Appropriazione indebita: il trattamento sanzionatorio minimo

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 646 c.p. concernente il delitto di appropriazione indebita.

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Con la sentenza n. 46 del 21 febbraio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 646 c.p. concernente il delitto di appropriazione indebita. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Corte di Cassazione -sez. II pen.- sentenza n. 12489 del 31-03-2025

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Indice

1. Cenni sul delitto di appropriazione indebita


Con la sentenza n. 46 del 21 febbraio 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 646 c.p. concernente il delitto di appropriazione indebita.
Con l’articolo in commento, si punisce colui che “… per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000 (2). Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata. Si procede d’ufficio, se ricorre la circostanza indicata nel capoverso precedente o taluna delle circostanze indicate nel n. 11 dell’articolo 61.”.
Dal punto di vista sistematico, trattasi di un reato contro il patrimonio, disciplinato dal tredicesimo Titolo, del Capo secondo, del codice penale, più precisamente di un delitto contro il patrimonio commesso mediante frode.
Il bene giuridico protetto dalla prefata norma incriminatrice è la sfera patrimoniale del soggetto passivo del reato.
È un reato comune, di danno, che può esser consumato da chiunque abbia la disponibilità materiale del bene mobile concesso, seppur temporaneamente, dal suo proprietario.
Si contrappone al delitto di peculato, di cui all’art. 314 c.p., collocato nei reati contro la pubblica amministrazione, volto ad incriminare una condotta simile a quella contemplata dall’art. 646 c.p., il quale può esser consumato soltanto da un pubblico ufficiale ovvero dall’incaricato d’un pubblico servizio, qualificandosi, pertanto, come un reato proprio.
Il bene mobile in questione, che sia il denaro ovvero altra cosa mobile, è attratto dal vincolo di destinazione che rappresenta il titolo tramite il quale il bene viene consegnato dal proprietario a colui che ne avrà la disponibilità per una determinata finalità.
Cosicché, pensiamo, per un momento, all’amministratore di condominio e alla disponibilità che questi ha, per ragioni del suo ufficio, del denaro sul conto corrente condominiale per provvedere alle spese di conservazione e manutenzione dell’ente comune.
Ed, ancora, per andar, oltre, al colui che noleggia un’automobile ovvero una bicicletta, riceve in prestito un telefono cellullare od un altro bene mobile senza, poi, restituirlo al legittimo proprietario mutando il titolo di detenzione in possesso uti dominus. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

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2. Il delitto di appropriazione indebita è un reato a consumazione istantanea


La consumazione del reato segna il momento di perfezionamento della fattispecie incriminatrice in scrutinio, laddove, naturalmente, sussistano tutti gli elementi costitutivi descritti che valgano, indi, a integrarla.
Tuttavia, in seno alla giurisprudenza di legittimità, si sono registrati due opposti orientamenti interpretativi.
Secondo il primo indirizzo, il delitto di appropriazione indebita si consumerebbe nel momento in cui la manifestazione di volontà del soggetto attivo di reato di tenere la cosa detenuta come propria giunge nella sfera di conoscenza della parte offesa.
In tal direzione, si afferma che “…l’evento del reato si realizza nel luogo e nel tempo in cui la manifestazione della volontà dell’agente di fare proprio il bene posseduto giunge a conoscenza della persona offesa, e non nel tempo e nel luogo in cui si compie l’azione..”. (Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n.n. 17901 del 10 aprile 2014).
Concentrare la consumazione del delitto in parola nel momento in cui la persona offesa avrebbe conoscenza della manifestazione di volontà del soggetto attivo del reato di ritenere come proprio il bene mobile, di cui, inizialmente, ne aveva la disponibilità a titolo di detenzione, interferirebbe con i canoni normativi volti a determinare il tempo ed il luogo di consumazione del reato.
E, difatti, rispetto all’orientamento giurisprudenziale appena scrutinato, ha prevalso quello maggioritario, di segno opposto, a mente del quale “…il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione…”. (Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n. 15735 del 14 febbraio 2020).
Secondo l’orientamento appena citato, il momento della consumazione del delitto di appropriazione indebita è segnato dalla realizzazione della prima condotta appropriativa con la quale l’agente manifesta l’intenzione di comportarsi sul bene detenuto come proprietario.
L’interversione del possesso, ossia il passaggio dalla detenzione del bene mobile a quella del possesso a titolo di dominio, rappresenta, quindi, il momento di consumazione della fattispecie incriminatrice ora in esame.
Appare, perciò, ininfluente, ai fini della consumazione del reato, la successiva conoscenza della condotta appropriativa dell’agente da parte della persona offesa.
Semmai, la conoscenza da parte di quest’ultimo, sarebbe rilevante per la proposizione dell’atto di querela, il cui termine decorre dal momento in cui la parte offesa ha conoscenza effettiva, in tutti i suoi elementi costitutivi, di un fatto astrattamente costituente reato.

