Bancarotta per distrazione fra società collegate (Cass. pen. n. 48327/2012)

Redazione 13/12/12
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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 22/2/2012 la Corte d’appello di Genova, quale giudice dell’esecuzione, provvedendo sull’istanza di revoca parziale, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna emessa nei confronti di V.M., accoglieva l’istanza limitatamente alla condanna per il capo G dell’imputazione, rideterminando la pena;

respingeva l’istanza con riferimento agli altri capi.

La Corte osservava che la richiesta di revoca parziale riposava sul presupposto che la riforma del diritto societario aveva introdotto nell’ordinamento una disciplina del gruppo di imprese dotata di una certa omogeneità, prevedendo, con l’art. 2643 c.c., comma 3, una particolare causa di esclusione della illegittimità del profitto conseguito attraverso la condotta infedele nel caso in cui la stessa sia venuta ad inserirsi in un sistema di operazioni tra società tra loro correlate, determinando un travaso di attività a detrimento di alcune di esse, ma a vantaggio di altre.

2. Ricorre per cassazione V.M. deducendo la carenza assoluta di motivazione e la conseguente errata applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla richiesta di revoca della condanna.

Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, chiede l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

Nel giudizio di merito, la questione giuridica prospettata dal ricorrente era stata ampiamente trattata, essendo state emesse le sentenze successivamente alla modifica legislativa (D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61), ed era stata disattesa.

In particolare questa Corte (Sez. 5, n. 1137 del 2009 del 17/12/2008), nel rigettare i ricorsi degli imputati, così, tra l’altro, motivava:

“L’intero ricorso redatto per V.M. dall’avv. Fasce prospetta l’esistenza di un gruppo di società il cui comune interesse non solo escluderebbe la possibilità di considerare come distrattivi alcuni movimenti di beni e di fondi tra le società collegate, come si deduce segnatamente con il primo motivo d’impugnazione, ma, secondo quanto dedotto con il quinto motivo, avrebbe comunque imposto l’unificazione a norma della *******., art. 219, di tutti i reati di bancarotta contestati con riferimento ai distinti fallimenti.

I motivi sono infondati.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sussiste anche nel caso di imprese collegate tra loro, qualora gli atti di disposizione patrimoniale, privi di seria contropartita, siano eseguiti a favore di una società del medesimo gruppo, poichè il collegamento societario ha natura meramente economica e non scalfisce il principio di autonomia della singola persona giuridica” (Cass., sez. 5, 1 luglio 2002, *******, m. 222387, Cass., sez. 5, 14 dicembre 1999, Tonduti, m. 215668, Cass., sez. 5, 9 marzo 1999, ********, m. 213116, Cass., sez. 5, 17 marzo 1995, ************, m. 201318). Si è ritenuto in particolare che “la diversità degli interessi tutelati dalla legge penale fallimentare e dalla nuova disciplina dei reati societari, introdotta dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, impedisce che alla materia fallimentare possa applicarsi la norma prevista dall’art. 2634 c.c., comma 3, secondo cui non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza allo stesso gruppo societario” (Cass., sez. 5, 5 giugno 2003, *****, m. 227149). Sicchè “integra la distrazione rilevante, ex art. 216 e art. 223, comma 1, legge fallimentare (bancarotta fraudolenta impropria) la condotta di colui che trasferisca, senza alcuna contropartita economica, beni di una società in difficoltà economiche – di cui sia socio ed effettivo gestore – ad altra del medesimo gruppo in analoghe difficoltà, considerato che, in tal caso, nessuna prognosi positiva è possibile e che, pur a seguito dell’introduzione nel vigente ordinamento dell’art. 2634 c.c., comma 3, la presenza di un gruppo societario non legittima per ciò solo qualsivoglia condotta di asservimento di una società all’interesse delle altre società del gruppo, dovendosi, per contro, ritenere che l’autonomia soggettiva e patrimoniale che contraddistingue ogni singola società imponga all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui sia preposto e, pertanto, di non sacrificarne l’interesse in nome di un diverso interesse, ancorchè riconducibile a quello di chi sia collocato al vertice del gruppo, che non procurerebbe alcun effetto a favore dei terzi creditori dell’organismo impoverito” (Cass., sez. 5, 8 novembre 2007, *******, m. 239108, Cass., sez. 5, 4 dicembre 2007, *********, m. 238237).

