comune, non computabile ai fini dell’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen. Resta viceversa intatta la discrasia emergente dal raffronto, condotto sui minimi edittali, rispetto alla violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, di cui all’art. 338 cod. pen., e la conseguente illegittimità costituzionale dell’esclusione dei reati di cui agli artt. 336 e 337 cod. pen., se commessi nei confronti di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o polizia giudiziaria, dall’ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. L’accertamento di questa ragione di illegittimità costituzionale esime dal considerare l’ulteriore profilo prospettato dal rimettente, concernente la comparazione con la fattispecie caratterizzata dall’aggravante a effetto speciale – introdotta dall’art. 5, comma 1, lettera a), della legge 4 marzo 2024, n. 25 (Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico) – della violenza o minaccia commessa dal genitore o tutore dell’alunno nei confronti del personale scolastico, di cui al secondo comma dell’art. 336 cod. pen., esimibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. in quanto non contemplata da un’eccezione nominativa”.
Oltre a ciò, si reputava inoltre come non cogliesse nel segno la difesa statale, avendo costei argomentato circa la tesi della non fondatezza dell’odierna questione, evocando la ratio decidendi espressa da questa Corte nella sentenza n. 30 del 2021.
Invero, per il Giudice delle leggi, la connotazione plurioffensiva che in tale sentenza è stata riconosciuta ai reati previsti dagli artt. 336 e 337 cod. pen. appartiene altresì al reato descritto dall’art. 338 dello stesso codice, e con una pregnanza maggiore, ove si consideri che da quest’ultimo delitto possono essere lese collettivamente più persone, e incise funzioni costituzionali, come quella legislativa (secondo comma del medesimo art. 338, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b, della legge n. 105 del 2017).
Dunque, ribadita la sostanza della precedente decisione, la Consulta reputava come non potesse fare altro che rilevare l’irrazionalità venutasi a creare dopo di essa, per effetto del mutato quadro normativo e delle comparazioni che lo stesso impone dal momento che, sebbene non possa escludersi che rifletta un mero difetto di coordinamento, a suo avviso, la rilevata distonia normativa va comunque a scapito del reo, anche sul piano della funzione rieducativa della pena, quest’ultima esigendo un assetto razionale dell’intera disciplina sanzionatoria, inclusiva delle cause esimenti.
La Corte costituzionale, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis, terzo comma, cod. pen., nella parte in cui si riferisce agli artt. 336 e 337 dello stesso codice, restando invece assorbita l’altra questione, sollevata sempre dal Tribunale di Firenze in via subordinata, relativa alla circostanza aggravante della commissione della violenza o minaccia nel corso di una manifestazione in luogo pubblico o aperto al pubblico, ai sensi dell’art. 339, primo comma, cod. pen..

4. Il nuovo assetto applicativo della particolare tenuità del fatto nei confronti dei Pubblici Ufficiali


Fermo restando che l’art. 131-bis, co. 3, n. 2, cod. pen., com’è noto, prevede che l’“offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: (…) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall’articolo 343” cod. pen., con la pronuncia qui in commento, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo siffatto precetto normativo nella parte in cui si riferi[va] agli artt. 336 e 337 del codice penale.
Tal che ne consegue che, per effetto di siffatta decisione, la causa di non punibilità preveduta dall’art. 131-bis cod. pen., ossia la particolare tenuità del fatto, può adesso essere riconosciuta anche ove si proceda per i delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.) e di resistenza un pubblico ufficiale (art. 337 cod. pen.).
Questa è dunque in sostanza la novità che connota la decisione qui in commento.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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