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3. Il principio di ragionevolezza si applica anche al trattamento sanzionatorio (Corte Cost. Sent.n.46/2024)


Il dettato normativo dell’art. 646 c.p. è stato oggetto di una modifica normativa per via dell’art. 1, comma 1, lett. u), della Legge n. 3 del 2019, che ha soppresso le parole “…con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032.”, sostituendole con “…della reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000…”.
La ratio dell’intervento normativo, dal punto di vista del legislatore, troverebbe giustificazione nella considerazione che, spesso, l’appropriazione indebita si paleserebbe come un reato prodromico del fenomeno corruttivo.
Esso rappresenterebbe un reato sintomo di un’attività illecita perché tramite esso si creerebbero delle provviste illecite di denaro utilizzabili per il prezzo dell’atto corruttivo.
Da questa considerazione, la decisione di modificare il dettato normativo dell’art. 646 c.p. introducendo un inasprimento sia per il minimo che per il massimo della pena edittale.
E proprio la pena edittale minima, stabilita in due anni di reclusione, è stata l’occasione per il Tribunale Penale di Firenze di sollevare, con l’ordinanza del 6 marzo 2023, un’eccezione d’incostituzionalità del primo comma dell’art. 646 c.p. in relazione all’art. 3 e 27, terzo comma, Cost., censurandolo “…nella parte in cui punisce la condotta di appropriazione indebita con la reclusione da due a cinque anni, oltre alla multa, anziché con la reclusione da sei mesi a cinque anni, oltre alla multa…”. (Corte Cost., Sentenza n. 46 del 21 febbraio 2024).
Il giudice a quo, sulla base del canone costituzionale di ragionevolezza, fondato sull’art. 3 della Cost., evidenzia che il delitto di appropriazione indebita trova applicazione anche per fattispecie criminose di portata lesiva minore, quali condotte appropiative commesse da soggetti che avevano la disponibilità di denaro ovvero di beni mobili a vario titolo, le quali, a seguito della novella normativa del 2019, verrebbero, ora, punite, nel minimo edittale, con la pena di anni due di reclusione a fronte di condotte illecite caratterizzate da un maggiore disvalore giuridico che vengono invece sanzionate con la pena minima di sei mesi di reclusione, come accade per il furto (art. 624 c.p.) e la truffa (art. 640 c.p.).
Appare evidente, secondo il giudice remittente, che, in tal maniera, trattandosi di reati contro il patrimonio, si dia luogo a un’evidente disparità di trattamento sanzionatorio tra fattispecie giuridiche caratterizzate da dinamiche pressoché omogenee, finalizzate a mutare od a perdere il titolo del possesso ovvero ad indurre a compiere un atto di disposizione patrimoniale, differenziandosi nella modalità d’espressione della condotta attuata.
La corte delle leggi accoglie le censure del giudice di Firenze registrando la disparità di trattamento sanzionatorio del reato di appropriazione, punito nel minimo con due anni di reclusione, rispetto a quello di furto e di truffa, puniti, nel minimo edittale, con la pena di sei mesi di reclusione, respingendo le obiezioni sollevate dall’avvocatura di Stato, secondo la quale il differente trattamento sarebbe, poi, mitigato, dagli istituti vigenti di cui all’art. 130 bis c.p., dell’art. 162 bis c.p.
E, infatti, la Corte Costituzionale giunge ad affermare, tra l’altro, che “…per effetto dell’innalzamento del limite edittale minimo il trattamento sanzionatorio dell’appropriazione indebita finisce oggi per essere assai più gravoso di quello riservato al furto e alla truffa, assunti entrambi quali tertia comparationis dal rimettente…”. (Corte Cost., Sentenza n. 46/2024, cit.).
Cosicché, a fronte delle predette deduzioni, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 646 c.p. nella parte in cui prevede, per l’appunto, la pena edittale minima di due anni di reclusione.

4. Il principio applicato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 12489 del 14 marzo 2025


Invocando l’intervento ablativo della Consulta, il difensore dell’imputato ricorreva alla corte dei diritti domandando l’annullamento della sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva confermato la decisione del Tribunale di Cuneo il quale aveva condannato il suo assistito per l’appropriazione indebita di un telefono cellullare determinando la pena sulla base di una forbice edittale eliminata dalla Corte Costituzionale.
La Suprema Corte, nell’accogliere le doglianze del ricorrente, precisa che, proprio a seguito dell’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 646 c.p., in assenza di un nuovo intervento legislativo, la pena minima edittale deve, ora, essere determinata facendo applicazione del canone generale dell’art. 23 c.p., a mente del quale, per il delitti, la pena “…risulta ora determinata in misura pari al minimo irrogabile per la reclusione, e cioè in quella di giorni 15 stabilita dall’art.23 cod. pen…”.  (Cass. Pen., Sez. II, Sentenza n. 12489 del 14 marzo 2025).
Gli Ermellini, pertanto, annullano la decisione impugnata emessa dai precedenti giudici, perché la pena è stata determinata sulla base di una forbice edittale non più vigente al momento della statuizione di condanna per via dell’intervento ablatorio della Consulta.

5. Conclusioni


Alla luce delle superiori argomentazioni giuridiche, possiamo rassegnare le seguenti conclusioni.
Sul piano generale, si apprende che il principio di ragionevolezza, fondato sull’art. 3 della Cost., trova applicazione anche per trattamento sanzionatorio.
Identiche situazioni giuridiche non possono essere sanzionate, in materia di diritto penale sostanziale, in modo diseguale.
In particolare, per ciò che interessa la presente trattazione, la condotta di appropriazione indebita, di cui all’art. 646 c.p., riguardata nel suo minimo edittale, non può essere sanzionata più severamente rispetto a fatti di reato dotati di un maggior disvalore sociale, come il furto e la truffa, contemplati, rispettivamente, dagli artt. 624 e 640 c.p.

Giovanni Stampone

Avvocato. Roma.

Diploma di Laurea in Giurisprudenza – Università La Sapienza di Roma.
Tesi in diritto amministrativo. “Interesse legittimo e responsabilità aquiliana secondo la Direttiva CEE n.665/1989”, relatore Prof. Franco Ledda.

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