Condannato il padre del bambino che si intromette nella lite del piccolo con un suo compagno (Cass. pen. n. 39499/2012)

Redazione 08/10/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 26.10.2010 la corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza 19.10.05 del tribunale di Forlì con la quale D.P. è stato condannato, previo riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 c.p., n. 2 e art. 62 bis c.p., alla pena di 3 mesi di reclusione, convertita in Euro 3.420 di multa, al risarcimento dei danni, al pagamento di una provvisionale di Euro 4.000 e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perchè ritenuto colpevole dei reati, uniti dal vincolo della continuazione, di violenza privata e di percosse in danno del minore M.A., commessi nel centro sportivo frequentato da entrambi.

L’imputato è accusato di aver costretto prendendolo per i capelli, M.A., di anni 13 a seguirlo nella camera da letto del proprio figlio G., di anni 11, a inginocchiarsi dinanzi a quest’ultimo e a chiedergli scusa per le ritenute umilianti e ripetute vessazioni, minacciandolo che, altrimenti, “gli avrebbe pisciato in bocca”; l’imputato è accusato inoltre di aver percosso il M., colpendolo con due schiaffi al volto.

Il difensore e lo stesso D. hanno presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. vizio di motivazione: la corte ha trascurato senza giustificazione – rendendo non intellegibile il percorso logico seguito – le dichiarazioni del teste di difesa G.R., secondo cui D. ha preso il giovane per l’orecchio, che non è gesto violento, ma è espressione di rimprovero;

la minaccia è stata pronunciata dopo che M. aveva chiesto scusa e per evitare che,in futuro, si ripetessero gli episodi di violenza in danno del figlio; da questa ricostruzione dei fatti, emerge che il reato di violenza privata non sussiste.

2. violazione di legge,vizio di motivazione in riferimento agli artt. 581 e 15 c.p.: il giudice ha escluso che gli schiaffi possano essere assorbiti nel fatto della violenza privata, in quanto non risulta che le percosse siano state inflitte per costringere il giovane a inginocchiarsi e a chiedere scusa. Dalle dichiarazioni del M. risulta che gli schiaffi non hanno avuto una distinta finalità, in quanto sono stati inferti al fine di farlo inginocchiare. Il G. ha poi parlato di “uno scappellotto” mentre il ragazzo usciva. Quindi non risulta da alcuna prova che gli schiaffi abbiano avuto un’autonoma finalità punitiva. Pertanto, vanno inseriti nell’azione violenta diretta a coartare la volta del M. e va quindi applicato l’art. 581 c.p., comma 2, secondo cui la norma non si applica quando la violenza costituisce un elemento di un altro reato, che, nel caso in esame, è la violenza privata.

3. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’art. 52 c.p.: la violenza e la minaccia dell’imputato sono stati finalizzati a impedire il certo e preannunciato reiterarsi delle condotte violente ed umilianti poste in essere ripetutamente,da parte del giovane M., in danno del giovane D.. Pertanto l’azione dell’imputato,se correttamente rapportata all’imminenza del pericolo e alla sua proporzionalità rispetto a questo, può beneficiare dell’estensione analogica in bonam partem della legittima difesa.

4. violazione di legge, vizio di motivazione in riferimento all’art. 133 c.p.: il giudice ha giustificato l’entità della pena con il richiamo all’età della persona offesa a cui è seguito un giudizio negativo sulla personalità di quest’ultima, definita spiccatamente aggressiva: pertanto la motivazione della commisurazione della pena sulla scorta della differenza di età, a fronte di una personalità aggressiva è illogica e apparente.

I motivi del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto contengono inammissibili critiche fattuali avverso la ricostruzione dei fatti effettuata – in un inscindibile e organico accertamento giudiziale – dai giudici di merito,in piena aderenza alle risultanze probatorie e alla loro razionale valutazione, sul piano intrinseco e su quello comparativo, tanto da giungere, attraverso un insindacabile serie di passaggi argomentativi e logici, alla conclusione della sussistenza di una duplice azione violenta del D.: una, programmata e finalizzata in vista del rovesciamento -in danno del M. – del ruolo vessatorio e foriero di umiliazione, da lui svolto,fino a quel giorno,in danno del giovane D., all’interno del comune centro sportivo; un’altra azione, finalizzata a un’immediata punizione del più forte D. per le passate vessazioni in danno del più debole M..

Quanto alla censura sul mancato riconoscimento della legittima difesa, va rilevato che, in questo tema, primo requisito, concettualmente, logicamente e cronologicamente necessario, per poter reagire legittimamente in difesa da imminente pericolo, è la necessità di trovarsi dinanzi alla secca alternativa reagire/subire.

Correttamente, il giudice di merito ha invece rilevato che l’imputato era dinanzi a una singola e civile prospettiva decisionale e operativa, per rimediare alla incresciosa situazione: rivolgersi, in maniera tempestiva ed efficace, ai gestori del centro sportivo, per l’adozione delle necessarie misure preventive e punitive. La scelta di agire con molteplice violenza sul giovane e immaturo M. non è stata assolutamente necessitata. Quanto alla doglianza sul mancato assorbimento delle percosse nel reato di violenza privata, dalla corretta e insindacabile ricostruzione dei comportamenti dell’imputato, risulta che una prima violenza fisica (la dolorosa presa di un orecchio del minore), commessa dal D., è stata sicuramente funzionale a commettere la violenza morale, costituita dalla costrizione del giovane a seguirlo nella camera e a inginocchiarsi dinanzi al proprio figlio. La seconda violenza fisica è stata commessa invece, successivamente alla consumazione della violenza morale, a suggello conclusivo della costrizione e a sanzione aggiuntiva per le passate violenze morali.

La pena è stata, infine, calibrata e commisurata razionalmente alla gravità del danno cagionato al minorenne, la cui persona è stata sicuramente sconvolta e alterata, sul piano psichico, dalla condotta reiteratamente violenta, sotto tutti i profili, dell’imputato, proiettata verso un obiettivo di punizione e rieducazione, assolutamente al di fuori della sua competenza ed estranea alle regole di civiltà che sempre e comunque devono vincolare le azioni i e le reazioni dei cittadini.

La manifesta infondatezza dei motivi del ricorso comporta la declaratoria di inammissibilità del gravame. Va rilevato che,successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, è maturato il termine di prescrizione; ciò non porta però alla declaratoria di estinzione del reato. Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, la inammissibilità, conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente l’instaurazione, in sede di legittimità, di un valido rapporto di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., ivi compreso l’eventuale decorso del termine di prescrizione (S.U. n. 23428 del 22.3.2005 – sez 2, 21.4.2006, n. 19578).

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000, in favore della Cassa delle Ammende.

Redazione