E’ vero che già prima della riforma dell’art. 2634 c.c., e a maggior ragione con il nuovo testo della norma deve escludersi l’esistenza di una distrazione, se la mancanza di corrispettivo sia solo apparente, in considerazione dei concreti vantaggi compensativi che rendano appunto solo apparente la diminuzione patrimoniale della società (Cass., sez. 5, 24 maggio 2006, **********, m. 234606). Sicchè, quando si tratti di rapporti intercorsi tra società appartenenti a un medesimo gruppo, “al fine di verificare se l’operazione abbia comportato o meno per la società che l’ha posta in essere un depauperamento effettivo occorre tener conto della complessiva situazione che, nell’ambito del gruppo, a quella società fa capo, potendo l’eventuale pregiudizio economico che da essa sia direttamente derivato aver trovato la sua contropartita in un altro rapporto e l’atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato e indiretto” (Cass. civ., sez. 1, 11 marzo 1996, n. 2001, m. 496284). Tuttavia “l’autonomia soggettiva e patrimoniale che pur sempre contraddistingue ogni singola società appartenente ad un gruppo impone all’amministratore di perseguire prioritariamente l’interesse della specifica società cui egli è preposto; e dunque non gli consente di sacrificarne l’interesse in nome di un diverso interesse che, se pure riconducibile a quello di chi è collocato al vertice del gruppo, non assumerebbe alcun rilievo per i soci di minoranza e per i terzi creditori della società controllata”; sicchè “l’amministratore ha l’onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta” (Cass. civ., sez. 1, 24 agosto 2004, n. 16707, m. 576187). In particolare l’interesse che può escludere l’effettività della distrazione non può ridursi al fatto stesso della partecipazione al gruppo nè identificarsi nel vantaggio della società controllante, perchè il collegamento tra le società e l’appartenenza a un gruppo imprenditoriale unitario è solo la premessa dalla quale muovere per individuare uno specifico e concreto vantaggio per la società che compie l’atto di disposizione del proprio patrimonio.

E nel caso in esame l’esistenza di tali concreti e specifici vantaggi per le società fallite non è stata neppure allegata dal ricorrente, che si è limitato ad addurre il generico vantaggio derivante dall’appartenenza al gruppo. Mentre è evidente che non è certamente ammissibile che si trasferisca sui creditori delle società collegate il rischio imprenditoriale della società capogruppo (Cass., sez. 5, 21 gennaio 1998, ******, m. 210031). L’art. 2634 c.c., comma 3, infatti, definisce non ingiuste nei confronti della società talune disposizioni del suo patrimonio; ma ciò non esclude che tali disposizioni possano risultare ingiuste nei confronti dei creditori sociali, cui non può addossarsi il rischio di operazioni che ne diminuiscano la garanzia patrimoniale. Nè d’altro canto è possibile che la prospettata configurabilità del delitto di infedeltà patrimoniale previsto dall’art. 2634 c.c., comma 1, in relazione all’art. 223 legge fallimentare, escluda la configurabilità della bancarotta per distrazione, perchè i due reati, essendo in rapporto di specialità specifica, concorrono (Cass., sez. 5, 16 gennaio 2007, n. 6140, m. 236054, Cass., sez. 5, 5 marzo 2008, ********, m. 239394)”.

Nessuna revoca avrebbe, quindi, potuto adottare il Giudice dell’esecuzione, atteso che il quadro normativo modificato era ben presente al giudice di merito, che aveva espressamente affrontato e risolto le questioni prospettate dal ricorrente.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle Ammende.

Redazione